Cassa Forense, contributi minimi: gli avvocati fanno causa

Redazione 22/03/19
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Non si placano le proteste degli avvocati contro l’iscrizione obbligatoria alla Cassa Forense, e soprattutto contro il pagamento dei contributi minimi uguali per tutti. Anzi, mentre si attende da mesi una riforma della Legge n. 147/2012 e mentre la Cassa Forense sembra aprire spiragli alle rivendicazioni dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, sempre più professionisti fanno causa alla Cassa sostenendo l’illegittimità del pagamento dei contributi.

Vediamo allora quali sono i punti più importanti portati all’attenzione della magistratura.

Contributi minimi, le difficoltà dei giovani avvocati

La Cassa Forense, alla quale tutti gli avvocati italiani devono essere iscritti per legge, impone una contribuzione minima obbligatoria a tutti i professionisti di qualsiasi età e in qualsiasi condizione reddituale. Questo vuol dire che non esistono aliquote a seconda del volume d’affari e della condizione economica dell’avvocato: devono versare i contributi tutti i professionisti iscritti. La pena per il mancato pagamento è la cancellazione dall’albo.

Un numero sempre maggiore di avvocati sostiene invece che il contributo vada reso progressivo, in particolare in considerazione del fatto che sono i giovani professionisti, più inesperti e con un giro di affari molto minore, a soffrire maggiormente dei versamenti. Tanto che diversi avvocati nei primi anni di attività sono costretti, oggi più di ieri, a ritirarsi.

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Tribunale di Roma: i contributi sono legittimi

In una delle sempre più numerose cause intentate contro il pagamento dei contributi alla Cassa Forense, il Tribunale di Roma ha però risposto in senso favorevole alla Cassa e dichiarando la piena legittimità dei versamenti.

Con sentenza del 22 maggio, infatti, il Tribunale della capitale ha ricordato innanzitutto che è la stessa Costituzione a imporre per qualsiasi tipo di attività lavorativa –e dunque anche per l’avvocatura– la copertura previdenziale per la vecchiaia e l’invalidità. I giudici hanno poi stabilito che il contributo minimo richiesto dalla Cassa non è assimilabile a un’imposizione tributaria, ma per l’appunto a una “prestazione patrimoniale” che garantisce la previdenza dei lavoratori stessi. Lungi dall’essere un ostacolo all’esercizio della professione per i più giovani, insomma, i contributi minimi sarebbero un modo per assicurare a tutti un trattamento previdenziale di base anche in presenza di redditi modesti.

Le proteste del Foro di Napoli

Le proteste degli avvocati contro un’imposizione che viene vista come vessatoria e discriminatrice, però, continuano. Particolarmente degna di nota in queste ultime settimane è l’opposizione del Foro di Napoli. Gli avvocati partenopei hanno protestato con assemblee e presidi contro i contributi minimi della Cassa Forense e, più un generale, contro la sempre più grave crisi del settore.

Nell’assemblea della settimana scorsa, in particolare, l’Ordine degli Avvocati di Napoli ha prodotto due mozioni che ribadiscono la necessità di prevedere dei contributi minimi proporzionati al reddito dei professionisti e l’abolizione di tutte le contribuzioni non progressive. L’Ordine ha poi dato il compito a due degli iscritti di individuare delle possibili soluzioni per salvaguardare il lavoro dei loro colleghi, in particolare –ancora una volta– per gli avvocati più giovani e con meno esperienza.

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