Assegno divorzile a una ex moglie casalinga che favorisce la carriera del marito

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La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza sentenza 9/03/2020 n. 6519, ha rigettato il ricorso di un marito che in sede di appello, era stato costretto a versare alla moglie un assegno mensile di 1600 euro.

Come il giudice ha correttamente osservato, ci si deve allontanare dal metodo superato del tenore di vita, affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 11504/2017, senza dimenticare però la funzione di perequazione, di assistenza e di compensazione dell’assegno di divorzio, che non può non tenere conto dell’età del coniuge che lo richiede, della sua reale possibilità di riprendere a lavorare, dei sacrifici fatti per la famiglia e del contributo alla formazione del patrimonio familiare con il lavoro fuori casa e casalingo.

La vicenda in sede di Appello in relazione all’assegno da corrispondere alla ex moglie

La Corte d’Appello ha fissato l’assegno divorzile a favore della ex moglie nella somma di 1600 euro mensili.

La Corte, prendendo la decisione in questione, non ha considerato il superato metodo del tenore di vita, evitando però di incidere in modo punitivo.

Nel caso specifico, il coniuge richiedente è rimasto sposato a lungo, dedicando molto tempo alla famiglia e al coniuge, incrementando le risorse economiche della famiglia stessa attraverso il suo lavoro a casa e fuori, che risultano essere decisivi al fine di decidere la durata del matrimonio e la disparità di reddito tra le parti.

La donna rappresenta la parte debole del rapporto perché non ha sue risorse da lavoro, non possiede altre disponibilità liquide, oltre a quelle che derivano dalla vendita degli appartamenti del padre che ha diviso a metà con la sorella, abita in una casa in affitto ed è comproprietaria di una casa che non produce reddito.

Si ritiene corretto diminuire l’importo dell’assegno alla moglie, però non nella misura che indica  dal marito.

In relazione all’età, per la donna non è facile trovare lavoro, in futuro dovrà fare fronte a spese inevitabili e utilizzerà una parte dell’assegno per pagare l’affitto.

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La posizione del marito in relazione all’importo dell’assegno

Il marito decide di ricorrere in Cassazione.

Con il primo motivo, lamenta il fatto che la moglie non abbia prodotto in giudizio le dichiarazioni di successione del padre e della madre.

Con il secondo motivo, si duole di come la Corte non abbia preso in considerazione il fatto che la donna avrebbe potuto abitare nella casa di suo padre e non pagare l’affitto.

Con il terzo motivo, lamenta l’omesso esame dell’accordo secondo il quale la spesa relativa all’affitto sarebbe gravata sul marito sino a quando la moglie non avesse acquistato la disponibilità gratuita di un immobile e una volta sopravvenuta la morte del padre.

 

Con il quarto motivo, contesta il fatto che secondo lui l’immobile ereditato dalla ex moglie on sia redditizio, con la relativa assenza di prove .

Con il quinto motivo, lamenta il giudizio della Corte sulla capacità e possibilità della donna di produrre reddito, non essendoci prove sulle iniziative della ex moglie finalizzate al raggiungimento di una indipendenza economica.

Con il sesto motivo, contesta l’omissione di un fatto decisivo, vale a dire, che la figlia ha deciso di abitare con il padre, e per questo l’importo dell’assegno sembra eccessivo, essendo unico beneficio della donna.

 

Con il settimo e l’ottavo motivo contesta la misura dell’assegno, superiore di molto ai possibili parametri d’indipendenza o autosufficienza economica e per avere stabilito la somma considerando i redditi del marito e la differenza di reddito tra i due, mentre la Corte avrebbe dovuto considerare in modo esclusivo la condizione del richiedente, senza tenere conto dalle indicazioni dettate dalla sentenza n. 11504/2017.

 

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 9/03/2020, ha rigettato il ricorso, ritenendo che le prime sei doglianze sollevate siano inammissibili perché hanno la finalità di ottenere un giudizio sostitutivo rispetto a quello di merito, che si è concluso con una esatta e adeguata motivazione, che si sottrae al disappunto del ricorrente.

 

In relazione al settimo e ottavo motivo del ricorso, nel quale il ricorrente lamenta l’allontanamento dai parametri stabiliti dalla sentenza n. 11504/2017, che ha abbandonato il tenore di vita nella determinazione dell’assegno di divorzio, la Corte fa presente che la successiva SU n. 18287/2018 ha il compito di dare una diversa lettura all’assegno di divorzio più coerente con il quadro costituzionale.

 

Da qui deriva l’adozione del parametro di perequazione e compensazione che si rifà al principio di solidarietà e che deve considerare le condizioni del reddito e del patrimonio di entrambi gli ex coniugi, per il raggiungimento di un livello di reddito adeguato al contributo erogato alla realizzazione della vita familiare, senza non tenere conto delle aspettative professionali sacrificate, considerando l’età del richiedente e la durata del matrimonio.

 

Da qui l’affermazione, relativa all’articolo 5 della legge n. 898/1970 (cosiddetta legge sul divorzio) del principio secondo il quale “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, al quale si deve attribuire una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei metodi dei quali alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

 

In relazione a questo principio, al richiedente verrà riconosciuto un importo adeguato a garantirgli una vita dignitosa e autonoma, che gli riconosca il sacrificio e quello che ha fatto durante il matrimonio.

Da questa logica si è mossa la decisione della Corte d’Appello, che ha abbandonato il metodo del tenore di vita, non tollerando rendite parassitarie in presenza della giovane età del richiedente e della sua capacità lavorativa, per dare spazio a un indirizzo che evita di punire il coniuge più debole economicamente, che è stato sposato per molto tempo, che ha dedicato il suo tempo alla famiglia, incrementando le risorse economiche comuni con il suo lavoro a casa e fuori.

Una simile valutazione è di sicuro più relativa alla realtà del caso in questione.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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