Contenuto e natura giuridica del piano regolatore generale

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In Italia si è avuta una normativa organica della materia urbanistica con la legge 16 agosto 1942, n. 1150, che, attraverso la previsione del piano regolatore, ha fissato le linee programmatiche dello sviluppo urbano.

La disciplina relativa alla formazione del piano regolatore generale è tuttora delineata dalla citata legge che, seppure con significanti modifiche, conserva la propria valenza quale legge di principi.

L’articolo 7, comma 2, della legge n. 1150 del 1942, come modificato dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, prevede che il piano regolatore generale debba indicare:

1) la rete delle principali vie di comunicazione;

2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona, secondo quanto prescritto dall’articolo 2 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444;

3) le aree destinate a spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;

4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico, nonché ad opere e impianti di interesse collettivo o sociale;

5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale o paesistico;

6) le norme per l’attuazione del piano.

Da quanto sopra detto, si osserva che il piano regolatore è suddiviso in zonizzazioni e vincoli che, rispettivamente, indicano le prescrizioni di ogni singola zona del territorio comunale e le aree espropriative destinate ad opere pubbliche o a protezione di infrastrutture.

Detto strumento, infatti, comprende, non solo le scelte urbanistiche effettuate dal Consiglio comunale, nell’interesse della comunità rappresentata, ma ulteriori prescrizioni disposte per legge o da altri atti pianificatori sovraordinati.

In linea generale, il piano regolatore ha la funzione di fissare le linee fondamentali di programmazione dell’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale; esso si attua, di regola, con la pianificazione di dettaglio, che ne esegue le prescrizioni.

C’è da dire, però, che, contrariamente al suo modello originario, non solo il piano regolatore generale fornisce le grandi linee dello sviluppo urbano, ma ha anche la funzione di pianificazione di dettaglio.

Conseguentemente, detto piano può avere natura sia di piano di massima, nel caso in cui richieda per la sua esecuzione l’adozione di piani attuativi, sia di piano immediatamente esecutivo, se contiene previsioni e prescrizioni di dettaglio.

In detta visuale, può dedursi che, secondo le disposizioni contenute negli articoli 7 e 13 della legge urbanistica, i piani regolatori sono eseguiti a mezzo di piani attuativi, nel caso in cui contengano solo previsioni di massima; sono, invece, di immediata esecuzione quelle disposizioni del piano che impongano vincoli determinati o precise distanze da osservarsi nell’esercizio dello jus aedificandi, che non richiedono ulteriori specificazioni.

Un’analisi del piano regolatore generale non può esimersi di definire la natura delle prescrizioni in esso contenute, soprattutto perché si tratta di valutare le conseguenze che esse producono nei confronti degli amministrati.

Le prescrizioni contenute nel piano regolatore possono essere distinte in norme di zonizzazione e norme di localizzazione: le prime riguardano la divisione del territorio comunale in aree omogenee; le seconde, fanno riferimento all’individuazione delle aree destinate alla realizzazione di opere ed impianti pubblici o di interesse pubblico.

Resta da vedere che posto occupa, nell’ambito delle fonti del diritto, il piano regolatore generale1.

La dottrina si divide in tre orientamenti:

– il primo, riconosce al piano regolatore generale la valenza di un atto di natura amministrativa, non avente effetti nei confronti dei terzi, sia perché contiene concrete prescrizioni e previsioni di vincoli di inedificabilità o preordinati all’esproprio, sia perché i destinatari possono essere individuati dopo le scelte di piano;

– il secondo orientamento, di contro, ne ravvisa la natura normativa, dato che il piano regolatore fissa le grandi linee dello sviluppo urbano, che hanno valore di norme oggettive con efficacia erga omnes;

– il terzo filone interpretativo intravede in detto piano un atto di natura mista, con caratteri sia normativi, sia amministrativi.

Quest’ultimo orientamento sembra essere il più convincente, perché intravede nel piano regolatore sia prescrizioni di carattere generale ed astratto, che non producono una lesione immediata e diretta nei confronti degli interessati, sia prescrizioni immediatamente lesive.

Deve affermarsi, quindi, che le prime non sono autonomamente impugnabili, essendo necessari ulteriori atti che producano pregiudizio concreto ed attuale; le seconde, invece, avendo effetto lesivo diretto ed immediato, sono immediatamente impugnabili.

Come detto, il contenuto del piano regolatore può essere distinto tra zonizzazione e localizzazione.

La prima indica la suddivisione del territorio comunale nelle diverse parti, indicate dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, con riferimento a porzioni del territorio, oggetto di uguali restrizioni.

In questo caso ci troviamo di fronte a vincoli conformativi, che incidono su una generalità di suoli e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, a motivo della destinazione impressa alla zona in cui ricadono detti beni.

La localizzazione, di contro, è finalizzata ad individuare beni determinati sui quali realizzare opere di interesse pubblico e rappresenta il presupposto del procedimento ablatorio.

Con questa ultima ipotesi, si fa riferimento a previsioni che impongono un vincolo particolare che incide su un bene determinato, in previsione di un’opera pubblica, la cui realizzazione comporta la trasformazione della proprietà da privata in pubblica.

Fanno parte di tale ipotesi le vie di comunicazione e le aree destinate a fini pubblici, previste dai numeri 1, 3 e 4 del citato articolo 7.

Ciò detto, può rilevarsi che le prescrizioni di zonizzazione, che delineano i limiti e le caratteristiche delle edificazioni nelle diverse zone, secondo criteri omogenei per ciascuna di esse, fanno riferimento alla funzione sociale della proprietà, di cui all’articolo 42 della Costituzione.

La localizzazione, che prevede un vincolo ablativo per i suoli sui quali debba realizzarsi un’opera d’interesse pubblico, deve, perciò, considerarsi una deroga al principio di garanzia della proprietà, giustificata da motivi di interesse pubblico.

A tale riguardo va evidenziata la decisione n. 55 del 1968, con la quale il Giudice delle leggi dichiarò illegittime le norme della legge urbanistica che consentivano l’apposizione di vincoli a carattere espropriativo o comportanti l’inedificabilità, per una durata illimitata, chiarendo che il comma 3 dell’articolo 42 della Costituzione trova applicazione anche in quelle situazioni in cui il diritto di proprietà, pur rimanendo in capo al suo titolare, venga comunque svuotato in modo incisivo del suo contenuto.

 

 

1 Le prescrizioni del piano regolatore generale hanno valore di prescrizioni di ordine generale di contenuto normativo, come tali assistite da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sicchè i vincoli da essi imposti non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile secondo la previsione dell’articolo 1489 c.c. e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto; ne consegue che in un contratto di compravendita di un immobile gravato da un vincolo imposto dal piano regolatore generale, l’azione di riduzione del prezzo si prescrive in un anno dalla consegna ex articolo 1495 c.c. ( Cass. civ., sez. II, 16 settembre 2004, n. 18653, in Mass. giust. civ., 2004, 9). Lo strumento urbanistico generale comunale ha una funzione diversa rispetto alle varianti specifiche che interessino singole aree del territorio comunale, essendo preordinato alla definizione dell’assetto urbanistico dell’intera superficie del comune nell’ambito di una valutazione complessiva che ha ad oggetto tutte le diverse porzioni del territorio comunale; da ciò discende che le determinazioni assunte dal comune in sede di elaborazione e dall’organo sovraordinato in sede di approvazione del piano non possono ritenersi confermative di precedenti atti con cui sono state adottate dal comune varianti specifiche di contenuto identico alle previsioni del piano (Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 938, in Foro amm., CdS, 2002, 391). La funzione di minuta pianificazione del territorio, assunta sempre più spesso dagli strumenti urbanistici generali contrariamente al loro modello originario, finalizzato essenzialmente a fissare le grandi linee dello sviluppo urbano, non vale a sminuire l’efficacia vincolante delle prescrizioni dettagliate in essi contenute, che vanno dunque rispettate in sede attuativa ( Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 1988, n. 394, in Riv. giur. ed, 1988, I, 584).

Cannizzo Carlotta

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