Avvocati: no alle tariffe troppo basse

Redazione 24/01/17
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Gli avvocati hanno diritto a un compenso equo e commisurato al lavoro svolto. Dopo la proposta di legge elaborata dal Consiglio Nazionale Forense e presentata in Parlamento a luglio, una recente ordinanza del Tar di Lecce ha giudicato illegittimo un bando comunale che affidava i servizi legali con il criterio del massimo ribasso. Ancora una volta, dunque, viene stabilito un limite virtuale al di sotto del quale il pagamento è giudicato irrisorio e lesivo del prestigio della professione di avvocato.

Vediamo in quali casi si può parlare di tariffe troppo basse e cosa prevede la proposta di legge sull’equo compenso.

 

Che cos’è l’equo compenso?

L’equa retribuzione per tutti i lavoratori è stabilità, a livello generale, dall’Art. 36 della Costituzione.

“Il lavoratore”, si legge nell’articolo, “ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza dignitosa. L’Art. 2233 del codice civile, ampliando quanto già esposto dalla Costituzione, stabilisce poi che “la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione“.

I liberi professionisti e gli avvocati, che per la natura del loro lavoro non hanno la certezza di uno stipendio fisso ogni mese, sono inoltre particolarmente esposti ai rischi di un compenso troppo basso e comunque non commisurato alla quantità di lavoro svolta.

 

Illegittimo il criterio del massimo ribasso

L’ordinanza n. 21/2017 del Tar di Lecce, in risposta a un ricorso del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e di altre associazioni, è recentemente intervenuto in materia di retribuzione dei professionisti.

Il tribunale amministrativo ha sospeso, in particolare, un bando di gara per l’affidamento del servizio giuridico-legale comunale che si affidava al criterio del massimo ribasso. La base d’asta del bando era pari a 18.000 euro, ma l’importo vittorioso era sceso a meno della metà di tale somma: una cifra decisamente bassa in proporzione al lavoro da svolgere.

Il Tar ha evidenziato come il bando in esame non rientrava nelle ipotesi previste dall’Art. 95, comma 4, del D.Lgs. 50/2016 (che disciplina il criterio del massimo ribasso) e ha quindi annullato l’atto di gara.

 

L’equo compenso degli avvocati

Il disegno di legge sull’equo compenso degli avvocati, come accennato in apertura, ha proprio il compito di annullare tutte le clausole vessatorie presenti nei contratti tra avvocati e poteri forti.

Il nuovo provvedimento all’esame del Parlamento sanzionerebbe come nulli tutti i patti vessatori stabiliti con clienti “forti” che prevedano un compenso non equo o altri tipi di penalizzazioni ingiuste nei confronti dell’avvocato. A decidere del compenso, una volta stabilita la non equità della somma pattuita inizialmente, dovrà quindi essere l’autorità giudiziaria tenendo conto degli ordinari parametri.

 

Quali sono le clausole vessatorie da annullare?

Tra le clausole definite “vessatorie” rientrano non solo i compensi ingiustamente bassi e non commisurati al lavoro svolto, ma anche i patti che prevedano la possibilità per il committente di recedere dal contratto senza preavviso e quelli che impongano all’avvocato di anticipare le spese della controversia.

Non solo l’istituzione di tariffe minime stabilite per legge, quindi, ma anche una più generale maggiore tutela di una categoria professionale che troppo spesso negli ultimi anni è stata penalizzata dalla crisi, dall’aumentare dei costi della giustizia e da riforme non sempre del tutto oculate.

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