Assegnazione temporanea ex art. 42 bis, D.Lgs n. 151/2001: il Consiglio di Stato “espelle” i militari (nota a Cons. St., Sez. IV, 20 dicembre 2005, n. 7472).

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Il Consiglio di Stato, con la decisione in commento, si pronunzia per la prima volta sull’applicabilità dell’istituto dell’assegnazione temporanea triennale ad altra sede ex art. 42 bis, D.Lgs n. 151/2001, nei riguardi del personale delle Forze Armate.
Come noto, la citata disposizione prevede che il pubblico dipendente con figli minori fino a tre anni di età “può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato [1].
Davvero sorprendente la motivazione con la quale si escludono i dipendenti militari dall’ambito applicativo della citata disposizione.
Nonostante l’art. 42 bis in parola faccia riferimento ai dipendenti delle “amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, tra i quali sono ricompresi anche i dipendenti delle Amministrazioni dello Stato, ovvero, tra gli altri, il personale militare, i giudici amministrativi, mediante il richiamo dell’art. 3, D.Lgs n. 165/2001 – che al primo comma sancisce che rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti (regime pubblicistico e non contrattualizzato), tra gli altri, “..il personale militare..” – esclude l’operatività dell’istituto a favore degli appartenenti alle Forze Armate.
Afferma il Collegio, più nel dettaglio, che riferendosi l’art. 42 bis ai “dipendenti di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, se è pur vero che detta ultima disposizione ricomprende anche il personale delle amministrazioni dello Stato, dunque, anche gli appartenenti alle Forze Armate, detta norma, tuttavia, andrebbe “letta” insieme con l’art. 3, D.Lgs n. 165/2001, che, appunto, sancendo che il personale militare rimane disciplinato dal rispettivo ordinamento, con ciò, in realtà, introdurrebbe una espressa deroga a qualsivoglia disposizione normativa, anche di successiva codificazione come l’art. 42 bis, rivolta, invero, ai soli pubblici dipendenti civili contrattualizzati.
La non condivisibilità di tale opzione ermeneutica emerge palese soltanto leggendo la disposizione normativa contenente l’asserita deroga relativamente agli appartenenti alle Forze Armate.
Recita, infatti, l’art. 3, comma 1, D.Lgs n. 165/2001 che “in deroga all’art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: .. il personale militare..”; laddove, però, i commi 2 e 3 dell’art. 2, D.Lgs n. 165/2001, fanno riferimento alle sole fonti del rapporto di lavoro oggetto di contrattualizzazione, dunque le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, i contratti collettivi, ecc.[2].
In sostanza, la deroga di cui all’art. 3, D.Lgs n. 165/2001, ha un oggetto ben definito: sancisce che non si applica al rapporto di lavoro dei dipendenti militari, proprio perché non contrattualizzati, la disciplina privatistica. Null’altro.
Eppure il Supremo Consesso – che tra l’altro omette di richiamare le disposizioni derogate nel corpo della decisione – desume da tale deroga, afferente a questo punto tutto il personale delle amministrazioni pubbliche non privatizzato, il dato normativo che consentirebbe di escludere i dipendenti militari dall’ambito di applicazione dell’art. 42 bis.
A ben vedere, tuttavia, essendo l’art. 3, D.Lgs n. 165/2001 norma eccezionale – proprio perché contemplante una deroga alla introdotta privatizzazione dell’impiego pubblico, non concernente, appunto, talune categorie di dipendenti tra cui quelli in divisa – la stessa non pare suscettibile di applicazione al di fuori dei casi dalla stessa contemplati (art. 14, Preleggi); nessuno dubita che al personale in regime di diritto pubblico non si applichino le regole privatistiche concernenti la disciplina del rapporto di lavoro, ma non si vede come tale principio fissato dall’art. 3, D.Lgs n. 165/2001, possa precludere anche l’applicabilità dell’art. 42 bis al personale militare e, più in generale, ai dipendenti pubblici non “privatizzati”. Il ragionamento del Supremo Consesso, invero, avrebbe incontrato fondamento se il legislatore avesse stabilito l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 42 bis ai soli pubblici dipendenti privatizzati. Ma così non è.
Ora, scorgere una deroga applicativa (tra l’altro implicita, non espressa) all’istituto dell’assegnazione triennale dall’art. 3, D.Lgs n. 165/2001 – disposizione che, si ripete, afferma la non applicabilità ai militari alle regole di diritto privato del rapporto di lavoro – appare operazione ermeneutica priva di fondamento.
Per di più l’istituto dell’assegnazione temporanea mira, evidentemente, a tutelare interessi di matrice costituzionale come, appunto, i diritti della famiglia (artt. 29 e 30 Cost. ad esempio), di qui, allora, la necessità di una inequivocabile ed esplicita deroga ex lege (deroga, tra l’altro, che apparirebbe di dubbia legittimità costituzionale soprattutto all’indomani della novella normativa concernente l’addio alla coscrizione obbligatoria; detta riforma, infatti, non può non costringere ad una rimeditazione dello status di militare, inteso, da sempre, quale condizione lavorativa caratterizzata da diritti e doveri “tutt’affatto speciali”).
Potrebbe essere obiettato che nei confronti del personale militare sono però ammesse deroghe all’esercizio di diritti costituzionali, come, ad esempio, il diritto di sciopero, di associazione sindacale[3]. Tuttavia, dette deroghe, proprio perché incidenti su diritti fondamentali, devono essere espresse (non implicite), come d’altronde sancito eloquentemente dall’art. 3, L. n. 382/1978, secondo cui “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate la legge impone ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti..”.
Il Consiglio di Stato ha rilevato, infine, che in ogni caso la norma di cui all’art. 42 bis “regola, palesemente, un’ipotesi di trasferimento da un’amministrazione ad altra, laddove nella specie trattasi di trasferimento tra sedi di servizio della medesima amministrazione, onde non deve farsene nella specie applicazione”.
Con tale ultima affermazione si sono dunque sconfessate le argomentazioni, del tutto condivisibili – e soprattutto ben argomentate – dei giudici di prime cure, i quali, conformemente a varie pronunzie, rimarcavano due essenziali ragioni a favore dell’applicabilità dell’istituto dell’assegnazione temporanea anche ai trasferimenti all’interno della medesima amministrazione:
1) il principio di continenza, che impedirebbe di concludere che, una volta che la norma abbia dato ingresso ad un istituto di più ampia attuazione, coinvolgendo tutte le amministrazioni, essa non consenta altresì di avvalersene quando sia coinvolta una sola P.A.; 2) la considerazione che la portata dell’istituto in parola sarebbe da ritenere estremamente limitata – contro la sua ratio di favorire i genitori di tutte le amministrazioni pubbliche – “se la sua applicazione fosse condizionata dal reperire, fra amministrazioni diverse un posto … di corrispondente posizione retributiva, il che si dà raramente, nella varietà degli accordi di lavoro[4].
Dott.ssa ****************** – Specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università di Teramo.
 
 
 
 
 
 
 
R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A
N.7472/2005
Reg. Dec.
N. 2378 Reg. Ric.
Anno 2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2378 dell’anno 2005, proposto da Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica  rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui ope legis domicilia alla via dei Portoghesi n.12, Roma,
contro
*** ***,  rappresentato e difeso dall’avv. ***************, elettivamente domiciliato in Roma, via E. Quirino Visconti, n. 20 presso l’Avv. *********************,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I bis, del 21.12.2004 n. 16955;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti tutti gli atti di causa;
data per letta  alla pubblica udienza del 21 ottobre 2005  la relazione del Cons. *************;
Uditi, altresì, gli *************** su delega dell’Avv. *************** e l’Avvocato dello Stato *******;
Ritenuto in fatto e in diritto:
FATTO
Con la sentenza impugnata il T.A.R. del Lazio ha annullato  la nota del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – I Reparto – SM – Ufficio Personale Marescialli, in data 26 luglio 2004, prot. 320152 /T-5-2/Per.Mar, con la quale è stata respinta l’istanza presentata ex art.42bis del D.Lgs.151/2000 dal M.llo *** ***, in servizio presso il Comando Regione Carabinieri Sardegna, diretta ad ottenere la temporanea assegnazione presso il Comando Regione Liguria (Comando provinciale Carabinieri di Genova), risiedendo la moglie e la figlia, nata il 3 novembre 2001, a Bargagli.
A tanto il primo giudice è giunto  riconoscendo l’applicabilità della suddetta norma alla fattispecie esaminata.
Il Ministero della Difesa ha appellato la sentenza suddetta per chiederne l’annullamento, attesa la ritenuta inapplicabilità della norma di cui si discute all’Arma del Carabinieri, senza che ciò determini comunque alcun profilo di illegittimità costituzionale in ragione del particolare status giuridico rivestito dagli  appartenenti ad essa.
La parte appellata si è costituita per chiedere il rigetto dell’appello  confutando le tesi dell’Amministrazione, e con il contestuale appello incidentale ha riproposto le questioni ritenute assorbite dal primo giudice.
All’udienza del 21 ottobre 2001 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
La decisone di primo grado è giunta  all’annullamento del diniego di trasferimento temporaneo  opposto dal Comando Generale dei Carabinieri al Maresciallo ***, padre di figlia minore di anni tre, ritenendo applicabile e quindi violato  l’art.42bis del D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, contenente disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
Come già correttamente rilevato, la norma anzidetta è stata introdotta dall’art. 3,comma 105, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, e per essa “il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa….”.
Decisivo è quindi stabilire quali siano le amministrazioni tenute ad applicare l’art. 42bis in esame.
Al riguardo la Sezione non ritiene di poter condividere l’avviso del primo giudice.
Osserva in primo luogo il Collegio che destinatario del beneficio in oggetto è il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni disciplinate dal D.Lvo 165/01, che contiene la disciplina dello stato giuridico del personale civile dello Stato, come emerge chiaramente dalla rubrica della norma. Quindi personale civile e non militare come nel caso in esame.
Inoltre l’art. 1 del decreto n. 165/01 contiene disposizioni che disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; per quest’ultime, a tenore del II° comma,” s’intendono” tra l’altro, “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie….”
Senonchè non può non essere osservato  che proprio in tema di  disciplina del rapporto di lavoro, nel successivo art. 3 dello stesso decreto n. 165/01 viene affermato che “rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287….”
Ora non v’è dubbio che la materia dei trasferimenti, temporanei o definitivi che siano,  del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni riguarda  il rapporto di lavoro del medesimo, concernendo direttamente la variazione del luogo in cui la prestazione deve essere effettuata.
Onde, l’ampia individuazione delle pubbliche amministrazioni, contenuta nel II° comma dell’art. 1 del decreto n. 161/01,  viene integrata , anche ai fini dell’applicazione dell’art.42bis del decreto n. 151 del 26 marzo 2001, dal successivo art.3, per il quale “ il personale militare e le Forze di polizia di Stato”, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti.
Ciò avviene, com’è noto, in forza del particolare status giuridico dei detti dipendenti, le cui funzioni giustificano un regime differenziato, del quale, per questa stessa ragione, è indubbia la copertura costituzionale.
L’art. 42bis del decreto n. 151 del 2001, non è quindi invocabile dal dipendente che appartiene all’Arma dei Carabinieri.
Con il che, si può aggiungere, che  appare irrilevante  il profilo d’incostituzionalità della suddetta norma, regolando tra l’altro essa, palesemente, un’ipotesi di trasferimento da un’amministrazione ad altra, laddove nella specie trattasi di trasferimento tra sedi di servizio della medesima amministrazione, onde non deve farsene nella specie applicazione.
Per tale suesposta medesima ragione, tutti i motivi che sorreggono l’appello incidentale, sono destituiti di fondamento, posto che il contestato riferimento alle esigenze di servizio dell’Amministrazione, contenuto nel diniego impugnato, riveste evidente carattere aggiuntivo e secondario  rispetto alla contrapposta inapplicabilità dell’art. 42bis già citato, e  invocato dal *** nella propria istanza di trasferimento.
L’appello deve quindi essere accolto.
Le spese del doppio grado del giudizio possono essere compensate in considerazione della novità della questione che pone difficoltà di interpretazione della normativa, testimoniata anche dalla differente valutazione del giudice di primo e secondo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunziando sull’appello meglio indicato in epigrafe, così provvede:
accoglie l’appello, e per lo effetto in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado;
compensa le spese del doppio grado dei giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 21 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:
     *************   Presidente
     ********************  Consigliere
     Dedi *****    Consigliere
     **********    Consigliere
     *************   Consigliere  relatore 
  L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE
  *************    ************* 
     IL SEGRETARIO
Rosario *****************
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
28 dicembre 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
     Il Dirigente
     **************
– – 
N.R.G. 2378/2005
TRG


[1] Art. 42-bis, D.Lgs n. 151/2001. (Assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche): “Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda. Il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione”.
 
[2] Art. 2, comma 2 e 3, D.Lgs n. 165/2001 (*****): “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario.
I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all’articolo 45, comma 2. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.
 
[3] Art. 8, L. n. 382/1978: “I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali.”

Di Lello Valentina

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