Assegno dopo il divorzio e assegno dopo la separazione

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La sentenza 10/05/2017 n. 11504 della Suprema Corte di Cassazione ha riscritto le regole sul mantenimento dell’ex coniuge.

I tribunali nazionali (ad eccezione di Udine) si sono adeguati, e Milano e Roma rivendicano di avere preso in considerazione prima la riforma con sentenze pilota.  Il principio, nonostante sia recente, si è consolidato. Il costume sociale e il “sentire” della gente è cambiato, e le donne in primo luogo non vedono più nel matrimonio un’assicurazione sulla vita. Chi è i  grado di mantenersi da sé non resta sulle spalle dell’ex coniuge.

Secondo la Suprema Corte, dopo la separazione, al coniuge più debole economicamente spetta l’assegno di mantenimento. La finalità scopo di questo assegno, è garantire lo stesso tenore di vita che il coniuge con lo stipendio più basso (o disoccupato) aveva durante il matrimonio grazie alle “sovvenzioni” dell’altro coniuge, e deve sostenere l’ex sino a quando i due redditi non si equivalgano.

Una sentenza del Tribunale di Roma ritiene che anche per la separazione sia venuto meno il metodo del tenore di vita, ma per adesso si tratta di un precedente isolato.

Prima del 10 maggio 2017, al momento della separazione dei coniugi il giudice valutava chi dei due avesse un reddito più basso e, per compensare il divario con quello dell’altro coniuge, ordinava al coniuge economicamente più forte di versare un assegno di mantenimento, in modo da equilibrare le due posizioni, consentendo ad entrambi di mantenere lo stesso tenore di vita che avevano durante  il matrimonio. Una situazione di fatto  impossibile, perché con la separazione le spese raddoppiano. La stessa linea veniva seguita quando, dopo un anno dalla separazione, o sei mesi in caso di procedimento consensuale, la coppia divorziava. Anche l’assegno divorzile era finalizzato a garantire lo stesso tenore di vita.

Con la famosa sentenza “Grilli” del 10 maggio dello scorso anno, la Cassazione ha riscritto le regole sull’assegno di divorzio. Secondo la Corte, la finalità del contributo mensile successivo al divorzio, non è più garantire lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, perché se così fosse, le nozze sarebbero un’assicurazione, ma avrebbe la finalità di garantire l’autosufficienza economica.

Il coniuge che ha la possibilità di mantenersi con le proprie forze, anche se ha un reddito molto più basso dell’ex, non può chiedere nessun contributo.

Ad esempio se l’ex moglie ha uno stipendio di mille euro e l’ex marito di diecimila, alla ex moglie non spetta niente. Restano le vecchie regole per l’assegno di mantenimento.

Al fine di non fare trovare il coniuge più debole economicamente con la necessità di trovare una sistemazione, sino a che la coppia non è divorziata resta l’obbligo di pagare un assegno rapportato al vecchio tenore di vita.

La particolarità della sentenza della Corte di appello di Roma è di avere confrontato due situazioni nelle quali i due coniugi presentavano due redditi tra loro diversi, dove la moglie aveva uno stipendio più basso del marito. Siccome lei risultava titolare di immobili, è stata ritenuta  lo stesso economicamente autosufficiente, e le è stato negato anche l’assegno di mantenimento. La moglie è stata considerata in grado per capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, dimostrata e conseguita prima del matrimonio e successivamente mantenuta, di provvedere con i propri mezzi a se stessa, senza dovere percepire l’assegno di mantenimento.

La revoca è stata disposta con decorrenza dall’ordinanza presidenziale reclamata e ha condannato la donna alle spese del grado di reclamo, aprendo in questo modo la via alla restituzione al ricorrente di quanto pagato sino a quel momento e, a causa della mancanza dei presupposti non dovuto.

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