Gli avvocati sono generalmente considerati, e generalmente considerano loro stessi, unidimensionalmente, come combattenti (fighter): paladini che si battono vigorosamente e con zelo per vendicare i diritti violati dei propri clienti.
Secondo T.D. Barton e J.M. Cooper della California Western School of Law, esistono però almeno altre due dimensioni possibili per il professionista della legge: quella del problem solver e quella del designer[1].
Il “guerriero” usa e reagisce al potere. Nel loro ruolo di combattenti, gli avvocati operano pertanto su un piano verticale, e in modalità “riavvolgimento” (rewind).
Spesso non guardano lateralmente, in direzione di coloro che sperimentano in prima persona i problemi legali, o in direzione dell’ambiente sociale, finanziario e organizzativo nel quale queste persone vivono. Nell’affrontare i problemi, i combattenti neppure guardano spesso in avanti, per immaginare le conseguenze dell’adozione di procedure avversariali piuttosto che di interventi che potrebbero prevenire il ripresentarsi di tali problemi.
Essi invece, come si diceva, tendono a guardare in alto, verso principi e norme giuridiche fissati da autorità superiori. E verso il basso, scavando a fondo per scoprire fatti ed elementi sussumibili in quei precetti. Infine, si volgono indietro, poiché le questioni legali sono spesso definite come una serie di accadimenti storici tra loro concatenati che ha condotto alla violazione di una qualche regola.
La mentalità del combattente viene naturalmente rafforzata dalla struttura stessa delle procedure giudiziali per la risoluzione dei conflitti, le quali tendono a ridurre i problemi umani a modelli giuridici. In tale contesto, il combattente elabora il caso, come già accennato, “riavvolgendo il nastro”, cioè ricostruendo minuziosamente i fatti che danno luogo a responsabilità, in modo da ottenere un risultato basato su di essi.
La prospettiva “verticale” della professione è del resto essenziale per il diritto. Ciononostante, le sue caratteristiche di avversarialità, reattività, il fatto di essere fondata sul potere, fanno sì che le parti, anziché lavorare insieme per risolvere i loro problemi, si concentrino piuttosto nel tentativo di ottenere una decisione favorevole dal giudice, con la creazione di un “vincitore” e di uno “sconfitto”.
Per essere efficace il guerriero è costretto dunque, spesso, a trascurare gli interessi profondi, le emozioni e le relazioni dei soggetti coinvolti, per guardare in direzione delle norme giuridiche.
Se alcune questioni si prestano a essere risolte nell’ambito di questa dimensione della professione, rendendola necessaria, affermano gli Autori citati, altre possono piuttosto essere prevenute da avvocati che operano in una diversa modalità, la modalità “avanti veloce” (fast forward), anziché rewind, progettando ambienti e facilitando relazioni meno conflittuali e meno produttivi di problemi.
Operare nella modalità “fast forward” significa che l’avvocato anticipa, nei limiti del possibile, il problema. Alcune linee guida per affrontare i problemi preventivamente, suggerite da Barton e Cooper, possono essere le seguenti:
– tentare di strutturare per i clienti i luoghi di lavoro, gli ambienti finanziari, familiari e personali in modo da prevenire l’insorgere di problemi
– se i problemi insorgono, promuovere una riflessione autonoma da parte del diretto interessato sul significato e le implicazioni della questione
– promuovere la comunicazione e la cooperazione tra le parti e tra i rispettivi avvocati.
Altre questioni possono d’altro canto trasformarsi, senza possibilità di prevenzione efficace, in conflitti manifesti. Anziché ricorrere a procedure avversariali, sottolineano Barton e Cooper, tali questioni possono spesso essere meglio risolte utilizzando procedure di tipo più orizzontale che verticale, nell’ambito di una cultura della supportive accountability piuttosto che della attribuzione di “colpa”.
I problemi sono barriere o collegamenti disfunzionali nei rapporti tra i soggetti e il loro ambiente. L’avvocato come designer risponde a questi problemi suggerendo interventi che cambiano le relazioni umane o l’ambiente in cui le persone vivono.
Gli avvocati che operano preventivamente e creativamente sono perciò designer e problem solver. Essi acquisiscono queste capacità rafforzando
– l’onesta comunicazione coi clienti
– la comprensione profonda dei differenti interessi e dei punti deboli o di tensione dai quali emergono i problemi
– la volontà di essere proattivi nel ristrutturare le relazioni delle parti e gli ambienti in cui esse operano.
Gli avvocati possono dunque essere più che semplici combattenti. Possono operare orizzontalmente, cercando di rendere la risoluzione dei problemi più partecipativa per i diretti interessati, con meno preoccupazione per le regole formali e il linguaggio specialistico e più attenzione al consenso e alla negoziazione tra le parti, parti che parlano direttamente tra loro e con autorità che utilizzano le loro stesse parole e i loro stessi concetti.
Gli avvocati devono quindi essere preparati a offrire ai loro clienti
meccanismi creativi per la risoluzione dei conflitti. Un modo per cominciare a intraprendere un simile processo è appunto quello di immaginare approcci più orizzontali alla risoluzione dei problemi legali, come per esempio, nell’ambito statunitense,
peacemaking session e
problem solving courts[2].
Nell’ambito della risoluzione dei conflitti è oggi, del resto, sempre più avvertita, affermano Barton e Cooper, l’esigenza di travalicare i limiti delle strutture e delle funzioni tradizionali.
In primo luogo, ciò avviene a causa dell’inefficienza del sistema giudiziario. In secondo luogo, a causa del fatto che le procedure di tipo verticale limitano la partecipazione dei diretti interessati nella valutazione, presentazione e risoluzione dei loro stessi problemi.
Inoltre, soluzioni basate sull’attribuzione di “colpa” vengono sempre più viste come meno produttive e maggiormente dannose psicologicamente rispetto a soluzioni nelle quali mentalità, relazioni e spazi fisici vengono ristrutturati in maniera tale da prevenire il ripresentarsi del problema. Infine, nuove concezioni di “verità” stanno emergendo, le quali richiedono apertura alle differenti posizioni delle parti, piuttosto che la tendenza all’omogeneizzazione delle loro prospettive senza attenzione alcuna per il contesto sociale.
Procedure maggiormente collaborative vanno perciò affermandosi, quali mediazione, conciliazione, arbitrato. Nuove procedure di problem solving di carattere maggiormente partecipativo, più orizzontale, attendono ancora, d’altronde, di essere sviluppate e implementate.
Con il proliferare di siffatti metodi di risoluzione dei conflitti, agli avvocati sono sempre più richieste nuove abilità per poter soddisfare efficacemente le richieste dei clienti:
– migliori doti comunicative
– una comprensione globale dei contesti sociali, relazionali, finanziari ed emozionali dei problemi e delle connessioni tra le persone che influenzano quei contesti
– una miglior percezione dei cambiamenti ambientali e personali idonei a prevenire il ripresentarsi di un problema
– l’abilità di implementare i cambiamenti necessari.
Per l’affermarsi dell’avvocato multidimensionale occorrono sia riforme nelle procedure giudiziarie sia lo sviluppo di tali nuove abilità da parte dei professionisti.
Gli avvocati devono pertanto agire diversamente; e per far ciò, essi devono innanzitutto pensare diversamente. E questo, nell’opinione degli Autori citati, deve essere il punto di partenza: una nuova mentalità per gli avvocati e il pubblico circa le possibilità che offre il diritto per la salvaguardia delle relazioni tra individui e la risoluzione dei problemi.
Per trasformare in realtà la nuova mentalità, agli avvocati è richiesto poi di sviluppare, come accennato, nuove capacità di ascolto, di identificazione degli interessi, di inquadramento e investigazione dei problemi, e di elaborazione di sistemi di soluzioni che possano offrire vantaggi reciproci. Nel momento in cui gli avvocati utilizzeranno tali abilità, nuove strutture evolveranno spontaneamente attorno a esse.
Il diritto come progetto e risoluzione creativa dei problemi cerca anche di promuovere concretamente i valori dell’inclusività e della decentralizzazione nell’adozione di decisioni, nonché il rispetto per le differenze umane e per le relazioni non coercitive.
Nell’ottica della multidimensionalità, l’avvocato deve aspirare ad essere un vero e proprio consigliere piuttosto che un mero esperto del diritto, e a lavorare in sinergia con altri professionisti. Inoltre, l’avvocato multidimensionale dovrebbe essere in grado di comprendere i peculiari contesti nei quali i clienti possono trovarsi, contesti in cui il senso comune e l’istinto potrebbero fallire.
L’avvocato designer e problem solver si sforza dunque, fondamentalmente, di promuovere salutari relazioni e l’appagamento delle persone coinvolte nella questione legale.
Ciò va d’altro canto a scontrarsi con la logica attualmente dominante nel sistema giudiziario, basata sull’attribuzione di responsabilità e sulla eliminazione della violazione alla norma giuridica, la quale finisce con il determinare, inevitabilmente, anche il rapporto avvocato-cliente. Se infatti trovare qualcuno da incolpare e qualcuno da rifondere a seguito della violazione di una norma sono gli obiettivi principali dei procedimenti giudiziari, gli avvocati non sono certamente incentivati a sviluppare i tipi di abilità creative e la profondità di comunicazione che il professionista multidimensionale invece richiede.
Stando alla logica dominante, dunque, affermano Barton e Cooper, gli avvocati avrebbero davvero pochi motivi per spingersi oltre, per investigare a fondo il contesto dal quale ha tratto origine il problema del cliente o per immaginare una riconfigurazione dell’ambiente al fine di prevenire la ricorrenza del problema.
I professionisti del diritto posseggono d’altra parte un grande potenziale per incentivare atteggiamenti riflessivi nei loro clienti. Nelle loro conversazioni coi clienti, gli avvocati dovrebbero cercare di fornire a questi ultimi la possibilità di giocare un ruolo nella risoluzione dei loro stessi problemi. Inoltre, dovrebbero facilitare la comprensione degli aspetti legali della questione da parte dell’interessato, attraverso informazioni accessibili.
Dovrebbero altresì sforzarsi di responsabilizzare il cliente: attraverso una più ampia comunicazione con i soggetti coinvolti, affermano gli Autori citati, il diritto potrebbe infatti cominciare a reclamare il ruolo di guida morale per la nostra civiltà.
Per fornire al cliente soluzioni migliori e durature, il professionista della legge dovrebbe, in definitiva, lavorare per costruire e sostenere relazioni in grado di sopravvivere alle singole questioni legali contingenti.
Le relazioni interpersonali, come quella tra marito e moglie, o tra datore di lavoro e lavoratore, potrebbero essere infatti destinate a perdurare anche dopo le difficoltà contingenti, e quindi una “soluzione” la quale comporti oggi una compromissione irreparabile del rapporto potrebbe condurre in futuro ad altri problemi legali, rivelandosi pertanto una non-soluzione.
In conclusione, scopo dell’approccio in esame è dunque quello di educare studenti e professionisti a metodi per prevenire i problemi, quando possibile, e per risolvere creativamente tali problemi quando essi siano già sorti.
Per far ciò, ci si focalizza sia sull’uso più creativo del tradizionale ragionamento analitico sia sull’uso di metodi di risoluzione dei problemi non convenzionali per il diritto, ripresi, esemplificativamente, dal mondo degli affari, dalla psicologia, dall’economia, dalle neuroscienze e dalla sociologia
[3].
agosto 2008
[1] T.D. Barton e J.M. Cooper, Preventive Law and Creative Problem solving: Multi-dimensional Lawyering, in www.preventivelawyer.org, sito del National Center for Preventive Law, all’indirizzo www.preventivelawyer.org/content/pdfs/Multi_Dimensional_Lawyer.pdf.
Sul preventive law e il creative problem solving, entrambi vettori del Comprehensive Law Movement, sia consentito rinviare a G. Briganti, Un nuovo approccio al diritto e alla professione legale: il "Comprehensive Law Movement", in www.iusreporter.it, all’indirizzo www.iusreporter.it/Testi/comprehensivelaw.pdf.
[2] Sui quali v. T.D. Barton e J.M. Cooper, op. cit., pp. 14 ss.
[3] V. G. Briganti, op. cit., e S. Daicoff, Law as a Healing Profession: The Comprehensive Law Movement, in Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, Fall 2005, disponibile anche nel sito dell’UCLA School of Law, www.law.ucla.edu, all’indirizzo www.law.ucla.edu/docs/daicoff__susan_-_comprehensive_law_movement.pdf.
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