Clausola del solve et repete

Redazione 27/04/01
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di Guido Carlino

Sommario

Clausola limitativa della proponibilità di eccezioni: nozione

Sfera d’azione della clausola

Disciplina e funzionamento della clausola

Legittimità costituzionale dell’art. 1462 c.c.

Azioni promosse dal soggetto passivo in presenza della clausola

Possibilità del soggetto passivo di proporre domanda di restituzione nello stesso giudizio promosso dall’altro contraente

Clausola del solve et repete e azione di risoluzione del contraente presidiato

Specifica approvazione per iscritto

La sospensione discrezionale della condanna

Qualificazione della clausola: efficacia sostanziale o processuale

* * * * *

Clausola limitativa della proponibilità di eccezioni: nozione

Nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettivi, in cui le attribuzioni patrimoniali sono due e sono legate dal c.d. nesso di reciprocità o sinallagma, il principio della corrispettività (la mano deve garantire la mano) costituisce la regola generale: una parte può rifiutare la propria prestazione se l’altra parte non adempie la sua (inadimplenti non est adimplendum – art. 1460 c.c.).

Questo principio è stabilito nell’interesse delle parti che possono, perciò, rinunciarvi. Una delle parti, infatti, può assicurarsi una particolare protezione ai fini dell’adempimento della prestazione che le è dovuta mediante la clausola c.d. del solve et repete in deroga al principio di corrispettività. Approvando tale clausola, l’obbligato (il soggetto passivo) rinunzia al diritto di opporre eccezioni (vedremo quali) al fine di evitare o ritardare la prestazione da lui dovuta, salva la facoltà di proporle solo dopo aver eseguito la propria prestazione e di ripetere eventualmente quanto risultasse non dovuto.

Tale pattuizione viene definita dal Codice civile come “clausola limitativa della proponibilità di eccezioni” ed è regolata, nell’ambito dei contratti con prestazioni corrispettive, dall’articolo 1462 nella sezione dedicata alla risoluzione per inadempimento in cui la legge disciplina, oltre tale risoluzione (art. 1453 e segg.) anche l’exceptio inadimpleti contractus (art. 1460) e la sospensione dell’esecuzione della prestazione per il mutamento delle condizioni economiche di uno dei contraenti (art. 1461).

Sfera d’azione della clausola

La norma esclude espressamente la utilizzabilità della clausola nei riguardi delle “eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto”, mentre non accenna, nemmeno implicitamente, ad altre eccezioni, né a quella di pagamento (solvi) né a quelle di novazione, remissione, compensazione, confusione, impossibilità sopravvenuta, tutte alla prima assimilabili quoad effectum.

A prima vista, queste eccezioni, mancando al riguardo nella norma qualsiasi statuizione, espressa o implicita, sembrerebbero doversi considerare improponibili di fronte alla clausola, non potendosi far leva sulla ratio del precetto che rende inoperante la clausola di fronte alle eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del contratto: è noto, infatti, che tale ratio è stata ravvisata nel fatto che la nullità, l’ annullabilità e la rescissione del contratto travolgono, con il contratto stesso, anche la clausola, mentre non può dirsi altrettanto per le altre eccezioni in esame. Tuttavia, a ben riflettere, l’eccezione di pagamento non può non essere proponibile nonostante la clausola, per la semplicissima ragione che il pagamento realizza in pieno l’interesse tutelato dalla clausola medesima (solve) e quindi non è ammissibile che la clausola operi addirittura al di là dell’interesse per la cui tutela è stata istituita e riconosciuta valida; oltre tutto, se la clausola stessa dovesse paralizzare l’eccezione di pagamento, si arriverebbe all’assurdo di legittimare, in base ad essa e ad un unico titolo contrattuale, la condanna ad un pagamento non più dovuto sia pur ripetibile, e ciò risulterebbe contrario, quanto meno, al principio dell’economia dei giudizi.

La clausola, dunque, non può paralizzare l’eccezione di pagamento: non può impedire che all’imperativo “solve” rivoltogli dal creditore, il debitore risponda “solvi” e che di tale fatto storico dia la prova.

Alla stessa stregua devono ritenersi opponibili tutte le eccezioni con cui il debitore può dare la prova della avvenuta estinzione del credito dell’attore e quindi: non solo delle eccezioni di novazione, remissione, compensazione, confusione e impossibilità sopravvenuta (riferita all’obbligazione del soggetto passivo della clausola), l’assimilazione delle quali al pagamento, quoad effectum, è nella sistematica del codice, ma anche delle eccezioni di prescrizione, di giudicato, di transazione e, in genere, di ogni eccezione con cui si faccia valere una precisa causa estintiva della pretesa, che non abbia la sua base né trovi la sua giustificazione nei principi del sinallagma. Insomma, la clausola, come non può essere utilizzata di fronte ad eccezioni che mettono in discussione il fatto costitutivo del credito (nullità, annullabilità e rescissione), così non può essere adoperata per paralizzare eccezioni che prospettino un preciso fatto estintivo del credito, indipendente dall’azione del sinallagma funzionale, ossia dal comportamento della controparte.

In buona sostanza, la legge consente all’attore di ottenere una condanna – senza esame (e con riserva) delle eccezioni del convenuto – solo quando sia fuori questione l’esistenza e persistenza del credito, e il convenuto opponga semplicemente il mancato (ma anche inesatto) adempimento o il pericolo di inadempimento da parte dell’attore.

Di questa limitazione del campo di azione della clausola si trova conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione ove perspicuamente viene affermato: “La finalità della clausola contrattuale del solve et repete sta nell’impedire che una delle parti contraenti si esima dalla propria prestazione o la ritardi, opponendo eccezioni dipendenti dal comportamento della controparte”. “La parte contro cui la clausola viene eccepita non può proporre azioni od eccezioni fondate su pretese inadempienze dell’altra parte se prima non abbia adempiuto la propria obbligazione”.

In conclusione, la clausola può operare solo con riguardo ad eccezioni tratte dal comportamento (che ad adverso si assuma di inadempimento o non perfetto adempimento) dell’altro contraente che invoca la clausola. Essa, pertanto, paralizza sicuramente l’eccezione di inadempimento (art. 1460 .c.c. – exceptio inadimpleti o non rite adimpleti contractus), l’eccezione tratta dal mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente (art. 1461 c.c.) e, comunque, tutte quelle eccezioni riconvenzionali tratte dal gioco del sinallagma, ricavate, cioè, dal comportamento dell’attore sul terreno dell’adempimento (che dall’eccipiente si assume mancato o inesatto). Di conseguenza, rimane paralizzata, ad esempio, l’eccezione riconvenzionale di intervenuta risoluzione del contratto per aver già operato in danno dell’attore la diffida ad adempiere, la clausola risolutiva espressa o il termine essenziale.

Disciplina e funzionamento della clausola

La clausola solve et repete esplica la sua funzione nei casi in cui lo stipulatore del patto (cioè colui a cui favore il patto è stipulato) è il contraente obbligato a prestare per primo ovvero quando è previsto che le prestazioni siano simultanee, mentre, quando è previsto contrattualmente che la prestazione di detto soggetto segua nel tempo quella della controparte, quest’ultima non potrà eccepire l’inadempimento del soggetto attivo della clausola stante che esso non si è ancora verificato e quindi la clausola non entra in gioco. E’ evidente che se è previsto che il contraente presidiato debba prestare per primo (es. debba consegnare prima la merce a seguito di un contratto di vendita), la clausola servirà a proteggerlo dalla contestazione dell’altro contraente circa la esattezza della sua prestazione (qualità, vizi, ecc.) ma non potrà servirgli per invertire l’ordine delle prestazioni e quindi per esigere la prestazione dovuta (prezzo) senza aver prima prestato la propria, cioè consegnato le cose vendute.

Più precisamente, nel caso che il contraente presidiato dalla clausola debba eseguire per primo, la clausola stessa lo pone al riparo dalle contestazioni dell’altra parte circa la regolarità e idoneità della prestazione da essa già ricevuta, mentre per il caso di prestazioni simultanee viene precluso al contraente gravato dalla clausola la possibilità di sollevare contestazioni in ordine alla idoneità della prestazione che gli venga offerta e ciò fino a quando non avrà compiuto la propria controprestazione (la solutio), residuandogli la sola possibilità di ripetere tale solutio se quelle contestazioni (il cui esame dovrà restare intanto accantonato e riservato) risulteranno fondate.

La parte nell’interesse esclusivo della quale la clausola solve et repete è posta può comunque rinunziarvi, preferendo che la clausola sia decisa nel merito. La relativa eccezione non può essere, pertanto, rilevata d’ufficio.

Legittimità costituzionale dell’art. 1462 c.c.

Il dubbio sulla validità costituzionale dell’art. 1462 c.c. si è riaffacciato, particolarmente dopo che la Corte Costituzionale ebbe a statuire con la sentenza 31.03.1961, n. 21 la incostituzionalità del solve et repete fiscale, sulla base di un preteso contrasto della norma in esame con l’articolo 24 Cost., in virtù del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.

Non può dirsi, però, che il solve et repete convenzionale determini un ostacolo alla tutela giudiziaria di diritti ed interessi, Alla clausola, infatti, non può essere attribuita altra efficacia se non quella di consentire una possibilità di condanna con riserva di determinate eccezioni (non di tutte, come si è detto, ma solo di quelle di carattere sinallagmatico funzionale) tenendosi presente che tale condanna con riserva può essere rifiutata dal giudice – la cui pienezza di giurisdizione ha qui la più significativa affermazione – nel concorso di gravi motivi (art. 1462, comma II).

La Corte Costituzionale, peraltro, sciogliendo ogni residuo dubbio, si è pronunziata dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1462 c.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (Corte Cost. 12.11.1974, n. 265), sottopostale dai giudici di merito, precisando che mentre il solve et repete fiscale, impedendo al giudice di decidere la controversia, comportava, sino all’avvenuto pagamento del tributo, un completo difetto di giurisdizione, con conseguente illegittimità, le clausole contrattuali del solve et repete non costituiscono ostacolo all’instaurarsi di un valido rapporto processuale e si sottraggono, quindi, ad ogni sospetto di illegittimità (incostituzionalità).

Ad ulteriore conferma la Corte di Cassazione, sezione seconda, nella sentenza n. 759 del 26.01.1994 ha ribadito che la clausola di cui all’art. 1462, poiché ha la sua fonte in un contratto liberamente stipulato, non costituisce ostacolo all’instaurarsi del rapporto processuale, ma ha il solo effetto di consentire una rapida soddisfazione della pretesa creditoria della controparte, senza far luogo all’esame delle eccezioni del debitore, le cui ragioni possono essere fatte valere anche nel medesimo giudizio, dopo l’adempimento.

Azioni promosse dal soggetto passivo in presenza della clausola

Identificate le eccezioni che la clausola può paralizzare, va affrontato il problema di determinare se la clausola stessa può – oltre alle eccezioni che abbiamo esaminato – avere il medesimo effetto per le azioni che il soggetto passivo abbia promosso di propria iniziativa, in prevenzione, prima cioè che l’altro contraente lo abbia convenuto in giudizio per fargli imporre quel solve previsto dalla clausola.

Di fronte a simile iniziativa il soggetto attivo della clausola può chiedere, con azione separata o in via riconvenzionale, che l’imperativo solve sia rivestito dell’autorità del comando giudiziario, restando accantonato – fino alla solutio – l’esame dell’azione proposta dalla controparte?

Si ritiene unanimemente in dottrina che, mancando nelle azioni proposte in via preventiva quel “carattere reattivo”, la cui neutralizzazione costituisce la ragion d’essere ed insieme il limite della clausola solve et repete, l’azione preventivamente promossa dal soggetto passivo della clausola non possa essere paralizzata dalla successiva invocazione della clausola stessa. In sostanza, nel simultaneus processus che si viene ad instaurare o a seguito della riunione dei due processi o per la proposizione in via riconvenzionale della pretesa del solve et repete, oggetto di riserva devono considerarsi solo le eccezioni del convenuto cui è rivolta la domanda giudiziale basata sul solve del fato negoziale, mai le azioni promosse dal soggetto passivo prima di essere convenuto in giudizio.

Possibilità del soggetto passivo di proporre domanda di restituzione nello stesso giudizio promosso dall’altro contraente

E’ stata fatta questione in ordine alla possibilità o meno per il convenuto (al quale viene rivolta la pretesa basata sulla clausola) di proporre, in via riconvenzionale nello stesso giudizio, la ripetizione prevista dalla clausola stessa, ovviamente dopo aver soddisfatto al solve prima o contestualmente alla formulazione della domanda riconvenzionale, così facendo venire meno le ragioni del contendere in ordine al solve, ma rendendo attuale l’interesse alla ripetizione.

Si è ritenuto, in giurisprudenza, dopo qualche perplessità, che, attesa la natura della clausola (limitata, come si sa, solo a rendere possibile la condanna con riserva) che l’improponibilità della exceptio inadimpleti contractus, derivante dalla mancata osservazione della clausola solve et repete, ben può essere sanata dal convenuto con l’adempimento di tale clausola anche nel corso del giudizio. Certo, la ripetizione della prestazione effettuata nel corso del giudizio promosso dall’altro contraente presidiato dalla clausola, siccome oggetto di domanda riconvenzionale, non potrà essere formulata al di là della prima risposta (art. 167 c.p.c.) e quindi l’adempimento deve essere avvenuto ancora prima.

Clausola solve et repete e azione di risoluzione del contraente presidiato

La clausola può essere fatta valere dal contraente, a cui presidio è posta, sempre che agisca per l’adempimento del contratto e non, invece, se agisca per la risoluzione. La giurisprudenza della Suprema Corte, è da tempo costante in tal senso (Cassazione, sezione III, n. 11284 del 16.11.1993).

Infatti, l’applicabilità della clausola presuppone la manutenzione del contratto, si riferisce, cioè, a tutte le questioni sorgenti dalla sua esecuzione; la clausola, insomma, è funzionalmente coordinata alla domanda di adempimento e non può essere invocata ai fini della risoluzione, e non potrà nemmeno essere fatta valere da chi abbia già proposto la domanda di risoluzione, stante la preclusione di cui all’art. 1453, II comma c.c. (electa una via non datur ingressum ad alteram).

Specifica approvazione per iscritto

Poiché la clausola tutela uno solo dei due contraenti a scapito dell’altro e crea di conseguenza una posizione di favore per il contraente che ne è tutelato, la legge richiede che essa, ove sia predisposta, come condizione generale del contratto, dal contraente che ne viene avvantaggiato, venga specificamente approvata per iscritto dall’altra parte: senza tale approvazione la clausola “non ha effetto”. L’orientamento della Suprema Corte in tal senso è costante (Cass., sez. 2, n. 3272 del 05.10.1976).

La sospensione discrezionale della condanna

Il secondo comma dell’art. 1462 c.c. dispone che, ove ricorrano gravi motivi, “il giudice può sospendere la condanna, imponendo se del caso, una cauzione”.

Per “sospensione” della condanna si intende il rinvio della pronuncia sulla domanda (di condanna) in prosieguo, con la possibilità di una futura pronuncia sia positiva che negativa.

In sostanza, la “sospensione” della condanna di cui è menzione nell’art. 1462 c.c. significa disapplicazione della clausola, ossia rigetto della domanda fondata sulla clausola stessa e impostazione del processo per il completo esame del merito, così come se la clausola non esistesse. E’ a discrezione del giudice che dispone la “sospensione” imporre al richiedente una cauzione.

Qualificazione della clausola: efficacia sostanziale o processuale

Dopo quanto si è detto si può tentare di pervenire alla qualificazione della clausola convenzionale del solve et repete. Essa si identifica come lo strumento processuale, ricorrente anche in altri settori, della “condanna con riserva” in cui viene scisso l’esame dell’azione da quello dell’eccezione. La clausola preclude l’ammissione, nel processo, delle contestazioni circa asserite e non provate inadempienze del soggetto presidiato dalla clausola, in modo da non far gravare su questo soggetto il ritardo che sarebbe imposto dall’esame di tali contestazioni, esame che deve restare riservato ad una fase successiva (eventuale e dopo l’adempimento del soggetto passivo) con finalità recuperatoria della solutio effettuata.

Tuttavia, se la disciplina del solve et repete ha indubbie conseguenze nel campo del processo, ha un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, deducibile non solo dalla collocazione della norma nel codice civile, ma soprattutto dagli interessi che essa tutela (assicurare al creditore il soddisfacimento della pretesa, senza il ritardo imposto dall’esame delle eccezioni del debitore). Il preventivo adempimento non può perciò essere considerato come un presupposto processuale, la cui mancanza impedisce l’instaurazione di un regolare rapporto processuale e non può essere rimosso nel corso del processo stesso. Come già detto, la clausola di cui all’art. 1462 c.c. non può essere d’ostacolo all’esame dell’eccezione o della domanda riconvenzionale, quando, sia pure in corso di giudizio, sia avvenuto il soddisfacimento della prestazione.

Redazione

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