A cura di Francesca De Novellis, Avvocato DLA Piper
In una (a volte) eccessiva “settorializzazione” del diritto e nell’ambito di un astratto contesto giuridico, fa rumore la recente decisione della Suprema Corte che ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente all’esito di un procedimento disciplinare a seguito di condanna penale per l'(accertata) commissione di alcuni reati.
Quasi a dimenticarsi di quanto, specialmente nel campo del diritto del lavoro, la “risorsa umana” abbia rilevanza proprio nella sua ampia, diversificata e fattuale accezione. E, quasi a ricordare, d’altro canto, le correlazioni (di fatto e di diritto) avallate dal nostro ordinamento giuridico, nei più svariati ambiti. Come gli attuali fatti di cronaca suggeriscono. Pur quando gli interessi e i diritti oggetto di tutela sono diversi e/o (anche apparentemente) distanti.
Queste solo alcune delle prime riflessioni derivanti dalla lettura e analisi della decisione in commento. Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. Il caso in esame e i principi di diritto: la condotta illecita extralavorativa e il licenziamento
Del resto, non era e non è la prima volta che viene statuita la “suscettibilità disciplinare” di una condotta illecita extralavorativa e, ciò, in quanto – come ricordato dagli ermellini – “il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso“.
È in tale contesto che si colloca la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione l’11 dicembre 2024 (con il numero 31866), secondo cui, è stata confermata la giusta causa di licenziamento in relazione a condotte extra-lavorative e, nello specifico, nei confronti di un conducente di autobus condannato penalmente per maltrattamenti e violenza sessuale.
A nulla sono valse le contestazioni e impugnazioni della sentenza di gravame da parte del lavoratore e, tra tutte, ad avviso della scrivente, l’avere – a dire dello stesso – i giudici di appello elaborato un giudizio prognostico sulla possibilità “del tutto astratta e indimostrata che il lavoratore potesse rendersi protagonista di atti violenti verso il pubblico“. Anche in relazione al (preteso violato) dettato costituzionale di cui all’art. 27. Violazioni tutte escluse senza alcun’ombra di dubbio dalla Suprema Corte che, al contrario, ha valorizzato quanto evidenziato in appello e, quindi: (i) “le implicazioni negative dei fatti penalmente illeciti sulla regolare esecuzione della prestazione, nel rispetto degli obblighi facenti capo al lavoratore e posti a tutela degli utenti del servizio pubblico” oltre che (ii) i precedenti disciplinari del lavoratore “sintomatici di insubordinazione e perdita di controllo“. Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
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2. L’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro
Fermi restando i valori cardine in ogni rapporto umano (incluso quello lavorativo) e l’imprescindibilità dell’elemento fiduciario e dell’obbligo di fedeltà ai sensi dell’art. 2105 cod. civ., non si può evitare di sollecitare nella disamina dei casi specifici anche ulteriori aspetti, quali, il ruolo del lavoratore, le mansioni effettivamente svolte, il contesto lavorativo oltre che la storia personale e disciplinare dello stesso.
Per quanto la conclusione potrebbe sembrare ovvia, l’esortazione a non generalizzare è, dunque, d’obbligo. Nell’impossibilità di stabilire un automatismo (ben diverso dalle sopra citate correlazioni) tra la condotta penale in questione e la sussistenza di una giusta causa di recesso, è comunque la stessa Corte a menzionare che alcuni (gravi) episodi rilevabili disciplinarmente si erano già verificati in relazione al lavoratore in oggetto ed erano, infatti, già stati sanzionati dal datore di lavoro (evidentemente con sanzioni di tipo solo conservativo). E che, pertanto, una valutazione prodromica (non prognostica) era già stata effettuata nel mero campo del rapporto di lavoro (scevro così da ogni successiva “incursione” penalistica).
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3. Conclusioni
E ciò conferma che fa certamente più rumore dedurre astrattamente una prevalenza del giudizio penale in un giudizio civile (giuslavoristico ai fini della valutazione di un licenziamento), quanto piuttosto dare il giusto peso ai soli fatti “lavorativi” corroborati da quanto, anche, emerso e accertato in sede penale.
Possiamo dunque cogliere l’occasione a recepire un (sotteso) invito – rivolto alla platea degli operatori di diritto – a esercitare una delle opere più complicate di giudizio: la disamina del caso “di specie” nell’ambito dell’inevitabile e sfaccettato processo di sussunzione.
Onere che assume ancora più valore e rilievo in un contesto concreto di sempre più costante e progressiva “dematerializzazione del luogo di lavoro”. Il che impone altresì, in una visuale ad ampio raggio, di rivedere urgentemente anche a livello normativo la definizione di “luogo di lavoro” con tutte le connesse implicazioni pratiche e giuridiche. Ivi inclusa una rivisitazione dell’invocato “ambito lavorativo”, da cui discende inevitabilmente anche il campo di applicazione per il rilievo della relativa “condotta extralavorativa”. A beneficio di tutte le parti, in un’ottica di maggiore concretezza ed effettiva trasparenza contrattuale.
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