Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 6 febbraio 2006; parere n. 355/06 , reso sullo Schema di decreto legislativo recante il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ai sensi dell’art. 25 de

sentenza 16/03/06
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Consiglio di Stato
Sezione consultiva per gli atti normativi
Adunanza del 6 febbraio 2006
 
N. Sezione 355/06
 
OGGETTO:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Schema di decreto legislativo recante il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ai sensi dell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
 
La Sezione
Visto lo schema di decreto legislativo recante il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ai sensi dell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, trasmesso con nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri prot. n. 355/06 del 17 gennaio 2006, pervenuta il 27 gennaio 2006, sul quale si richiede il parere del Consiglio di Stato;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori, Presidenti Coraggio, **********, ******, *****, ***************** e **********************, ********, *******************, *******, de Cesare, ****, D’********, ************, *****, ********, *****, ******, *****, Meschino, Saltelli, *******, Montedoro, *********, *****, *********, *******, *********;
 
PREMESSO e CONSIDERATO:
 
Parte prima – Considerazioni generali
 
1. Lo schema di decreto legislativo in esame sottopone al parere del Consiglio di Stato il “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, in attuazione della delega contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004).
La norma, al comma 1, delega il Governo a recepire nel nostro ordinamento le direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE, entrambe del 31 marzo 2004, recanti rispettivamente il coordinamento delle “procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali” (i cd. “ex settori esclusi”) e il “coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”.
 
1.1. Le modalità di adozione del decreto legislativo (o dei decreti legislativi) di cui all’art. 25 sono quelle generali fissate dall’art. 1 della stessa legge comunitaria per tutti i decreti di recepimento, in analogia con quanto avvenuto per le leggi comunitarie degli anni precedenti.
Esso prevede, in particolare:
– un termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2005 per l’adozione dei decreti legislativi (comma 1 dell’art. 1);
– l’applicazione dell’art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva (comma 2);
– i pareri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con un termine di quaranta giorni, prorogabile di novanta giorni in casi specifici (comma 3);
– l’obbligo, per gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione di alcune direttive comunitarie (tra cui le nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE recepite dal presente schema), di essere corredati della relazione tecnica di cui all’art. 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, su cui si esprimono anche le Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo può non conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmettendo alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari (comma 4);
– la possibilità per il Governo di emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, nonché con la medesima procedura (comma 5);
– l’applicazione dell’art. 117, quinto comma, della Costituzione, in conseguenza del quale “i decreti legislativi devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute” (comma 6).
 
1.2. Venendo alla specifica delega contenuta nell’art. 25, già la definizione del suo oggetto presenta rilevanti peculiarità.
Il comma 1, infatti, prevede che il Governo possa adottare uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento” delle predette direttive.
La formula è ben più ampia di quella prevista, in via generale, dalla stessa legge comunitaria, che parla di adozione di “decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B”, formula questa, del comma 1 dell’art. 1, riprodotta in tutte le specifiche norme di delega della legge in esame, con la sola variazione lessicale che, talvolta, l’espressione “per dare attuazione” viene sostituita dall’espressione “per il recepimento”.
Va aggiunto che la più ampia portata della delega dell’art. 25 è ulteriormente sottolineata dal riferimento (contenuto nella lett. a del comma 1), ad un “unico testo”, terminologia che pur nella sua atecnicità (ci si tornerà in seguito) chiarisce che non ci si intende limitare ad una mera raccolta di norme preesistenti, sia pure coordinate con le direttive: è l’intero settore degli appalti – ma soltanto questo – che deve trovare in questa sede la sua disciplina unitaria e coordinata.
Tale peculiarità, rispetto all’ordinario recepimento di direttive comunitarie, ha comportato la necessità di formulare quattro principi e criteri direttivi dettati, per il solo recepimento delle direttive sugli appalti, dallo stesso comma 1 dell’art. 25, criteri che se da una parte condizionano l’intervento del legislatore delegato, dall’altro ne definiscono la portata innovativa.
La specialità della delega dell’art. 25 appare ancor più marcata ove la si confronti con le altre. Difatti, l’art. 5 della stessa legge n. 62 del 2005, che prevede “il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie”, delega il Governo ad adottare, con le stesse modalità di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 1 ed entro lo stesso termine di diciotto mesi, “testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa”.
Risulta evidente, al confronto, la portata sostanziale della delega dell’art. 25 rispetto al mero coordinamento formale delle altre fattispecie.
 
1.3. Ferme le potenzialità innovative della delega, le linee direttrici dell’intervento, e quindi i suoi limiti, vanno evidentemente individuati nei criteri dettati dalla norma.
Il primo deriva direttamente dalla necessità di adeguare l’ordinamento italiano ad una consistente riforma dell’ordinamento comunitario (lett. a). La direttiva n. 2004/18, in particolare, si sostituisce a tre precedenti direttive, che distinguevano i settori dei lavori, dei servizi e delle forniture, e costruisce un procedimento unitario di appalto in luogo dei tre diversi procedimenti precedenti.
Il criterio va letto unitamente all’oggetto stesso della delega (“quadro normativo finalizzato al recepimento delle direttive …”) e in tal modo emerge come criterio cardine. Se il legislatore precedente, infatti, utilizzando i margini di discrezionalità lasciati dalla disciplina comunitaria, aveva compiuto alcune scelte (si pensi alle soluzioni della legge n. 109 del 1994 sull’appalto integrato e sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), alla stregua di valori e problemi diversi da quello della concorrenza, il legislatore delegante si concentra sul recepimento delle nuove direttive.
Fino a che punto ne risulti condizionato l’impianto della riforma si vedrà meglio in seguito, analizzando i vincoli insiti nelle direttive; non sembra dubbio comunque che ne risulta giustificata la possibilità di introdurre modifiche sostanziali all’assetto previgente.
I margini di discrezionalità nell’innovazione della disciplina previgente risultano peraltro ridotti dalla necessità di adeguare l’ordinamento nazionale, anche per profili non direttamente disciplinati dalle direttive nn. 17 e 18, alla generale evoluzione dell’ordinamento comunitario sulla materia, come “integrato” dalla giurisprudenza, spesso pretoria, della Corte di Giustizia. In tal senso, ad avviso di questa Sezione, il principio contenuto nella lett. d) dell’art. 25, comma 1, sulla necessità di adeguarsi alla sentenza C-247/02, assume un valore non tassativo, ma anzi espansivo, poiché indicativo della necessità di tenere presente l’intero tessuto ordinamentale comunitario in cui si sono inscritte le due direttive de quibus. E in primo luogo di rispettare gli ambiti di discrezionalità delle stazioni appaltanti (in particolare, ma non soltanto, in materia di criteri di scelta) quale garanzia di una concorrenza selettiva fondata sulla qualità dell’offerta (amplius, paragrafo 2).
Un’ulteriore conferma interpretativa di quanto esposto deriva dall’obbligo del “rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione europea” di cui alla lett. a) della norma di delega. Tale rispetto va inteso non soltanto in senso limitativo degli interventi da evitare, poiché in contrasto con i principi del Trattato, ma anche in senso impositivo degli interventi da introdurre per la “definizione di un quadro normativo finalizzato al recepimento delle direttive” che sia coerente con i principi medesimi, come interpretati (e talvolta “costruiti”) dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.
 
1.4. Il criterio di cui alla lett. b) risponde ad un’esigenza tipica dell’ordinamento nazionale. Esso attiene alla generale esigenza di “semplificazione” delle procedure amministrative nazionali.
In ordine a tale profilo è opportuno un approfondimento che ne definisca anzitutto il significato e quindi la portata. Si osserva al riguardo che se pure la norma delegante non è contenuta in una delle recenti “leggi annuali di semplificazione” (la legge n. 229 del 2003 – legge di semplificazione 2001 – e la legge n. 246 del 2005 – legge di semplificazione per il 2005) essa si inserisce, anche per gli espressi richiami letterali, nel processo di cui tali leggi costituiscono la più recente evoluzione. La legge n. 229 del 2003, in particolare, ha segnato l’avvio di una nuova fase in materia di semplificazione e riordino (ora denominato “riassetto”) normativo dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’ormai abrogato art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (soppresso dall’art. 23, comma 3, della legge n. 229 del 2003).
Con il parere n. 2/04 del 25 ottobre 2004 (sul “Codice della proprietà industriale”), al quale si rinvia per gli ampi approfondimenti sulla questione, l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato ha operato una ricognizione sul significato attuale del concetto di “semplificazione”, su cui fanno perno tutti gli interventi succedutisi da oltre dieci anni (quelli di riordino, codificazione o riassetto; quelli delle “leggi annuali” di recente emanate e anche quello qui in esame). In quella sede si è rilevato come si tratti di un concetto che è andato evolvendosi notevolmente negli anni, secondo un processo che risulta identificabile dalla prassi internazionale, dall’uso legislativo corrente e dalle esigenze segnalate, anche di recente, da parte delle associazioni rappresentative delle categorie produttive e dei consumatori.
Nell’esperienza internazionale l’approccio al tema della qualità della normazione è determinato, nella sua genesi, dalle esigenze di un mercato in evoluzione, in cui le contrapposte spinte alla deregolazione, per favorire l’ingresso degli operatori economici, e alla “iperregolamentazione”, con funzioni di disciplina della concorrenza e di protezione di interessi di natura diversa (ambiente, salute, sicurezza), hanno trovato il loro momento di composizione nella ricerca della “giusta dose” di regolazione e della buona qualità della normazione.
L’evoluzione è coerente con l’analogo processo in sede comunitaria, che di recente ha ricevuto una forte accelerazione da parte delle istituzioni europee (la tematica in quella sede è nota come better regulation: cfr., in particolare, l’importante comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo COM(2005) 97 del 16 marzo 2005, dal titolo “***************** for Growth and Jobs in the European Union” e le conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2005, che nonostante la natura squisitamente politica del documento dedicano al tema un significativo spazio).
A tale accezione si è, progressivamente, avvicinata anche l’esperienza italiana, evolvendo da un concetto più risalente di “semplificazione” limitato al mero snellimento di singoli procedimenti amministrativi e dell’organizzazione degli uffici pubblici.
Turravia, con riferimento più specifico alla finalità di semplificazione in esame, occorre delimitare l’ambito di innovazione sull’ordinamento vigente che essa autorizza, tenendo presente che si tratta non di un generale ed ampio indirizzo di politica legislativa bensì di un criterio di delega che, in mancanza di più specifiche indicazioni, esige una lettura, se non riduttiva, certo più tradizionale (anche di questo limite si riscontreranno gli effetti nel prosieguo).
Quanto all’ambito oggettivo del criterio, occorre individuare il significato della dizione – per la verità non chiarissima – “procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie”. Essa può avere due significati alternativi, a seconda che:
– si intenda la locuzione “procedure di affidamento” in senso più restrittivo, come riferita alle (sole) procedure nel loro complesso; da ciò conseguirebbe l’applicabilità della lett. b) della delega (con il connesso potere di semplificazione) alle (sole) procedure cd. sotto soglia, poiché esse sole non sono coperte dalla disciplina comunitaria. Questa è l’interpretazione seguita dalla relazione ministeriale (che però non pone espressamente la questione e quindi non offre alcun conforto motivazionale);
– si intenda la suddetta locuzione in senso più ampio e generale, esteso alle “parti di procedure” oltre che alle procedure nel loro complesso e, quindi, in generale, alle “disposizioni sull’affidamento” non derivanti direttamente dalla disciplina comunitaria. In questa accezione, la lett. b) sarebbe applicabile, ad esempio, anche alle norme di legge nazionale introdotte in aggiunta alla disciplina comunitaria per gli affidamenti sopra soglia, che in tale ottica sono senz’altro “disposizioni sull’affidamento” “non direttamente applicative” del regime comunitario.
La Sezione ritiene questa seconda interpretazione:
– più plausibile alla stregua del dettato legislativo, che altrimenti avrebbe operato un riferimento espresso alle procedure sotto soglia;
– più rispondente allo spirito della delega, che altrimenti risulterebbe contraddittoriamente limitativa, nei criteri, rispetto alla “definizione del quadro normativo” di cui al suo oggetto, in cui tale “quadro” riguarda, evidentemente, soprattutto il regime sopra soglia;
– più coerente con la stessa ratio della riforma comunitaria e dell’evoluzione dei principi del Trattato, tutti volti alla semplificazione degli affidamenti sopra soglia;
– più rispettosa dei continui sforzi delle Istituzioni europee di contenere, per quanto possibile, le addizioni introdotte dagli Stati Membri in sede di recepimento delle direttive (il fenomeno del cd. goldplating), che ritardano ed ostacolano il processo di armonizzazione normativa imposto dal Trattato e che rischiano di introdurre, di fatto, ostacoli alla effettività del mercato unico.
 
1.5. Della generale politica di qualità “sostanziale” della normazione costituisce parte integrante, come si è visto, quella di riduzione e riordino delle stesse da un punto di vista giuridico/formale. Il che conduce al profilo della “codificazione” della materia degli appalti, termine ripreso di recente, dopo anni (e per la prima volta anche nel titolo), dalla legge n. 229 del 2003 e ulteriormente sviluppato dalla legge n. 246 del 2005.
L’intervento in oggetto, anche se si pone al di fuori del processo di codificazione (o di riassetto) avviato da queste leggi, reca infatti la denominazione di “Codice dei contratti pubblici …” e come tale va sistematicamente analizzato.
Il citato parere dell’Adunanza generale n. 2/04 ha rilevato che, se il modello illuministico della codificazione è sicuramente scomparso, l’esigenza di raccogliere organicamente le norme di settore si fa sempre più pressante: tale esigenza ha consentito, negli ultimi anni, un ritorno del concetto di codificazione, anche se ovviamente sotto forme diverse. Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di approfondire, cambia, infatti, l’idea di codificazione: essa si accompagna al raggiungimento di equilibri provvisori, orientati a raccogliere le numerose leggi speciali di settore (spesso anche di origine comunitaria, come nel caso di specie), in modo da conferire alla raccolta una portata sistematica, orientandola ad idee regolative capaci di garantire l’unità e la coerenza complessiva della disciplina.
A questa codificazione “di nuova generazione” appartiene il Codice degli appalti in esame, la cui qualificazione in tal senso, pur in mancanza di una previsione testuale in sede di delega, appare coerente con le finalità complessive della delega stessa.
Lo strumento giuridico adoperato per tutti gli interventi di questo processo – ivi compreso quello in esame – è il decreto legislativo, ma utilizzato soprattutto per le potenzialità di riforma sostanziale della disciplina primaria. Se infatti l’obiettivo comune sia ai precedenti testi unici misti di riordino che agli attuali decreti legislativi di “codificazione” è certamente quello della “riorganizzazione” delle fonti di regolazione e una drastica riduzione del loro numero, la differenza tra testi unici e codici consiste, oltre che nell’abbandono del livello regolamentare, nella portata legislativa innovativa dei secondi. Non si tratta, quindi, di codici à droit constant come nell’ordinamento francese (che pure con questo sistema, più celere poiché evita di affrontare difficili riforme sostanziali, ha già codificato oltre il 50% delle fonti del proprio ordinamento), ma di veri e propri codici che disciplinano ex novo la materia.
In conclusione, la Sezione è dell’avviso che nel caso di specie – nonostante qualche possibile incertezza letterale e sulla dizione, del tutto atecnica, di “unico testo”, di cui alla lett. a) dell’art. 25, comma 1 della delega – si sia in presenza non di un “testo unico”, sia pure innovativo, ma di un decreto legislativo che codifichi la materia, recando gli interventi di riforma resi necessari dai criteri sostanziali di delega di cui all’art. 25, e in primo luogo il recepimento delle direttive comunitarie.
 
2. Sulla base delle considerazioni svolte al punto precedente va affrontato il tema delle relazioni con la normativa preesistente.
Come è infatti noto, il testo originario della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994 aveva ritenuto di dettare discipline parzialmente differenti da quella comunitaria, prevedendo la rigida separazione tra attività di progettazione ed attività di esecuzione dei lavori, la limitazione del ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della trattativa privata e della introduzione delle varianti, l’abolizione dell’istituto della revisione dei prezzi ed altre ancora, che costituivano i punti maggiormente qualificanti di quella riforma.
E’ altrettanto noto che riguardo a tali previsioni si pose il problema della loro conformità alla direttiva allora vigente (n. 89/440/CEE poi trasfusa nella direttiva n. 37/1993/CEE), ma la Corte costituzionale, con sentenza 7 novembre 1995, n. 482, ritenne infondate le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni in relazione alle procedure di scelta del contraente ed ai criteri di aggiudicazione previsti dalla legge n. 109 del 1994, rilevando come le disposizioni della legge, aventi ad oggetto metodi di selezione del contraente anche più rigorosi rispetto alle direttive comunitarie, fossero costituzionalmente legittime, anche in relazione al riparto di competenze normative fra Stato e Regioni, perché dirette ad assicurare in modo ancor più esteso la concorrenza.
Successivamente i principi in questione hanno subìto taluni temperamenti, ma l’impianto generale è rimasto sostanzialmente invariato.
Orbene, non vi è dubbio che il “Codice” comporti una significativa evoluzione rispetto al passato. Ma il vincolo derivante dal recepimento delle direttive europee, combinato con quello degli arresti della Corte di Giustizia, riduce in misura consistente la possibilità per il legislatore delegato di seguire la strada a suo tempo percorsa dalla legge n. 109 del 1994, in particolare, a proposito dei casi più significativi di scostamento rispetto alla disciplina previgente: l’appalto integrato e l’offerta economicamente più vantaggiosa.
Giova ricordare, a proposito del primo, il nono considerando della direttiva medesima, il quale evidenzia l’opportunità che siano le stesse amministrazioni aggiudicatrici a “…prevedere sia l’aggiudicazione separata che l’aggiudicazione congiunta di appalti per l’esecuzione e la progettazione dei lavori…”, demandando al livello legislativo la sola fissazione dei criteri qualitativi ed economici sui quali le relative decisioni debbono basarsi.
A sua volta la sentenza della Corte di giustizia 7 ottobre 2004, in causa “Sintesi s.p.a.” – la cui particolare incidenza ai presenti fini interpretativi deriva dall’essere espressamente indicata tra i criteri di delega ex art. 25, comma 1, lett. d) della legge n. 62 del 2005 – delinea, sia pure sinteticamente, un modello di amministrazione capace di motivare le scelte dei metodi di gara, considerando le peculiarità delle diverse situazioni di fatto e dotata della tecnicità necessaria per attuare una propria “politica” degli appalti. E si tratta – anche questo è stato già rilevato al par. 1.3. – di un principio dalle forti capacità espansive.
A ciò si aggiunga che anche il criterio della “semplificazione”, come delineato in precedenza nei suoi contenuti e nel suo ambito di applicazione, costituisce un ulteriore incentivo a ridurre i “lacci” per le stazioni appaltanti permettendo loro – in piena coerenza con la logica comunitaria – di utilizzare al meglio le possibilità offerte dal mercato.
Non può peraltro sottacersi che dal nuovo quadro normativo possono derivare nuovamente gli inconvenienti, cui le limitazioni della legge n. 109 del 1994 avevano inteso porre riparo, inconvenienti che, sebbene non ritenuti meritevoli di considerazione dalla Corte di giustizia (nel corso del giudizio “Sintesi s.p.a.”, conclusosi con la citata sentenza C-247/02, l’Italia si era difesa adducendo tale esigenza), non possono essere sottovalutati anche nell’attuale contesto amministrativo e sociale. Appare quindi quantomai necessaria l’adozione di idonei strumenti di garanzia, e in questa ottica, in particolare, va valutato positivamente e va valorizzato il criterio di delega di cui alla lett. c), volto ad assicurare la generalizzazione e il potenziamento della vigilanza in tutti i settori interessati dalle direttive in capo all’Autorità per i lavori pubblici. Non vi è dubbio che il ruolo di questa istituzione, lungi dal potersi ritenere confliggente con il sistema delle autonomie, deve considerarsi il necessario punto di riferimento e di raccordo del sistema stesso.
 
3. Questione di ordine generale è anche quella del riparto di competenze normative tra Stato e Regioni nella materia.
I contratti della p.a. e i pubblici lavori, servizi o forniture non sono nominati dal nuovo art. 117 della Costituzione, ma ciò non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto, come rilevato dalla Corte costituzionale con riferimento ai lavori pubblici, “si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti” (Corte cost. n. 303/2003).
Il loro inquadramento nel nuovo assetto costituzionale non è quindi agevole per due ragioni: da un lato tale disciplina ha carattere trasversale e rientra, nei suoi molteplici aspetti, in altre materie elencate nel nuovo art. 117 ed attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente Stato – Regioni; sotto altro profilo, si deve distinguere tra i contratti stipulati da amministrazioni o enti statali e i contratti di interesse regionale.
Se è pacifico che il legislatore statale è titolare di potestà legislativa esclusiva con riguardo ai pubblici lavori, forniture e servizi “statali”, è da definire l’ambito della competenza statale in relazione ad alcune materie nominate dall’art. 117, comma 2, della Costituzione: “tutela della concorrenza”, “ordinamento civile” e “giurisdizione e norme processuali; giustizia amministrativa”.
La prima materia, “trasversale”, della tutela della concorrenza è quella che pone i problemi più delicati.
La Corte costituzionale ha precisato che la tutela della concorrenza costituisce una competenza trasversale, che coinvolge più ambiti materiali e si caratterizza per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale (Corte cost. n. 14 e n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006). La Corte ha anche precisato che tale materia abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e la sua inclusione nella lett. e) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese e sono idonei ad incidere sull’equilibrio economico generale, come avviene per gli aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di seguito individuati quale nucleo principale del Codice.
Non vi è dubbio, dunque, che la tutela della concorrenza incida anche nel settore in esame, ma la sua stessa trasversalità comporta che essa si inserisca nelle altre materie senza consumarne, per definizione, tutto l’ambito, cosicché rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze.
E’ quanto avviene anche nel caso in esame, in cui, accanto ai profili della concorrenza, sussistono profili non marginali organizzativi, procedurali, economici e di altro tipo, tra i quali la progettazione dei lavori servizi e forniture, la direzione dei lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti e i requisiti del responsabile del procedimento.
Anche per questi aspetti – e a maggior ragione – vale l’affermazione della Corte costituzionale che non si tratta di materie: essi a seconda dell’oggetto possono rientrare (oltre che nella competenza esclusiva dello Stato) sia nella competenza concorrente che in quella esclusiva delle Regioni. Nel primo caso l’attività legislativa regionale rimane soggetta ai principi fondamentali desumibili dal codice; nel secondo, invece, fatta salva la possibile rilevanza di vincoli diversi (si pensi alla trasparenza e in generale ai principi della legge sul procedimento amministrativo) la legislazione regionale può esprimersi liberamente.
Quanto agli aspetti relativi alla qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di gara, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto e alla vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una Autorità indipendente, si tratta del nucleo principale del contenuto del Codice in esame, in cui non vi è dubbio che la concorrenza giochi un ruolo preponderante, ma è da verificare se ciononostante sia possibile un intervento normativo regionale.
Per i contratti sopra soglia, la scelta del legislatore statale di non utilizzare gli spazi di discrezionalità lasciati dalle direttive offre alle Regioni un residuo margine di intervento. Con la precisazione che tale margine non può essere utilizzato per introdurre misure di attenuazione della concorrenza – come avverrebbe, ad esempio, ampliando le ipotesi di trattativa privata – ma consente solo un intervento diretto ad una applicazione più ampia del principio nel senso indicato dalla sentenza n. 482/95 della Corte costituzionale – già citata – che ha riconosciuto la legittimità della legge n. 109 del 1994 proprio perché diretta ad assicurare in modo più esteso la concorrenza.
A ciò si aggiunga che la tutela della concorrenza si intreccia con il valore unificante della disciplina comunitaria, che mira anche a garantire agli operatori economici analoghe modalità, trasparenti e non discriminatorie, di aggiudicazione degli appalti, come riconosciuto, per altro settore, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 336 del 2005, nella parte in cui evidenzia che gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, possono di fatto richiedere una particolare articolazione del rapporto “norme di principio – norme di dettaglio”, nel senso di un più incisivo intervento del legislatore statale.
In concreto, tali considerazioni inducono a ritenere che non sia possibile l’esercizio decentrato di potestà normative con riferimento ai seguenti ambiti appartenenti a quello che si è definito il nucleo essenziale del Codice: la qualificazione e selezione dei concorrenti, i criteri di aggiudicazione, il subappalto e la vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorità indipendente.
Al contrario, per altri aspetti, sempre appartenenti a tale nucleo e in particolare per le procedure di gara, deve riconoscersi la sussistenza di una competenza normativa delle Regioni, nei sensi e nei limiti indicati in precedenza; e ciò alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell’autonomia regionale (Corte cost., n. 272/2004, relativa alle gare per i servizi pubblici locali).
Quanto ai contratti al di sotto della soglia comunitaria, compete allo Stato la fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, senza che però ricorra l’esigenza (di derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformità alla disciplina di dettaglio.
Quale sia poi l’ambito di tali principi vincolanti per le Regioni è stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, che, proprio con riferimento agli acquisti sotto soglia di beni e servizi, ha riconosciuto la legittimità dell’applicabilità alle Regioni dei soli principi desumibili dalla normativa nazionale di recepimento della disciplina comunitaria, là dove impongono la gara, fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili e forme di responsabilità (Corte cost., n. 345 del 2004, in cui viene fatta una distinzione tra le norme di principio in una materia trasversale quale la tutela della concorrenza e i principi fondamentali nei casi di legislazione concorrente).
Rimangono le altre riserve di competenza statale: ordinamento e giurisdizione.
I profili relativi alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti attengono alla materia contrattuale del diritto civile e all’autonomia privata, e dunque alla materia “ordinamento civile”, sempre oggetto di legislazione esclusiva statale; va tuttavia chiarito che anche nell’ambito dell’esecuzione dei contratti possono venire in rilievo profili di organizzazione amministrativa e di contabilità, per i quali lo Stato ha legislazione esclusiva solo per le amministrazioni statali, ma non per le Regioni.
La disciplina del contenzioso rientra invece nella materia della “giurisdizione e norme processuali; … ; giustizia amministrativa” di cui alla lett. l) dell’art. 117, comma 2, della Costituzione (impregiudicata la verifica di compatibilità con la delega).
 
3.2. Altri aspetti disciplinati dal Codice rientrano invece senz’altro in materie di legislazione concorrente Stato – Regioni, come, in particolare, i profili inerenti la localizzazione delle opere pubbliche, la programmazione dei lavori pubblici, l’approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi, attinenti alla materia “governo del territorio” o quelli connessi con la “tutela e sicurezza del lavoro” e la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.
Inoltre per alcune tipologie di opere è anche prevista espressamente la legislazione concorrente Stato – Regioni, come ad esempio per “porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; … produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (come del resto è chiara l’appartenenza allo Stato della legislazione esclusiva per lavori, servizi e forniture, che indipendentemente dall’amministrazione che li esegue riguardino, ad esempio, “difesa … ; sicurezza dello Stato”, “ordine pubblico e sicurezza”, “dogane, protezione dei confini nazionali”).
Nei confronti di tale competenza, come è noto, è riservata allo Stato la formulazione di principi fondamentali e in proposito si osserva che il riassetto della disciplina, previsto nella delega, risponde anche all’esigenza di una semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di dubbi e problematiche, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale.
Come già rilevato da questa Sezione, non sembra dunque rispondere al suddetto principio di certezza del diritto demandare totalmente all’interprete l’individuazione dei principi fondamentali di una materia di legislazione concorrente (Cons. Stato, Sez. atti norm., 31 gennaio 2005 e 4 aprile 2005, n. 11996/04).
 
3.3. La stessa esigenza di chiarezza va tenuta presente nel dare attuazione al criterio dell’art. 1, comma 6, della legge delega.
Tale criterio recepisce il principio, già affermato, con riferimento al potere regolamentare, da questo Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo cui per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, in caso di inadempimento da parte delle Regioni, lo Stato può intervenire adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. Gen., n. 2/2002, 25 febbraio 2002).
Non risulta che il criterio sia stato seguito in sede di predisposizione del Codice, verosimilmente nel presupposto – non condiviso dalla Sezione, per quanto detto innanzi – che l’intero corpo delle direttive da recepire riguardi solo profili riservati alla legislazione esclusiva dello Stato.
Si pone dunque l’esigenza dell’introduzione della clausola di cedevolezza e dell’indicazione delle parti del Codice “cedevoli” e di quelle che invece vincolano l’esercizio della potestà normativa regionale, perché attinenti ad ambiti di legislazione esclusiva dello Stato o perché costituenti principi fondamentali in materia di legislazione concorrente.
 
3.4. Per quanto riguarda le Province autonome di Trento e Bolzano non può essere prevista la clausola di cedevolezza, in quanto come ribadito più volte dalla Corte costituzionale, alle due Province autonome non si applica l’art. 10 della legge n. 62 del 1953, ma l’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale), secondo cui il sopravvenire di nuove norme statali comportanti vincoli di adeguamento della legislazione provinciale non produce abrogazione delle leggi provinciali preesistenti in contrasto con i nuovi vincoli, ma solo un obbligo di adeguamento, la cui mancata realizzazione può essere fatta valere dal Governo con apposito ricorso contro le leggi provinciali non adeguate (Corte cost., n. 302/2003).
Il criterio di delega di cui al citato art. 1, comma 6, della legge n. 62 del 2005, pur facendo riferimento anche alle Province autonome, deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato alla luce dello speciale meccanismo previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale per l’adeguamento della normativa delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Resta comunque ferma l’applicabilità alle due Province autonome delle disposizioni del Codice relative a materie di legislazione esclusiva statale, in quanto anche l’attribuzione allo Stato della legislazione esclusiva in materie trasversali, quali la tutela della concorrenza, non ha costituito una sopravvenuta limitazione a forme di autonomia più ampie, riconosciute alle due Province e a queste quindi inapplicabile ai sensi dell’art. 10 delle legge costituzionale n. 3 del 2001; al contrario, anche prima dell’entrata in vigore della riforma del titolo V, la concorrenza costituiva materia riservata alla legislazione dello Stato, come si ricava anche dalla sentenza n. 482/95 della Corte costituzionale.
Sulla base di tali considerazioni la Sezione ritiene necessario riformulare l’art. 4 dello schema secondo quanto suggerito nella parte seconda del presente parere, relativa ai singoli articoli.
 
3.5 L’appartenenza delle singole disposizioni ad uno o ad altro ambito assume rilievo anche con riferimento all’esercizio dei poteri regolamentari, che, come è noto, lo Stato ha conservato solo nelle materie attribuite alla sua legislazione esclusiva.
Tale potestà regolamentare può essere esercitata dallo Stato per dare esecuzione ed attuazione all’intero Codice con riferimento ai pubblici lavori, servizi e forniture “statali”, mentre con riferimento a quelli di interesse regionale essa può essere esercitata limitatamente a quei profili ricadenti nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato, già indicati in precedenza. Difatti, sia prima che dopo l’entrata in vigore della riforma del titolo V, la Corte costituzionale ha in più occasioni limitato l’esercizio del potere regolamentare dello Stato proprio nella materia dei lavori pubblici (sentenze n. 482/95, n. 302/03, n. 303/03).
Al contrario, l’elencazione degli aspetti da disciplinare tramite regolamento, contenuta nel comma 4 dell’art. 5 del Codice, può indurre a ritenere che il legislatore delegato abbia voluto rimettere alla potestà regolamentare dello Stato quei profili già individuati, per i quali non risulta invece possibile incidere con regolamento sulle competenze regionali.
Al fine di evitare ulteriori incertezze appare opportuno precisare nel testo (cfr., infra, le osservazioni relative all’art. 5 dello schema) che il regolamento debba espressamente prevedere la sua applicabilità ai lavori pubblici statali e l’indicazione delle disposizioni applicabili alle Regioni, in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti in materie di legislazione esclusiva dello Stato.
Conseguentemente la disposizione transitoria di cui all’art. 253, comma 3, deve essere interpretata alla luce dei principi ricavabili dalle richiamate sentenze. Con esse la Corte costituzionale ha peraltro ritenuto legittima la disposizione di cui all’art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 544 del 1999, secondo cui, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, le Regioni, anche a statuto speciale, applicano le disposizioni del regolamento (previgenti alla riforma del titolo V) fino a quando non avranno adeguato la propria legislazione ai principi desumibili dalla legge (Corte cost., n. 302/2003, che ha però escluso tale conclusione per le Province autonome di Trento e Bolzano, come già chiarito oltre).
Pertanto l’applicabilità del regolamento deve essere limitata, con riferimento alle Regioni, ai casi di carenza della preesistente normativa regionale o perché mai approvata o perché abrogata per effetto del suo contrasto con i principi fondamentali recati dalla legge n. 109 del 1994 senza successivo adeguamento della normativa regionale.
 
3.6. In conclusione non può non rilevarsi che in tale situazione si possono determinare interferenze tra le competenze legislative statali e regionali, per la cui composizione la Costituzione non prevede espressamente un criterio; la Corte costituzionale, con specifico riferimento alle ipotesi di interferenza tra disposizioni rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre alle Regioni, ha richiamato il principio di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di avere riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, nonché quello della prevalenza, qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre (Corte cost. n. 370/2003 e n. 50/2005).
In questa prospettiva si richiama l’attenzione del Governo, in questo settore in cui il riparto di competenze tra Stato e Regioni è altamente problematico, sulla particolare importanza del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, reso in data 9 febbraio 2006 e pervenuto nel corso dell’elaborazione del presente parere. Se è evidente, infatti, che un parere favorevole della Conferenza unificata non possa ritenersi risolutivo per il superamento di eventuali problemi di costituzionalità, così come un parere negativo non è ostativo all’ulteriore corso del presente decreto, tuttavia è emersa l’esigenza di un più effettivo coinvolgimento delle Regioni nel processo formativo della normativa statale, soprattutto in quei casi in cui tale coinvolgimento non sia avvenuto mediante un percorso condiviso durante la fase di predisposizione del testo normativo.
Tale esigenza è stata tenuta presente dalla Sezione, che ha avuto modo di valutare attentamente le osservazioni delle Regioni, pervenendo anche alla conclusione della fondatezza di alcune di esse.
 
4. La preventiva ricostruzione delle potenzialità di innovazione normativa espresse dalla soluzione scelta del legislatore delegante e l’inserimento di queste potenzialità nel nuovo assetto sistemico dei poteri legislativi e regolamentari stabilito dal Titolo V della Costituzione consentono – come si dirà analiticamente nel seguito, esaminando le singole disposizioni rilevanti – di enucleare quelle norme che appaiono non coerenti e/o eccedenti rispetto a detti criteri ricostruttivi.
In via preliminare, in ordine al complesso e delicato tema del riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome si fa rinvio alla nuova formulazione che la Sezione propone per l’art. 4, mentre, con riferimento ad una più chiara intestazione del potere regolamentare, si rinvia alle modifiche che vengono proposte per l’art. 5.
Messo a punto il riparto di competenze, appare utile segnalare sin da ora quelle soluzioni che, ad avviso della Sezione, si pongono fuori del perimetro della delega:
a) in quanto investono ambiti di innovazione normativa del tutto esterna a tale perimetro: si tratta infatti di innovazioni che affrontano profili di organizzazione istituzionale e nessi interpretativi che hanno bisogno di un esplicito scrutinio legislativo in ordine all’assetto che si intende dare agli interessi coinvolti. Al riguardo si segnalano in particolare:
– per quanto riguarda la disciplina dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, l’art. 6, comma 7, lett. m), in materia di composizione delle controversie;
– in materia di affidamento di servizi e lavori “in house”, l’art. 1, comma 2, e l’art. 32, comma 3;
– in materia di giurisdizione, l’art. 244 ed i primi due commi dell’art. 245;
b) in quanto non riconducibili ad una ragionevole estensione interpretativa del significato che nell’ordinamento giuridico può essere assegnato all’ambito della semplificazione, nella misura in cui questo topos dell’attuale fase di riassetto del nostro ordinamento può operare; si tratta infatti di soluzioni che presentano una valenza sostanziale non riconducibile entro parametri che riflettono intenti di semplificazioni del procedimento, anche sotto lo specifico profilo della riduzione dei tempi:
art. 111 (Garanzie che devono prestare i progettisti) dove si pongono obblighi nuovi a carico dei professionisti che incidono sulle stesse modalità di esercizio dell’attività professionale;
art. 118-bis (Attività che non costituiscono subappalto), nella parte in cui estende ad ipotesi non previste norme di prevenzione della criminalità mafiosa che sono comunque di stretta interpretazione;
artt. 122 (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia), 123 (Procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori), 124 (Appalti di servizi e forniture sotto soglia), 125 (Lavori, servizi e forniture in economia), 144 (Procedura di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavoro pubblici): articoli questi che recano numerose disposizioni fuori delega, connesse in particolare alla tecnica dell’aumento degli importi, e che non appaiono giustificate dalla finalità di semplificazione, sia pure nella sua accezione più ampia.
 
Parte seconda – Esame degli articoli
 
Si può passare all’esame delle singole disposizioni dello schema di Codice, limitatamente a quelle che richiedono osservazioni, anche di carattere formale.
Si richiama comunque l’attenzione sulla necessità di un’accurata opera di drafting per adeguare il testo alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92.
 
Premesse
Nelle premesse, il riferimento agli articoli delle direttive che prevedono l’attuazione da parte degli Stati membri è invertito: vanno menzionati l’art. 71 della direttiva n. 2004/17 e l’art. 80 della direttiva n. 2004/18; inoltre deve essere indicato il parere del Consiglio di Stato reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi e non dall’Adunanza generale, come attualmente riportato.
 
Art. 1 (Oggetto)
 
La disposizione contiene al comma 1 l’effettiva indicazione dell’oggetto della disciplina e al comma 2 una disposizione sulla scelta del socio delle società miste, la cui collocazione nel primo articolo del Codice non trova alcuna giustificazione. Si suggerisce quindi di eliminare tale secondo comma, valutando se inserirlo in altra parte del Codice.
Al riguardo, si osserva che la scelta di non includere nel Codice le disposizioni relative all’affidamento in house dei servizi pubblici locali (artt. 113, 113-bis e 116 del d.lgs. n. 267 del 2000, da interpretare alla luce delle restrittive indicazioni della Corte di Giustizia) dovrebbe coerentemente condurre anche ad escludere dal Codice le disposizioni relative alla scelta del socio nelle società miste, tenuto conto anche dell’osservazione relativa all’art. 32, comma 3.
Tale mancata inclusione in alcun modo inciderebbe, comunque, sul generale principio secondo cui la scelta deve avvenire con procedure di evidenza pubblica (principio peraltro codificato nelle richiamate disposizioni del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Si suggerisce inoltre di semplificare il comma 1 dell’art. 1 nel seguente modo: “Il presente Codice disciplina l’attività contrattuale delle amministrazioni aggiudicatrici e degli altri enti o soggetti aggiudicatori avente per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”.
 
Art. 3 (Definizioni)
 
Al comma 33 va eliminato l’inciso “utilizzata per semplificare il testo”.
 
Art. 4 (Competenze legislative di Stato e Regioni)
 
In applicazione dei principi indicati al punto 3 della prima parte del presente parere, si richiede all’amministrazione di modificare l’art. 4 del Codice nei seguenti termini.
“Art. 4 – Competenze legislative di Stato, Regioni e Province autonome.
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nelle materie oggetto del presente Codice nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato.
2. Relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente Codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, attività di progettazione di lavori servizi e forniture, direzione di lavori servizi e forniture, collaudo, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro.
3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed l) della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente Codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto, ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti ad eccezione dei profili di organizzazione amministrativa e di contabilità, nonché al contenzioso; devono altresì attenersi ai principi in materia di concorrenza previsti dal presente codice in tema di procedure di gara e di contratti sotto soglia comunitaria.
4. Nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva, le disposizioni del presente Codice si applicano alle Regioni nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione.
5. Le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e nelle relative norme di attuazione”.
Non è invece necessario introdurre la clausola di efficacia differita alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, prevista nell’art. 1, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in quanto il termine è scaduto lo scorso 31 gennaio per entrambe le direttive da recepire.
 
Art. 5 (Regolamento e capitolati)
 
Sempre in applicazione dei già menzionati principi, va modificato il comma 1, prevedendo che “Lo Stato detta con regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del presente Codice in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all’articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato”.
Va altresì aggiunto un ulteriore comma, il quale preveda che “Il regolamento indica quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni rientranti ai sensi dell’art. 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano applicabili anche alle Regioni e Province autonome”.
Il regolamento non potrà invece prevedere disposizioni che, al di fuori di tali ambiti, si applichino a Regioni e Province autonome con il carattere della cedevolezza, essendo in tal caso lo Stato totalmente privo della potestà regolamentare e non sussistendo esigenze di recepimento in via suppletiva delle direttive comunitarie (esigenze già soddisfatte con il Codice in esame).
L’art. 5 contiene anche alcune disposizioni sui capitolati, prevedendo che i capitolati menzionati nel bando o nell’invito costituiscono parte integrante del contratto e che anche il capitolato generale dei lavori delle amministrazioni aggiudicatrici statali, menzionato nel bando o nell’invito, costituisce parte integrante del contratto. Viene in tal modo attribuita natura contrattuale al capitolato, che deve essere menzionato nel bando o nell’invito per costituire parte integrante del contratto. Si prende atto di tale scelta, che rientra tra quelle consentite in sede di esercizio della delega.
Non vi è alcuna limitazione dei poteri regionali, in quanto il comma 8 rende puramente facoltativa la possibilità di richiamare il capitolato generale dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti diverse dalle amministrazioni aggiudicatrici statali.
Al comma 8, lett. n), vanno soppresse le parole “o alle categorie” e “prevalenti” va messo al singolare, per ragioni di coordinamento con l’art. 118.
 
Artt. 6 (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), 7 (Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) e 8 (Disposizioni in materia di organizzazione e di personale dell’Autorità e norme finanziarie)
 
Tali disposizioni riguardano l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
La possibilità di istituire una autorità indipendente è prevista dall’art. 81.2 delle direttiva n. 2004/18 e dall’art. 72.2 della direttiva n. 2004/17. In attuazione dell’espresso criterio di delega di cui all’art. 25, comma 1, lett. c) della legge n. 62 del 2005 alla già istituita Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono stati affidati compiti di vigilanza anche nei settori delle forniture e dei servizi.
In conformità al criterio della legge delega relativo all’indipendenza funzionale e alla autonomia organizzativa, nonché alla sopravvenuta disciplina, con cui è stata riconosciuta all’Autorità anche l’autonomia finanziaria (art. 1, commi 65 e 67, della legge n. 266 del 2005), il Codice ha previsto una estensione dei poteri regolamentari dell’Autorità e una semplificazione della sua struttura, non più irrigidita in schemi predeterminati dal legislatore ma affidata a forme e metodi di auto-organizzazione.
Deve essere in primo luogo chiarito che l’estensione delle competenze dell’Autorità va verificata sotto il profilo del rispetto dei criteri di delega e non si pone in alcun modo in contrasto con le prerogative delle Regioni. Infatti, con la sentenza n. 482 del 1995 la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi delle Regioni che denunciavano la violazione di competenze ad esse costituzionalmente riservate, derivante dall’istituzione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ha evidenziato che l’istituzione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha rappresentato uno dei cardini della riforma della materia, valorizzando l’esercizio della funzione di vigilanza e garanzia idonea a garantire una conoscenza completa ed integrata del settore dei lavori pubblici, unitaria a livello nazionale.
La Corte ha aggiunto che le attribuzioni dell’Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo, ma esprimono una funzione di garanzia, strumentale rispetto alla conoscenza ed alla vigilanza nel complessivo settore dei lavori pubblici e in relazione alla quale l’obbligo per le amministrazioni di comunicare all’Autorità determinate informazioni è espressione del dovere di cooperazione tra Stato, Regioni e Province autonome, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 29 del 1995 e 412 del 1994).
Tali principi sono ovviamente validi anche per l’estensione delle competenze attribuite all’Autorità, che si aggiungono, e non si sostituiscono, alle eventuali ulteriori competenze in tema di controllo e vigilanza previste in sede regionale.
Ciò premesso, deve ritenersi che l’ampliamento dei poteri di vigilanza anche ai contratti di lavori, servizi e forniture, cui non sono applicabili direttamente le direttive da recepire, non si pone in contrasto con la legge delega, che prevede espressamente l’attribuzione all’Autorità di “compiti di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina”, intendendosi per questa la disciplina del Codice e non solo quella di recepimento delle direttive.
Con riferimento agli altri specifici compiti dell’Autorità, elencati dall’art. 6, comma 7, si osserva che il potere di formulare al Governo proposte in ordine alle modifiche occorrenti in relazione alla legislazione che disciplina i contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, pur non essendo attualmente previsto, corrisponde a quelle generali funzioni meramente ausiliarie, tipiche delle autorità indipendenti e che rientrano nei compiti di vigilanza del settore.
Anche il potere di vigilanza sul sistema di qualificazione, esteso alla possibilità di annullare, in caso di constatata inerzia degli organismi di attestazione, le attestazioni rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme vigenti, nonché di sospendere, in via cautelare, dette attestazioni (art. 6, comma 7, lett. m) è stato riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo cui l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, in caso di inerzia della SOA, ricorrendone i presupposti e nel rispetto delle garanzie di partecipazione delle imprese interessate, ha il potere di intervenire in via diretta ad adottare l’atto omesso dalla SOA, anche mediante annullamento delle attestazioni di qualificazione dalla stessa rilasciate (Cons. Stato, VI Sez., n. 991/2004).
La lett. n) dello stesso comma 7 prevede che l’Autorità svolga, su iniziativa delle parti, attività di composizione delle controversie insorte tra stazioni appaltanti ed operatori economici durante le procedure di gara, in tempi ristretti e comunque non superiori a venti giorni e che le modalità di svolgimento del procedimento siano individuate con regolamento dell’Autorità.
Pur comprendendo la ratio che giustifica una tale disposizione, tendente ad introdurre un meccanismo precontenzioso, del tutto facoltativo e finalizzato alla deflazione del contenzioso, si osserva che si tratta dell’attribuzione all’Autorità di una funzione para-contenziosa, non prevista nei criteri fissati dalla legge delega. Né si può sostenere che l’attribuzione di tale funzioni derivi dalle direttive comunitarie, che si limitano a prevedere che gli Stati membri “assicurano l’applicazione delle direttive tramite meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti” e a richiamare la direttiva ricorsi n. 89/665/CEE, che però non prevede l’attribuzione di una tale funzione ad una autorità indipendente.
Si ritiene pertanto che la norma debba essere eliminata, in quanto l’attribuzione di una funzione del tutto nuova e para-contenziosa ad una autorità indipendente richiede un espresso intervento del legislatore e non è consentita in questa sede dal descritto contenuto della legge delega.
L’autonomia organizzativa, oggi riconosciuta all’Autorità, consente invece la semplificazione della sua struttura (attuata attraverso l’eliminazione del riferimento alla Segreteria tecnica e al Servizio ispettivo), il mantenimento del solo Osservatorio previsto dall’art. 7 e articolato in sezioni regionali nonché l’espressa attribuzione del potere regolamentare per disciplinare l’organizzazione dell’Autorità.
L’art. 8 attribuisce all’Autorità un potere regolamentare anche per disciplinare il proprio funzionamento, l’esercizio della funzione di vigilanza e del potere sanzionatorio.
Al riguardo, questa Sezione ha già avuto occasione di sottolineare che l’attribuzione di poteri normativi alle autorità indipendenti deve ormai ritenersi compatibile con il nostro sistema ordinamentale; in special modo, per quanto concerne i poteri di auto-organizzazione (Cons. Stato, Sez. atti norm., 14 febbraio 2005, n. 11603/04; parere reso sul Codice delle assicurazioni).
Alle considerazioni già espresse dalla Sezione, deve essere aggiunto che l’esercizio di poteri normativi da parte di autorità indipendenti pone problematiche particolari quando tali poteri siano destinati ad incidere sulle posizioni dei privati, come in questo caso per la disciplina dell’esercizio dei poteri di vigilanza e sanzionatori. In tali ipotesi, l’esercizio di poteri regolatori da parte di autorità poste al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 della Costituzione è giustificato anche in base all’esistenza di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative. Il rischio di una caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensato, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio.
A tal fine, l’Autorità da un lato dovrà prevedere idonee garanzie partecipative in sede di approvazione dei propri regolamenti e dall’altro dovrà dotarsi di sistemi di consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti vigilati (il rapporto tra consultazione e qualità della regolazione è sottolineato anche, a livello comunitario, dal Protocollo n. 7 al Trattato di Amsterdam, in quanto una regolamentazione negoziata e concordata ha maggiori probabilità di essere accettata e quindi applicata).
Sulla base di tali considerazioni, si consiglia di aggiungere all’art. 8, comma 1 il seguente periodo: “Al fine di migliorare la qualità della normazione e dei propri atti generali l’Autorità utilizza metodi di consultazione preventiva, consistenti nel dare preventivamente notizia del progetto di atto e nel consentire agli interessati di far pervenire le proprie osservazioni, da valutare motivatamente.”.
Al fine di evitare vuoti normativi si suggerisce, inoltre, di inserire una norma transitoria, la quale preveda che, fino all’entrata in vigore del regolamento di cui all’art. 8, comma 4, si applichino le disposizioni di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 554 del 1999.
Con riguardo all’organico e al trattamento economico del personale dell’Autorità, si segnala che rispetto all’originario testo dell’art. 8 sono pervenute le osservazioni del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale ha subordinato il suo assenso alla modifica dell’art. 8 nei termini indicati in una allegata riformulazione dello stesso, che prevede l’eliminazione del potere di determinare il trattamento giuridico ed economico del personale, nonché di quello di avvalersi di personale assunto con contratto a tempo determinato e di esperti; è stato anche soppresso il riferimento, sempre per il personale, all’art. 11, comma 2, della legge n. 287 del 1990. Il Ministero ha segnalato che tali disposizioni costituirebbero un chiaro eccesso di delega per l’insorgere di maggiori costi a carico della finanza pubblica.
Al riguardo, si osserva che effettivamente uno dei criteri della delega è quello dell’assenza di nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Tuttavia, il nuovo sistema di auto-finanziamento, introdotto dal citato art. 1, comma 67, della legge n. 266 del 2005, esclude che l’ampliamento delle competenze o della struttura dell’Autorità possa gravare sulla finanza statale, essendo invece posto a carico del mercato vigilato. Lo stesso stanziamento di 3,5 milioni di euro è stato previsto da tale disposizione a titolo di anticipazione, che l’Autorità dovrà restituire all’entrata del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 2006. Il problema non è quindi quello di impedire maggiori oneri a carico dello Stato, non più ipotizzabili con l’entrata in vigore del nuovo sistema di finanziamento, ma di evitare che le contribuzioni a carico dei soggetti vigilati, anche se contenute nei limiti percentuali fissati in relazione al valore complessivo del mercato di competenza, possano gravare in modo eccessivo e sproporzionato su tale mercato, determinando un aumento del costo degli appalti, destinato a riflettersi in modo indiretto sulle finanze pubbliche.
Pertanto, ferme le indiscutibili esigenze di potenziamento delle strutture dell’Autorità in coerenza con le nuove funzioni attribuite, valuti il Governo se il complesso delle disposizioni in questione, comportando un consistente aumento delle esigenze finanziarie dell’Autorità, non debba essere riconsiderato e ridotto, nelle parti indicate dal Ministero dell’economia, in una prospettiva di contenimento degli oneri a carico della collettività.
Si ritiene superflua la disposizione di cui all’art. 6, comma 6, che fa salve le competenze delle altre Autorità amministrative indipendenti.
Si suggerisce di invertire la collocazione dei due primi commi dell’art. 7.
Valuti, infine, l’amministrazione se conservare il testo della lett. o) del comma 7 dell’art. 6, che attualmente rinvia all’art. 1, comma 67, della legge n. 266 del 2005, o se riportare all’interno del testo il contenuto di tale norma, introdotta dall’ultima finanziaria (sia con riferimento ai nuovi compiti che all’autonomia riconosciuta).
 
Art. 9 (Sportello dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture)
 
Si tratta di una soluzione che, pur non essendo prevista nelle direttive, ne potrebbe costituire una indiretta attuazione sotto il profilo della possibilità di utilizzo dello strumento dello sportello unico, diffuso in Italia in diversi settori, al fine di ottimizzare la diffusione delle informazioni relative alle procedure di gara. Si rileva che i compiti dello Sportello unico non sembrano sovrapporsi a quelli degli osservatori regionali e che comunque non vi è alcuna lesione delle competenze regionali, trattandosi di istituto facoltativo.
 
Art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento)
 
E’ condivisibile la scelta di semplificare ed unificare la procedura, attraverso l’introduzione di una netta distinzione tra la fase di scelta del contraente, che culmina nell’aggiudicazione, quale atto unilaterale dell’amministrazione, e la stipulazione del contratto.
Viene così superata la disciplina di cui al r.d. n. 2440 del 1923 che ha comportato diversi problemi interpretativi.
Il comma 10 dell’art. 11 prevede che il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione; ciò in relazione ad una procedura di infrazione contro l’Italia proprio per la mancata previsione di tale termine.
Valuterà l’amministrazione se le contestazioni mosse in sede comunitaria consentono, o meno, l’inserimento di una clausola di deroga al citato art. 11, comma 10, nel senso di prevedere che il divieto di stipulare il contratto prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione operi salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non consentono all’amministrazione di attendere il decorso del predetto termine (ciò al fine di rendere meno rigido il divieto nei soli casi di estrema urgenza di procedere).
In tal caso, il divieto andrebbe comunque mantenuto fermo, senza deroghe, per le infrastrutture strategiche (essendo stata generalizzata la regola nel Codice, è stata conseguentemente eliminata dall’art. 246, che riproduce l’art. 14 del d.lgs. n. 190 del 2002).
Infine, si osserva che l’art. 11 non si occupa della questione della sorte del contratto a seguito dell’annullamento giurisdizionale o in via di autotutela dell’atto di aggiudicazione. Trattandosi di questione su cui non vi è ancora sufficiente chiarezza in giurisprudenza e dottrina, tale scelta può essere condivisa, anche se si deve tenere presente che proprio nel parere motivato relativo alla già menzionata procedura di infrazione la Commissione europea ha fatto presente che la tesi del travolgimento del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione va certamente nella direzione di una tutela più efficace, ma non può considerarsi un dato acquisito dell’ordinamento giuridico italiano in presenza di una giurisprudenza non consolidata e in assenza di una norma espressa e vincolante di carattere generale.
 
Art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento)
 
Si consiglia di rendere più snello il testo, accorpando le disposizioni in un unico comma e valutando la possibilità di inserirlo nel precedente art. 11.
Quanto al comma 4, esso appare eccessivamente generico (la disciplina antimafia è già fatta salva nell’art. 247): si consiglia quindi di valutare se mantenerlo o meno.
 
Art. 14 (Contratti misti)
La norma nel disciplinare i contratti misti recepisce correttamente le direttive, optando per un criterio qualitativo al fine di individuare la disciplina applicabile ed utilizzando il criterio quantitativo solo quale criterio esegetico per determinare quale sia la prestazione principale, ferma restando la prevalenza del criterio qualitativo quando una delle prestazioni sia meramente accessoria rispetto alle altre.
Si consiglia di semplificare la formulazione del comma 3 eliminando l’inciso “e conseguentemente un contratto pubblico è considerato “appalto pubblico di lavori” o “concessione di lavori pubblici”, che appare superfluo rispetto alla ratio della norma.
 
Art. 16 (Contratti relativi alla produzione e al commercio di armi, munizioni e materiale bellico)
 
Si segnala che l’art. 10 della direttiva n. 2004/18 prevede che essa si applichi agli appalti pubblici aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici nel settore della difesa, fatto salvo l’art. 296 del Trattato. Tale norma, al par. 1, lett. b), stabilisce che ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico e che tali misure non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti che non siano destinati a fini specificamente militari. Viene aggiunto che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può apportare modificazioni all’elenco, stabilito il 15 aprile 1958, dei prodotti cui si applicano le disposizioni del paragrafo 1, lett. b).
In conformità a tali disposizioni l’art. 4 del d.lgs. n. 358 del 1992 ha escluso dall’applicazione del decreto “le forniture riguardanti, nel settore della difesa, la fabbricazione o il commercio di armi, munizioni e materiale bellico di cui all’elenco deliberato dal Consiglio delle Comunità europee ai sensi dell’art. 223, paragrafo 2, del Trattato; tale esclusione non riguarda i prodotti che non sono destinati a fini specificamente militari”. L’art. 16 del Codice esclude invece tutte le forniture di armi, munizioni e materiale bellico senza fare più riferimento all’elenco deliberato dal Consiglio.
Occorre quindi che tale riferimento venga ripristinato senza modificare il citato art. 4 del d.lgs. n. 358 del 1992.
Si consiglia inoltre di eliminare dal comma 2 dello stesso art. 14 il riferimento alle direttive del Ministero della difesa, che non hanno carattere normativo.
 
Art. 26 (Contratti di sponsorizzazione)
 
L’art. 26 disciplina i contratti di sponsorizzazione, prevedendo che quando i lavori, i servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura o a spese dello sponsor, si applicano soltanto le disposizioni in materia di requisiti soggettivi dei progettisti e degli esecutori del contratto.
La norma riproduce, con estensione ai servizi e alle forniture, l’art. 2, comma 6, della legge n. 109 del 1994, che esclude dal proprio ambito di applicazione i contratti di sponsorizzazione, imponendo la sola applicazione delle norme in tema di qualificazione (con riferimento agli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, l’art. 2 del d.lgs. n. 30 del 2004 contiene analoga disposizione).
L’espressa previsione dell’utilizzo da parte della p.a. di contratti di sponsorizzazione, accordi di collaborazione e convenzioni con soggetti privati, prevista dall’art. 119 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall’art. 43 della legge n. 449 del 1997, non esclude la necessità di fare ricorso a procedure aperte e trasparenti per individuare il soggetto con cui stipulare il contratto di sponsorizzazione.
La realizzazione o acquisizione di lavori, servizi e forniture a spese di uno sponsor arreca un vantaggio all’amministrazione, ma attribuisce anche un beneficio allo sponsor, che ha un ritorno indiretto, in termini di immagine o altro, dall’operazione.
Per tali ragioni può sussistere l’esigenza che anche la possibilità di diventare sponsor della p.a. venga aperta in modo trasparente a più aspiranti.
Il problema non è risolto dal successivo art. 27, che introduce principi di trasparenza anche per i contratti esclusi, in quanto si potrebbe sostenere che l’invito ad almeno cinque concorrenti previsto dall’art. 27 possa essere ritenuto non compatibile con l’oggetto del contratto di sponsorizzazione.
Per tali ragioni si consiglia di esplicitare la necessità di un confronto tra gli eventuali aspiranti sponsor. Difatti, proprio in relazione ad un tipico servizio, quale quello di tesoreria, si è formata una giurisprudenza che ha ammesso l’inclusione di formule di sponsorizzazione o assimilabili, grazie alle quali l’amministrazione non corrisponde alcun corrispettivo per lo svolgimento del servizio, senza però derogare all’obbligo di procedere con gara alla scelta del contraente (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 6/2002; VI Sez., n. 6073/2001).
 
Art. 28 (Importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria e revisione periodica delle soglie)
 
Nell’indicazione dei testi richiamati, viene citato il regolamento (CE) 1874/2004, successivamente modificato. Al riguardo sembra opportuno (se detta indicazione sarà mantenuta) specificare che il richiamo si intende fatto anche alle successive modificazioni, atteso che al detto regolamento (CE) 1874/2004 è subentrato, a decorrere dal 1° gennaio 2006, il regolamento (CE) 2083/2005. Inoltre, nella rubrica andrebbero soppresse le parole “e revisione periodica delle soglie”, la cui disciplina, come indicato dalla stessa relazione, è contenuta nell’art. 248.
 
Art. 29 (Metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici)
 
Al comma 6, il concetto contenuto nella disposizione non è del tutto perspicuo.
 
Art. 30 (Concessione di servizi)
 
Al comma 5, l’obbligo del soggetto titolare di diritti speciali o esclusivi circa il rispetto del principio di non discriminazione dovrebbe essere esteso ai servizi ed ai lavori, oltre che alle forniture, qualora ovviamente i relativi affidamenti non soggiacciano alle norme del Codice in esame.
Si rileva una certa contraddizione nella relazione. In essa si afferma che la concessione di servizi si distingue dall’appalto di servizi in quanto il servizio non è prestato a favore di un’amministrazione aggiudicatrice, bensì della collettività. In realtà l’art. 3, comma 10, definisce gli appalti pubblici di servizi come i contratti aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all’allegato II. In tale allegato sono compresi servizi da svolgere sia a favore di una amministrazione aggiudicatrice che a favore della collettività. A sua volta, il comma 12 definisce la concessione di servizi come il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto di servizi. Ciò fa sorgere perplessità sull’opportunità di inserimento, nel Codice, di una norma definitoria attesa la problematicità del quadro giuridico comunitario e nazionale (si pensi al riparto di giurisdizione).
 
Art. 32 (Amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori)
 
Al comma 1, lett. g), la previsione del titolare del permesso di costruire quale soggetto tenuto a seguire la disciplina del Codice, è conseguenza della sentenza della Corte di giustizia 12 luglio 2001 (proc. C-399/98). In consonanza con tale sentenza sembrerebbe opportuno fare riferimento, nella norma, ad entrambe le ipotesi alternative previste nel caso in cui detto soggetto proceda alla realizzazione delle opere a scomputo del contributo di urbanizzazione – e cioè: a) alla loro realizzazione mediante appalto a terzi, ovvero b) al ricorso all’istituto del promotore delineato dal testo in esame – consentendogli la scelta fra le stesse.
Al comma 3, la norma, concernente l’affidamento di servizi e lavori cd. in house, pone anzitutto un problema di astratta compatibilità con la sentenza della Corte di giustizia CE 11 gennaio 2005 “***********”, che ha affermato la necessaria osservanza delle procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla direttiva n. 92/50 e successive modificazioni, dettata in materia di servizi, anche nelle ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso con una società, da essa giuridicamente distinta, nella quale detiene una partecipazione.
Riguardo poi alla previsione di applicazione della norma nell’ambito specifico della materia dei lavori pubblici, è da osservare come essa faccia venire meno il c.d. divieto di in house providing finora vigente in detta materia, consentendo anche per questi appalti di ricorrere agli affidamenti diretti alle società miste alle condizioni ivi previste. Ora, sul piano della opportunità, rimesso alla valutazione del Governo, dovrebbero essere attentamente valutati gli effetti pratici della disposizione, soprattutto in relazione all’impatto sulla concorrenza ed al rischio di creazione di mercati “riservati” dei lavori pubblici. Sul piano poi più strettamente giuridico, va segnalato che la norma, mentre, come si è detto, innova espressamente ed incisivamente la disciplina finora vigente, non trova nel contempo corrispondenza in una previsione della direttiva comunitaria. Si pone, pertanto, il problema della sua conformità alla delega, apparendo dubbio che essa possa legittimarsi in virtù del richiamo al mero “coordinamento” di cui alla lett. a) dell’art. 25 della legge n. 62 del 2005, o che in tale norma possa ravvisarsi una portata di semplificazione.
In ogni caso, ove si intenda mantenere la previsione, sul presupposto di una portata ampia della legge delega, che in ogni caso chiama il Governo alla definizione di un nuovo quadro giuridico per il recepimento, dovrebbe risultare chiaro che la gara per la scelta del socio è stata svolta in vista proprio della realizzazione dell’opera pubblica o del servizio che successivamente si affida senza gara, con menzione delle caratteristiche dell’opera e del servizio nel bando della gara celebrata per la scelta del socio. Ciò al fine di assicurare che il mercato sia stato messo in grado di conoscere la serie di atti che vengono poi posti in essere con l’affidamento diretto.
 
Art. 36 (Consorzi stabili)
 
Si deve rilevare che il comma 1 prevede la figura del consorzio stabile come diretta ad operare nel settore dei contratti pubblici in generale, mentre le restanti disposizioni dell’articolo si riferiscono in modo quasi esclusivo al settore lavori. È vero al riguardo che dalla relazione si evince che questa dovrebbe essere la ratio della disposizione, ma, a parte l’opportunità – in tal caso – di segnalare tale intenzione sin dal comma 1, si osserva che la figura del consorzio stabile può essere utilizzata anche nel settore delle forniture e dei servizi.
 
Art. 37 (Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti)
 
Si osserva che il comma 1 contiene quattro capoversi. Appare necessario, per ragioni di tecnica legislativa, scindere le quattro previsioni in tre distinti commi.
Quanto al comma 6, sembra opportuno, alla fine della disposizione, aggiungere una clausola di salvezza, inserendo l’espressione “qualora non sia diversamente disposto” o, come forse sarebbe meglio, “salvo quanto disposto ai commi 15 e 16”.
 
Art. 38 (Requisiti di ordine generale)
 
Nella formulazione della disposizione occorre tenere conto del recente decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. In particolare, si segnala che la procedura di amministrazione controllata è stata soppressa dall’art. 147, comma 2, del citato decreto. Per quanto concerne poi il comma 1, lett. c), si ritiene che, nella elencazione dei reati che possono portare all’esclusione dalla gara, sia necessario indicare, in primo luogo, i reati previsti dal Codice penale italiano e, successivamente, quelli indicati dalla direttiva comunitaria.
 
Art. 40 (Qualificazione per eseguire lavori pubblici)
 
La qualificazione delle imprese partecipanti alle gare costituisce uno degli aspetti più delicati del sistema, che ha manifestato nei controlli il suo punto debole. E’ dunque positiva – come si è già rilevato riguardo agli artt. 6, 7, 8 e 9 – la maggiore incisività dell’attività di vigilanza dell’Autorità dei lavori pubblici.
Rimane la difficoltà di accertare l’effettiva indipendenza degli organismi di attestazione (SOA) e, pertanto, va reinserita l’affermazione del principio secondo cui l’attività di attestazione deve essere esercitata nel “rispetto del principio di indipendenza di giudizio” e garantendo “l’assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori”.
Meritevole di modifica va anche considerata l’attuale impossibilità di graduare le sanzioni nei confronti delle SOA che si rendono colpevoli di irregolarità procedimentali o di vere e proprie illegittimità nel rilascio delle attestazioni. Allo stato, le due ipotesi sono sanzionate con la revoca dell’autorizzazione, il che porta, sia pure in casi-limite, a non sanzionare mere irregolarità che peraltro, se ripetute, sono comunque indizio di un funzionamento non ottimale di un organismo che dovrebbe assicurare la presenza sul mercato di imprese sane.
 
Art. 41 (Capacità economica e finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi)
 
Si segnala che al comma 4, probabilmente per un refuso, al posto della parola “intermediari” si trova la parola “funzionari”.
 
Art. 49 (Avvalimento)
 
In relazione al comma 1, l’avvalimento è previsto dalle direttive comunitarie e pertanto, in questa sede, non appare possibile contestare la legittimità del suo inserimento nell’ordinamento giuridico italiano, pur potendosi a ragione prevedere un effetto dirompente nei confronti delle piccole e medie imprese edili.
In ogni caso, tra i limiti che la relazione afferma di voler porre per evitare manovre elusive e turbative di gara dovrebbe prevedersi che, una volta avvenuta l’aggiudicazione all’impresa ausiliata, dell’avvalimento sia data comunicazione alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici e che esso sia debitamente pubblicizzato, anche in vista dei suoi possibili riflessi sulle gare successive.
A proposito, poi, della previsione dell’avvalimento nella ipotesi di particolari attrezzature possedute da un ristretto ambito di imprese di cui al comma 8-bis, sembra opportuno eliminare l’inciso “sino ad un massimo indicato nel bando stesso”, in quanto in tal modo si darebbe la possibilità all’impresa che possiede le attrezzature in questione di influire sulla gara concedendo l’attrezzatura all’uno piuttosto che all’altro dei concorrenti.
 
Art. 53 (Tipologia e oggetto dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)
 
Il comma 1 prevede che i lavori pubblici possano essere realizzati esclusivamente mediante contratti di appalto o concessione, come definiti nell’art. 3.
La relazione afferma che siffatta prescrizione è idonea a porre un punto fermo sulla questione della idoneità ad acquisire opere pubbliche mediante vendita o locazione di cosa futura, o leasing immobiliare. Non si comprende se una simile affermazione sia diretta a sancire l’impossibilità di utilizzare i contratti da ultimo citati. Se così fosse, la stessa relazione sarebbe in contraddizione con se stessa, laddove – immediatamente dopo – afferma che l’appalto può comprendere l’esecuzione con qualsiasi mezzo dell’opera, e pertanto – sembra – con qualsiasi strumento contrattuale, quindi anche con la vendita di cosa futura o il leasing immobiliare. Al riguardo si deve comunque osservare che una limitazione del genere precluderebbe la possibilità di ricorrere ai richiamati contratti, quando situazioni particolari lo richiedano (si pensi all’opera da eseguire su un’area precisamente individuata, non sostituibile in alcun modo, di proprietà di un’impresa costruttrice: secondo la relazione si dovrebbe procedere dapprima ad espropriare l’area e successivamente ad indire la gara, con irragionevole aumento di tempi e di costi).
Il comma 2 consente alle stazioni appaltanti di avvalersi – “tenendo conto delle esigenze, delle strutture organizzative e dei mezzi economici” a propria disposizione – delle figure sia dell’appalto di sola esecuzione dei lavori, sia dell’appalto di progettazione ed esecuzione dei lavori (c.d. appalto integrato). In questo secondo caso è loro dato commettere, sempre sulla base del delineato presupposto, unitamente all’esecuzione dei lavori, o la progettazione esecutiva ovvero quella definitiva ed esecutiva.
Si è già osservato nella parte generale che si tratta di una delle norme maggiormente innovative della disciplina attualmente vigente, ma si è anche detto che essa è coerente con la disciplina europea e con la delega.
In aggiunta alle osservazioni formulate nella parte generale si può osservare, in ordine alla delibera a contrarre che disponga l’appalto integrato, che potrebbe richiedersi con maggiore incisività una analitica motivazione atta a dar conto delle ragioni economiche, tecniche ed organizzative circa la determinazione assunta, con miglioramento della trasparenza delle scelte di base normalmente effettuate all’atto di impostare le gare pubbliche.
 
Art. 56 (Procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara)
 
Al comma 1, l’aggettivo “inaccettabili”, riferito alle offerte, appare impreciso anche se – da una lettura letterale del contesto della norma – sembra riferito alla sola ipotesi del dialogo competitivo.
 
Art. 57 (Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara)
 
Si richiamano le considerazioni innanzi svolte a proposito dell’art. 53, comma 2, che presenta problematiche di carattere generale simili.
 
Art. 58 (Dialogo competitivo)
 
Il dialogo competitivo sembra rappresentare uno strumento interessante ai fini dell’esecuzione delle opere pubbliche.
Il meccanismo sembra peraltro ancora da affinare.
 
Art. 62 (Numero minimo dei candidati da invitare nelle procedure ristrette, negoziate e nel dialogo competitivo – ********)
 
Si rileva che, nel recepimento dell’istituto del c.d. numero minimo, la scelta del Governo è stata nel senso di indicare nel bando di gara i criteri e le norme, obiettivi e non discriminatori, che si intendono applicare nonché il numero minimo dei candidati che si intendono invitare.
Si inserisce la specificazione che si deve trattare di criteri e norme “pertinenti all’oggetto del contratto”.
Tale specificazione non è nel testo della direttiva e si segnala che apparentemente essa potrebbe comportare una limitazione eccessiva della discrezionalità amministrativa e del buon andamento dell’azione amministrativa. Sembrerebbe, pertanto, preferibile fissare le possibilità di scelta dell’amministrazione (relative alla individuazione dei candidati da invitare) con riguardo a determinate caratteristiche – indicate in modo trasparente ed oggettivo – anche dei soggetti e non solo dell’oggetto del contratto.
Invero, la pertinenza all’oggetto del contratto dei criteri e delle norme limitative della partecipazione non sembra poter escludere qualche rilevanza di limitazioni soggettive che trovino ragione in peculiari caratteri dell’oggetto del contratto e delle prestazioni. Del resto, proprio per questo motivo, l’art. 44 della direttiva prevede che le amministrazioni possano richiedere livelli minimi di capacità per un determinato appalto, connessi e proporzionati all’oggetto del contratto.
Quanto poi al numero massimo di candidati, si ritiene che esso possa essere stabilito senza riguardo alle stesse ragioni oggettive, ma debba allora tenersi conto delle esigenze di efficienza della procedura.
Valuti il Governo, quindi, l’opportunità della riformulazione dell’inciso “pertinenti all’oggetto del contratto”, inserendo il riferimento ai livelli minimi di capacità di cui all’art. 44, comma 2, che gli offerenti devono possedere, nonché parametrando l’istituto della forcella (ossia la fissazione del numero massimo dei candidati) ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa.
 
Art. 66 (Modalità di pubblicazione degli avvisi e dei bandi)
 
Non trova alcuna giustificazione ed appare, anzi, in contrasto con il principio generale di semplificazione la previsione che meccanicamente reintroduce, a livello di fonte legislativa (e non di regolamento), la pubblicazione degli avvisi e dei bandi sui quotidiani.
Essa suscita, inoltre, perplessità anche sotto il profilo dell’incremento dei costi e va pertanto espunta dal testo. Peraltro, anche la contestuale pubblicazione sul sito informatico dell’Osservatorio presso l’Autorità e su quello previsto dal d.m. n. 20 del 2001 (a cui le Regioni contribuiscono senza apparenti aggravi di costo per gli utenti) appare un appesantimento non del tutto comprensibile. In via generale sarebbe comunque necessario attuare, in questa sede, la previsione di cui all’art. 24 della legge n. 340 del 2000, disponendo l’abolizione della pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale e la loro pubblicazione su un unico sito informatico, che dovrebbe essere individuato dallo stesso Codice.
 
Art. 68 (Specifiche tecniche)
 
Si suggerisce di esplicitare nel testo l’applicabilità della norma agli appalti sotto soglia, menzionata nella relazione.
 
Art. 69 (Condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell’invito)
 
La norma disciplina condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell’invito, attraverso la sostanziale trasposizione del testo delle direttive (artt. 26 della direttiva n. 18, e 38 della direttiva n. 17 le quali, sul punto, non hanno precedenti nella normativa comunitaria) integrandolo con riferimento ai principi del Trattato di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.
Peraltro va rilevato che la norma (comunitaria come nazionale) è intrinsecamente ambigua, poiché le peculiari condizioni di esecuzione possono incidere sulle condizioni di concorrenzialità del mercato, in modo tale da discriminare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori, così determinando un’incompatibilità delle previsioni del bando o dell’invito con il diritto comunitario.
A fini di certezza del diritto si potrebbe prevedere che l’Autorità indipendente del settore svolga un ruolo consultivo o di controllo sulla legittimità dei bandi e degli inviti che abbiano inserito condizioni particolari di esecuzione, rispetto alle quali possano sorgere dubbi di compatibilità comunitaria.
 
Art. 70 (Termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte)
 
La norma appare non perfettamente coordinata con il comma 11 che prevede, in attuazione dell’art. 38, comma 8, della direttiva citata, i termini minimi da rispettare in via eccezionale in caso di impossibilità di rispettare i termini minimi ordinari nelle procedure ristrette (disciplinate dai commi 3 e 4) e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara (già disciplinate dal comma 5).
Si rileva in particolare che alcun termine minimo è previsto per la ricezione delle offerte nel caso dell’impossibilità di rispettare i termini minimi ordinari di cui al comma 5, con riferimento alle procedure negoziate non precedute da pubblicazione di bando di gara ed al dialogo competitivo (pure disciplinate dal comma 5). Sicché per tali procedure andrebbe quantomeno precisato che, per quanto possibile, l’amministrazione dovrà rispettare la clausola generale di cui allo stesso art. 70, comma 1.
 
Art. 73 (Forma e contenuto delle domande di partecipazione)
 
L’art. 73, che introduce una nuova disciplina sulla forma e sul contenuto delle domande di partecipazione, non ha un corrispondente nelle direttive e nel diritto nazionale previgente. La relazione al testo specifica di avere ritenuto opportuno introdurre una norma generale su forma e contenuto delle domande di partecipazione, codificando alcuni principi che costituiscono diritto vivente.
Per il suo contenuto la disciplina potrebbe trovare sede più appropriata nel regolamento, essendo comunque ovvio che, anche se elevata al livello legislativo, non è vincolante per le Regioni.
 
Art. 81 (Criteri per la scelta dell’offerta migliore)
 
La delega, all’art. 25, comma 1, lett. d), contiene un esplicito conferimento di potere al Governo, volto all’adeguamento della normativa alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C-247/02, per cui la norma in esame costituisce puntuale attuazione del criterio direttivo di delega menzionato.
La disposizione del Codice ha rimesso la scelta tra i criteri di aggiudicazione all’amministrazione, che dovrà orientarsi secondo un parametro di adeguatezza alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.
Rileva la Sezione che – al di là della precisa definizione della nozione di oggetto del contratto ai fini della esegesi della norma in esame – sarebbe preferibile non limitare il parametro del potere dell’amministrazione in relazione al solo oggetto del contratto, potendo la valutazione amministrativa valorizzare la natura del contratto ed ogni sua caratteristica peculiare; in caso contrario, il testo corre il rischio di ridurre, nel diritto vivente, la portata innovativa della citata sentenza della Corte, volta ad ampliare la scelta del metodo di aggiudicazione.
 
Art. 83 (Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa)
 
Al comma 5 è citato un decreto abrogato, il d.P.C.M. n. 116 del 1997: pertanto va soppresso il relativo riferimento e “compatibili” va messo al singolare.
 
Art. 84 (Commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa)
 
La norma detta, in conformità al diritto nazionale previgente, ma generalizzandone la portata, la disciplina della commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rimettendo il resto alla naturale sede regolamentare. Rimane comunque fermo che la materia per sua natura rientra nella competenza esclusiva delle Regioni.
Si segnala, inoltre, che meriterebbe di trovare soluzione, nell’ambito del vasto riordino delle fonti posto in essere, la problematica della possibilità dell’eventuale riconvocazione della commissione, nella stessa od in diversa composizione, dopo l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, tematica che di recente è stata discussa nella giurisprudenza del Consiglio di Stato con alterne pronunce e che ben potrebbe disciplinarsi in modo puntuale di fronte ad una delega di tale ampiezza, al fine di dare certezza all’attività di rinnovazione delle valutazioni o, comunque, all’esecuzione dei giudicati d’annullamento (cfr. sulla tematica C.d.S., VI Sez., 1° ottobre 2004, n. 6457; C.d.S., IV Sez., 30 giugno 2004, n. 4834; C.d.S., V Sez., 31 gennaio 2002, n. 340).
 
Art. 90 (Progettazione interna ed esterna, livelli di progettazione)
 
Al comma 1, lett. h), viene indicato, al termine dell’alinea, l’art. 235, comma 7, che non esiste nel testo proposto. Trattasi di evidente refuso. Il riferimento potrebbe essere all’art. 35, comma 7, che infatti tratta di consorzi stabili.
 
Art. 92 (Corrispettivi e incentivi per la progettazione)
 
In sede tecnica, la Conferenza unificata ha rilevato che nel testo della norma mancherebbe il riferimento ai minimi tariffari previsti dall’ultimo decreto ministeriale: il rilievo peraltro non tiene conto che nell’art. 253 (Norme transitorie), al comma 17, si stabilisce che fino all’emanazione del decreto di cui all’art. 92, comma, 2, continua ad applicarsi quanto previsto nel decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001.
 
Art. 95 (Verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare)
 
Si segnala, nell’ambito del comma 2 (riproduttivo dell’omologo comma 2 del testo originario), la soppressione della parte relativa alla previsione di spesa per il 2006 e 2007.
La relazione unica agli artt. 95 e 96 chiarisce che non si è ritenuto di riproporre le disposizioni in tema di regime transitorio e di copertura finanziaria in quanto il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri.
Al comma 4 – ove si tratta delle integrazioni istruttorie – sembra preferibile mantenere l’avverbio originario “puntualmente”, ora sostituito con “fedelmente”.
 
Art. 96 (Procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico)
 
E’ opportuno inserire nell’articolo una disposizione riproduttiva del testo dell’art 2-quinquies del d.l., il quale disciplina, mediante rinvio, gli adempimenti delle Regioni e delle Province autonome in tema di verifica preventiva dell’interesse archeologico per le opere di loro competenza.
In effetti, nella relazione unica agli artt. 95 e 96 si fa riferimento all’art. 2-quinquies, mentre le norme ora riprodotte sono solo quelle degli artt. 2-ter e 2-quater del d.l. n. 63 del 2005. Per rendere più agevole l’esame del testo, si segnala che, nella relazione, la specificazione relativa alla mancata riproposizione delle disposizioni in tema di regime transitorio va puntualizzata, registrando la collocazione nelle norme transitorie (art. 253, comma 19) del comma 8 dell’art. 2-ter del d.l. n. 63 cit.
 
Art. 98 (Effetti dell’approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi)
 
Occorre verificare se l’art. 14, comma 13, della legge n. 109 del 1994 (“L’approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”) avesse sempre valore meramente ricognitivo del disposto di altre normative specifiche o non piuttosto, sia pure in ipotesi marginali, portata costitutiva.
In questo caso, l’abrogazione della legge quadro comporta che la norma di chiusura successivamente introdotta nella legge non fa più parte delle “norme vigenti” tenute ferme dall’art. 98, con perdita dell’effetto costitutivo (dichiarazione di pubblica utilità implicita).
Il secondo comma riproduce l’art. 38-bis della legge n. 109 del 1994, la cui rubrica originaria recava “Deroghe in situazioni di emergenza ambientale”. Nel testo attuale, il riferimento alla deroga viene omesso e la disposizione assume, così, un carattere a regime.
Al riguardo si segnala che la Corte costituzionale – giudicando della legittimità del d.P.R. n. 447 del 1996 in tema di insediamento di attività produttive mediante variante semplificata – con sentenza n. 206 del 2001 ha in sostanza reintrodotto l’obbligo dell’assenso regionale alla variante, prima non previsto, onde recuperare il ruolo fondamentale che spetta alla regione (oltre che al comune) nell’ambito del giusto procedimento in materia urbanistica.
 
Art. 99 (Ambito di applicazione e oggetto)
 
Al comma 2, le parole “il presente titolo” vanno sostituite con le seguenti: “la presente sezione”.
 
Art. 100 (Concorsi di progettazione esclusi)
 
Il rinvio al comma 11 dell’art. 219 sembra frutto di un refuso, in quanto tale comma non esiste.
 
Art. 101 (Disposizioni generali sulla partecipazione ai concorsi di progettazione)
 
Al comma 2, per una più agevole lettura, l’inciso”per i lavori” potrebbe essere collocato, anziché all’inizio del comma, dopo le parole “concorsi di progettazione”, nella stessa riga.
 
Art. 102 (Bandi e avvisi)
 
Il comma 3 è sostanzialmente riproduttivo della disposizione di cui all’art. 66, comma 15 alla quale quindi sarebbe sufficiente fare rinvio. Tuttavia, ove si volesse mantenere in forma estesa la disposizione, questa andrebbe comunque corretta sostituendo l’inciso “in conformità ai commi che precedono” con il seguente: “secondo le modalità di cui ai commi che precedono”.
 
Art. 103 (Redazione e modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi relativi ai concorsi di progettazione)
 
Nella relazione è erroneamente indicato come fonte l’art. 71 della direttiva, anziché l’art. 70.
 
Art. 105 (Selezione dei concorrenti)
 
Per garantire il rispetto della effettiva concorrenza, postulato dall’art. 72 della direttiva, in caso di limitata partecipazione viene previsto un numero minimo di dieci concorrenti: si tratta di una scelta di carattere discrezionale, che appare comunque coerente con la sistematica del Codice.
 
Art. 107 (Decisioni della commissione giudicatrice)
 
L’articolo recepisce l’art. 74 della direttiva n. 18 con talune modifiche non sostanziali (inversione dei commi 3 e 4 dell’art. 74; sostituzione delle parole “sino al parere o alla decisione della commissione aggiudicatrice” con le altre “sino alla conclusione dei lavori”) che sembrano però introdurre un profilo di illogicità del testo proposto.
Infatti, se la commissione deve rispettare l’anonimato “fino alla conclusione dei lavori” non può instaurare un dialogo con i concorrenti.
Si suggerisce pertanto di ricalcare più puntualmente il testo della direttiva, che infatti impone l’anonimato solo fino all’adozione dell’eventuale parere sui punti che vanno chiariti.
 
Art. 108 (Concorso di idee)
 
La disposizione in esame riprende la disciplina dettata dall’art. 57 del d.P.R. n. 554 del 1999, apportandovi condivisibili modifiche.
In particolare, al comma 2 la parola “tempo” (“il tempo di presentazione della proposta”) è stata sostituita dalla più appropriata parola “termine”, mentre il comma 4 sottolinea la necessità, peraltro indiscussa pur a fronte del dubbio testo del d.P.R., che il “congruo premio per l’idea migliore” sia predeterminato nel bando di gara.
Va sottolineato tuttavia che al comma 3, secondo periodo (“Per i lavori, nel bando non possono essere richiesti elaborati di livello superiore a quelli richiesti per il progetto preliminare”) le parole “per i lavori” sono aggiunte, così determinandosi una possibile restrizione dell’area di operatività della norma rispetto all’omologa previsione del regolamento: si tratta di modifica, pur compatibile con il criterio di semplificazione di cui alla legge delega, che appare di dubbia opportunità.
 
Art. 109 (Concorso in due gradi)
 
L’articolo evoca, con alcune varianti formali, le previsioni racchiuse nell’art. 59, commi 6 e 7, del d.P.R. n. 554 del 1999: risulta erroneo, pertanto, il richiamo della rubrica all’art. 58 di quel testo normativo, che disciplina il contenuto del bando per il concorso di idee.
Del citato comma 6 sono state soppresse le seguenti frasi: “Per i premi e i rimborsi spese si applica quanto previsto ai commi 4 e 5. I tempi di presentazione delle proposte non possono essere inferiori a novanta giorni per il primo grado e a centoventi giorni per il secondo grado”. La soppressione sembra coerente con l’ottica della semplificazione di cui alla legge delega.
 
Art. 111 (Garanzie che devono prestare i progettisti)
 
Il comma 2 (di carattere innovativo) demanda alla fonte regolamentare (nel rispetto del comma 1 e nei limiti di compatibilità) la disciplina delle garanzie dovute dai progettisti negli appalti di servizi e forniture, stabilendo una soglia minima (un milione di euro) al di sotto della quale non sono dovute garanzie. La norma pone obblighi nuovi a carico dei professionisti incidendo sulle modalità di esplicazione dell’attività professionale. Pur opportuna, la norma appare quindi di dubbia compatibilità con i limiti della delega. In questa stessa ottica non appaiono fondate le richieste delle Regioni che intendono estendere la garanzia assicurativa anche ai geologi e a tutte le figure che concorrono alla definizione della progettazione esecutiva.
 
Art. 112 (Verifica della progettazione prima dell’inizio dei lavori)
 
In difformità rispetto all’art. 30, comma 6 (il quale prevede la verifica dei progetti prima dell’inizio delle procedure di affidamento, ipotesi non praticabile quando la progettazione è affidata, in parte, all’aggiudicatario), sono previste diverse cadenze temporali della verifica della progettazione, a seconda che la stessa sia separata dall’appalto di lavori, o ne formi oggetto insieme all’esecuzione. Tale modificazione, evidenziata pure dalla relazione, è chiaramente ispirata al criterio di delega della semplificazione delle procedure attuali.
 
Art. 113 (Garanzie di esecuzione e coperture assicurative)
 
L’art. 113 (è erroneo il richiamo della relazione all’art. 100) generalizza la soluzione racchiusa nell’art. 30, commi 2, 2-bis e 2-ter della legge n. 109 del 1994.
Nel comma 5 (e non nel comma 3, come affermato nella relazione) è previsto che la garanzia copra gli oneri per il mancato od inesatto adempimento e cessa di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione. In tal modo si è opportunamente sanato un difetto di coordinamento dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994 con la reintroduzione del certificato di regolare esecuzione.
In questa fattispecie, pur a fronte di una diffusa e condivisa esigenza, rappresentata anche nella relazione, di una disciplina più fluida ed analitica del meccanismo di svincolo progressivo della cauzione, il testo si mostra molto rigoroso nel non forzare i limiti della delega: si tratta infatti di materia che rientra nell’ambito dell’ordinamento civilistico.
Diversamente da come indicato nella relazione, la norma transitoria di cui all’art. 30, comma 2-ter, ultimo periodo, della legge n. 109 del 1994 non è riprodotta tra le norme transitorie.
 
Art. 115 (Adeguamento dei prezzi)
 
L’articolo in esame riproduce il comma 4 dell’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 – Interventi correttivi di finanza pubblica – il quale recita: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”.
Il richiamato comma 4 è stato trasfuso nell’articolo in esame con la precisazione che si tratta di contratti ad esecuzione periodica o continuativa “relativi a servizi o forniture”.
Il meccanismo prima disciplinato dal richiamato comma 6 è oggi disciplinato dall’art. 7, commi 4 e 5, del Codice.
Si osserva, tuttavia, che ai sensi dell’art. 256 del Codice risulta abrogato l’intero art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e non solo l’art. 6 in parte qua (come evidenziato nella relazione all’art. 115).
Si sottolinea, infine, la necessità di una revisione formale dell’ultimo periodo (di cui all’art. 7, comma 4, lett. c) e di cui al medesimo art. 7, comma 5).
 
Art. 117 (Cessione dei crediti derivanti dal contratto)
 
L’articolo coordina in un unico testo, con lievi adattamenti, le soluzioni incorporate nell’art. 26, comma 5, della legge n. 109 del 1994 e nell’art. 115 del regolamento, recato dal d.P.R. n. 554 del 1999.
In ordine alla forma della notifica delle cessioni di crediti sussistono oscillazioni nella giurisprudenza e nella dottrina civilistica (in relazione al disposto ex art. 1264 c.c.):
– secondo una prima tesi, per la forma della notifica non è previsto alcun onere particolare (in giurisprudenza, per la libertà di forma, cfr. Cass., sez. III, 10 maggio 2005, n. 9761, secondo cui la “notificazione” – prevista dall’art. 1264 c.c. – non si identifica con gli istituti dell’ordinamento processuale e non è, pertanto, soggetta a particolari discipline o formalità, integrando un atto a forma libera);
– alcune pronunce di merito ammettono anche che allo scopo di rendere efficace la cessione nei confronti del ceduto sia sufficiente la comunicazione orale (cfr. ******. Milano, 31 ottobre 1995);
– invece altra tesi ritiene che debbano essere sempre rispettate le forme prescritte per la notifica degli atti giudiziari (cfr. Cass., 9 febbraio 1969, n. 341).
In considerazione della rilevanza della materia, il riordino normativo dovrebbe quindi meglio specificare, pur nei limiti della delega, l’onere a carico delle parti.
 
Art. 118 (Subappalto)
 
La disposizione racchiude le previsioni di molteplici disposti normativi: art. 25 della direttiva n. 2004/18/CE, art. 37 della direttiva n. 2004/17/CE, art. 18, comma 3, n. 1) della legge 55 del 1990 (richiamato dall’art. 16 del d.lgs. 24 marzo 1992, n. 358, dall’art. 18 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 e dall’art. 21 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158).
L’art. 18 della legge n. 55 del 1990 viene trasfuso nell’art. 118 del Codice, con alcune varianti lessicali: una di queste, “affidatari” in luogo di “aggiudicatari” estende la portata originaria della norma a tutti i soggetti con i quali, indipendentemente da una procedura di gara, sia stipulato un contratto per la realizzazione di lavori, per la realizzazione di servizi o per l’effettuazione di forniture. Indipendentemente dal lessico, in quanto sembra che si possa essere aggiudicatari di contratti o contraenti, ma non affidatari di contratti, la disposizione estende ad ipotesi non previste norme di prevenzione della criminalità mafiosa che sono di stretta interpretazione. Sembrerebbe pertanto più opportuno ripristinare il termine “aggiudicatari”.
 
Art. 118-bis (Attività che non costituiscono subappalto)
 
Si tratta di una previsione del tutto nuova che esclude la configurabilità di subappalto (“per le loro specificità”) per due categorie di forniture o di servizi:
a) l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi;
b) la subfornitura a catalogo di prodotti informatici.
In relazione alla lett. b), la ratio della disposizione è non facilmente decifrabile: in ogni caso, il carattere fortemente innovativo ne rende dubbia la compatibilità con i principi della legge delega.
 
Art. 122. (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia)
 
Con riferimento al comma 2, solleva forti riserve la scelta di ammettere la facoltatività dell’avviso di preinformazione, posto che lo stesso concerne “l’importo complessivo stimato” (art. 35, par. 1, direttiva n. 18 e 41, par. 1, direttiva n. 17) di tutti i contratti che l’amministrazione aggiudicatrice intende porre in essere in un dato periodo.
L’avviso, così configurato, assume una valenza programmatoria, anche per finalità di controllo sulla conformità e congruenza delle decisioni in concreto assunte, che non può ovviamente distinguere tra appalti sopra e sotto soglia. Proprio la caratteristica di strumento di informazione generale e per importi complessivi impone di non considerare facoltativo il ricorso al medesimo.
Con riferimento al comma 5 (nel fare rinvio alle osservazioni di carattere generale sull’importo che costituisce diaframma tra diverse procedure tra contratti di lavori pubblici sotto soglia), si osserva come siano state introdotte metodiche di pubblicazione che, sulla falsariga di quanto si prescrive per i contratti sopra soglia, finiscono per dare a taluni adempimenti una attitudine preclusiva, che non risponde alla logica di semplificazione. Si allude, in particolare, al termine di dodici giorni dalla trasmissione alla commissione, che sicuramente integra una vicenda di mera pubblicità notizia. L’adempimento di un onere a questi fini non può rivelarsi condizionante di adempimenti rivolti, invece, alla piena conoscenza, tra gli operatori interessati, dell’esistenza del bando.
L’intera struttura della disposizione risente della stretta analogia con le prescrizioni relative ai bandi sopra soglia e va, sotto questo profilo, opportunamente rimeditata.
Riguardo al comma 6 si rinvia, per quanto concerne i contratti che hanno ad oggetto progettazione ed esecuzione, alle osservazioni svolte in altra parte del presente parere.
Alla stregua di quanto considerato sub comma 2 dell’articolo vanno eliminate le distinzioni tra contratti per i quali sia stata data preinformazione con avviso e non.
Al comma 7 l’articolo introduce, con intento di semplificazione, una ulteriore ipotesi di trattativa privata, ricostruita con riguardo all’art. 24, comma 1, lett. a), della legge n. 109 del 1994.
Si rammenta che in una vicenda per certi versi analoga (relativa alla formulazione originaria dell’art. 17, comma 12, della legge n. 109 del 1994) fu aperta una procedura di infrazione contro l’Italia. Nella legge comunitaria 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62, art. 24) quel precetto è stato adeguatamente modificato. Va comunque tenuto presente il dichiarato sfavore dell’ordinamento comunitario per tutte le fattispecie di trattativa privata.
Con riferimento al comma 9, va rilevato che la scelta di mantenere l’esclusione automatica in esito alle operazioni di individuazione della soglia di anomalia è stata ritenuta non rispondente alla tendenza conformativa del diritto comunitario, che propende nettamente per il mantenimento di un dialogo con le imprese concorrenti così da consentire giustificazioni a corredo dell’offerta anomala.
 
Art. 123 (Procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori)
 
L’articolo (che modifica la licitazione privata semplificata in procedura ristretta semplificata) fa registrare il raddoppio dell’importo entro il quale è consentito il ricorso ad una licitazione privata semplificata e la contestuale riduzione del numero dei partecipanti unitamente ad altre modifiche non solo procedimentali.
Si tratta di modifiche che, al di fuori di quelle esclusivamente procedimentali, non sembrano coerenti coi limiti della delega legislativa.
Non si analizzano, in questa sede, i profili generali dell’interpretazione del combinato disposto degli articoli 1, 2 e 25 di quel testo, già trattati in altra parte del presente parere, ma solo quelli relativi alle denunciate modifiche.
Il problema ermeneutico concerne la conformità delle su indicate variazioni rispetto ai vigenti testi legislativi. La relazione allo schema giustifica le innovazioni in base al criterio della semplificazione previsto dall’art. 25 della legge n. 62 del 2005.
La modificazione legislativa non è, in linea di principio, estranea alle metodiche di semplificazione tutte le volte che nei principi e criteri direttivi della delega sia sufficientemente chiaro il complesso di elementi sui quali il legislatore delegato è chiamato ad intervenire. Ben diversa è la situazione, propria del caso di specie, nella quale i principi sono vaghi e generici e si appuntano esclusivamente sulla fase procedurale. La formula normativa su riportata è di quasi totale indeterminatezza, ad eccezione del riferimento al contenimento dei tempi. Postulare che “la massima flessibilità degli strumenti giuridici” sia concetto di tale chiarezza da avere una valenza legittimante in ordine a modifiche significative di norme di legge tuttora vigenti sembra contrario all’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 28 luglio 2004, n. 280), secondo il quale, quando i principi e criteri direttivi sono sostanzialmente vaghi, deve essere data una lettura "minimale", tale comunque da non consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente.
La proposta modificazione degli importi non può quindi essere condivisa.
Da ultimo si segnala che al comma 4, per un evidente errore materiale, mancano le parole “domanda per” da collocare dopo la parola “presentare”.
 
Art. 124 (Appalti di servizi e forniture sotto soglia)
 
Si ripetono, per questo articolo, le osservazioni svolte sull’art. 122 relativamente a: avviso di preinformazione (comma 2); mancata previsione del bando per le procedure negoziate (comma 6 sub d); scelta di mantenere l’esclusione automatica (comma 8).
Con riferimento al comma 7, suscita altresì qualche dubbio la scelta di affidare al regolamento l’individuazione dei requisiti di idoneità morale, capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria degli operatori economici.
I requisiti in esame devono essere, per la loro incidenza sui rapporti intrattenuti dalle pubbliche amministrazioni, previsti dalla fonte primaria in quanto individuano la qualità di soggetto idoneo ad essere parte di un contratto (anche in aderenza a una tradizione del tutto conforme, rispetto alla quale non possono invocarsi esigenze di semplificazione).
 
Art. 125 (Lavori, servizi e forniture in economia)
 
Le considerazioni generali sull’aumento degli importi vanno ricondotte principalmente, anche se non esclusivamente, all’ambito precettivo del presente articolo che legittima procedure negoziate elementari (consultazione di almeno cinque operatori economici) per lavori di importo pari o superiore a quarantamila e fino a cinquecentomila euro. Si tratta di metodica che, rispetto al valore degli importi, non ha una causa legittimante normativa e che si rivela perfino perplessa per i risvolti di utilizzo disinvolto ipotizzabile in determinate condizioni ambientali.
Ove si faccia riferimento ad enti di dimensioni limitate, l’importo ora previsto sembra in sostanza consentire un ricorso generalizzato alla trattativa privata con pochi operatori.
Più in generale, a prescindere dall’individuazione in concreto della soglia, si dubita della legittimità di un intervento normativo innovativo in tema di lavori in economia sulla base di una delega di coordinamento e semplificazione.
L’individuazione degli importi al di sotto dei quali è possibile eseguire i lavori in economia è frutto di una valutazione complessa, nella quale converge e viene esposta una serie di giudizi e conoscenze non riducibili a uno schema meramente modificativo se non per il tramite di soggetto particolarmente qualificato alla relativa decisione. La relativa determinazione è, in altre parole, frutto di una sintesi di giudizi che presuppone la volontà politica di operare nel settore (e, in ragione di tale valenza, essa è di competenza dell’organo parlamentare, salvo il caso dell’espressa delega).
Nella determinazione di quel valore, infatti, si tiene conto di elementi statistici, delle contingenze di situazioni settoriali, dello stato di evoluzione dei mercati, delle metodiche di ammodernamento che regolano certe attività tecnica, delle esigenze degli uffici pubblici, delle responsabilità conseguenti, delle condizioni ambientali relative anche solo a una parte del territorio. Si tratta, pertanto, di una valutazione necessariamente complessa e rispetto alla quale non è dato configurare una sostituzione in carenza di elementi idonei a garantire l’equivalenza del risultato sostanziale.
I servizi in economia (che nella pratica si svolgono solo attraverso il cottimo fiduciario, essendo l’ipotesi dell’amministrazione diretta del tutto residuale) costituiscono infatti uno strumento del tutto alternativo alla stipula dei contratti con terzi.
In sintesi, attraverso le procedure di economia l’amministrazione svolge direttamente (anziché appunto ricorrere a contratti) l’attività necessaria per procurarsi i mezzi necessari al raggiungimento dei propri fini.
Ne consegue che i lavori in economia – i quali sono espletati dal funzionario designato mediante strumenti di diritto comune e cioè contratti di cottimo non soggetti ad approvazione – non possono essere ricondotti all’ambito degli affidamenti sotto soglia che la legge delega consente di semplificare.
 
Art. 126. (Ambito di applicazione)
 
Va verificata in termini sistematici la congruenza del secondo comma dell’articolo in esame (v. art. 14 della legge n. 109 del 1994) con la previsione degli avvisi di preinformazione. Se questi ultimi recano traccia dell’intera programmazione per importi complessivi (comprensivi degli importi inferiori a 100.000 euro), è probabile che sia venuta meno la necessità del precetto in esame, che andrebbe, di conseguenza, obliterato.
 
Art. 127 (Consiglio superiore dei lavori pubblici)
 
Al comma 3, nell’ultima parte della disposizione, per errore materiale si individua il preposto al SIIT come provveditore anzi che come “Direttore del Settore infrastrutture e Direttore del Settore trasporti” giusta la nuova denominazione recata nel comma 3 dell’art. 9 del d.P.R. 2 luglio 2004, n. 184.
Al riguardo è opportuno valutare se non sia opportuno integrare subito la norma, prevedendo la partecipazione della rappresentanza regionale, come chiesto dalla Conferenza unificata e come previsto nel regolamento di riordino del Consiglio superiore in corso di emanazione.
 
Art. 128 (Programmazione dei lavori pubblici)
Il contenuto del presente articolo attiene ad una materia che, come indicato nella prima parte del presente parere, rientra nella competenza concorrente delle Regioni: pertanto, solo i principi fondamentali da essa desumibili costituiscono un vincolo per il legislatore regionale.
 
Art. 131 (***** di sicurezza)
 
In linea generale appare opportuno verificare con cura la coerenza della norma con i profili di sicurezza e salute nei cantieri temporanei o mobili, come definiti nel d.lgs. n. 494 del 1996, di attuazione della direttiva n. 92/57 CEE, così come modificato ed integrato dal d.lgs. n. 528 del 1999.
Con riferimento al comma 1 si suggeriscono alcune correzioni formali.
In primo luogo, dal momento che i regolamenti governativi ex art. 17, comma 1, legge n. 400 del 1988 sono “emanati” con d.P.R., appare opportuno modificare il testo attuale nel modo seguente: “Il Consiglio dei Ministri, su proposta … , approva …”.
Inoltre, sempre al comma 1, appare preferibile sostituire le parole “nei cantieri edili” con le altre “nei cantieri temporanei o mobili”, secondo la dizione utilizzata nel d.P.R. n. 222 del 2003.
Al comma 5 il riferimento ai piani di cui al comma 1 non sembra esaustivo, in quanto non ricomprende il piano di sicurezza sostitutivo ed il piano di sicurezza operativo, disciplinati al comma 2.
In effetti, nella sistematica dell’art. 31 della legge quadro (qui riprodotto) la clausola di nullità di riferisce alla mancanza dei piani di cui al comma 1-bis. Nel Codice il riferimento va fatto pertanto al comma 2.
 
Art. 133 (Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi)
 
Il comma 1 estende al caso del ritardo nella emissione dei titoli di spesa relativi al saldo la previsione degli interessi legali e moratori in favore dell’esecutore dei lavori, non contenuta nel testo originario dell’art. 26 della legge quadro, il quale fa riferimento solo al ritardato pagamento degli acconti.
La disposizione (oggi contenuta – forse ultra vires – nel regolamento) è del tutto condivisibile e si inserisce nella logica di coordinare le disposizioni vigenti nel livello normativo più adeguato che, in materia inerente ai diritti patrimoniali delle parti contraenti, è senz’altro quello della normazione primaria.
 
Art. 134 (*******)
 
Con riferimento al comma 4 appare opportuno chiarire se la “comunicazione di scioglimento” è quella con la quale la stazione appaltante comunica il formale recesso o (come sembra preferibile) quella con la quale viene “preavvisato” l’esercizio del diritto in questione.
 
Art. 138 (Provvedimenti in seguito alla risoluzione del contratto)
 
Il comma 2 (erroneamente numerato) fa riferimento all’art. 116, comma 5, che non esiste.
Il riferimento sostanziale è, in realtà, alle disposizioni dell’art. 10, comma 1-ter della legge quadro che però (nonostante la diversa indicazione contenuta nell’epigrafe dell’art. 116) sembrano riprodotte nell’art. 140, comma 1.
 
Art. 140 (Procedure di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore o risoluzione del contratto per grave inadempimento)
 
Al comma 4, il rinvio è al comma 3 (e non 4).
Art. 141 (Collaudo dei lavori pubblici)
 
Al comma 4 è utilizzato il riferimento alle “amministrazioni aggiudicatrici”, in luogo di quello onnicomprensivo alle “ stazioni appaltanti” contenuto nel regolamento.
Si tratta quindi di verificare se le disposizioni di rinvio contenute nell’art. 33, comma 2 superano effettivamente il problema dell’individuazione dei casi e modalità secondo cui le stazioni che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute alla nomina dei collaudatori secondo l’art. 141.
Per quanto riguarda l’elevazione del termine finale di collaudo, concordemente ritenuta necessaria, la soluzione più coerente col principio di semplificazione sembra quella di mantenere l’attuale termine semestrale, consentendo però al capitolato speciale di elevare tale limite fino ad un anno in ragione della complessità dell’opera da collaudare.
 
Art. 142 (Ambito di applicazione e disciplina applicabile)
 
Al comma 2 si segnala che dal punto di vista meramente letterale la formula del rinvio potrebbe essere più chiara, secondo la dizione: “Ad esse si applica l’art. 27 del presente Codice”.
Sempre in ordine al comma 2, ed in particolare al recepimento della lett. b) dell’art. 57 della direttiva n. 18 (che esclude dall’applicazione delle disposizioni in materia di concessioni ed appalti di lavori pubblici i settori “speciali”), si segnala che: a) proprio l’art. 7 della direttiva n. 17, cui fa riferimento l’art. 31 del Codice – richiamato per quanto qui interessa dal secondo comma dell’art. 142 – riguarda anche la “messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporti di vettori aerei, marittimi e fluviali” di cui non sembra esserci traccia, né nell’art. 31, né nell’art. 142 del Codice; b) l’art. 57 della direttiva n. 18 prevede poi la possibilità della sua applicazione per le concessioni di lavori pubblici rilasciate da amministrazioni pubbliche aggiudicatrici che esercitano una o più attività di cui all’art. 6 della direttiva n. 17 (Servizi postali) fintantoché lo stato si avvalga della facoltà di cui all’art. 71 della stessa direttiva n. 17 (cioè di utilizzare un termine supplementare di 35 mesi dal 31 gennaio 2006 per l’attuazione della direttiva): sembra pertanto che lo Stato italiano abbia inteso non utilizzare quest’ulteriore termine. In tal caso, la circostanza andrebbe meglio chiarita dal legislatore delegato.
 
Art. 143 (Caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici)
 
Si osserva che i primi cinque commi riproducono, secondo la relazione, il comma 2 dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994; tuttavia nella definizione dell’oggetto delle concessioni dei lavori pubblici (primo comma) è scomparso il riferimento ai “lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica” (che – invero – è invece puntualmente riportato al comma 11 dell’art. 3 del Codice). Di conseguenza o si rinvia per quanto riguarda l’oggetto della concessione di lavori pubblici alla predetta definizione già contenuta nel Codice o si riporta integralmente sul punto il testo del comma 2 dell’art. 19, al fini di non ingenerare equivoci ed incertezze.
Sul punto, però, si può ancora aggiungere che una parte della dottrina aveva segnalato l’imprecisione terminologica della formula usata dal legislatore, non potendo correttamente parlarsi di gestione di lavori, bensì di gestione dell’opera realizzata (o addirittura del servizio pubblico).
Per completezza, deve essere precisato che l’ultima parte del comma 2 dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994 risulta essere oggetto di un sostanziale rinvio all’art. 53 del Codice, commi 6, 7, 8, 11 e 12: anche in questo caso la dizione utilizzata “Si applica l’articolo 53, commi 6, 7, 8, 11, 12”, potrebbe essere riformulata per renderla armonica con la previsione del comma in cui è inserito.
Non danno luogo a rilievi i successivi commi da 8 a 11, con l’unica osservazione che – come ricordato nella relazione all’articolo in esame – il comma 10, nel riprodurre l’art. 19, comma 2-quater, della legge n. 109 del 1994 non ha più previsto la partecipazione della società di progetto alla conferenza di servizi in ragione della previsione contenuta nell’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990: tuttavia, stante la sedes materiae, si potrebbe ipotizzare quanto meno un rinvio al fine di evitare dubbi.
 
Art. 147 (Affidamento al concessionario dei lavori complementari)
 
L’articolo recepisce puntualmente l’articolo 61 della direttiva: si potrebbe solo suggerire di aggiungere per chiarezza nel testo al comma 1 “Possono essere affidati al concessionario in via diretta … ”.
 
Art. 149 (Disposizioni in materia di pubblicità applicabili agli appalti aggiudicati dai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici)
 
L’articolo recepisce l’art. 63 della direttiva n. 18 del 2004, con una necessaria serie di rinvii agli articoli 66, 142, 146 e 156 del Codice stesso (ove risultano recepiti altri articoli della direttiva richiamati nel predetto art. 63).
Coerente con la ratio di quest’ultimo appare il settimo comma dell’articolo in questione, così come segnalato nella relazione di accompagnamento.
Non appare invece chiaro, e comunque non sembra coerente con il testo, l’inciso contenuto all’inizio del terzo comma “Fermo quanto disposto dall’art. 253, comma 25”: sarebbe preferibile la collocazione nell’art. 146.
 
Art. 153 (Promotore)
 
Va osservato, con riferimento al comma 3, riguardante la programmazione, che la disposizione dovrebbe precedere, e non seguire, i commi 1 e 2, riguardanti la presentazione di proposte.
Si tenga presente che, come avviene anche nelle legislazioni regionali, appare preferibile disciplinare la programmazione prima dell’affidamento e del contratto e quindi della proposta del promotore (si veda per esempio, il disegno della legge regionale della Campania in materia, che all’art. 6 disciplina la pubblicità della programmazione e della pianificazione, all’art. 7 prevede i requisiti del promotore e all’art. 8 disciplina le proposte).
Si rileva, ancora, che il comma 1 dell’articolo, riguardante le modalità, i termini di presentazione della proposta e il suo contenuto, per esigenze di chiarezza nella scrittura della legge, potrebbe essere suddiviso in più commi (per esempio, uno riguardante le modalità formali e i termini della proposta e l’altro riguardante il suo contenuto e i suoi effetti).
A prescindere dai limiti della delega, si osserva che la fonte delle obbligazioni delle parti potrebbe essere individuata non solo nel rapporto concessorio ma anche nello statuto o per esempio nei patti parasociali, eventualmente anche di società mista.
 
Artt. 161-193 (Lavori relativi a infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi)
 
L’impianto normativo del capo IV si muove sulla falsariga del decreto legislativo 27 agosto 2002, n. 190, recante attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, e delle successive modificazioni e integrazioni, tra cui è particolarmente rilevante il d.lgs. 17 agosto 2005, n. 189, intitolato “Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 20 agosto 2002 n. 190, in materia di redazione ed approvazione dei progetti e delle varianti, nonché di risoluzione delle interferenze per le opere strategiche e di preminente interesse nazionale”.
L’intero capo IV costituisce, dunque, il contenitore nel quale sono state recepite letteralmente le disposizioni dei citati decreti legislativi, con i necessari adattamenti e collegamenti derivanti dalla immissione di questo specifico corpo normativo nel più articolato contesto del “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
La trasposizione delle norme nella articolazione del capo non ha richiesto interventi esorbitanti dai limiti della legge di delega, né alterazioni dell’impianto normativo originario. A questo riguardo, va ricordato che lo stesso decreto legislativo n. 189 del 2005 era impostato in modo trasparente e lineare, distinguendo accuratamente gli interventi integrativi (art. 1) da quelli modificativi (art. 2), questi ultimi resisi necessari anche per le pronunce della Corte costituzionale (cfr., specialmente, la sentenza 1° ottobre 2003, n. 303), che ha definitivamente risolto, almeno nei profili fondamentali, la complessa problematica delle competenze legislative nella materia dei “lavori pubblici”).
Una volta chiarito che non spetta alle Regioni la competenza esclusiva in questa materia, in relazione alla mancata inclusione di essa nell’elenco delle materie riservate allo Stato ed in quello delle materie di competenza concorrente, la Corte ha individuato nel principio della sussidiarietà (verticale), integrata da quelli di proporzionalità e adeguatezza, lo snodo dei rapporti tra Stato, Regioni e gli altri enti territoriali, con implicazioni sulle attribuzioni non solo di competenze legislative, ma anche, a quanto pare, di potestà amministrative nella logica della gestione unitaria.
In questa prospettiva, la specifica normativa trasfusa nel capo IV del Codice non incide sui rapporti Stato-Regioni né sembra incontrare serie obiezioni di carattere costituzionale relativamente a rinvii a discipline regolamentari di dettaglio (cfr. art. 180); in proposito, tuttavia, vale la pena di sottolineare, come del resto è accennato dagli stessi compilatori del Codice, che il d.lgs. n. 189 del 2005 ha disciplinato direttamente “molte materie in precedenza affidate al regolamento”.
 
Art. 193 (Obbligo di comunicazione)
 
In relazione alla partizione e al raggruppamento delle norme contenute nel capo IV, si osserva che l’ultima sezione, la quarta, intitolata “Ulteriori disposizioni”, sembra superflua in quanto include una norma (l’art. 193) che rientra a pieno titolo nella disciplina della precedente sezione sui contraenti generali, atteso che essa riguarda l’obbligo di comunicazione derivante dai contratti di appalto del contraente generale o di subappalto degli appaltatori del contraente generale.
 
Art. 194 (Interventi per lo sviluppo infrastrutturale)
 
Si tratta di una disposizione di non agevole collocazione sugli interventi per lo sviluppo infrastrutturale, originariamente ricompresa in una legge di conversione “omnibus” (legge 14 maggio 2005, n. 80), recante tra l’altro disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, oltre a deleghe al Governo per la modifica del Codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.
Salvo che non si ritenga di espungerla dal Codice, stante la peculiarità del suo contenuto, la norma in esame potrebbe trovare una migliore collocazione tra l’art. 179 e 180, con l’epigrafe “Disposizioni particolari sugli interventi per lo sviluppo infrastrutturale”.
 
Art. 196 (Disciplina speciale per gli appalti nel settore della difesa)
 
Il comma 1-bis ripropone il problema della natura di fonte del diritto (quale contratto normativo o di norma di rango regolamentare) da attribuire ai capitolati adottati con decreto del Ministero della difesa.
Resta da verificare la sussistenza della piena potestà regolamentare statale nella materia di cui trattasi.
Il comma 3 afferisce alla deroga all’art. 10 del Codice; si tratta della possibilità di nominare, in luogo di un unico responsabile, un responsabile per ogni fase singola del procedimento attuativo.
 
Artt. 197-205 (Contratti relativi ai beni culturali)
 
Gli articoli contenuti nel Capo, in sostanza, riproducono, con i dovuti adattamenti, la disciplina speciale per gli appalti pubblici relativi ai beni culturali (d.lgs. n. 30 del 2004), che costituiva una disciplina quasi integrativa del Codice sui beni culturali.
Tale disciplina si pone come derogatoria, rispetto alla disciplina generale, in una serie di punti e cioè: materia di ambito di applicazione, appalti misti, limiti all’affidamento congiunto e unitario, qualificazione, attività di progettazione, direzione lavori, progettazione, sistemi di scelta e criteri di aggiudicazione, varianti.
L’art. 2 del d.lgs. n. 30 del 2004, riguardante la sponsorizzazione, è stato estromesso, in quanto il Codice disciplina la sponsorizzazione nella parte generale dedicata ai tipi di contratti (art. 26).
Rispetto al decreto legislativo del 2004 il Capo in esame presenta alcune disposizioni “in meno”, poiché alcuni principi che erano stati per la prima volta introdotti nell’ordinamento dal suddetto decreto legislativo n. 30 del 2004 (quali il criterio di prevalenza qualitativa negli appalti misti, la possibilità di una sponsorizzazione “tecnica”, un certo ampliamento delle soglie entro le quali ammettere la trattativa privata) trovano oggi corrispondenza nelle norme generali del Codice degli appalti, donde l’inutilità di una ripetizione entro il Capo speciale dedicato agli interventi sui beni culturali. Restano, invece, le previsioni tuttora speciali (in tema di livelli di progettazione, di qualificazione delle imprese, sia pur tramite un mero rinvio all’apposito regolamento ivi previsto, le varianti etc.) che costituiscono deroghe rispetto alle corrispondenti norme generali.
Con riguardo alla materia dei lavori pubblici, in disparte ogni altra considerazione sulla discutibile e problematica individuazione dei confini tra valorizzazione e tutela (statale) dei beni culturali, non si pone il problema della invasione della competenza legislativa regionale, in quanto la “materia della tutela dei beni culturali … concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle attività fondamentali in cui la tutela si esplica” e per questo “fa parte di un ambito riservato alla legislazione esclusiva dello Stato” (sentenza n. 9 del 2004 della Corte costituzionale sulla legittimità costituzionale del d.m. n. 420 del 2001, il c.d. regolamentino di qualificazione.
La distinzione labile tra tutela e valorizzazione – già presente nel c.d. Codice Urbani – ha costretto il legislatore ad un difficile equilibrio e opportunamente la normativa speciale era stata adottata di concertazione con le Regioni e approvata dopo il parere espresso in sede di Conferenza Unificata Stato, Regioni, autonomie locali.
La disciplina riprodotta non riporta i commi 3, 4 e 5 dell’art. 1 del d.lgs. n. 30 del 2004, in quanto i rapporti tra Stato, Regioni e enti locali sono regolati in via generale dall’art. 5 del Codice.
 
Art. 206 (Norme applicabili)
 
La norma individua le disposizioni del Codice applicabili anche ai settori “speciali” (già settori c.d. “esclusi”), di cui alla direttiva n. 17, attraverso un duplice rinvio, alle disposizioni del Codice di carattere generale applicabili, nonché alle disposizioni della Parte II, relativa ai settori ordinari, che si ritengono applicabili anche ai settori speciali.
La tecnica redazionale in tal modo adottata appare meritevole di apprezzamento, tuttavia essa necessita di un’accurata verifica, per evitare che previsioni normative comuni ai due settori vengano espunte da quello in argomento.
Ad esempio, nel comma 1 si richiama, quale norma di derivazione non comunitaria, l’art. 55 della Parte II, relativo alle tipologie, presupposti e caratteristiche dei procedimenti di aggiudicazione (aperti o ristretti). Di tale norma l’articolo in esame richiama solo i commi 3, 4, 5 e 6 e non anche il comma 1, il quale impone alle amministrazioni aggiudicatrici di indicare la tipologia procedimentale prescelta sin dalla delibera di contrattare. Tale esclusione non appare spiegabile quanto meno sul piano sistematico, tenuto conto che il precetto di provvedere alla predetta indicazione è già contenuto in via generale nell’art. 11, comma 2 del Codice, che impone, appunto, di individuare “i criteri di selezione degli operatori economici” nella determinazione di contrattare. Non appare pertanto chiaro il motivo di tale mancato richiamo al comma 1 dell’art. 55.
Per converso, appare opportuno verificare l’esattezza di un richiamo generico alla Parte I, e quindi anche alle definizioni dell’art. 3, che per gli appalti pubblici di servizi fa riferimento all’Allegato II del Codice, il quale non corrisponde all’elencazione dell’allegato XVII della direttiva n. 17.
Il secondo comma dell’articolo consente all’ente aggiudicatore di applicare ulteriori disposizioni della Parte II, relativa ai settori ordinari, indicandole nelle comunicazioni preliminari alla gara.
La riportata disposizione, in primo luogo, sembrerebbe contrastare con l’apparente tassatività dell’esclusione delle disposizioni della parte II ai settori speciali, contenuta nel comma 1 dell’art. 31 del Codice. In secondo luogo, essa appare in contrasto con la specialità dei settori in questione, connessa alle esigenze di semplificazione e di modernizzazione negli stessi settori, formulate sia dagli enti aggiudicatori sia dagli operatori economici nel contesto delle risposte al Libro verde adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996 ed espressamente indicate nel primo considerando della direttiva n. 17 quale ragione della sua emanazione. Ora, affidare ai singoli enti aggiudicatori la potestà – almeno apparentemente incondizionata – di vanificare quelle ragioni di specialità, pone seri dubbi di conformità alla direttiva stessa.
Ove si ritenga, tuttavia, di mantenere la predetta deroga al principio, dichiarato nello stesso Codice, di non applicazione generalizzata delle disposizioni della parte II a seguito delle determinazioni discrezionali dell’amministrazione interessata, sarebbe doveroso, quanto meno, richiamare il rispetto del contrapposto principio di proporzionalità, in relazione alla natura, complessità e importanza dell’appalto, con conseguente onere di congrua motivazione della scelta compiuta nei singoli casi concreti.
 
Art. 207 (Enti aggiudicatori)
 
Le lettere a) e b) del comma 1 sembrano pleonastiche, essendo sufficiente, per evidenti ragioni di snellimento e non duplicazione, il richiamo alle identiche definizioni dell’art. 3, comma 29, del Codice.
Si segnala che la relazione all’articolo in esame parla, con riguardo agli “elenchi” degli enti aggiudicatori già previsti dall’art. 10 del d.lgs. n. 158/1995, di un comma 4 che non esiste. L’art. 207, infatti, consta di soli due commi.
 
Art. 210 (Servizi di trasporto)
 
Sempre per motivi di correttezza del linguaggio, al comma 1 appare opportuno fare precedere l’avverbio di mezzo “mediante” dall’avverbio disgiuntivo “ovvero”. Analoghe considerazioni possono valere per il termine comunitario di “condizioni”, rispetto al quale appare più corretto il termine “prescrizioni”. Infatti, di “prescrizioni” parla, appunto, l’art. 5 del d.lgs. n. 158/1995. Sembrerebbe più corretto, pertanto, dire “se il servizio viene fornito secondo le prescrizioni … come ad esempio quelle …”.
Il mancato richiamo alle esclusioni contenute nel par. 2 dell’art. 5 della direttiva n. 17, che la relazione giustifica con il fatto che la predetta esclusione già è contenuta nell’art. 23 del Codice, appare perfettibile con l’esplicitazione iniziale, al comma 1, di tale riferimento del tipo “Ferme restando le esclusioni di cui all’art. 23 …”.
 
Art. 211 (Servizi postali)
 
In disparte il rilievo circa una scarsa coerenza interna del linguaggio usato nel comma 1 rispetto alle forme usate negli articoli precedenti (sembra infatti preferibile la formula “Le norme della presente parte si applicano alle attività …”), non appare chiaro il riferimento “esclusivo”, per i servizi postali ed attività connesse, alla sola Parte III: riferimento che sembra contraddire al richiamo ben più ampio contenuto nell’art. 206.
Occorre inoltre rivedere il comma 3, il quale, per come è attualmente formulato, sembra dire esattamente il contrario del disposto dell’art. 5, lett. c), ultimo capoverso, della direttiva n. 17.
 
Art. 213 (Porti ed aeroporti)
 
Sostituire, anche a fini di coerenza terminologica interna, le parole “Parte III” con le parole “presente Parte”. La presente osservazione vale per tutti gli altri articoli e pertanto essa non sarà più ripetuta.
 
Art. 214 (Appalti che riguardano più settori)
 
La norma disciplina l’ipotesi di appalti ad oggetto complesso, riguardante più settori, applicando, in analogia alla teoria civilistica dell’assorbimento, il principio della prevalenza della fonte normativa secondo il criterio dell’attività principale, come dispone l’art. 9 della direttiva n. 17.
Valuti, al riguardo, l’Amministrazione l’opportunità di specificare il concetto di “attività principale”, eventualmente ricorrendo alle indicazioni esemplificative fornite nel 29° considerando della stessa direttiva, che fa riferimento, come indici rivelatori, agli importi ed alle voci dei capitolati d’oneri.
Al comma 4 appare pleonastico (e perciò da cancellare) il puntuale riferimento all’art. 206, in quanto già assorbito al richiamo alle disposizioni dell’intera Parte III.
 
Art. 215 (Importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria nei settori speciali)
 
Il richiamo puntuale alle singole norme relative alle esclusioni di cui alla Parte I sembrerebbe pleonastico (e quindi da cancellare) alla luce del più generale richiamo alla stessa Parte I contenuto nell’art. 206.
Sarebbe opportuno chiarire cosa si intenda con la formula, di integrale trascrizione della lettera dell’art. 16 della direttiva n. 17, “concernente l’esercizio dell’attività in questione”: formula che, in quanto riferita alle previsioni dell’art. 219, sembrerebbe del tutto inutile e perciò da sopprimere.
 
Art. 216 (Concessioni di lavori e di servizi)
 
Nell’attuale formulazione la norma si presta ad equivoci, sembrando contemplare, oltre che le disposizioni della presente Parte III, anche quelle dell’art. 30 del Codice.
Sembra quindi preferibile una riformulazione del seguente tenore: ”Ferme restando le disposizioni dell’art. 30 in tema di concessioni di servizi, la presente Parte non si applica alle concessioni di lavori e servizi …”.
 
Art. 218 (******* aggiudicati ad un impresa comune o ad un’impresa collegata)
 
La norma recepisce le disposizioni dell’art. 23 della direttiva n. 17, la quale esclude dalla propria applicazione gli appalti di lavori servizi e forniture aggiudicati (meglio sarebbe dire “stipulati”) all’interno di una relazione strutturale di collegamento, instaurata ai sensi del d.lgs. n. 127 del 1991 (attuativo delle norme comunitarie richiamate nel par. 1 dell’art. 23 citato) ovvero all’interno di una “joint-venture”, come la qualifica espressamente la stessa direttiva.
In primo luogo, sembra opportuno limitare l’esclusione alle disposizioni della ”presente Parte” e non a quelle dell’intero “presente decreto” o “Codice”.
Relativamente al comma 4, innanzitutto appare opportuno inserire dopo le parole “non si applica” la parola “inoltre”. Quanto alla dizione comunitaria di joint-venture, si rileva che essa è stata sostituita con quella di “associazione, consorzio o impresa comune”, riprendendosi la formula dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 158/1995. Nonostante le spiegazioni fornite dall’Amministrazione nella sua relazione, ritiene la Sezione opportuno un più appropriato adeguamento terminologico, tenuto conto che le formule utilizzate nell’articolo in esame non sembrano del tutto coerenti con la nozione comunitaria. Possono soccorrere, al riguardo, le acquisizioni della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che la figura, di origine anglosassone, delle "joint venture" e – fra l’altro e più in particolare – quelle delle "joint venture corporations", serve ad individuare anche nel nostro ordinamento (per distinguerle da altre forme di associazione, come quella in partecipazione) forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica rispetto ai "conventerers", alla quale affidare la conduzione dell’iniziativa congiunta (cfr. Cass., sez. III, n. 6757 del 17 maggio 2001; cfr. anche n. 6610 dell’11 giugno 1991).
In sostanza, la nozione di joint-venture sembrerebbe presupporre la costituzione e l’esistenza di una vera e propria struttura societaria, anziché di una mera associazione in partecipazione, o associazione temporanea o cointeressenza di natura consortile, in quanto solo la prima postula l’assunzione istituzionale in comune della responsabilità e dei rischi dell’impresa. In estrema sintesi, dovrebbe essere adeguatamente valutato il rischio, attraverso una nozione potenzialmente impropria di joint-venture, di una previsione contrastante, per ampiezza, con le prescrizioni comunitarie.
 
Art. 219 (Procedura per stabilire se una determinata attività è direttamente esposta alla concorrenza)
 
La norma ricorre all’uso frequente della forma impersonale che, sebbene già usata nella norma comunitaria, pone problemi interpretativi ed applicativi.
Quando si dice, ad esempio che per determinare se un’attività è direttamente esposta alla concorrenza, “si ricorre” a criteri conformi alle disposizioni del trattato, ovvero che, se non è possibile presumere il libero accesso a un mercato, “si deve dimostrare” che l’accesso al mercato in questione è libero di fatto e di diritto, sarebbe assai più opportuno, ai fini di una corretta ed utile tecnica redazionale, esplicitare il soggetto dell’azione e l’eventuale complemento. L’osservazione non appaia formalistica, poiché, proprio ai fini della comprensione del procedimento, occorre sapere se sia l’ente aggiudicatore a dover dimostrare all’Autorità, o al Ministero, o ad entrambi, ovvero se sia solo il Ministero a dover dimostrare alla commissione (ma sulla base di quali canali di informazione?) l’esistenza di una situazione concorrenziale di fatto e di diritto.
Sarebbe altresì necessario chiarire meglio la dizione comunitaria, ripresa nel comma 4, “ove del caso unitamente alla posizione assunta da una amministrazione nazionale indipendente competente nella attività di cui trattasi”. Appare preferibile dire che il Ministero comunica alla commissione tutti i fatti …”nonché le eventuali determinazioni assunte al riguardo dalle Autorità indipendenti”.
Anche il comma 8 merita un chiarimento in ordine al fatto che il decreto ministeriale debba rendere pubbliche nell’ordinamento interno le decisioni della commissione elencando le relative attività escluse. In altri termini occorre sapere se ad ogni decisone della commissione consegua, di volta in volta, l’indicazione ministeriale. Dovrebbe essere altresì prevista la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale a fini di adeguata pubblicità.
 
Art. 220 (Procedure aperte, ristrette e negoziate previo avviso di gara)
 
Dopo l’avverbio “ovvero” sostituire l’articolo “il” con “mediante”.
 
Art. 221 (Procedura negoziata senza indizione di gara)
La lett. a) del comma 1 non appare chiara, forse perché dopo la parola “modificate” andrebbe un punto e virgola.
Alla lett. d), ultimo rigo, non si capisce a che sia riferito l’aggettivo “originarie”, anche se la formula è ripresa totalmente dalla disposizione comunitaria.
Alla lett. e), in fondo, la parola “Ente” va scritta in minuscolo.
Alla lett. k) non si comprende cosa siano i “servizi in questione”. La parola “Amministrazione” va scritta in minuscolo.
 
Art. 222 (Accordi quadro nei settori speciali)
 
La norma, relativa all’accordo quadro, meriterebbe di essere rivista per le seguenti considerazioni.
Non è ritrascritto, seppure con gli eventuali aggiustamenti, l’art. 14 della direttiva n. 17, pure richiamato nella rubrica, ma solo l’art. 16 del decreto n. 158/1995, che, si dice nella relazione, non risulta modificato dalla direttiva. In realtà le differenze tra i due testi, comunitario ed interno, appaiono significative quanto a presupposti, modalità ed effetti dell’accordo quadro e ciò impone di rivalutare la questione.
Si dà di nuovo una definizione che già è contenuta nell’art. 3 ed in parte diversa da essa.
Per le soglie si fa riferimento all’art. 28 del Codice, anziché all’art. 215, che sembra la sede più appropriata.
 
Art. 223 (Avvisi periodici indicativi ed avvisi sull’esistenza di un sistema di qualificazione)
 
Occorre valutare se la data del 31 dicembre sia coerente con i tempi di approvazione delle leggi e dei documenti finanziari e contabili, sulla base dei quali possono fondatamente farsi previsioni di spesa. Dopo “comma 35” aggiungere “i dati seguenti”.
Alla lett. a), non si comprende perché ed in base a quali competenze le modalità “dei riferimenti” alle voci della nomenclatura CPV (questa espressione sembra più corretta rispetto a “di riferimento”) debbano essere affidate al Ministero dell’economia e delle finanze e non, ad esempio, all’Autorità o al Ministro delle politiche comunitarie.
 
Art. 225 (Avvisi relativi agli appalti aggiudicati)
 
Al comma 3 togliere le parole “al più tardi”.
 
Art. 226 (Inviti a presentare offerte o a negoziare)
 
Al comma 1, lett. a), dopo “complementari” aggiungere il punto e virgola e togliere “oppure”, secondo i criteri redazionali dell’ordinamento italiano già ricordati.
Al comma 2, poiché la disposizione si riferisce all’ipotesi in cui la documentazione complementare si trovi presso altre amministrazioni o “ente diverso”, sarebbe meglio sostituire la parola “servizio” o “servizi” (che sembrerebbe riferirsi a strutture della stessa amministrazione aggiudicatrice) con “ente”. Dopo le parole “pagamento della somma” aggiungere l’avverbio “eventualmente”. Analogamente alla lett. g) del comma 6.
 
Art. 227 (Termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte)
 
Al comma 2 si dispone che nelle procedure aperte il termine minimo per la ricezione delle offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “dell’avviso di gara”. Al riguardo si osserva che l’omologa disposizione dell’art. 45 della direttiva n. 17 prevede e dispone che il termine minimo per la ricezione delle offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “del bando di gara”. Analogamente dispone, con riferimento al “bando”, l’art. 17 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158, relativo anch’esso ai termini per la presentazione delle domande e delle offerte. Del bando di gara, ai fini della determinazione dei termini dilatori per la partecipazione alla gara, tratta anche la disciplina sui lavori pubblici (art. 79 del d.P.R. n. 554 del 1999).
Ora, anche se l’avviso di gara soddisfa, al pari del bando, ad un’esigenza di pubblicità della gara specificando i requisiti di idoneità delle potenziali contraenti che sono richiesti per la partecipazione alla gara e gli altri elementi essenziali della procedura (cfr. artt. 63-65 del regolamento di contabilità di Stato di cui al r.d. n. 827 del 1924) sarebbe opportuno mantenere il riferimento al “bando”.
Al comma 3, lett. a), primo rigo, togliere “a” prima di “ai”. Sostituire “inviato alla pubblicazione” con “pubblicato”. Alle lett. a) e c), se i termini indicati sono termini minimi, suscettibili di innalzamento in relazione alla complessità dell’appalto, ai sensi del comma 1, sarebbe corretto togliere “di regola” prima dell’indicazione dei predetti termini; ciò al fine di non ingenerare confusioni e sovrapposizioni rispetto alla previsione generale del comma 1. Sempre con riferimento alla lett. c), valuti l’Amministrazione se aggiungere dopo le parole “data dell’invito” l’aggettivo “ulteriore” o “successivo”, apparendo evidente che l’amministrazione, ove ritenga di sperimentare la strada del termine negoziato, non indichi subito nell’invito iniziale la data di scadenza per la presentazione delle domande ai sensi dell’art. 226.
Al comma 4, sostituire “contiene” con “contenga”.
Al comma 6, sostituire “sito Internet” con ”profilo di committente”, per rispetto e coerenza con la definizione dell’art. 3.
Al comma 9, dopo “articoli 71 e 226” aggiungere “comma 6”. Dopo le parole “sono prorogati” sostituire “di conseguenza” con “in proporzione”, sottintendendosi, evidentemente “al ritardo nella trasmissione o al tempo necessario per le visite o le consultazioni”.
Al comma 10, merita una più appropriata formulazione del tipo:”L’allegato XIX contiene la tabella riepilogativa …”.
 
Art. 228 (Informazioni a coloro che hanno chiesto una qualificazione)
 
Al comma 1, sostituire il verbo servile “devono informare” con l’indicativo “informano”. Il secondo periodo dello stesso comma meriterebbe una migliore formulazione del tipo:”Se la decisione sulla domanda di qualificazione richiede più di sei mesi dalla sua presentazione, l’ente aggiudicatore …”.
Al comma 3, dopo le parole iniziali “Gli enti” sembra più snello usare la formula sintetica “di cui al comma 1”. Sempre con riferimento al comma 3, laddove si prevede il potere di esclusione dal sistema di qualificazione, l’ultimo periodo secondo cui “L’intenzione di disporre l’esclusione è preventivamente notificata …” si deve sostituire, in prosecuzione con il primo periodo, con l’espressione, più sintetica ma anche più significativa sul piano della tutela del singolo “nel rispetto dei principi e del procedimento di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni”.
 
Art. 229 (Informazioni da conservare sugli appalti aggiudicati)
 
Sembra opportuno sostituire la formula della direttiva comunitaria con la seguente, che appare maggiormente coerente con gli istituti giuridici del nostro ordinamento: ”Gli enti aggiudicatori, avvalendosi anche delle disposizioni di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 per le procedure espletate in tutto o in parte con strumenti elettronici conservano le informazioni, relative ad ogni appalto, idonee a rendere note le motivazioni delle determinazioni inerenti …” .
Il riferimento al nuovo Codice dell’amministrazione digitale, di cui al citato decreto n. 82 del 2005 appare utile ed anzi necessario, tenuto conto, in particolare, che ai sensi dell’art. 43 (norma che si ritiene applicabile anche agli enti aggiudicatori ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto), concernente la riproduzione e la conservazione documentali, i documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione sia effettuata in modo da garantire la conformità dei documenti agli originali e la loro conservazione nel tempo.
Il comma 2 va, in conseguenza, soppresso.
Al comma 3 aggiungere, alla fine, “, ed a chiunque ne abbia diritto”.
 
Art. 230 (Disposizioni generali)
 
La norma (ripresa dall’art. 51 della direttiva n. 17), nel dettare disposizioni generali per la selezione qualitativa degli offerenti, tra enti aggiudicatori che, rispettivamente, sono o non sono amministrazioni aggiudicatrici, solo per i secondi prevede un terzo sistema di selezione (o di determinazione dei requisiti di partecipazione), che è quello di cui al successivo art. 233, che a sua volta ha recepito l’art. 54 della direttiva. Quest’ultima norma, dal canto suo, non sembra escludere le “amministrazioni giudicatrici” dalla possibilità di procedere ad un terzo sistema di selezione dei partecipanti, limitandosi soltanto ad una disposizione speciale che è quella del secondo comma del par. 4.
Non sembra, pertanto (anche in mancanza di indicazioni, sul punto, da parte della relazione) che una siffatta distinzione trovi conforto nella normativa comunitaria.
 
Art. 231 (Mutuo riconoscimento delle condizioni amministrative, tecniche e finanziarie nonché dei certificati, dei collaudi e delle documentazioni)
 
La norma pur se ripete la stessa espressione della rubrica della norma comunitaria (art. 52 direttiva n. 17), appare fuorviante, sembrando trattare della materia dell’equivalenza dei titoli, mentre essa impone e disciplina il principio comunitario di non discriminazione e quello interno di imparzialità e non aggravamento del procedimento selettivo. Sembrerebbe, pertanto, opportuno, riformulare la rubrica nel modo seguente: “Principio di imparzialità e non aggravamento nei procedimenti di selezione e qualificazione”.
 
Art. 232 (Sistemi di qualificazione e conseguenti procedure selettive)
 
In via generale va osservato che l’articolo si presenta con una inutile e fuorviante moltiplicazione di commi che andrebbero drasticamente accorpati e razionalizzati, evitando pleonasmi e ripetizioni.
In ogni caso, il comma 3 meriterebbe una migliore formulazione del tipo: ”Gli enti aggiudicatori predispongono criteri e norme oggettive di qualificazione e provvedono, ove opportuno, al loro aggiornamento”.
Al comma 9, sembra opportuno sostituire la forma impersonale “viene redatto” con quella personale “L’ente gestore redige”.
Al comma 12, sostituire “devono essere” con “sono”.
Al comma 14, il riferimento allo stesso coma 14 è errato. Probabilmente il riferimento esatto è quello al comma 13.
 
Art. 234 (Offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi)
 
Il comma 1, che pure riproduce il par. 1 dell’art. 58 della direttiva n. 17, meriterebbe una migliore riformulazione del tipo: “Le offerte contenenti prodotti originari … di tali Paesi terzi, sono disciplinate dalle disposizioni seguenti, salvi gli obblighi …”.
Al comma 4, togliere all’inizio “Tuttavia”, apparendo non necessario iniziare un periodo con una congiunzione avversativa. Inoltre, il riferimento al comma 1 appare errato, trattandosi verosimilmente del comma 2.
Al comma 5, il riferimento al comma 1 è errato, poiché quel comma non prevede né disciplina alcuna “decisione del Consiglio”.
Al comma 6, il riferimento al comma 4 è errato, trattandosi del comma 5.
 
Art. 236 (Norme in materia di pubblicità e di trasparenza)
 
Al comma 2, sostituire “organizzato” con “espletato”. Il secondo periodo (“Tale avviso … fissati.”) va sostituito con: ”La predetta comunicazione è trasmessa alla commissione entro due mesi dalla conclusione del procedimento, nei modi dalla stessa fissati”.
 
Art. 237 (Norma di rinvio)
 
Al comma 1 sostituire “Nell’organizzazione …” con “Nei concorsi di progettazione si applicano le disposizioni del Capo III della presente parte, nonché quelle degli artt. …”.
Conseguentemente, va abolito il comma 2.
 
Art. 239 (Transazione)
 
La relazione illustrativa riferisce che, con tali disposizioni, si crea uno strumento agile, alternativo e facoltativo rispetto all’accordo bonario, codificando i principi di diritto vivente in tema di transazione. Si tratta di norma di chiusura, che consente di transigere le liti senza formalità, salva la necessità del parere legale dell’organo competente, per quelle di maggiore importo.
Al riguardo, se è vero che, in via generale, non è precluso alla pubblica amministrazione stipulare contratti di transazione è anche vero che, proprio perché tali contratti possono avere riflessi sulla finanza pubblica, l’ordinamento pubblicistico ha tradizionalmente circondato la relativa conclusione di particolari cautele.
Come è noto, infatti, nel caso delle transazioni poste in essere dalle amministrazioni statali occorre il parere dell’Avvocatura dello Stato (e, in taluni casi, occorreva anche il parere del Consiglio di Stato).
Al fine di garantire una attenzione e ponderazione adeguata su tali contratti, appare pertanto opportuno che la relativa competenza appartenga all’organo amministrativo di vertice della struttura – e non al semplice responsabile del procedimento – in coerenza con le competenze proprie dei dirigenti delineate dal d.lgs. n. 165 del 2001.
Inoltre, tale contratto dovrà assumere forma scritta a pena di nullità in quanto, sulla regola generale di cui all’art. 1967 Cod. civ. (che richiede, per tale tipo di contratto, la forma solo ad probationem), deve prevalere il principio secondo il quale i contratti della Pubblica amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam.
Del resto, ai sensi del comma 18 del successivo art. 240, l’accordo bonario ha natura di transazione. E non si spiegherebbe il complesso iter procedimentale ivi previsto, se non con l’intento di giungere ad un ponderato apprezzamento dei rispettivi interessi in gioco.
Più in generale, va segnalato che l’istituto della transazione nell’ampia possibilità di utilizzo prevista dalla norma in esame (cfr. comma 1: ”… le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione nel rispetto del Codice civile”) appare destinato ad erodere spazi di utilizzazione all’istituto dell’accordo bonario che, però, è munito di ben più ampie garanzie procedimentali.
 
Art. 240 (Accordo bonario)
 
La relazione illustrativa riferisce che, con tale articolo, vengono recepite le norme vigenti in tema di accordo bonario, aggiungendo alcune disposizioni razionalizzatici, necessarie in quanto la legge n. 166 del 2002 aveva novellato l’art. 31-bis della legge n. 109 del 1994, ma il d.P.R. n. 554 del 1999 non era stato adeguato alle modifiche legislative. All’ultimo comma la disciplina viene estesa, nei limiti della compatibilità, ai servizi e alle forniture.
In merito, fermo restando quanto esposto sub art. 239, si osserva che la normativa oggi vigente (art. 31-bis, comma 1, terzo periodo della legge n. 109 del 1994, nel testo conseguente all’art. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166) non prevede più che la relazione del direttore dei lavori abbia natura riservata.
Con il testo attualmente all’esame (art. 140, commi 3 e commi 5 del Codice) si intende pertanto tornare alla precedente formulazione – che, appunto, prevedeva il carattere riservato della relazione – senza che la relazione espliciti le ragioni di tale modifica.
Occorre, pertanto, un approfondimento dell’Amministrazione sul punto, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in materia, al fine di individuare quale degli interessi in gioco debba considerarsi prevalente e offrire agli operatori elementi di certezza.
Con riferimento al medesimo articolo, si segnalano peraltro positivamente alcuni significativi chiarimenti rispetto al testo precedente quali: il limite alla reiterazione della riserve, che devono essere ulteriori e diverse rispetto a quelle già esaminate (comma 2); il tipo di competenza che si richiede per i commissari e l’eliminazione dell’accettazione congiunta da parte dei commissari medesimi (comma 8); la maggiore chiarezza della disposizione relativa ai compensi (comma 10); l’individuazione del dies a quo per la pronuncia degli interessati sulla proposta (comma 12).
 
Art. 241 (Arbitrato)
 
Va richiamata l’attenzione dell’Amministrazione sulla necessità di coordinare tali disposizioni con quelle che sono state approvate, in via definitiva, dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2005 in tema di modifiche al Codice di procedura civile in materia di processo di Cassazione, nonché di razionalizzazione della disciplina dell’istituto dell’arbitrato.
 
Art. 243 (Ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale)
 
Valuti l’Amministrazione se riprodurre l’art. 10, comma 3, del d.m. n. 398 del 2000, limitatamente alla sola parte in cui stabiliva che l’ordinanza di liquidazione della camera arbitrale costituisce titolo esecutivo.
 
Art. 244 (Giurisdizione)
 
L’Amministrazione riferisce che, con tale articolo, vengono riprodotti l’art. 6, comma 1, legge n. 205 del 2000 e l’art. 4, comma 7, della legge n. 109 del 1994.
La Sezione è dell’avviso che, a prescindere dalla fondatezza sistemica della tesi sostenuta dall’Amministrazione, la innovazione proposta, attiene all’ambito degli istituti e delle procedure di natura giurisdizionale ed è quindi fuori delega. La norma deve essere quindi eliminata.
 
Art. 245 (Strumenti di tutela)
 
L’articolo in esame – secondo la relazione – opera una ricognizione degli strumenti di tutela messi a disposizione dell’ordinamento.
I primi due commi, di carattere meramente ricognitivo di norme generali in materia di giurisdizione, potrebbero essere eliminati. Particolare attenzione meritano invece i commi 3 e seguenti, che riguardano la c.d. tutela cautelare ante causa.
La sua introduzione si rende necessaria nel processo amministrativo relativo ai pubblici appalti a seguito di una procedura di infrazione a carico del nostro Paese, aperta sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia (v., da ultimo, l’ordinanza 29 aprile 2004, nella causa C-202/03, relativa all’ordinamento italiano), con cui la Corte ha ribadito l’esigenza di tale forma di tutela cautelare).
Secondo il condivisibile assunto dell’Amministrazione, la delega legislativa consente di introdurre la tutela cautelare ante causam nel processo relativo ai pubblici appalti, in quanto si tratta di recepire le direttive nn. 2004/17 e 2004/18: infatti, sia la prima direttiva che la seconda, rispettivamente agli articoli 72 e 81, impongono agli Stati membri di assicurare l’applicazione delle stesse con meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti, in conformità alle c.d. “direttive ricorsi”.
La disciplina proposta, oltre che costituire un agile strumento a tutela dei concorrenti pretermessi dalla gara, ha anche una funzione latamente deflattiva del contenzioso, in quanto istituisce una sorta di primo filtro, utile a scoraggiare appelli alla giustizia con finalità meramente dilatoria.
Sussiste peraltro il problema della possibile disparità di trattamento che le disposizioni in esame potrebbero ingenerare. Prevedere la tutela cautelare ante causam solo nel settore dei pubblici appalti – pur nella peculiarità degli interessi coinvolti – potrebbe non superare il vaglio di costituzionalità per disparità di trattamento allorché si evidenzi che, anche in altre materie, si è in presenza della medesima situazione giuridica soggettiva tutelata nella materia degli appalti. Tuttavia, la portata della delega non consente tale pur auspicabile estensione della tutela anche a settori diversi da quelli in esame. Valuterà pertanto l’Amministrazione se non sia il caso di assumere una specifica ed urgente iniziativa legislativa diretta a prevedere la tutela cautelare per la generalità dei casi di giurisdizione amministrativa.
Sui singoli commi, si rileva che il punto centrale del nuovo istituto è contenuto nel comma 5 che prevede che il provvedimento negativo non sia impugnabile e quindi disciplina l’efficacia del provvedimento e la sua durata. La disposizione va comunque meglio coordinata ed integrata con la vigente disciplina della tutela cautelare, e in particolare con la tradizionale fase cautelare collegiale.
Si suggerisce pertanto di sopprimere il comma 5 e di sostituire il comma 6 con i seguenti due commi:
“5. L’efficacia del provvedimento di accoglimento può essere subordinata alla prestazione di una adeguata cauzione per i danni alle parti e ai terzi. Esso è notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni. Il provvedimento di accoglimento è efficace per un periodo non superiore a sessanta giorni dall’emissione e comunque non oltre la pronuncia del collegio cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile a seguito della proposizione del ricorso.
6. Il provvedimento presidenziale non è appellabile, ma è sempre revocabile o modificabile dal presidente su istanza o reclamo di ogni interessato”.
Si osserva, inoltre, che il comma 3 prevede che: ”In ogni caso di eccezionale gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all’art. 21, comma 9, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, …”.
Il comma 9 dell’art. 21 della legge n. 1034/1971, a seguito delle modifiche della legge n. 205/2000, prevede invece che “Prima della trattazione della domanda cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio …;
Appare evidente, al riguardo, che occorre uniformare da un punto di vista lessicale le due previsioni, al fine di evitare difficoltà interpretative ed applicative, e pertanto rendere identici i presupposti di fatto per l’esercizio del potere cautelare ante causam e in corso di causa. Né la diversa sfumatura delle due aggettivazioni – pur esistente – appare giustificata dalla diversità della tipologia di intervento cautelare.
Il comma 4 prevede che l’istanza, previamente notificata, si proponga al presidente del tribunale amministrativo regionale competente per il merito. Il presidente, o il giudice da lui delegato, provvede sull’istanza, sentite, ove possibile, le parti, e omessa ogni altra formalità.
Al riguardo, al fine di evitare possibili elusioni della normativa in materia di competenza del tribunale – tema che, come è noto, recentemente è stato al centro dell’attenzione della giurisprudenza, della dottrina e dello stesso legislatore – si suggerisce di inserire, nel comma 4, alla fine, il seguente periodo: “Le questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d’ufficio”.
 
Art. 248 ((Revisione periodica delle soglie e degli elenchi degli organismi di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori – Modifiche degli allegati)
 
Al comma 1 è stato scritto “intesa” in luogo di “concerto”.
 
Art. 252 (Norme di coordinamento)
 
Al comma 1, occorre chiarire meglio il senso della disposizione, eventualmente inserendone il contenuto nell’art. 33 ed esplicitando in termini tecnicamente corretti le disposizioni (“in tema di CONSIP”) che si intendono richiamare.
Al comma 1-bis, appare tecnicamente non corretto porre una norma di interpretazione autentica nello stesso testo normativo che reca la norma interpretata. Occorre quindi riprodurre il richiamato art. 92, comma 5, nel testo risultante dalle due disposizioni. A tutto concedere, la riproduzione della norma di interpretazione autentica potrebbe essere utile ad evitare incertezze circa le situazioni verificatesi in vigenza delle norme di cui alla legge n. 109 del 1994 e prima della norma che ne forniva l’interpretazione autentica.
Il comma 2 reca una norma di copertura finanziaria, e, in quanto tale, non qualificabile come norma di coordinamento: andrebbe quindi collocata altrove, eventualmente in articolo a sé stante; si potrebbe anche integrare la rubrica: (“Norme di coordinamento e di copertura finanziaria”).
Quanto al comma 3, è dubbia la conformità alla delega, in quanto si riferisce ad attribuzioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici; la norma non appare inoltre utile a fronte del contenuto dell’art. 127 ivi richiamato. Valuti l’Amministrazione l’opportunità di inserire il contenuto del comma in esame nel regolamento di organizzazione del predetto Consiglio superiore di prossima emanazione.
Il comma 4 contiene una disposizione che riguarda le casse edili e che riproduce l’art. 37 della legge n. 109 del 1994, così come modificato dall’art. 9, commi 76 e 77, della legge n. 415 del 1998. Va in ogni caso espunto il riferimento a situazioni destinate a verificarsi in epoche ormai trascorse (sette mesi dall’entrata in vigore della predetta legge n. 415) e, come, tali, non ripetibili con riferimento al passato. La sola disposizione che può conservare significato attuale è quella contenuta nell’ultimo periodo, che esclude legittimazione delle casse edili che non applichino la reciprocità a rilasciare dichiarazioni liberatorie di regolarità contributiva.
Il contenuto del comma 6-bis va coordinato con il Codice dell’amministrazione digitale e con le relative modifiche attualmente in corso di emanazione.
 
Art. 253 (Norme transitorie)
 
Non si ritiene giustificata la proroga di un anno del termine di scadenza dei componenti dell’Autorità, introdotta dal comma 5, senza alcuna spiegazione nella relazione ed in assenza di modifiche dell’ordinaria durata della carica dei componenti, che resta fissata in cinque anni.
Il comma 9 contiene una disposizione che applica quanto stabilito in via generale dal precedente comma 3: valuti l’Amministrazione l’opportunità di espungerla in ragione del contenuto meramente ripetitivo. Eguale osservazione vale anche per i successivi commi 13 e 22.
Al comma 10 vanno soppresse le parole “dei contratti pubblici”.
Al comma 13 va soppresso il riferimento al d.P.C.M. n. 116 del 1997, abrogato.
Al comma 20-bis occorre specificare, almeno per richiamo ad altre norme o per categorie, l’ambito dei “soggetti” che possono essere scelti nel rispetto dei principi ivi indicati.
Nel comma 26, il richiamo all’art. 80 del d.P.R. n. 554 del 1999 necessita di specificazione in quanto la norma richiamata prevede diverse forme di pubblicità, e non risulta chiaro quale sia quella applicabile agli interventi programmati e realizzabili con capitali privati.
Nel comma 27, alla lett. n) si fa riferimento, in relazione al requisito dell’idoneità tecnica ed organizzativa occorrente per la qualificazione, ai commi 3 e 4 dell’art. 18 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 che riguardano, però, la cifra d’affari dell’impresa, rilevante invece per la capacità economica e finanzia, laddove di capacità tecnica parla il successivo comma 5 dell’art. 18: verifichi l’Amministrazione l’esattezza del richiamo.
Si segnala che non appare corretto – salva eventuale sopravvenienza – fare riferimento nel comma 30 ad un regolamento del Ministero dei beni ed attività culturali (in attuazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 30 del 2004) non ancora emanato.
Al comma 31, dopo la parola “fatti”, sembra essere stata omessa la parola “salvi”.
 
Art. 256 (Disposizioni abrogate)
 
Al comma 1 è stato inserito l’articolo 14-vicies-ter, comma 1, lett. c) del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168, limitatamente alle parole “i criteri per l’aggiudicazione delle gare secondo l’offerta economicamente più vantaggiosa e”.
Si deve in proposito osservare che è intervenuto il d.P.C.M., che indica i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa per gli appalti dei buoni pasto (18 novembre 2005).
L’abrogazione disposta dal Codice ne comporterebbe la caducazione automatica: sarebbe opportuno mantenere in vigore la norma che il Codice abroga, e conseguentemente il d.P.C.M. applicativo, o, terza alternativa, mantenere in vigore tale decreto in via transitoria, fino all’emanazione del nuovo regolamento generale.
Al comma 4 va soppresso il riferimento al d.P.C.M. n. 116 del 1997, abrogato.
 
Art. 257 (Entrata in vigore)
 
La pur comprensibile esigenza di un congruo differimento nell’entrata in vigore del Codice non può essere accolta in quanto si tratta di direttive obbligatorie il cui termine per il recepimento è già scaduto il 31 gennaio 2006; dunque può applicarsi solo l’ordinaria vacatio legis .
 
P.Q.M.
 
Esprime parere favorevole, con le osservazioni di cui in motivazione.
 
Per estratto dal Verbale
Il Segretario dell’Adunanza
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Visto:
Il Presidente della Sezione
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sentenza

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