Il contratto e le sue caratteristiche nei Paesi di civil law e nei Paesi di common law

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La nozione di contratto non è definita allo stesso modo in tutti gli ordinamenti giuridici, anche se in tutte le definizioni l’elemento fondamentale è l’accordo tra due o più soggetti, che rappresentano le parti del contratto, per produrre effetti giuridici, cioè costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici; quindi un atto giuridico e, più precisamente, un negozio giuridico bilateriale o plurilaterale.

Nel nostro Ordinamento, che appartiene al Civil Law, il Codice Civile all’art. 1321 rubricato “nozione” ne dà la definizione e recita testualmente:

“il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.

Interpretando l’articolo, si deduce che il contratto è un rapporto, necessariamente bilaterale o plurilaterale, avente di volta in volta la funzione di costituire (nel senso di incidere sulla situazione e sugli interessi delle parti introducendo un nuovo rapporto), regolare (cioè apportare una qualsiasi modifica ad un rapporto già esistente) o estinguere (nel senso di porre fine a un rapporto preesistente) un rapporto giuridico patrimoniale.

Nel linguaggio corrente e nel linguaggio economico il contratto è concepito come l’accordo tra due o più soggetti per lo scambio di prestazioni.

Nella compravendita ad esempio, un soggetto trasferisce all’altro un bene e, in cambio, riceve da questi una certa somma di denaro che rappresenta il corrispettivo (ex art. 1470 c.c.)

Negli ordinamenti di common law il contract è proprio un accordo tra due o più soggetti nel quale si ha uno scambio di prestazioni e, quindi, entrambe le parti assumono degli obblighi.

Il collegamento tra la promessa (promise, la dichiarazione di assumere un obbligo) di una parte e quella dell’altra parte, è la cosiddetta consideration, che è considerata requisito non del contratto ma di ciascuna promessa.

Di conseguenza in questi ordinamenti il contratto può essere definito come l’accordo per lo scambio di promesse.

Negli ordinamenti di civil law, invece, il concetto ha una maggiore estensione, che è frutto della tendenza all’astrazione che caratterizza queste culture giuridiche.

Qui vengono fatti rientrare tra i contratti non solo gli accordi caratterizzati da uno scambio di prestazioni e dal sorgere di obblighi in capo a tutte le parti (contratti bilaterali o sinallagmatici) ma anche quelli che, come la donazione, fanno sorgere obblighi in capo solo a una o ad alcune delle parti (e che per loro natura sono contratti unilaterali).

Nei paesi di common law, un atto privo di consideration è possibile solo come deed (donazione), e sarebbe un atto con una serie di requisiti formali: redazione per iscritto, firma della parte e suo sigillo (oggi sostituito dalla dicitura “as seal”), presenza di un testimone, consegna del documento all’altra parte.

Può avere qualsiasi contenuto (anche un contract può essere fatto in questa forma) e viene utilizzato, per la donazione (deed of gift), la promessa unilaterale (deed of convenant), la costituzione di diritti reali (deed of grant), la remissione del debito (deed of release) e la conveyance, cioè il trasferimento di diritti immobiliari.

Gli ordinamenti di civil law, a differenza di quelli di common law, ammettono l’esistenza di contratti reali, i quali a differenza dei contratti consensuali, per perfezionarsi oltre al consenso delle parti richiedono la consegna dell’oggetto del contratto dall’una all’altra parte (traditio rei).

Le situazioni che negli ordinamenti di civil law danno luogo a un contratto reale, nei sistemi di common law danno luogo a un bailment, un rapporto giuridico in forza del quale chi ha consegnato il bene (bailor) può ne può chiedere la restituzione a colui che lo ha ricevuto (bailee), non in virtù di un’obbligazione contrattuale ma in virtù della proprietà o del possesso sul bene stesso.

L’elemento che caratterizza il bailment è rappresentato dalla consegna di cose mobili dal bailor al bailee alla condizione espressa o tacita che saranno restituite non appena sarà venuto meno lo scopo della consegna.

Nemmeno nell’area di civil law il concetto di contratto ha dovunque la stessa estensione.

Mentre nell’ordinamento tedesco e in quelli a esso ispirati, è considerato contratto qualsiasi atto negoziale bilaterale o plurilaterale, indipendentemente dal suo contenuto, in alcuni ordinamenti di civil law, tra i quali l’ordinamento francese e quello italiano, sono contratti solo quegli accordi con i quali si creano, modificano o estinguono rapporti giuridici patrimoniali, vale a dire rapporti che corrispondono a interessi di natura economica (cioè suscettibili di essere valutati in denaro).

Di conseguenza, in questi ordinamenti il concetto di contratto è più ristretto di quello di convenzione, che si estende anche agli accordi relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, mentre i due concetti coincidono negli ordinamenti che si possono ricondurre al modello tedesco.

Inoltre, nell’ordinamento tedesco e in quelli a esso ispirati (Danimarca, Grecia, Brasile), la validità del contratto non richiede, oltre all’accordo tra le parti, una causa perché l’ordinamento, in base al principio di astrattezza, conferisce validità alla dichiarazione di volontà in sé, a differenza di quello che avviene negli ordinamenti dove vige il principio di causalità (che comprendono il resto dell’Europa, a eccezione di Germania, Danimarca e Grecia, e la maggior parte dell’America latina). Quella di causa è una nozione che risale al diritto romano o, meglio, alla sua rielaborazione da parte dei giusnaturalisti del XVIII secolo, ed è stata mantenuta nel Code Napoléon francese, da dove si è diffusa negli ordinamenti che ne hanno recepito il modello, tra i quali l’ordinamento italiano.

La causa sul piano teorico è stata definita in vari modi.

Ad esempio, come schema dell’operazione economico-giuridica che il contratto realizza immediatamente, indipendentemente da ogni scopo ulteriore del contratto, che viene designato come motivo, e finisce per riflettere l’esistenza di uno scambio di prestazioni nel caso dei contratti a titolo oneroso (richiamando così la consideration anglosassone) e lo spirito di liberalità, il cosiddetto animus donandi, nel caso dei contratti a titolo gratuito.

Il Codice tedesco, il BGB, e i codici civili a esso ispirati disciplinano il negozio giuridico come categoria generale e il contratto come sua sottospecie (negozio giuridico bilaterale o plurilaterale). Invece, i codici ispirati al Code Napoléon ignorano il concetto di negozio giuridico, che in alcuni ordinamenti, come quello italiano e quello spagnolo, è però utilizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e in questo modo la disciplina codicistica è incentrata sul contratto.

Alla luce di questo, negli ordinamenti di civil law che si rifanno al BGB il contratto può essere definito come negozio giuridico bilaterale o plurilaterale, mentre in quelli che si rifanno al Code Napoléon può essere definito come accordo per l’esecuzione di una prestazione.

In relazione alla formazione del contratto gli ordinamenti nel loro complesso richiedono per la conclusione l’accordo tra le parti, nel senso che le loro dichiarazioni di volontà devono coincidere, e in virtù dell’accordo, le dichiarazioni delle parti si fondono in un unico atto bilaterale o plurilaterale.

La fusione delle dichiarazioni delle parti in un unico atto è negata dalla dottrina e giurisprudenza dei paesi nordici (Svezia, Norvegia, Islanda) dove si ritiene che ciascun contraente sia vincolato solo dalla propria dichiarazione di volontà (configurata quale negozio giuridico unilaterale) che deve essere conforme a quella degli altri contraenti.

Nel caso di contratto inter praesentes, cioè quando le parti si trovano nello stesso luogo e nello stesso momento oppure, anche trovandosi in luoghi diversi, sono in comunicazione tra loro con modalità che l’ordinamento equipara alla compresenza (per esempio, nella generalità degli ordinamenti, il collegamento telefonico), le dichiarazioni delle parti devono essere fatte senza ritardo.

In caso di contratto inter absentes, si ha prima la dichiarazione di una parte, detta proposta (o offerta), seguita dalla dichiarazione di ciascuna delle altre parti, detta accettazione.

In relazione alla regola seguita dalla generalità degli ordinamenti è che la proposta deve contenere gli elementi essenziali del contratto (altrimenti sarebbe solamente un invito a proporre) mentre l’accettazione deve essere conforme alla proposta, altrimenti vale come nuova proposta (controproposta).

La generalità degli ordinamenti ammette, inoltre, la possibilità di una proposta rivolta a una pluralità indeterminata di persone, la cosiddetta offerta al pubblico (in Francia, per esempio, è ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza, mentre in Italia è prevista dall’art. 1336 del Codice Civile ).

I vari ordinamenti usano diversi criteri per individuare il momento di conclusione del contratto inter absentes, il quale si considera concluso:

– Nel momento nel quale chi ha ricevuto la proposta ha spedito l’accettazione, secondo il principio della spedizione seguito in ordinamenti come Francia, Brasile, Argentina, Spagna (limitatamente ai contratti disciplinati dal codice di commercio) e paesi di common law (dove è noto come mail-box rule).

-Nel momento nel quale chi ha formulato la proposta è venuto a conoscenza dell’accettazione, secondo il principio della cognizione seguito in ordinamenti come Spagna (per i contratti disciplinati dal codice civile), Italia, Paesi Bassi e Filippine.

Quando l’accettazione è pervenuta all’indirizzo di chi ha formulato la proposta, secondo il principio della ricezione seguito in ordinamenti come Germania, Austria, Russia, Belgio e Danimarca.

La revoca della proposta impedisce la conclusione del contratto se si verifica prima della stessa. Mentre in alcuni ordinamenti di civil law (Italia, Francia, Spagna ) la proposta può essere revocata, salvo che il proponente l’abbia dichiarata irrevocabile, in altri (Germania, Austria, Portogallo, Svizzera, Ungheria) è irrevocabile, salvo che il proponente l’abbia dichiarata revocabile.

Nei paesi di common law la proposta è sempre revocabile, anche quando sia stata dichiarata irrevocabile, salvo che sia stata sottoscritta “as seal” o sussista la consideration.

Dalla revoca deve essere tenuto distinto il ritiro della proposta, che si ha prima della sua ricezione da parte del destinatario ed è ammesso in tutti gli ordinamenti.

In relazione alla forma, la volontà delle parti può essere dichiarata con le parole o con altro segno che in determinate circostanze abbia lo stesso significato (ad esempio: l’alzata della mano durante un’asta).

Nella maggioranza degli ordinamenti, di solito, le parti sono libere di scegliere la forma della dichiarazione, secondo il principio di libertà delle forme, e rappresentano eccezioni i casi nei quali è prescritta una determinata forma, che tipicamente è quella scritta, come nell’art. 1350 del Codice Civile italiano.

La volontà si può anche dedurre dal comportamento della parte (il cosiddetto comportamento concludente) e, più precisamente dal fatto che essa si è comportata come se il contratto fosse stato concluso, nonostante fosse assente una dichiarazione espressa.

Nella quasi complessità degli ordinamenti, il semplice silenzio verso la proposta non vale, di regola, come accettazione.

In questo caso l’eccezione è rappresentata dalla Svizzera dove, di regola, il silenzio protratto per un congruo termine vale accettazione.

Al di la della forma imposta dal legislatore, la scrittura permette di definire meglio i rapporti tra le parti, oltre che essere un efficace mezzo di prova, ragione per la quale i contratti di maggiore rilievo sono di solito redatti per iscritto.

Al riguardo, nei paesi di common law si tende a redigere contratti molto più dettagliati rispetto ai paesi di civil law, perché a differenza di questi non ci sono dei codici che ne possano integrare le disposizioni, e quindi il contratto deve essere il più possibile completo e autosufficiente.

Più il contratto possiede queste caratteristiche, più è autonomo da qualsiasi ordinamento e questo spiega la fortuna dello stile anglosassone nella redazione dei contratti internazionali.

Certe volte, soprattutto nei casi di maggiore complessità, la conclusione del contratto è preceduta da una fase preparatoria durante la quale le parti si scambiano proposte parziali, le discutono, fissano accordi parziali.

Sono le cosiddette trattative, che caratterizzano il contratto.

Le trattative non impegnano le parti a concludere il contratto, e negli ordinamenti di civil law, il legislatore impone alle parti di comportarsi durante le stesse secondo lealtà o buona fede.

La violazione di questo dovere da luogo a un illecito civile, considerato da dottrina e giurisprudenza extracontrattuale in certi ordinamenti (per esempio, Francia e – secondo l’opinione prevalente – Italia), contrattuale in altri (per esempio, Germania): è la cosiddetta responsabilità precontrattuale (o culpa in contraendo).

Nei paesi di common law, invece, non esiste un dovere del genere: nel Regno Unito i comportamenti scorretti durante le trattative danno luogo a responsabilità solo in alcuni casi nei quali la giurisprudenza riconosce una specifica azione per illecito civile ( chiamata tort).

Negli Stati Uniti, non è prevista nessuna responsabilità.

Nel corso delle trattative le parti possono sottoscrivere lettere d’intenti (note anche come memorandum of understanding o statement of principles), documenti scritti con i quali fissano i punti su cui sono già pervenute a un accordo e disciplinano il prosieguo delle trattative, senza che questo le impegni a concludere il contratto. Al contrario, il contratto preliminare è un vero e proprio contratto che obbliga le parti a concludere, in un momento successivo, il contratto definitivo di cui contiene gli elementi essenziali. Non in tutti gli ordinamenti, però, il contratto preliminare ha lo stesso valore ed, anzi, in quelli di common law si vede negato il valore di contract dalla giurisprudenza per l’oggetto troppo indeterminato e, comunque, la mancanza di consideration.

Il contratto, come tutti gli atti giuridici negoziali, produce gli effetti giuridici voluti dalle parti.

La concezione ottocentesca vedeva nella volontà privata la fonte stessa degli effetti giuridici, che l’ordinamento doveva proteggere, ponendo al più limiti esterni.

Questa idea è all’origine dell’enunciazione, contenuta nell’art. 1134 del Code Napoléon, poi imitato da molti altri codici civili, che il contratto ha “forza di legge” tra le parti.

Oggi prevale l’idea che sia esclusivamente l’ordinamento a produrre gli effetti giuridici e il contratto sia soltanto una fattispecie alla quale questi effetti sono ricollegati.

L’ordinamento può ricollegare al contratto effetti giuridici anche in mancanza o addirittura contro la volontà delle parti.

Secondo un principio che risale al diritto romano, compendiato dalla massima “alteri stipulari nemo potest”, il contratto produce effetti solo nei confronti delle parti e non di altri soggetti (cioè i terzi). In realtà, negli ordinamenti attuali questo principio ha alcune deroghe, la più significativa delle quali è il contratto a favore di terzo, con il quale le parti (in questo caso dette promittente e stipulante) attribuiscono al terzo (detto beneficiario) un diritto di credito nei confronti del promittente.

Il contratto a favore di terzi è previsto dal codice civile nei paesi di civil law (a partire dall’art. 1121 del Code Napoléon), mentre negli ordinamenti di common law si è fatto strada più a fatica, attraverso leggi che hanno permesso di superare l’ostacolo frapposto dal principio della privity of contract e dalla dottrina della consideration (nel diritto inglese è stato generalizzato solo con una legge del 1999).

In tutti gli ordinamenti il contratto ha effetti obbligatori, potendo costituire, modificare o estinguere obbligazioni tra le parti o, in certi casi, tra parte e terzo e, quindi, diritti di credito e i corrispondenti obblighi (debiti) in capo agli stessi.

In determinati ordinamenti il contratto può anche avere effetti reali, cioè costituire, modificare o estinguere diritti reali e in particolare, trasferire la proprietà di un bene tra le parti.

Nel diritto romano il contratto non era sufficiente per trasferire la proprietà, essendo anche necessaria la consegna del bene (cosiddetta traditio).

Il Code Napoléon stabilì, invece, che il contratto fosse sufficiente per trasferire la proprietà (principio del consenso traslativo) e questa impostazione è seguita da vari ordinamenti di civil law: Francia, Italia, Portogallo, Ungheria, Norvegia, Finlandia, Islanda.

In altri ordinamenti di civil law, è ancora necessaria la consegna del bene (o un atto equivalente, come la iscrizione nei registri immobiliari): Germania, Grecia, Austria, Svizzera, Spagna, Svezia, Russia e maggior parte dei paesi dell’Europa orientale, vari paesi dell’America latina.

In alcuni di questi ordinamenti, vigendo il principio di astrazione, sono in definitiva sufficienti il consenso delle parti e la consegna del bene, mentre in altri, vigendo il principio di causalità, è richiesta anche una causa.

In Danimarca, dove vige il principio di astrazione, è stato accolto il principio del consenso traslativo, di conseguenza è richiesto il solo consenso delle parti.

Gli ordinamenti di common law sono più flessibili, almeno per quello che riguarda la proprietà mobiliare, che si ritiene si trasferisca nel momento convenuto dalle parti.

Se le parti non hanno stabilito alcunché nel contratto, si presume abbiano optato per il consenso traslativo, nel caso della proprietà immobiliare, invece, il trasferimento deve avvenire con un deed (donazione) posta in essere dal venditore.

Dove vige il principio del consenso traslativo una parte consegna all’altra un bene del quale è già proprietaria, essendo avvenuto il trasferimento di proprietà in virtù del contratto.

Al contrario, dove non vige questo principio, una parte, con il contratto si obbliga a fare acquistare la proprietà all’altra parte attraverso un successivo, separato negozio in modo che il contratto ha effetti obbligatori.

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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