Aspetti economici e finanziari nella metodologia storica

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Nella ricerca storica tre sono le domande a cui si deve rispondere: cosa è accaduto, come e perché. La ricerca deve tenere presente tre prospettive connesse tra loro: l’ideologica, l’insieme dei valori, la teorica, la visione generale del processo storico, e la metodologica, consapevolezza del metodo adottato, questo conduce all’integrazione di una visione totale del passato da contrapporre alla visione storica specialistica, chiusa in se stessa di matrice positivista, si crea una prospettiva interdisciplinare la quale necessita di una utilizzazione di modelli fondati in parte sull’analisi quantitativa.

La sociologia viene a fondersi nell’economia e il concetto di civiltà risulta riassorbita nel più ampio concetto di cultura, si crea un rapporto tra scienza umana e lunga durata secondo il modello della scuola degli Annales, la filosofia della storia secondo una concezione trascendente idealistica è superata da una visione materialistica attenta al concetto di causalità weberiano, introducendo i processi sociali ed economici complessi di lunga durata al posto dell’analisi dei singoli eventi, su questa scia ulteriori discipline quali la psicostoria e l’antropologia si sono innestate (Erikson – Kuhn).

Si può intendere la storia sociale anche come analisi delle strutture collettive e dello spazio in cui vive ed agisce il gruppo sociale, il tempo evolutivo del processo storico contrapposto al tempo breve del fatto e del succedersi degli eventi quale somma di singoli fatti e tempi, si crea un nuovo ruolo per la storia e la possibilità di tradurla in nuove conoscenze, nel precisare il rapporto tra i più lenti movimenti dei cicli economici con i più rapidi eventi politico-sociale, la categorizzazione mediante periodizzazioni temporali pur necessaria acquista un nuovo significato ciclico.

In questo emerge l’importanza dell’aspetto economico finanziario nello studio degli eventi storici, il suo proiettarsi nel tempo per esplodere tumultuosamente in rapidi eventi temporali, la stessa unità dell’Italia post-Risorgimentale può essere anche letta in termini di conflitti sociali per la necessità del consolidamento finanziario a seguito del dissesto di bilancio dovuto alle spese di guerra, un problema che si trascina nei decenni successivi dove i 4.514 milioni di interessi per il periodo 1861-1870 non sono che il “costo del processo unitario”, sorge quindi il problema su chi debba gravare il ripiano del debito, tensioni finanziarie che tradotte in termini sociali si trascineranno per tutto il secolo e saranno una delle premesse per lo scollamento tra le classi popolari e lo Stato unitario.

Il debito nazionale unificato nel 1861 era pari ad oltre 500 milioni di lire, nonostante le stringenti economie, l’imposizione di nuove tasse e il ricorso a prestiti esteri nel 1864 ammontava ancora ad oltre 300 milioni di lire, che con la III guerra di indipendenza del 1866 crebbe di altri 800 milioni, tanto da indurre la Destra a introdurre nel 1869 la famigerata tassa sul macinato che veniva a colpire prevalentemente le classi più povere, una crisi della finanza così profonda che non permise di rimuovere questa odiosa tassa neppure con l’avvento al Potere della Sinistra;  pochi decenni successivi scoppiò lo scandalo della Banca Romana che travolse Giolitti, una bolla speculativa fondata sul boom edilizio della Roma post-unitaria, che portò all’emergere dell’incredibile trascuratezza sui controlli circa l’emissione della carta moneta la quale venne a superare i limiti legali della circolazione cartacea, riportando al potere il vecchio Crispi con un governo reazionario di salvezza nazionale, premessa per i futuri fatti del Bava Beccaris.

Questo vuoto nella conoscenza dell’importanza finanziaria negli eventi storici e quindi nella loro proiezione nel vissuto quotidiano, appare con tutta la sua evidenza nel progetto di educazione finanziaria pianificato dall’ANASF (Associazione Nazionale Consulenti Finanziari), che nel periodo dell’anno scolastico 2016-2017 ha coinvolto quasi 100 scuole per un totale ad oggi di 280 istituti, una iniziativa rivolta agli studenti del terzo, quarto e quinto anno delle scuole secondarie di secondo grado (Milano Finanza del 24/6/2017, Una via per crescere a scuola, 51), ma che mostra anche la necessità di sviluppare una particolare attenzione per gli aspetti economico-finanziari molte volte dimenticati nei nostri programmi scolastici, una necessità intercettata dall’ANASF in termini di pianificazione individuale, ma che dovrebbe essere strutturalmente inserito in termini sociali nei programmi di insegnamento.

Questa problematica viene intercettata dall’INVALSI, come prospettato nel Convegno tenutosi a Roma il 24 maggio 2017 per la presentazione dei risultati di una indagine svolta dall’Università di Pisa nell’alfabetizzazione finanziaria degli studenti quindicenni nel 2015, dove la competenza di Livello 5, la più alta, è raggiunta solo dal 6% degli studenti su una media del 12% nei paesi ed economie dell’area OCSE partecipanti all’indagine, sebbene l’educazione finanziaria, parte di una educazione civica dimenticata, non rientri nei programmi scolastici già dal 2007 la Banca d’Italia e il Ministero dell’Istruzione hanno svolto attività di formazione presso le scuole superiori, tuttavia i numeri risultano essere ancora contenuti, basti pensare che nell’anno scolastico 2015/2016 sono stati coinvolti nella formazione circa 60.000 studenti delle superiori, le problematiche finanziarie quale trama che unisce passato, presente e futuro, attualizzando le vicende storiche.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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