Condominio: la regola sull’uso delle parti comuni è derogabile, ma non fino al punto di introdurre un divieto generale di uso

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Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Maria Muià

Corte di Cassazione, Civile Ord. Sez. 6 Num. 15851 Anno

riferimenti normativi: art 1102 cod. civ.  ;

precedenti giurisprudenziali: Cass. n. 2114 del 29/01/2018; Cass. n. 76 del 15/01/1970, sulla base di più remoti precedenti; per le successive, ad es. Cass. n. 2960 del 09/10/1972, n. 939 del 15/03/1976, n. 939 del 15/03/1976, n. 3963 del 24/06/1980, n. 2175 del 08/04/1982, n. 5628 del 16/11/1985, n. 2973 del 27/03/1987, n. 5780 del 25/10/1988, n. 2773 del 07/03/1992, n. 360 del 13/01/1995, n. 24243 del 26/09/2008; Cass. n. 23608 del 06/11/2006; Cass. n. 24295 del 14/11/2014).

Fatto

Alcuni condomini di un fabbricato condominiale si erano rivolti al Giudice di pace per chiedere a questo di pronunciarsi in ordine alle modalità d’uso di una porta collocata al lato sud del fabbricato stesso. In particolare tale domanda era condizionata all’accertamento da parte del Giudice della qualifica di quel bene come “parte comune”.

Il Supercondominio, che era stato citato in giudizio, aveva sostenuto dinnanzi al Giudice di pace che il regolamento del complesso condominiale individuava le modalità di accesso dello stabile – identificando le entrate con lettere alfabetiche – e non ricomprendeva la porta a cui i ricorrenti facevano riferimento nel loro ricorso.

Il Giudice di pace, valutati gli elementi rappresentati da entrambe le parti, basando il suo discernimento sulla disposizione del regolamento condominiale in ordine agli accessi, aveva ritenuto non concedibili le chiavi della porta, oggetto di controversia, ai condomini.

Alquanto insoddisfatti della pronuncia ad essi sfavorevoli da parte del Giudice di pace, i condomini si erano rivolti al Tribunale di primo grado chiedendo la riforma della sentenza.

Anche però dinnanzi a tale Giudice i condomini vedevano rigettata la loro domanda.

Anche il Tribunale monocratico, infatti, non riconosceva tra gli accessi pedonali e carrabili, disciplinati dal regolamento condominiale, la porta di cui si discuteva, costruita contemporaneamente all’edificazione del complesso condominiale e in grado di mettere in comunicazione il fabbricato condominiale con una striscia di terreno comune posta all’esterno del complesso condominiale stesso. Nella sentenza emessa il Giudice aveva posto l’attenzione anche sul fatto che l’esigenza di usare eventualmente tale porta era sorta solo successivamente alla costruzione del fabbricato condominiale, cioè solo dopo la realizzazione di un complesso di box all’esterno del supercondominio.

I condomini soccombenti anche in questo grado di giudizio avevano deciso di ricorrere in Cassazione con tre motivi di gravame, per quanto qui di interesse.

Con il primo motivo di ricorso i condomini lamentavano l’errata decisione del Giudice dell’appello di non considerare la porta come un accesso, e questo sulla base della volontà contrattuale dei condomini recepita nel regolamento, pur avendo allo stesso tempo accertato la natura condominiale della porta stessa. Secondo i ricorrenti con tale scelta il Giudice aveva violato le disposizioni in tema di uso paritario della cosa comune, essendo legittimo che i condomini traessero dalla porta ogni utilità compatibile con la destinazione e il couso degli altri partecipanti.

Con il secondo e il terzo motivo i ricorrenti lamentavano la violazione delle disposizioni in tema di contribuzione alle spese per le parti comuni disposta dal regolamento di condominio – posto che la porta appartiene a tutti i condomini, ma essi pur contribuendo non ne potrebbero far uso – e di interpretazione negoziale – atteso che la porta in questione, forse dimenticata in sede di redazione del regolamento, non poteva, comunque, essere qualificata come “accesso”, per cui la presunta tassativa elencazione degli accessi nel regolamento non poteva precludere il pari uso.

La decisione della Corte di Cassazione

Esaminati i motivi di ricorso rappresentati dai ricorrenti, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, accogliendo i motivi di gravame proposti e rinviando ad altro Giudice la decisione.

In primo luogo la Corte di Cassazione ha esaminato la sentenza impugnata rilevando che il motivo per cui il Giudice dell’appello aveva mancato di qualificare la porta come accesso era dipeso dall’assenza di questo bene nell’elencazione contenuta nel regolamento contrattuale degli accessi pedonali e carrabili al condominio, che ometteva di riportare la porta nell’elenco, pur essendo contemporanea all’edificazione del fabbricato. La Corte aveva poi rilevato che nella decisione impugnata il tribunale non riteneva che la mancata destinazione della porta quale accesso incidesse sul diritto dei condomini a far pari uso della cosa comune trattandosi di un mero divieto contrattuale di accesso generalizzato nell’interesse comune.

I Giudici Ermellini, ribadendo propri precedenti orientamenti giurisprudenziali, si sono espressi ribadendo che l’art. 1102 cod. civ. prescrive che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, chiarendo che la disposizione in esame non pone una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.

Secondo la Suprema Corte nel caso di specie, la decisione del giudice d’appello di ritenere come unici accessi a parti comuni quelli elencati nel regolamento condominiale concretizza quel divieto di uso generalizzato delle parti comuni di cui sopra. Erroneamente dunque il giudice d’appello, in base all’interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, ha ritenuto doversi ritenere precluso l’accesso mediante la porta in questione, pur se parte comune; esclusione che viola il diritto dei condomini all’uso delle parti comuni.

I Giudici della Corte di Cassazione non hanno ritenuto neppure coerente con l’interpretazione corretta dell’art. 1102 cod. civ. la considerazione, svolta dal tribunale, secondo cui a seguito della costruzione di un complesso di box all’esterno del supercondominio, ed immettendo la porta su una striscia di terreno comune interclusa, ma separata da un cancello dall’esterno, ove sono siti i box, il libero accesso alla porta realizzerebbe, attraverso il cancello, un varco all’esterno non autorizzato. In sé infatti, in relazione all’indimostrata sussistenza di un divieto contrattuale di creazione di ulteriori accessi all’esterno, l’uso della porta e dell’ulteriore cancello al fine di entrare e uscire dal condominio non potrebbe essere in contrasto con la norma del codice civile, a meno che non si alterni la destinazione del cancello o della striscia di terreno interclusa.

La Corte di Cassazione ha poi rilevato che il Giudice d’appello non si è soffermato in merito all’eventuale ricorrere, nel caso di specie, dei presupposti per cui l’utilizzo della parte comune per dar accesso a un fabbricato contiguo estraneo al condominio, sia tale da alterare la destinazione della parte comune comportandone, per la possibilità di far usucapire al proprietario del fabbricato contiguo una servitù, lo scadimento ad una condizione deteriore rispetto a quella originaria. La Corte ricorda che l’uso della parte comune per creare un accesso a favore di parte esclusiva è legittimo se l’unità del condomino avvantaggiata è inserita nel condominio in quanto, pur realizzandosi un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non si esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non si altera la destinazione, restando esclusa la costituzione di una servitù per effetto del decorso del tempo.

Da tutto quanto esposto la Corte ha ritenuto accoglibile il ricorso rinviando la causa ad altro giudice per la decisione nel merito.

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