Brevi note sulla legittimazione attiva dei licenziatari dei diritti di proprietà intellettuale a seguito della riforma della disciplina dei marchi d’impresa, in attuazione della direttiva (UE) 2015/2436

Redazione 07/05/19
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di Adriano Sponzilli*

* Avvocato

Sommario

1. La situazione antecedente alla novella

2. Il nuovo articolo 122-bis c.p.i.

3. Alcune questioni problematiche

Il nuovo art. 122-bis c.p.i. introduce per la prima volta una disciplina positiva sulla legittimazione ad agire per la tutela di un titolo di proprietà intellettuale del licenziatario, armonizzando le disposizioni del Codice di proprietà industriale italiano con le fonti U.E. in materia di tutela della proprietà intellettuale.

Con il recente D.Lgs. 20 febbraio 2019, n. 15 (in vigore dal 23 marzo 2019) è stata data attuazione alla Direttiva (UE) 2015/2436 in materia di marchi d’impresa, novellando una serie di disposizioni del Codice di proprietà industriale (“c.p.i.”).

Lo scopo della Direttiva è quello di adeguare e rendere omogenee le diverse discipline nazionali in materia di marchi di impresa con quella dettata per il marchio U.E. dal relativo regolamento[1]. Infatti, dato che la protezione del marchio d’impresa esistente nei diversi Stati membri coesiste con quella disponibile a livello dell’Unione Europea tramite il marchio U.E., di carattere unitario e valido in tutta l’Unione Europea, “la coesistenza e l’equilibrio dei sistemi dei marchi d’impresa a livello nazionale e dell’Unione costituiscono di fatto una pietra angolare dell’impostazione dell’Unione in materia di tutela della proprietà intellettuale” (così il considerando 4 della Direttiva).

In sede di recepimento sono state introdotte anche alcune norme di contenuto processuale, fra queste, in particolare, si segnala l’introduzione nel c.p.i. del nuovo articolo 122-bis, con il quale si è disciplinata la legittimazione attiva del licenziatario di titoli di proprietà industriale (ed in particolare di marchi di impresa) nelle azioni di contraffazione dei medesimi.

[1] Oggi il Regolamento (UE) 2017/1001 del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione Europea, sebbene al momento dell’adozione della direttiva, la relativa disciplina fosse contenuta nel Regolamento (CE) n. 207/2009 del 26 febbraio 2009.

1. La situazione antecedente alla novella

Prima dell’introduzione di questa norma, il c.p.i. non conteneva una disciplina particolare riguardo alla legittimazione del licenziatario per le azioni a tutela dei diritti di proprietà industriale e la questione era stata oggetto di lunghi dibatti in dottrina e giurisprudenza.

Fin da tempi remoti è sempre stata assolutamente consolidata l’opinione secondo la quale il licenziatario esclusivo di un marchio, di un brevetto o di altro titolo di privativa fosse legittimato a proporre azione di contraffazione in via autonoma, in quanto portatore di un proprio interesse a poter godere pienamente, nell’ambito della licenza, della percezione dei profitti derivanti dalla sua posizione di vantaggio concorrenziale[2]. Più complessa, invece, si presentava la situazione rispetto alla questione della legittimazione del licenziatario non esclusivo. Per lungo tempo la dottrina si è divisa fra la posizione di chi negava a tale soggetto la facoltà di agire in proprio[3] e la contrapposta posizione di chi invece riconosceva questa possibilità[4], mentre la giurisprudenza tendeva a negare tale legittimazione, ovvero a riconoscerla solo in presenza di autorizzazioni espresse o tacite del titolare del diritto[5].

La situazione giurisprudenziale aveva conosciuto un’evoluzione negli ultimi anni, a seguito di una pronuncia della Suprema Corte del 2014 che aveva adottato un orientamento estensivo in tema di legittimazione nelle azioni di contraffazione. Utilizzando come canone esegetico la disposizione della Direttiva Enforcement[6] che prevede la legittimazione a richiedere le misure di tutela previste da questa direttiva dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale e di tutti gli altri soggetti autorizzati a disporre di questi diritti ed in particolare dei titolari di licenze[7], si era affermato che “la legittimazione ad agire per contraffazione di un brevetto spetta sia ai licenziatari, sia ai distributori dei prodotti brevettati, in quanto anche questi ultimi sono dotati di un proprio interesse economico alla tutela dei prodotti da essi distribuiti”[8]. Successivamente a questo arresto, anche la giurisprudenza di merito degli ultimi anni, sembrava aver recepito l’orientamento maggiormente permissivo espresso in sede di legittimità[9].

[2] Questo orientamento è stato espresso per la prima volta in giurisprudenza di legittimità con la remota sentenza Cass. civ. 12 febbraio 1935, n. 614, in Foro it., 1935, I, 774 ed è stato puntualmente riconfermato dalle sentenze Cass. civ. 3 giugno 1968, n. 1675, in Temi, 1969; e Cass. civ., 15 settembre 1995, n. 9771, in Foro it., 1996, I, 961. In giurisprudenza di merito si segnalano nel medesimo senso: Trib. Milano, 31 ottobre 2014, n. 44394, inedita; Trib. Napoli 19 settembre 2014, in AIDA, 2015, 1962; Trib. Milano, 28 novembre 2011, in Sez. Spec. P.I., 2012, 1, 292; Trib. Roma, 11 febbraio 2011, n. 2912, inedita; Trib. Bologna, 1° settembre 2009, in Sez. Spec. P.I., 2010, 1, 58; Trib. Milano 8 agosto 2007, in Giur. ann. dir. ind., 2007, n. 5164; Trib. Torino, 7 settembre 2004, in Sez. Spec. P.I., 2004, 2-3, 462; Trib. Milano 12 marzo 2003, in AIDA, 2004, 1005; Trib. Catania, 3 luglio 2002, in Giur. ann. dir. ind., 2003, n. 4508, pag. 382; App. Milano, 17 luglio 2001, in Giur. ann. dir. ind., 2001, n. 4357, pag. 224; Trib. Roma, 12 maggio 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1995, n. 3315; App. Milano, 20 maggio 1994, in Giur. ann. dir. ind., 1995, n. 3234; Trib. Ancona, 5 agosto 1994, in Giur. ann, dir. ind., 1994, n. 3144; App. Milano 9 aprile 1993, in Giur. ann. dir. ind., 1993, n. 2960; Trib. Milano, 27 gennaio 1992, in Giur. ann. dir. ind., 1992, n. 2791; Trib. Milano, 15 gennaio 1990, in Giur. ann. dir. ind., 1991, n. 2616; Trib. Milano, 18 novembre 1985, in Giur. ann. dir. ind., 1985, n. 1968; App. Bologna, 20 novembre 1984, in Giur. ann. dir. ind., 1984, n. 1815; Trib. Prato, 16 marzo 1978, in Giur. ann. dir. ind., 1978, n. 1042; Trib. Roma, 28 dicembre 1972, in Giur. ann. dir. ind., 1972, n. 222; Trib. Milano, 21 febbraio 1972, in Giur ann. dir. ind., 1972, n. 76; App. Milano, 12 ottobre 1971, in Giur. ann. dir. ind., 1972. n. 35, pag. 197; App. Genova, 12 giugno 1954, in Riv. dir. ind., 1955, 11, 139; Trib. Padova, 30 giugno 1953, in Foro pad., 1953, I, 1346. Per una ricostruzione completa si veda M.S. Spolidoro, La legittimazione attiva dei licenziatari dei diritti di proprietà intellettuale, in AIDA, 2006, I, pag. 213.

[3] In questo senso si vedano: Auteri, I contratti di licenza, in I brevetti di invenzione, parte IV, pag. 234; Ricolfi, I segni distintivi, Torino, 1999, pag. 123; Scuffi, Diritto processuale dei brevetti e dei marchi, Milano, 2001, pag. 205, in nota n. 66, secondo il quale il licenziatario non esclusivo potrebbe tutt’al più spiegare un intervento adesivo a favore del titolare.

[4] In questo senso si vedano: Greco, Lezioni di diritto industriale, Torino, 1956, pag. 239-240; Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, pag. 658-659; Mangini, La licenza di brevetto, Padova, 1970, pag. 45-46; Musso, Azione di contraffazione e azione di concorrenza sleale: alcune questioni sulla legittimazione ad agire dei licenziatari e dei distributori, in Riv. dir. ind., 1998, II, pag. 288-290.

[5] Si vedano le pronunce Trib. Roma, 9 febbraio 2010, in Le Sez. spec. P.I., 2012, 1, 407, ove si legge: “il licenziatario non esclusivo di uso del marchio, in assenza di patto espresso con il licenziante, non ha legittimazione attiva a proporre ricorso cautelare nei confronti di terzi per l’inibitoria all’uso del segno”; e Trib. Milano, 25 marzo 2004, in Sez. Spec. P.I., 2004, 1, 139, ove si afferma: “la legittimazione attiva in ordine alla deducibilità della contraffazione di un marchio viene riconosciuta a soggetti non titolari della registrazione soltanto quando essi rivestano la qualità di licenziatari esclusivi, o, in alternativa, quando il licenziante abbia conferito al licenziatario non esclusivo il potere di intentare azioni legali per la tutela del proprio marchio”.

[6] Direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, il cui articolo 4, rubricato con il titolo di “Soggetti legittimati a chiedere l’applicazione di misure, procedure e mezzi di ricorso”, prevede quanto segue: “1. Gli Stati membri riconoscono la legittimazione a chiedere l’applicazione delle misure, delle procedure e dei mezzi di ricorso di cui al presente capo:
a) ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale, conformemente alle disposizioni della legislazione applicabile,
b) a tutti gli altri soggetti autorizzati a disporre di questi diritti, in particolare ai titolari di licenze, se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime,
c) agli organi di gestione dei diritti di proprietà intellettuale collettivi regolarmente riconosciuti come aventi la facoltà di rappresentare i titolari dei diritti di proprietà intellettuale, se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime,
d) agli organi di difesa professionali regolarmente riconosciuti come aventi la facoltà di rappresentare i titolari dei diritti di proprietà intellettuale, se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime“.

[7] La Direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, che all’art. 4 (relativo ai soggetti legittimati a chiedere l’applicazione di misure, procedure e mezzi di ricorso) prevede al paragrafo 1 che “Gli Stati membri riconoscono la legittimazione a chiedere l’applicazione delle misure, delle procedure e dei mezzi di ricorso di cui al presente capo […] b) a tutti gli altri soggetti autorizzati a disporre di questi diritti, in particolare ai titolari di licenze, se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime”.

[8] Cfr. Cass. civ., 4 luglio 2014, n. 15350, in Giur. ann. dir. ind., 2016, 1, 28, ove così si argomenta: “va anzitutto rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di brevetti per invenzioni industriali, il licenziatario con esclusiva acquista un diritto di sfruttamento di contenuto identico a quello del concedente fruendo pertanto della medesima tutela processuale ed essendo quindi legittimato ad agire nell’ipotesi di contraffazione del brevetto. Tale principio costituisce applicazione del più generale principio di cui all’art. 100 c.p.c., secondo cui la legittimazione ad agire spetta a chi ha un interesse a proporre la domanda. Ciò è di tutta evidenza nel caso di specie per il titolare del brevetto o per un suo licenziatario, ma l’interesse ad agire in tale campo può spettare anche a soggetti che hanno un proprio interesse all’azione in quanto subiscono effetti negativi dall’azione di contraffazione. Del resto va rammentato che l’art. 4 della direttiva 2004/48 in tema di rispetto dei diritti di proprietà intellettuale prevede che la legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei diritti di proprietà intellettuale spetta ai titolari dei diritti ed anche ‘a tutti gli altri soggetti autorizzati a disporre di questi diritti, in particolare ai titolari delle licenza se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime’. Dunque anche ai sensi della normativa comunitaria, non direttamente applicabile nel caso di specie, ma che costituisce comunque un canone interpretativo da tenere in conto, la legittimazione ad agire va riconosciuta in generale ai soggetti autorizzati tra cui in particolare (a non in via esclusiva) i licenziatari. Nel caso di specie, non è dubbio che i distributori in quanto necessariamente autorizzati alla distribuzione del prodotto dal titolare del marchio rientrano nella categoria dei soggetti legittimati in quanto, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., dotati di un proprio interesse economico alla tutela dei prodotti da essi distribuiti”.

[9] Si veda la sentenza Trib. Milano 6 ottobre 2015, n. 11085, in AIDA, 2016, II, 146, ove si legge: “sebbene l’attrice non fosse licenziataria esclusiva – non risultando la qualità di licenziataria esclusiva dal contratto … e, anzi, emergendo dai documenti prodotti dall’attrice medesima la prova di altre licenze non esclusive concesse dalla titolare … deve ritenersi sussistere nel caso in esame la legittimazione ad agire tenendo in considerazione che: – la più recente giurisprudenza della Suprema Corte ha riconosciuto la legittimazione ai soggetti autorizzati a disporre dei diritti, siano essi licenziatari esclusivi o meno (…);
– tale orientamento è compatibile con la richiamata normativa comunitaria, che fa coincidere i soggetti legittimati ad agire con quelli in generale autorizzati a disporre dei diritti nel caso di specie, il contratto di licenza stipulato dall’attrice non esclude la legittimazione ad agire della licenziataria, prevedendo, anzi, in capo alla società attrice poteri amplissimi“.

2. Il nuovo articolo 122-bis c.p.i.

Il nuovo articolo in commento innova la disciplina della legittimazione del licenziatario, con una disposizione che riprende in modo letterale quelle contenute nella Direttiva (UE) 2015/2436 ed in particolare i commi 3 e 4 dell’art. 25, che prevedono rispettivamente che “fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio d’impresa soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Il titolare di una licenza esclusiva può tuttavia avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia lui stesso un’azione per contraffazione entro termini appropriati” e che “un licenziatario può intervenire nell’azione per contraffazione avviata dal titolare del marchio d’impresa per ottenere il risarcimento del danno da lui subito”.

Come detto, scopo primario della Direttiva era quello di armonizzare le diverse normative nazionali in materia di marchi di impresa con la disciplina dettata per il marchio dell’Unione Europea dal Regolamento (UE) 2017/1001, che infatti contiene a sua volta all’art. 25, i commi 3 e 4 che dettano norme di contenuto pressoché identico[10]. Oltre a ciò, norme di contenuto del tutto simile sono previste anche in materia di design comunitario dal Regolamento (CE) n. 6/2002, all’art. 32, commi 3 e 4[11] ed in materia di nuove varietà vegetali dal Regolamento (CE) n. 2100/94, all’art. 104. La Corte di Giustizia U.E. ha recentemente affermato, con distinte pronunce in tema di marchio U.E. e di design comunitario, che la legittimazione attiva del licenziatario ad agire per contraffazione non è condizionata alla previa trascrizione del contratto di licenza nei relativi registri[12].

La nuova disposizione dell’art. 122- bis c.p.i. è dettata esclusivamente in materia di marchio di impresa. Difatti, anche se l’articolo è collocato nel Capo III del c.p.i. (che contiene le disposizioni sulla tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale applicabili a tutti i titoli di privativa disciplinati dal codice), esso è espressamente riferito alle sole azioni di contraffazione di marchio d’impresa (né poteva essere diversamente, posto che la direttiva recepita riguardava esclusivamente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa e posto che l’art. 3 della Legge 25 ottobre 2017, n. 163, nel determinare i criteri di delega non autorizzava ad una armonizzazione degli istituti dettati in materia di altre privative). Deve però essere anche considerato che tale articolo rappresenta ad oggi l’unica norma positiva in materia di legittimazione attiva del licenziatario di un diritto di privativa industriale ed è quindi possibile che la giurisprudenza possa ritenere di farne applicazione analogica anche in casi di contenziosi riguardati brevetti per invenzione o altri titoli di proprietà industriale.

Il nuovo articolo introdotto dalla novella delinea un sistema nel quale la legittimazione ad agire in contraffazione compete anzitutto ed in ogni caso al titolare del diritto di privativa che si assume violato. La legittimazione del licenziatario si presenta come eventuale, essendo sostanzialmente rimessa alla libertà negoziale delle parti del contratto di licenza. Il titolare ed il licenziatario possono pattuire in sede di stipula che al licenziatario competa il diritto di agire contro eventuali contraffattori ovvero possono escluderlo; oppure, nel silenzio del contratto il titolare può autorizzare in un secondo momento il licenziatario ad agire in giudizio.

Tuttavia, anche in assenza di pattuizioni contrattuali che glielo consentano o di una autorizzazione del titolare, il licenziatario potrà agire qualora il titolare non avvii esso stesso un’azione entro un termine appropriato, pur essendo stato messo in mora dal licenziatario che gli abbia riportato dell’esistenza di una contraffazione, invitandolo ad attivarsi.

La nuova disposizione attua un bilanciamento fra il diritto del titolare a decidere (anche successivamente alla conclusione del contratto di licenza) se provvedere direttamente alla difesa giudiziaria dei propri titoli di privativa (gestendo così in modo accentrato la strategia di tutela del proprio titolo), ovvero se evitare di farsi carico dei relativi oneri, rimettendo la difesa del titolo al licenziatario. Al tempo stesso, però, non lascia il licenziatario esposto alla eventuale inerzia del titolare, consentendogli di agire in proprio qualora il titolare non rilasci spontaneamente una autorizzazione ad agire ed allo stesso tempo non vi provveda direttamente (nonostante messa in mora).

In ogni caso, al licenziatario è riconosciuta la possibilità di spiegare intervento nell’azione per contraffazione avviata dal titolare per ottenere il risarcimento del danno da lui subito.

[10] L’art. 25 del Regolamento (UE) 2017/1001 del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione Europea, rubricato con il titolo di “Licenze” prevede quanto segue: “1. Il marchio UE può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, e per la totalità o parte dell’Unione. Le licenze possono essere esclusive o non esclusive.
2. Il titolare di un marchio UE può far valere i diritti conferiti dal marchio contro un licenziatario che trasgredisca una clausola del contratto di licenza in ordine
a) alla sua durata;
b) alla forma disciplinata dalla registrazione nella quale il marchio può essere usato;
c) alla natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è rilasciata;
d) al territorio su cui il marchio può essere apposto; o
e) alla qualità dei prodotti fabbricati o dei servizi forniti dal licenziatario.
3. Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio UE soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Tuttavia il titolare di una licenza esclusiva può avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia lui stesso un’azione per contraffazione entro termini appropriati.
4. Un licenziatario può intervenire nella procedura per contraffazione, avviata dal titolare del marchio UE, per ottenere il risarcimento del danno da lui subito.
5. Su richiesta di una delle parti, la concessione o il trasferimento di una licenza di marchio UE sono iscritti nel registro e pubblicati“.
6. L’iscrizione nel registro ai sensi del paragrafo 5 è cancellata o modificata su richiesta di una delle parti“.

[11] L’art. 32 del Regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari, rubricato con il titolo di “Licenze” prevede quanto segue: “1. Un disegno o modello comunitario può essere concesso in licenza per l’intera Comunità o solo per parte di essa. La licenza può essere esclusiva o non esclusiva.
2. Fatte salve eventuali azioni fondate sul diritto del contratto, il titolare può opporre i diritti conferiti dal disegno o modello comunitario ad un licenziatario il quale contravvenga a qualsiasi disposizione del contratto di licenza per quanto attiene alla durata del contratto stesso, alla forma in cui può venir impiegato il disegno o modello, alla gamma dei prodotti per cui è concessa la licenza ed alla qualità dei prodotti fabbricati dal licenziatario.
3. Con riserva di quanto disposto dal contratto di licenza, il licenziatario può proporre un’azione per contraffazione del disegno o modello comunitario soltanto con il consenso del titolare. Scaduto inutilmente un congruo termine impartito al titolare del disegno o modello per proporre l’azione, questa può esser tuttavia proposta dal titolare di una licenza esclusiva.
4. Per ottenere il risarcimento del danno da lui subito il licenziatario è legittimato ad intervenire nell’azione per contraffazione promossa dal titolare del disegno o modello comunitario.
5. Se il disegno o modello comunitario è registrato la concessione in licenza dei relativi diritti o la cessione di questa licenza vengono, su istanza di una delle parti, iscritte nel registro e pubblicate“.

[12] La sentenza Corte di Giustizia U.E. 4 febbraio 2016, nella causa C-163/15, nel procedimento Youssef Hassan vs. Breiding Vertriebsgesellschaft mbH, ha affermato che “il licenziatario può agire per contraffazione del marchio comunitario oggetto della licenza anche qualora quest’ultima non sia stata iscritta nel registro dei marchi comunitari”; successivamente la sentenza Corte di Giustizia U.E. 22 giugno 2016, nella causa C-419/15, nel procedimento Thomas Philipps GmbH & Co. KG vs. Grüne Welle Vertriebs GmbH, ha affermato che “il licenziatario può agire per contraffazione del disegno o del modello comunitario registrato oggetto della licenza anche qualora quest’ultima non sia stata iscritta nel registro dei disegni o dei modelli comunitari” e che “il licenziatario può, nell’ambito di un procedimento per contraffazione di un disegno o di un modello comunitario da lui promosso conformemente a tale disposizione, richiedere il risarcimento di un danno da lui subito”.

3. Alcune questioni problematiche

La nuova disciplina nulla prevede circa la forma che dovrà assumere l’autorizzazione rilasciata dal titolare al licenziatario perché questi possa agire. Può però ritenersi che questa possa essere rilasciata in qualsiasi forma e che non debba trattarsi necessariamente di autorizzazione espressa, ma possa anche essere sufficiente un’autorizzazione implicita ravvisabile nei comportamenti delle parti. Allo stesso modo, può ritenersi che anche una autorizzazione successiva, rilasciata nel corso del giudizio, possa sanare un’azione originariamente priva di autorizzazione del titolare.

La natura della legittimazione del licenziatario prevista dalla norma in commento è peculiare, posto che questi agisce nell’interesse proprio, facendo valere proprie autonome pretese risarcitorie (ed eventualmente un proprio interesse ad una tutela di tipo inibitorio), ma al tempo stesso la sua legittimazione è subordinata ad autorizzazione. Sembra di potersi escludere che il licenziatario rivesta nel giudizio la posizione di sostituto processuale del titolare, in virtù del fatto che l’azione è svolta nell’interesse proprio. La sua legittimazione processuale è quindi piena, anche se sottoposta a condizione.

Tale dato trova conferma nella disposizione che consente al licenziatario di agire direttamente in proprio qualora il titolare, previa messa in mora, non avvii esso stesso un’azione entro un termine appropriato. Alla luce della presenza di questa norma, può anche ritenersi che qualora il titolare dei diritti abbia autorizzato il licenziatario ad agire, l’autorizzazione non possa poi essere soggetta a revoca nel corso del giudizio.

La carenza sia di autorizzazione del titolare, sia di una sua inerzia nonostante preventiva messa in mora, rende l’eventuale azione del licenziatario inammissibile per carenza di legittimazione ad agire. Ci si può chiedere se la norma che rende necessaria tale condizione processuale sia applicabile tanto alle azioni di merito quanto alle azioni cautelari, oppure se sia destinata ad operare solo in sede di merito, dovendosi riconoscere che in sede cautelare l’esigenza di urgenza e la natura sommaria del procedimento legittimino il licenziatario a richiedere l’adozione di misure cautelari senza dover preventivamente essere autorizzato dal titolare. Una simile soluzione interpretativa potrebbe forse trovare conferma nel fatto che il meccanismo di legittimazione che passa dalla messa in mora del titolare si presenta come naturalmente lento e quindi tale da comportare dei tempi di formazione della condizione di legittimazione non compatibili con la celerità che tipicamente è alla base di esigenze cautelari.

Quanto alla norma che prevede la possibilità di intervento del licenziatario nell’azione per contraffazione avviata dal titolare del marchio per ottenere il risarcimento del danno da lui subito, occorre anzitutto precisare che tale intervento può indubbiamente qualificarsi come intervento adesivo autonomo (o intervento litisconsortile facoltativo) e non invece come intervento adesivo dipendente, posto che il licenziatario-intervenuto assumerà una posizione coincidente con quella del titolare-attore (chiedendo l’accertamento della contraffazione e la conseguente condanna al risarcimento del danno) ma domandando il riconoscimento a suo favore di parte del risarcimento complessivo[13].

La possibile presenza nel giudizio sia del titolare sia del licenziatario solleva una problematica relativa alla ripartizione del monte risarcitorio fra di essi. È pacifico che il danno causato dalla violazione può prodursi sia in capo al titolare del diritto sia in capo al licenziatario (o ai molteplici licenziatari) ed è altrettanto evidente che ciascuno di essi potrà richiedere solamente la parte del danno totale che gli compete, in applicazione degli ordinari criteri di sussistenza del nesso causale. Nell’ipotesi in cui in giudizio vi siano il titolare del diritto ed il suo licenziatario esclusivo e nella determinazione del risarcimento si segua il paradigma del primo comma dell’art. 125 c.p.i., avendo a riferimento i mancati guadagni dovuti all’attività contraffattoria, al primo competerà un danno essenzialmente corrispondente alle royalty perse a causa della violazione (che gli sarebbero state riconosciute dal licenziatario in assenza della perturbazione di mercato) e al secondo i mancati utili dovuti alle minori vendite (chiaramente al netto delle royalty dovute al titolare). La situazione è suscettibile però di presentarsi in termini più complessi, nell’ipotesi in cui vi sia una pluralità di licenziatari oppure vi sia uno sfruttamento concorrente del diritto concesso in licenza sia da parte del titolare e da parte del licenziatario, come pure nell’ipotesi in cui il paradigma risarcitorio adottato sia quello della cosiddetta equa royalty, di cui all’art. 125, comma 2, c.p.i. o qualora si faccia riferimento al criterio della retroversione degli utili di cui all’art. 125, comma 3, c.p.i.

Nel caso in cui il giudizio sia proposto dal solo titolare del diritto oppure nell’opposto caso in cui il giudizio sia proposto dal solo licenziatario (dietro autorizzazione del titolare del diritto ovvero nel caso in cui il titolare del marchio, previa messa in mora, non abbia avviato un’azione per contraffazione entro termini appropriati) deve in linea di massima ritenersi che il soggetto che propone l’azione possa richiedere solamente i danni di sua competenza, mentre le poste risarcitorie spettanti all’altro soggetto potranno eventualmente essere da questi richieste in un separato e successivo giudizio. È però auspicabile che questa norma sia interpretata nel senso di richiedere che il titolare che proponga una azione nei confronti di un contraffattore sia obbligato ad informare il proprio licenziatario di tale azione, così da porlo in condizione di intervenire in tale giudizio qualora lo ritenga opportuno, secondo i canoni generali di buona fede nella esecuzione del contratto exart. 1375 c.c. ed in modo da contenere la proliferazione di giudizi diversi per accertare una medesima contraffazione.

Avv. Adriano Sponzilli

[13] Circa la qualificazione quale intervento autonomo riconducibile alla disposizione normativa dell’art. 111, comma 3, c.p.c. dell’intervento del soggetto che faccia valere un autonomo interesse a partecipare al giudizio, si veda (fra le altre) la sentenza Cass. civ. 1° novembre 2006, n. 18937.

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