Contenzioso o mediazione?

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Preliminarmente dobbiamo constatare, stante lo stato di intasamento cronico dell’organizzazione della giustizia nel nostro Paese,dovuto ,se possiamo usare un termine nuovo all’ “eccesso di diritto” [ troppe leggi, troppi giudici,troppi avvocati, troppe liti ( 1) ], l’ affermarsi di una tendenza generale a privilegiare gli strumenti della mediazione per la risoluzione del conflitto con intento deflativo del contenzioso.

Tale tendenza, peraltro fortemente contrastata dall’ordine degli Avvocati, in effetti per certi aspetti potrebbe apparire in conflitto con diritti fondamentali quali il diritto ad avere un “giusto processo” ai sensi dell’art.111 della Carta Costituzionale ,nel contraddittorio delle parti e davanti a un Giudice Terzo, nonché dell’art.24 della medesima Carta che garantirebbe una tutela giurisdizionale effettiva.

Ora, il D. lgs. 4 Marzo 2010 n.28, Attuazione dell’articolo 60 della leg­ge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di media­zione finalizzata alla conciliazione delle contro­versie civili e commerciali, recita .< si intende per:mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa>.L’art.6 successivo chiarisce che < l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.>.

Con riguardo alla previsione dell’art.111 Cost. se è vero che tale procedimento di mediazione non impedisce, in caso di esito negativo, l’instaurarsi di un vero e proprio processo, è altrettanto vero che ,non assicura né vuole assicurare il formarsi di quel processo che porta alla verità dei fatti ,che scaturisce da un vero e proprio contraddittorio, favorendo in tal modo più gli elementi psicologici e sfavorendo in tal modo la parte debole che pur di raggiungere qualche risultato, non potendo sopportare costi e durata di un lungo processo,trova conveniente ridurre le proprie pretese.

Con riguardo alla previsione di cui all’art. 24 Cost si osserva che il processo di mediazione può ritardare anche notevolmente l’azione giudiziaria perché se è vero che l il D.lgs pone un termine di 4 mesi alla durata del procedimento è altrettanto noto , per esperienze passate,che attraverso meccanismi dilatori ( quali proroghe, pretestuosi rinvii o mancata presentazione dell’altra parte etc.), la durata può dilatarsi notevolmente.

Su quest’ultimo punto ricordiamo che con riguardo al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia del processo del lavoro,introdotto dal D.lgs 31 Marzo 1998,n.80,e successive modificazioni,ora abrogato,la questione di incostituzionalità in riferimento all’art.24 sollevata in quanto tale tentativo <limita il diritto di azione e ne ritarda l’esercizio facendo sorgere questioni processuali inutili e contrari alla finalità deflativa perseguita dal legislatore> fu respinta dalla Corte Costituzionale con Sentenza 13.7.2000 n.276.

La Corte spiegò che <in ordine al ritardo, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ritiene che l’art. 24 della Costituzione laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare “interessi generali”, con le dilazioni conseguenti. E’ appunto questo il caso in esame, in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l’aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell’apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; dall’altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso Il processo.>.

La mediazione introdotta dal D. lgs. 4 Marzo 2010 n.28, riguarda le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia,locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti,da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari ( art. 2).Per alcune di tali materie è stata prorogata l’entrata in vigore.

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Un discorso a parte merita la mediazione e l’arbitrato in materia di rapporti di lavoro

E’ stata recentemente approvata la legge 4 novembre 2010 n.183 (GU n. 262 del 9-11-2010  – Suppl. Ordinario n.243) intitolata <Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro>.

Si tratta di un provvedimento importante che sicuramente darà luogo a un acceso dibattito.

Certamente esso si caratterizza per il lodevole intento di facilitare la soluzione delle controversie che insorgono a causa del rapporto di lavoro ( con esclusione di quelle,più delicate, attinenti alla risoluzione del rapporto).

Vengono messi a disposizione delle parti del rapporto di lavoro numerosi strumenti per comporre le vertenze tra singoli lavoratori e datori di lavoro.

In particolare e principalmente vengono prospettate numerose opportunità di composizione arbitrale:

  • nel corso o al termine del tentativo di conciliazione ( previsto dall’art.410 cpc. novellato);

  • secondo la previsione della contrattazione collettiva;

  • un arbitrato autonomo davanti al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale ( art.412 quater cpc. novellato);

  • davanti alle camere arbitrali emanazione degli organi di certificazione.

Tuttavia ,in questa abbondanza di “ tavoli”, che ribadiamo tradisce la chiara volontà di contenere il contenzioso giudiziario , desta perplessità la costruzione giuridica.

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Prima però di entrare nel merito del tema riteniamo utile ricordare che quando si parla di arbitrato ,in generale, si suole distinguere un arbitrato rituale da un arbitrato irrituale.

Nozione di arbitrato rituale e arbitrato irrituale

Con l’istituto dell’arbitrato la legge consente alle parti di deferire ad un terzo il potere di decidere la controversia.(2)

Nell’arbitrato c.d. “rituale”, l’arbitro (o gli arbitri) esercitano una funzione del tutto equiparabile a quella giurisdizionale.

Nell’arbitrato “irrituale”, invece, al terzo (od ai terzi) viene demandato il compito di definire in via negoziale la controversia mediante una composizione amichevole, conciliativa o transattiva.

Più esplicitamente:<si ha arbitrato rituale quando la clausola contrattuale è diretta a conferire all’arbitro o agli arbitri l’incarico di risolvere determinate o determinabili controversie, che sono insorte o possono insorgere tra loro, essenzialmente con gli stessi poteri ed obblighi e con gli stessi effetti della funzione giurisdizionale; si ha, invece, arbitrato irrituale quando al terzo o ai terzi si affida normalmente attraverso un mandato collettivo, il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mediante una composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante un negozio di mero accertamento, l’una e l’altro direttamente riconducibili alla volontà dei mandanti e da valere come contratto da questi concluso, dato che essi s’impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà>

(Cass. 3.12.1981, n. 6414, MGI, 1981).

Ora, con riferimento al testo normativo in esame ,alla luce della definizione sù vista dei due istituti , dovremmo propendere senz’altro per la qualificazione dei vari arbitrati in esso previsti come arbitrati irrituali.(3)

Tale configurazione emerge sia con riguardo all’arbitrato nel corso del tentativo di conciliazione sia con riguardo al caso del c.d. arbitrato autonomo in considerazione ,sia nell’uno che nell’altro caso, del richiamo, per quanto riguarda l’efficacia della procedura arbitrale, all’efficacia del negozio giuridico prevista dall’art.1372 c.c. e della conciliazione prevista dall’art. 2113,4^ comma c.c..Infatti sia l’art 411 cpc novellato (arbitrato in corso di conciliazione), sia l’art.412-quater novellato (procedura di conciliazione e arbitrato irritale) prevedono che <il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato sottoscritto dagli arbitri e autenticato,produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’art. 2113,quarto comma del Codice civile>.Ricordiamo che l’art.1372c.c. riguarda l’”efficacia del contratto” mentre il quarto comma dell’art.2113 c.c. ha l’effetto di rendere valide rinunzie e transazioni relative a diritti inderogabili.

Dobbiamo quindi concludere per la natura di “arbitrato irritale” per quanto riguarda gli arbitrati regolati dalla nuova legge.

E’da sottolineare la piena volontarietà di queste procedure di arbitrato.

(d) (e) Il lodo, con l’efficacia di cui sopra si è detto, viene dichiarato impugnabile ai sensi dell’articolo 808 ter cpc che prevede che < le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall’articolo 824 bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale> o in alternativa< Il lodo contrattuale e’ annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:1) se la convenzione dell’arbitrato e’ invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione e’ stata sollevata nel procedimento arbitrale;2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;3) se il lodo e’ stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812;4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validita’ del lodo;5) se non e’ stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. >

L’enunciato di cui alla prima parte ci pone due ordini di problemi: il primo di carattere formale,ossia in quale atto deve essere espressa questa volontà delle parti;il secondo assai più grave ci pare una contraddizione del sistema.Infatti trattandosi ,come abbiamo, su esposto di arbitrati irrituali, che per propria natura hanno l’ efficacia del contratto, era incongruo richiamare,sia pur per derogare ad esso,l’art.824 bis che recita < il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorita’ giudiziaria.>.L ‘incongruenza nasce dal fatto che ci si richiama alla normativa del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile che è la disciplina tipica che regolamenta l’arbitrato rituale ( v.Leanza op.cit.pag.93), per innestarvi delle procedure di arbitrato irritale.

La clausola compromissoria e la CEDU

Ma la parte che più ha fatto discutere è stata l’introduzione della c.d. clausola compromissoria.

Dopo le modifiche introdotte, anche a seguito dell’intervento Presidente della Repubblica, e

quelle intervenute nei diversi passaggi parlamentari si sono consolidati alcuni principi fondamentali soprattutto a tutela del lavoratore:

  • l’introduzione della clausola deve essere prevista da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

  • la clausola riguarda le materie di cui all’art.409 cpc e quindi i rapporti relativi a lavoratori subordinati privati e pubblici privatizzati,a collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto,agli agenti.

  • la clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova,ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro in tutti gli altri casi

  • la clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro.

 

Opportunamente la giurisprudenza distingue:

In tema di interpretazione di una clausola compromissoria, il carattere rituale o irrituale dell’arbitrato in essa previsto va desunto con riguardo alla volonta’ delle parti ricostruita secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo la fattispecie dell’arbitrato rituale quando sia stata demandata agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, integrandosi, per converso, l’ipotesi dell’arbitrato libero quando il collegio arbitrale sia stato investito della soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento ovvero strumenti conciliativi o transattivi. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva qualificato l’arbitrato come irrituale in un’ipotesi in cui: agli arbitri si demandava un “giudizio” in ordine alla “interpretazione della presente convenzione ed alla sua applicazione” con utilizzo di espressione tipica del procedimento giurisdizionale e attribuzione di poteri decisori; composizione e modalita’ di nomina degli arbitri riflettevano quelle del codice di rito; il comportamento complessivo delle parti – richieste di condanna, deposito del lodo per l’esecutorieta’ – indicava che le stesse avessero concordato un arbitrato rituale).

Cassazione civile sez. I, 29 novembre 2000, n. 15292

Giust. civ. Mass. 2000,2459

Da un punto di vista sistematico ci preme sottolineare che la norma prevede, più precisamente ,che in relazione alle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all’articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile,

Ora l’art.808 cpc ,come modificato prima dalla l. 05.01.1994, n. 25 e poi dall’art. 20 D.Lgs. 02.02.2006, n. 40, prevede che <le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri, purche’ si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d’arbitrato> . La versione precedente comprendeva un secondo comma,poi abrogato in forza delle leggi poco sopra ricordate, del presente letterale tenore :<Le controversie di cui all’ articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga, a pena di nullità , senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’ autorità giudiziaria . La clausola compromissoria contenuta in contratti o accordi collettivi o in contratti individuali di lavoro è nulla ove autorizzi gli arbitri a pronunciare secondo equità ovvero dichiari il lodo non impugnabile.>

E’ richiesto pertanto dall’art.808,dopo le modifiche, che si tratti solo di controversie che possono formare oggetto di convenzione d’arbitrato.Ciò può considerarsi superato, anche per diritti indisponibili, dalla tutela della c.d.< certificazione>.

In particolare la soppressione dell’inciso <senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria> sembra eliminare un vincolo, che si sostanzierebbe nell’ espresso inserimento nel testo della clausola di tale salvaguardia.Pertanto ,così come attualmente formulata, la clausola potrebbe apparire in contrasto sia con la Costituzione italiana sia con la convenzione dei diritti dell’uomo, secondo un orientamento giurisprudenziale per il quale

<Sia l’arbitrato rituale che quello irrituale — i quali nelle controversie di cui all’art. 409 cod. proc. civ., sono ammessi solo se previsti da contratti collettivi o da norme di legge costituiscono strumento alternativo, e non esclusivo, per la risoluzione delle controversie di lavoro (artt. 4 e 5 della legge 11 agosto 1973, n. 533), nè rileva in contrario il fatto che la facoltatività non sia prevista atteso che, avuto riguardo al precetto di cui all’art. 24 Cost., alla citata normativa sul processo del lavoro e all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848), essa facoltatività deve intendersi automaticamente inserita nelle clausole compromissorie relative alle controversie di lavoro> Cass. 14.11.2002, n. 16044, G, 2003, 5, 580).

Al proposito ricordiamo che il testo dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo,sopra richiamata, ratificata dallo Stato italiano con legge 4 agosto 1955 n.848, così recita.

:< Articolo 6 – Diritto ad un processo equo. 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta> .Gli ultimi orientamenti in merito all’applicabilità della convenzione sono i seguenti :la Corte Costituzionale in due recentissime pronunce (sentenza n. 348/2007, ribadita dalla sentenza n. 349/2007), ha ritenuto le norme della Convenzione non direttamente applicabili nell’ordinamento interno, ed ha ritenuto che le norme di legge ordinaria, in contrasto con la Convenzione, sono soggette a vaglio della Consulta per violazione dell’articolo 117 della Costituzione. Diversamente la Corte di Cassazione ha affermato la diretta applicabilità nell’ordinamento interno, delle norme della Cedu (si veda Cass. Sez. penale, sentenza n 2665 del 27 10.1984 e ora Cass.civ.2 febbraio 2010 n.2352).

Con l’entrata in vigore ,dal 1^ dicembre 2009 del Trattato di Lisbona (4) si ritengono direttamente applicabili nel nostro ordinamento le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.Infatti da detta data la Convenzione è stata ritenuta applicabile direttamente da parte dei giudici nazionali sia di per sé stessa che a seguito del rinvio da parte della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Al riguardo si legga.< <Una prima considerazione può trarsi, per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non vi è più alcun dubbio che il giudice ordinario nazionale ha la possi­bilità di disapplicare la norma interna in contrasto con la stessa Carta. Per quanto riguarda la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo sembrerebbe addirittura superato il sistema intro­dotto dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, nel senso che il giudice ordinario nazionale avrebbe la stessa facoltà (già prevista per il diritto comunitario), senza dover più sollevare la questione di illegittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale.>(5)

Conclusioni

Certamente il problema si pone anche nel nostro caso in quanto ,mancando nella clausola

compromissoria la indicazione della facoltà di adire l’Autorità giudiziaria, la procedura,come su detto, può incanalarsi o secondo la norma di cui all’art.412 ( arbitrato in corso di tentativo di conciliazione) o secondo la norma di cui all’ art. 412 quater ( arbitrato autonomo irrituale)[ il testo normativo testualmente recita <le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all’art.808 del Codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del Codice di procedura civile>] .E quindi se da un lato la seconda norma fa salva <la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria>,il che la potrebbe,in via meramente ipotetica, rendere conforme ai principi costituzionali e comunitari,dall’altro lato la prima norma,una volta avviata la procedura di conciliazione, non contiene tale previsione.Ma a prescindere da tutto ciò, è la clausola di per sé che deve contenere la riserva di adire l’Autorità giudiziaria ; si pone quindi il problema di tutelare a monte il lavoratore.

NOTE

(1) Vedi , a mò d’esempio ,per tutti un settore che conosciamo bene: v: Ichino Il lavoro e il mercato ,Mondatori 1996,pag. 164 .< Il mercato della tutela dei diritti:ipertrofia e crisi del sistema giuslavoristico.Il grande business del diritto del lavoro

Nella riflessione sulla crisi del nostro diritto del lavoro qualche spazio deve essere riservato a un aspetto del problema che è solitamente discusso assai poco: quello dell’enorme aumento delle dimensioni del sistema giuslavoristico italiano, che ha raggiunto ormai proporzioni gigantesche rispetto a quelle dei sistemi giuslavoristici degli altri Paesi, europei ed extra-europei.L’ipertrofia del sistema non riguarda soltanto, né principalmente, il volume della produzione normativa — legislativa e regolamentare — di cui già tanto si è detto da più parti: essa riguarda soprattutto il numero delle controversie giudiziarie, con l’immane «giro» di denaro che esse mettono in moto per il pagamento dei compensi agli avvocati, con l’effetto indotto di una domanda, e quindi di un’offerta, crescente di pubblicazioni di diritto e giurisprudenza del lavoro (più di dieci riviste specializzate di livello nazionale e centinaia di tomi pubblicati ogni anno), di convegni e seminari di diritto del lavoro (quelli di rilievo non meramente locale in Italia sono mediamente due a settimana) , di insegnamento universitario (più di centotrenta professori tra ordinari e associati, con uno stuolo corrispondente di allievi: ricercatori e altri giovani studiosi, che contribuiscono copiosamente e con grande entusiasmo alla letteratura del settore). Poi c’è l’altro ingente business, quello dell’amministrazione del rapporto, che dà lavoro alla folta schiera degli addetti alla direzione del personale — o, come oggi si preferisce dire, alla «gestione delle risorse umane» —, nonché alla categoria dei consulenti del lavoro, indispensabili per qualsiasi impresa di piccole dimensioni che intenda adempiere correttamente gli innumerevoli obblighi di leggi in continua vorticosa evoluzione>.

(2)v. Leanza Il Processo del lavoro Giuffrè,’ 90

(3)C’è una importante corrente dottrinaria che ritiene superata la distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale v.P.Ichino L’incerta distinzione fra arbitrato rituale e irrituale ne Il contratto di lavoro in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Schlesinger,Tomo III ,2003,620

(4) Vedi Gazzetta ufficiale n. C 303 del 14 dicembre 2007, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Preambolo «La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell’Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spie­gazioni elaborate sotto l’autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la respansabilitd del praesidium della Convenzione Europea»

Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea (estratto relativo alla Carta dei diritti fondamentali dall’Unione europea).

MODIFICHE DEL TRATTATO SUL L’UNIONE EUROPEA

L ‘articolo 6 è sostituito dal seguente: “ARTICOLO 6:

1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo la competenza dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.

2. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.

3.I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.”

(5) vedi www.cortecostituzionale.it Maurizio De Stefano La triplice alleanza delle Corti Europee per la tutela dei diritti umani e fondamentali,dopo il trattato di Lisbona.

Avv. Viceconte Massimo

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