Assetti organizzativi adeguati, cambiamento climatico e transizione ecologica

Andrea Lolli 28/02/23
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L’obbligo di costruire adeguati assetti organizzativi è diventato uno dei cardini della disciplina societaria e della crisi di impresa.
Con l’entrata in vigore -finalmente- del codice della crisi sono anche entrati in vigore i parametri cui rapportarsi per capire se l’assetto organizzativo è adeguato.
Risulta quindi confermato che il punto di riferimento della disciplina è la situazione finanziaria della società: seguendo una evoluzione normativa ormai consolidata emerge, dunque, la necessità di trovare un equilibrio rispetto ai parametri finanziari della società.
Tale contesto normativo rappresenta quindi una decisa presa di posizione rispetto alla necessità di valutare l’aspetto finanziario della situazione sociale, ovvero un aspetto che fuoriesce della valutazione del contesto aziendale secondo criteri contabili.
Non vi è una -altrettanto chiara- presa di posizione rispetto alla necessità di prendere in considerazione fattori di rischio diversi rispetto a quelli finanziari, perlomeno all’interno del codice civile e del codice della crisi.
La attuale situazione di fatto, tuttavia, non pare in linea con tale circoscritta individuazione  dei fattori di rischio da valutare. Nel contesto attuale sono presenti almeno tre fattori di rischio estremamente rilevanti ed invasivi, capaci di stravolgere una attività di impresa.
La prima è la crisi dei rapporti internazionali legata al conflitto sulla terra Ucraina. I rischi e le dinamiche legati alla presenza di un conflitto non sono certamente una novità assoluta. Rappresentano però , per la appartenenza del conflitto al territorio europeo, e per l’impatto del conflitto sul reperimento della materi prima, un accadimento comunque eccezionale, che trova precedenti in un arco temporale molto risalente.
La seconda è il tristemente noto fenomeno pandemico, che ha determinato uno stravolgimento senza precedenti dello stile di vita, delle abitudini, del contesto economico mondiale.
La terza è costituita dal fattore di rischio ambientale.
A differenza dei primi due elementi oggetto di considerazione, l’effetto distorsivo di tale elemento non si è ancora pienamente prodotto ma è unicamente ipotizzato come un evento futuro, di portata sconvolgente ed epocale.

Indice

1. Le criticità di oggi

Le tre criticità sopra evidenziate hanno un riconoscimento normativo non omogeneo.
Per quanto attiene alla pandemia Covid sono state dettate disposizioni che prevedono la sterilizzazione dell’apparato normativo volto a salvaguardare la continuità aziendale e il capitale sociale, in ragione della situazione emergenziale creata dal Covid e dai provvedimenti legati al fenomeno pandemico.
Nulla è previsto, a livello di disposizioni normative, per quanto attiene alla disciplina societaria, con riguardo al tema della guerra con l’ucraina, che viene trattato più su un piano politico che su un piano strettamente giuridico
Il tema della criticità climatica ha originato una pletora di atti e di iniziative, politiche è giuridiche, locali ed internazionali.
Sono stati sottoscritti accordi internazionali (l’ultimo è l’accordo di Parigi del 2015) sono state dettate disposizioni che, in una prospettiva di resilienza, incentivano ed incoraggiano la sostenibilità ambientale e la transizione ecologica.
Tuttavia non vi sono norme espresse di diritto societario che riconoscano una necessità attuale, di valutare, all’interno degli adeguati asseti organizzativi, il  rischio climatico.

2. Il futuro rischio ambientale

Parlare di rischio climatico significa svolgere considerazioni che non rientrano nell’ambito scientifico di chi scrive.
La lettura delle pubblicazioni scientifiche disponibili trasmette comunque alcuni concetti.
In primo luogo il cambiamento climatico, secondo la letteratura scientifica prevalente, sarebbe riconducibile a comportamenti umani che possono essere o non essere tenuti.
In secondo luogo, il cambiamento climatico è già parzialmente intervenuto come fatto storico. Si sono già prodotti, cioè degli effetti non reversibili che sono destinati a mutare il clima ed il territorio nell’orizzonte temporale dei prossimi 30/100 anni. Questa circostanza non è più suscettibile di cambiamento. Ovvero qualunque cosa venga fatta da adesso in avanti non si riuscirà ad evitare che nei prossimi 30/100 anni si verifichino determinate circostanza (IPCC Sixth Assessment Report Climate Change 2021: The Physical Science Basis).
In terzo luogo, se non si sarà on grado di intervenire sulla emissione di gas ad effetto serra, i cambiamenti climatici sono destinati ad accelerare con conseguenze descritte come catastrofiche per intere popolazioni e paesi.
Questi assunti sono presi come dato di fatto dal presente lavoro.
Questi assunti sono tratti da documenti redatti dagli organismi interazionali deputati ad esprimere le riflessioni condivise dalla maggior parte dei paesi sulle considerazioni valutate come attendibili della comunità scientifica mondiale. Ciò detto si aprono due ordini di valutazione, rilevanti sotto il profilo del tema che ci interessa, ovvero degli adeguati assetti organizzativi.
La prima. I cambiamenti climatici non reversibili sono tali da determinare effetti di cui si deve necessariamente tenere conto oggi in un’ottica di prevenzione e di valutazione del rischio che è l’ottica in cui devono operare gli adeguati assetti organizzativi?
La seconda. Come deve essere valutata la possibilità che i comportamenti indotti dalle norme e dagli incentivi non riescano ad invertire la spirale che sta portando verso gli scenari “catastrofici”?
L’attenzione della politica e dell’economia sembra -giustamente- concentrata sul secondo ordine di valutazioni precisamente al fine di evitare che gli scenari catastrofici diventino attuali.
Il tema della sostenibilità, a livello sociale ed ambientale delle politiche economiche a livello macro e micro è una positiva e coinvolgente novità.
Si parla di tematiche e/o criteri ESG con riferimento a tre aree principali, precisamente Environmental (ambiente), Social (società) e Governance, in cui “Ogni pilastro fa riferimento a un insieme specifico di criteri come l’impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali e se un’azienda agisce con accuratezza e trasparenza o meno.
I criteri ESG assumono la forma di una sorta di punteggio di credito sociale in cui tutte e tre le categorie vengono utilizzate per illustrare la quantità di rischio di un’azienda per gli investitori. Il rating ESG viene solitamente calcolato in base ai dati e alle metriche relativi alle risorse immateriali di un’organizzazione. Di conseguenza, la decisione di investire non si basa esclusivamente sul rendimento economico di un’organizzazione, ma anche su valori quali il rispetto dell’ambiente e una governance efficace.
Di pari passo e nella stessa prospettiva si pongono le disposizioni sul bilancio di sostenibilità, ovvero sul documento che -sinteticamente- descrive l’impatto della attività -tra l’altro- sull’ambiente.
 Nella piena condivisione di tale prospettiva, e dell’ottica di resilienza sottesa all’applicazione di tali criteri e dello sviluppo di tale pensiero positivo, non si può tuttavia trascurare la necessità di affrontare le conseguenze non reversibili del cambiamento climatico destinate a prodursi nel prossimo orizzonte temporale.
Neppure può essere passato sotto silenzio e non considerata la possibilità che gli incentivi e gli interventi per l’inversione del riscaldamento globale non siano sufficienti ad invertire il trend di riscaldamento globale, e dunque sul fatto che le conseguenze presentate come catastrofiche- del riscaldamento non si verifichino.

3. Il rischio ambientale nel presente

Di qui la semplice domanda.
Che cosa occorre fare oggi? Che cosa devono fare oggi le società italiane rispetto al rischio climatico, a parte cercare di intervenire sulle emissioni di Gas ad effetto serra per intercettare benefici ed agevolazioni e per evitare prospettive catastrofiche?
La domanda può anche essere così posta. Il territorio italiano non è tutto sottoposto ad un rischio uniforme.
Vi sono zone che sono maggiormente sottoposte al rischio di mutamenti in ragione di eventi legati al cambiamento climatico.
Alcuni (banali) esempi.
Le coste, visto che il mutamento climatico produrrà un innalzamento del livello del mare.
Le stazioni sciistiche, nell’ipotesi di un innalzamento della temperatura.
In relazione a dette località, in cui vi è un rischio climatico differenziato (nel senso di maggiore) è necessario, da parte delle imprese che vi operano, una particolare cautela, una espressa considerazione del rischio climatico all’interno degli assetti organizzativi?
Banalizzando. L’impresa titolare di una concessione balneare cioè del diritto di utilizzare economicamente una spiaggia collocata a livello del mare, spiaggia che finirebbe sott’acqua -o che sarebbe soggetta a frequenti inondazioni- nell’ipotesi di innalzamento del livello del mare di 30/50 cm., è un soggetto che deve tenere conto di questo accadimento che la comunità scientifica da come certo?
Il titolare di un albergo collocato in una stazione sciistica in una zona dove, statisticamente , la quantità di neve caduta ogni anno è minore e tende criticamente a non essere sufficiente per far funzionare una stazione sciistica, deve mettere in conto da un punto di vista imprenditoriale, il rallentamento e la cessazione dell’attività in ragione del cambiamento climatico? Come tale peculiare valutazione impatta sugli assetti organizzativi? nel senso che gli assetti organizzativi debbono valutare specificamente il particolare rischio legato al cambiamento climatico di quella specifica attività di impresa ?
A cascata.
La banca che ha come cliente lo stabilimento balneare e/o l’albergo nella stazione sciistica a rischio, deve effettuare una specifica valutazione di detto rischio climatico cui soggiace l’attività di impresa per “pesarlo” rispetto alla concessione del credito e/o rispetto alle condizioni da applicare?
La risposta a queste domande sconta un dato ambiguo.
La presenza di situazioni di rischio climatico così gravi da cambiare la morfologia del territorio dovrebbe essere oggetto di  provvedimenti normativi e/o amministrativi che affrontano il rischio climatico ed i relativi mutamenti del territorio. Non si conosce dell’esistenza di provvedimenti normativi volti ad anticipare gli effetti di cambiamenti climatici.
Questo silenzio “agnostico” del legislatore non aiuta la qualificazione dei comportamenti degli imprenditori in relazione al rischio climatico.
Provvedimenti in materia di obblighi societari da assumere come conseguenza del cambiamento climatico sono invece dettati nell’ambito dell’ordinamento bancario dalla BCE e della Banca d’Italia si riportano le indicazioni -definite come non vincolanti- dettate dalla BCE (Guida sui rischi climatici e ambientali: Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa, Novembre 2020):
“5. Gli enti dovrebbero affidare le competenze per la gestione dei rischi climatici e ambientali all’interno della struttura organizzativa applicando il modello basato sulle tre linee di difesa.
6. Ai fini della reportistica interna, i dati sui rischi aggregati segnalati dagli enti dovrebbero rifletterne le esposizioni ai rischi climatici e ambientali, in modo da consentire all’organo di amministrazione e ai comitati endoconsiliari pertinenti di assumere decisioni informate.
7. Ci si attende che gli enti integrino i rischi climatici e ambientali quali fattori determinanti per le categorie di rischio preesistenti all’interno dei sistemi di gestione dei rischi esistenti, ai fini della loro gestione e del loro monitoraggio su un orizzonte temporale sufficientemente lungo nonché in vista del regolare riesame dei relativi presidi. Gli enti dovrebbero individuare e quantificare tali rischi nel quadro del proprio processo complessivo finalizzato ad assicurare l’adeguatezza patrimoniale.
8. Nella gestione del rischio di credito, ci si attende che gli enti tengano conto dei rischi climatici e ambientali in tutte le fasi pertinenti del processo di concessione e che ne effettuino il monitoraggio all’interno dei propri portafogli.
9. Gli enti dovrebbero considerare il possibile impatto avverso di eventi climatici sulla continuità operativa, nonché la misura in cui la natura delle attività svolte possa accrescere i rischi reputazionali e/o di responsabilità legale.”
La valutazione del cambiamento climatico come fattore di rischio da spesare in sede di bilancio o come fattore di rischio attuale elemento che deve essere valutato a livello di assetti organizzativi rappresenta, dunque, una ipotesi da valutare.
Questa è, in proposito, la valutazione dell’Assirevi (Climate risk & financial reporting”, Assirevi):
ad oggi, il framework contabile IAS/IFRS, comunemente adottato nel contesto nazionale per la preparazione dei bilanci d’esercizio delle società che si qualificano come enti di interesse pubblico, non fornisce elementi espliciti per la presentazione e la valutazione degli impatti derivanti dai rischi correlati al cambiamento climatico. Tuttavia, in determinate circostanze, potrebbe sussistere la necessità di fornire specifiche informazioni al riguardo, in applicazione dei principi contenuti nello stesso framework, anche al fine di rispondere ai numerosi richiami in tal senso effettuati negli ultimi anni da standard setters e authorities nazionali e internazionali. Particolarmente significativo a tale proposito, da ultimo, è quanto indicato dall’ESMA nelle sue “European common enforcement priorities for 2022 annual financial reports.
In definitiva ci troviamo in un contesto in cui la adozione di misure preventive rispetto al rischio ambientale è suggerito, ma non imposto.

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4. Crisi di impresa indotta da rischio ambientale e responsabilità

Ipotizzare che, attualmente, sussista una responsabilità degli imprenditori per non aver tenuto in idonea considerazione il rischio ambientale sotto un profilo degli adeguati assetti organizzativi significa ragionare in senso prognostico.
Partendo dal presupposto che, attualmente, la inclusione di tale rischio nelle valutazioni condotte in sede di bilancio rappresenta una eccezionalità e non ciò che attualmente viene fatto nella generalità dei bilanci, se ne deve desumere che tale comportamento non è ritenuto, allo stato cogente e vincolante. Volendo essere meno categorici diremo che tale comportamento non rientra allo stato tra quelli che la buona prassi ritiene vincolanti per le società.
Il punto è che, in un qualche modo, occorre porsi il problema rispetto alla valutazione di tale comportamento nel futuro, per capire se, nel futuro la circostanza che gli amministratori e i sindaci non abbiano valutato congruamente il rischi ambientale possa rappresentare  una circostanza di cui sono accusati.
Occorre considerare che il rischio ambientale non colpirà necessariamente, in futuro  la maggioranza delle imprese -scenario che solitamente genera una soluzione politica e non giudiziaria del problema-
E’ invece  possibile che il rischio ambientale intervenga come fattore che genererà una crisi irreversibile di una minoranza delle imprese ed in tale scenario, viceversa il comportamento tenuto dalla maggioranza (ovvero non aver preso nella adeguata considerazione il rischio climatico) che generi  conseguenze  critiche per una minoranza delle imprese (quelle che entreranno in crisi come effetto del cambiamento climatico),  sarà l’autorità giudiziaria a farsi carico del problema.
In tale contesto, la prevedibilità delle conseguenze dirompenti del cambiamento climatico, là dove colpiranno, sembrerà matematica alla luce della pletora di pubblicazioni e studi scientifici che già oggi evidenziano il problema.
In tale contesto – non attuale ma futuro – la circostanza di avere o non avere tenuto conto del rischio ambientale come strumento di valutazione del rischio di default sarà circostanza valutata nella sua correttezza alla luce  dei (pochi) elementi giuridici sopra indicati e dei molti elementi scientifici che depongono nello stesso senso.

5. Il corretto comportamento di amministratori e sindaci. Assetti organizzativi e bilancio d’esercizio

L’introduzione dell’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi rappresenta il giusto strumento per strutturare l’attività di impresa.
La creazione di una organizzazione e di una struttura attorno alla figura dell’imprenditore vuole essere un modo per rendere più razionali e meno arbitrarie le decisioni dell’imprenditore. Evitando che l’arrivo della crisi e l’individuazione di soluzioni alla crisi seguano dinamiche più psicologiche che razionali.
Il fatto che il rischio di cui si deve tenere conto sia legato ad accadimenti  futuri è un cambiamento di visuale notevole, da un punto di vista normativo, con riferimento al tema della responsabilità: la possibilità o la probabilità che accada domani qualcosa deve essere oggi oggetto di valutazione.
 
Rispetto al rischio climatico una ulteriore difficoltà che si pone rispetto all’imprenditore è costituita dal fatto che viene imposta la valutazione di un aspetto che fuoriesce dall’ambito dell’attività d’impresa
La platea degli imprenditori, non è omogenea, sotto il profilo soggettivo, perché in essa coesistono sia soggetti estremamente strutturati che operano in modo globalizzato secondo schemi organizzativi complessi, sia soggetti che, all’inverso, non sono attualmente neppure minimamente strutturati.
La pretesa che tutti detti soggetti siano in grado di prendere posizione e di fare valutazioni non solo sulla propria area di business, ma anche su eventi esterni, è prospettiva per alcuni imprenditori radicalmente nuova e molto impegnativa, imponendo un ragionamento di attualizzazione del rischio futuro quanto agli effetti sulle decisioni attuali, da parte dell’imprenditore, che non è adottata neppure dal legislatore. Che ad oggi non ha preso in esame pianificazione del territorio legata ai mutamenti causati del cambiamento climatico.
Ciò nonostante una evoluzione dell’assetto organizzativo nel senso indicato ovvero nel senso di prendere in considerazioni rischi legati ad una serie di criticità e di cambiamenti che si stanno rivelando epocali e propri di questo momento storico sembra inevitabile.
Sotto tale ultimo aspetto prendiamo atto del fatto che, almeno a livello di società di capitali, le iniziative assunte da ciascuna impresa al fine di dimostrare di aver adottato degli assetti organizzativi adeguati rimangono iniziative di cui non è prevista una idonea pubblicità né un adeguato trattamento in sede di bilancio.
Non si prevede infatti espressamente che nel bilancio di esercizio si dia conto di quanto fatto per rendere gli assetti organizzativi adeguati al rischio ambientale, per illustrare quali rischi sono stati presi in considerazione e sono stati fronteggiati.
Oltretutto nell’attuale contesto normativo, se ad esempio una determinata impresa ritenesse di fare accantonamenti in relazione ad un rischio ambientale cui si trova esposta, non avrebbe certezza alcuna che detto accantonamento non verrebbe contestato come una forma surrettizia per deprimere il risultato d’esercizio.
Per non parlare dell’aspetto fiscale legato al tema della tassazione di detto accantonamento, che in realtà, se correlato a un forte rischio ambientare, potrebbe essere essenziale per la stessa sopravvivenza dell’impresa.

6. Rischio ambientale e rischio da transizione ecologica

Insomma lo stimolo che si vuole dare alla necessità di adeguarsi ad un mondo in fase di cambiamento e dove si richiede alle imprese di prepararsi al meglio in modo da fronteggiare crisi future ed evitarle non vede però il legislatore incoraggiare e/o regolamentare tale cambiamento quanto agli effetti, e non vede neppure il legislatore dettare regole chiare per quanto riguarda la informazione in bilancio su detto cambiamento. 
Tale atteggiamento “agnostico” del legislatore, semmai interviene come fattore di rischio imprenditoriale aggiuntivo
Il legislatore è intervenuto sul tema ambientale in modo da incentivare la transizione ecologica.
Uno di questi incentivi vuole che la transizione ecologica che ha ad oggetto auto o motoveicoli  preveda, che dal 2035 non sia più possibile mettere in vendita auto a combustibile fossile.
Ora questo significa che tutta la filiera produttiva dell’automotive legata al sistema di combustione degli auto/moto veicoli entro il 2035 dovrà essere o riconvertita o dovrà cessare la produzione.
Il questo caso l’orizzonte del cambiamento indotto dal mutamento climatico è ancora più breve: 12 anni.
Sotto questo profilo,  le società della filiera produttiva saranno investite da un cambiamento che coinvolgerà anche gli adeguati assetti organizzativi.
Il dispendio  di energia e di denaro per strutturare la società in modo che sia in grado di valutare ed adottare il “piano b” rispetto alla cessazione  non sembra un tema che possa essere risolto internamente dalla singola società: l’intervento della politica sarà fondamentale.
Ma certo, sotto un profilo di responsabilità ed informativo tale circostanza già oggi non può non creare effetti e conseguenze. Né sotto il profilo della valutazione del rischio da parte dell’impresa e del suo assetto organizzativo.
Né sotto il profilo della informazione che deve essere resa a bilancio in merito alla valutazione di tale rischio. Né sotto il profilo della valutazione del rischio intrinseco alla attività di impesa che dovrà essere pesato da terzi in particolare eventuali investitori e finanziatori.

7. Volume consigliato per approfondire

La valutazione ambientale strategica (Vas) solo nel corso degli ultimi anni ha suscitato vivo interesse da parte delle Amministrazioni pubbliche, e l’attenzione a tale istituto deriva non solo e non tanto dai timori avvertiti per la compromissione dell’ambiente a causa dei processi di trasformazione territoriale, considerati nella loro universalità, quanto, piuttosto, dalla “costrizione” normativa

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La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) dopo il d.lgs. 104/2017

La nuova disciplina della Valutazione di Impatto Ambientale – VIA – è stata profondamente rinnovata a seguito della pubblicazione del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 104. La norma non solo ha prodotto sostanziali modifiche alla struttura della VIA, ma ne ha anche stravolto le procedure. I numerosi cambiamenti (campo di applicazione, elaborati tecnici da produrre, raccordo con l’AIA e le altre procedure autorizzatorie ambientali) hanno offerto lo spunto per realizzare questo manuale che offre all’operatore un essenziale vademecum di riferimento e consente una lettura agevole e chiara della nuova disciplina. Oltre a evidenziare i cambiamenti procedurali della Valutazione di Impatto Ambientale, quest’opera chiarisce gli adempimenti cui sono tenuti i soggetti proponenti, nonché l’articolazione temporale delle diverse fasi.Di pregevole fattura anche l’ampia rassegna di giurisprudenza (nazionale e comunitaria) che offre al lettore un “ventaglio” di principi di diritto utilissimi per orientarsi di fronte alle criticità e alle insidie interpretative insite in una materia così complessa. Il manuale si arricchisce di una completa raccolta di modulistica di supporto (scaricabile online) per l’elaborazione delle istanze di avvio delle procedure ed è corredato da numerose tavole sinottiche e schemi riassuntivi che agevolano l’attività degli operatori.Alfredo Scialò, Avvocato e consulente legale nel campo delle opere pubbliche, specializzato in diritto dell’ambiente con particolare riferimento alle procedure autorizzatorie ambientali e alle discipline settoriali (scarichi idrici, emissioni in atmosfera, bonifiche, rifiuti, terre e rocce da scavo, ecc.) da applicare nella realizzazione ed esercizio di infrastrutture, impianti ed attività potenzialmente inquinanti. In tali ambiti, assiste imprese e stazioni appaltanti, sia in fase stragiudiziale che giudiziale; è docente in corsi di formazione nonchè autore di pubblicazioni nelle riviste specializzate di settore (www.studiolegalescialo.it).

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Andrea Lolli

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