Autosufficienza economica del figlio maggiorenne e mantenimento

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Il principio è noto da molto tempo ed è anche stabile.

I figli hanno diritto ad essere mantenuti dai genitori, sia che siano sposati o conviventi, separati o “divorziati”, sino a quando non siano in grado di mantenersi in modo autonomo. Vale a dire, sino a quando non riescono a raggiungere l’autosufficienza economica.

Una simile situazione, non coincide con il compimento dei diciotto anni, al raggiungimento della maggiore età, ma si verifica quando il giovane raggiunge un’autonomia, un reddito conforme al suo percorso di studi e che gli garantisca una determinata stabilità.

Le insicurezze si manifestano quando si deve definire la stabilità.

Ad esempio un lavoro part-time è stato considerato sufficiente, un dottorato di ricerca non lo è, così come non sono sufficienti uno stage, un apprendistato o un tirocinio, a causa del loro carattere precario.

Sul diritto al mantenimento al figlio lavoratore, sono state scritte diverse pagine di sentenze, al fine di definire quando sussista l’autosufficienza economica.

Una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. ord. n. 11186 dell’11.06.2020), ha stabilito che lo studente lavoratore non ha diritto all’assegno di mantenimento del genitore.

Il giovane era stato assunto alle Poste con un contratto part-time a tempo determinato.

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L’obbligo di mantenimento dei figli

L’obbligo dei genitori di mantenere i figli è previsto dall’articolo 30 della Costituzione ed esiste per il fatto di averli generati.

I genitori, anche se non sono sposati, devono mantenere i figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Non esiste un limite di età prestabilito oltre il quale il genitore non è più tenuto a provvedere al mantenimento dei figli.

Di solito i genitori sono tenuti a mantenere i figli sino a quando iniziano a lavorare e il lavoro gli consente di raggiungere l’indipendenza economica.

Si possono liberare dall’obbligo di mantenere i figli se provano che il fatto di non svolgere un’attività lavorativa derivi da inerzia, rifiuto o abbandono ingiustificato del lavoro.

Più il giovane cresce, più il giudice può presumere che se non è economicamente indipendente, derivi da inerzia e pigrizia e non dalle difficoltà del mondo del lavoro.

La dipendenza dai genitori si elimina in modo definitivo al compimento dei trentacinque anni, il limite di età definito da alcune pronunce della Cassazione.

Oltre questa soglia sembra non sia verosimile ritenere che l’assenza di lavoro non dipenda dal mercato ma dall’assenza di volontà del beneficiario.

In questo modo, da trentacinque anni in poi si perde l’assegno di mantenimento dal genitore.

Non è un limite categorico, è indicativo, considerando che ogni situazione è diversa dalle altre.

Il giudice deve valutare in relazione a ogni caso, potendo eliminare il mantenimento anche prima di trentacinque anni quando il giovane non ha voluto studiare e non si è impegnato al fine di trovare un posto di lavoro, oppure quando, nonostante abbia conseguito una laurea e un titolo, non abbia partecipato a concorsi, bandi pubblici, non abbia inviato il curriculum vitae alle aziende, non abbia richiesto colloqui di lavoro e non si sia iscritto alle liste di collocamento.

L’onere della prova

Nonostante si potrebbe pensare il contrario, non è il figlio che deve dimostrare di non avere raggiunto l’indipendenza economica per cause non imputabili a lui, dovrà essere il genitore a dare prova, in giudizio, della sua inerzia.

Questo rende le cose più difficili per i padri che spesso sperano di liberarsi dell’obbligo dal giorno successivo alla laurea.

 

Quando decade il diritto al mantenimento

L’obbligo per i genitori di versare il mantenimento viene meno in determinate ipotesi.

Raggiunta una età adulta, non indicata però dalla legge ma che, come scritto in precedenza, per la Cassazione si aggira intorno ai trentacinque anni.

Quando i figli iniziano un’attività lavorativa che gli consenta di raggiungere l’indipendenza economica.

Quando il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipende da inerzia, rifiuto o abbandono ingiustificato del lavoro stesso da parte dei figli.

Di recente la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli sino al completamento del percorso formativo prescelto e all’acquisizione della capacità lavorativa che gli consenta di raggiungere l’autosufficienza (Cass. 22 luglio 2019 n. 19696).

 

La Corte ha escluso il diritto al mantenimento per il figlio che, una volta terminati gli studi, abbia rifiutato senza che ci fossero validi motivi un posto di lavoro fuori sede.

In quali circostanze il figlio raggiunge l’autosufficienza economica

Il figlio maggiorenne diventa economicamente autosufficiente quando comincia a percepire un reddito che corrisponda alla professionalità che abbia acquisito rispetto alle normali condizioni di mercato (Cass. 8 agosto 2013 n. 18974), anche se l’inserimento nella famiglia paterna gli avrebbe garantito una posizione sociale migliore (Cass. 3 settembre 2013 n. 20137), a meno che si sottraggano in modo volontario al lavoro.

Che cosa succede quando il figlio raggiunge l’indipendenza economica

Una volta raggiunta l’indipendenza economica il figlio perde per sempre il diritto al mantenimento. Gli eventi successivi non assumono rilievo.

Un giovane che viene assunto da un’azienda a vent’anni e poco tempo dopo viene licenziato non può più richiedere il mantenimento ai genitori.

I limiti di età per il mantenimento

La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice è tenuto a valutare, attraverso un prudente apprezzamento, caso per caso e con l’attuazione di metodi di rigore che in proporzione devono risultare crescenti in rapporto all’età di coloro che ne avranno beneficio,  le circostanze che giustificano il permanere del sopra scritto obbligo di mantenimento, allo stesso modo dell’assegnazione della casa familiare.

Un simile obbligo non può essere protratto oltre limiti di tempo e di misura ragionevoli, perché il diritto del figlio trova giustificazione nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, che agisca nel rispetto delle sue capacità e inclinazioni compatibili con le condizioni economiche dei genitori, e delle aspirazioni.

Secondo i sommi giudici, non assume rilievo il fatto che il giovane fosse ancora iscritto all’università e che il lavoro fosse part-time.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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