Assegno di mantenimento, spetta anche alla “moglie giovane”?

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In materia di assegno di mantenimento, ci sono due recenti importanti sentenze della Suprema Corte di Cassazione, una del 2017 e una del 2018.
Con la prima (sent. n. 11504/2017), la Corte ha detto che, dopo il divorzio, l’assegno di mantenimento, o “assegno divorzile”, non serve a garantire all’ex coniuge il tenore di vita che aveva nel matrimonio, ma l’indipendenza economica nei limiti di quanto necessario per vivere decorosamente e non al di sotto della soglia della povertà.
Con la seconda sentenza (sent. n. 18287/2018), la Cassazione ha chiarito che bisogna anche tenere in debito conto quelle situazioni nelle quali la moglie ha prestato attività in famiglia, perdendo ogni contatto con il mondo del lavoro e consentendo al marito di arricchirsi con la sua attività.

I requisiti anagrafici e non

In simili circostanze non si può garantire alla donna l’autosufficienza in modo esclusivo, ma una partecipazione all’aumento del patrimonio familiare al quale lei stessa ha contribuito.
La casalinga che si è dedicata alla casa e ai figli deve essere “remunerata” di più se il marito se lo può permettere.
Il mantenimento va negato quando il matrimonio è durato poco, la moglie è ancora giovane, ha un lavoro che le consente di mantenersi, oppure è disoccupata ma non ha fatto niente per cercare un’occupazione.
In questi casi dovrà essere lei a dimostrare al giudice di avere chiesto un posto e di non averlo trovato.
Il prototipo della donna che ha diritto al mantenimento è la casalinga ultracinquantenne.
L’identikit della donna che non ha diritto al mantenimento è quella che ha 30-40 anni di età, con una laurea, un part-time o che, nonostante le pressioni del marito, non ha mai voluto lavorare.

La giurisprudenza di merito

Il tribunale di Trieste ha negato l’assegno divorzile (sent. n. 52/2018) alla ex moglie con un lavoro part-time.
L’orario ridotto era una scelta del datore e della lavoratrice, non una soluzione adottata da lei per dedicarsi soprattutto alla famiglia.
Il giudice ha negato alla donna l’assegno perché avrebbe potuto trovare un’occupazione più adeguata in modo da produrre un reddito stabile e costante.
Il giudice è tenuto ad effettuare accertamenti se lo squilibrio tra i redditi dei due coniugi è dovuto dal sacrificio di uno dei due che ha scelto di assumere un ruolo prevalente nella famiglia dando un contributo fondamentale al patrimonio comune e dell’altra parte.
In una simile valutazione risulta essere importante la durata del matrimonio, e pesano anche l’età dell’avente diritto e la situazione del mercato del lavoro.
Ritornando alla Cassazione, nel caso di separazione, si deve tenere conto della situazione patrimoniale e reddituale complessiva delle parti.
La conseguenza è che il diritto all’assegno si ha esclusivamente quando la separazione determina a carico delle parti un sensibile sconvolgimento delle pregresse e consolidate abitudini di vita.
Nel caso menzionato l’ex moglie ha ventisette anni ed è nelle condizioni di trovare un reddito.

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