Quale valutazione è chiamato a fare il giudice della revisione per decidere se applicare o meno una misura cautelare nel giudizio di revisione. Per approfondimenti sul regime del 41-bis, consigliamo: Formulario annotato dell’esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. La questione: applicare una misura cautelare nel giudizio di revisione
La Corte di Appello di Potenza, in funzione di giudice della revisione, accoglieva un’istanza di un condannato di sospensione dell’esecuzione ex art. 635 cod. proc. pen. della pena oggetto di una sentenza del Tribunale di Brindisi emessa nel 2022, ma al tempo stesso aveva applicato a costui la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di residenza per scongiurarne il pericolo di fuga nelle more della definizione del procedimento di revisione.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il condannato, per il tramite del difensore, con unico motivo, in cui deduceva violazione norma processuale in quanto la misura cautelare disposta ex art. 635, comma 2, cod. proc. pen. deve rispettare gli stessi limiti di cui all’art. 274 cod. proc. pen. e, nel caso in esame, in cui la pena da eseguire era di tre mesi di reclusione, per la difesa, avrebbe dovuto essere considerato che il pericolo di fuga permette l’applicazione della misura solo per pene non inferiori a due anni di reclusione; inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, l’ordinanza non spiegava in alcun modo da dove aveva ricavato il giudizio sull’esistenza delle esigenze cautelari, su cui mancava del tutto motivazione. Per approfondimenti sul regime del 41-bis, consigliamo: Formulario annotato dell’esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia.
2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso suesposto era reputato fondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere rammentato che l’art. 635, comma 1, cod. proc. pen. dispone che la Corte di Appello, quale giudice investito della richiesta di revisione del processo, può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell’esecuzione della pena, evidenziavano altresì che, nel silenzio della norma, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la sospensione dell’esecuzione – “istituto di carattere eccezionale, poiché deroga al principio di obbligatorietà dell’esecuzione” (Sez. 1, n. 35873 del 27/11/2020) – debba essere disposta in caso di “ragionevole prognosi di favorevole esito della revisione” (Sez. 1, n. 19107 del 31/03/2023).
Premesso ciò, la Suprema Corte notava oltre tutto che la stessa norma dell’art. 635, comma 1, cod. proc. pen. prevede che, nel caso in cui provveda a sospendere l’esecuzione della pena, il giudice della revisione possa anche applicare una delle misure cautelari coercitive previste dagli artt. 281, 282, 283, 284 cod. proc. pen., rilevandosi al contempo che, come emerge dalla lettera della norma, l’applicazione della misura cautelare speciale dell’art. 635 cod. proc. pen. non è, però, una mera conseguenza automatica del provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, ma deve essere frutto di una valutazione ulteriore del giudice della revisione (“applicando, se del caso, una delle misure coercitive”).
Orbene, a fronte di ciò, si faceva comunque presente che il giudice della revisione, pur diventando, pertanto, anche il giudice della cautela, non deve effettuare valutazioni sui gravi indizi di colpevolezza in quanto gli stessi sono logicamente incompatibili con la decisione di sospensione dell’esecuzione della pena che, a sua volta, presuppone una ragionevole prognosi di favorevole esito della revisione.
La valutazione cui è chiamato il giudice della revisione per decidere se applicare o meno una misura cautelare nelle more del giudizio di cui agli artt. 633 e ss. cod. proc. pen. è, di conseguenza, soltanto quella sulle esigenze cautelari, ma lo standard di valutazione delle esigenze cautelari è diverso da quello ordinario di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. perché riguarda un soggetto che è già stato condannato per il reato che gli è stato attribuito (Sez. 1, n. 5596 del 13/10/1999: In ordine ai presupposti dell’applicazione delle misure cautelari previste dalla norma speciale dell’art. 635 cod. proc. pen. la giurisprudenza di legittimità ritiene che “l’art. 635 c.p.p., comma 1, concede al giudice, investito della richiesta di revisione del processo, la facoltà di sospendere l’esecuzione della pena, applicando, se del caso, una delle misure coercitive ivi previste. A quest’ultimo riguardo, anche se il vaglio delle esigenze cautelari – indubbio presupposto per l’applicazione di una delle misure previste dall’art. 281 c.p.p. e segg. – deve essere più rigoroso, riguardando comunque la posizione di persone già condannate, la relativa valutazione va condotta alla stregua dei criteri enunciati dall’art. 274 c.p.p., essendo questo l’unico parametro normativo offerto in proposito dal sistema).
Ciò posto, da quanto sin qui esposto se ne faceva conseguire che la “non piena identità di valutazioni cautelari da assumere nel corso del procedimento penale e quelle conseguenti alla presentazione della richiesta di revisione” (Sez. 5, Sentenza n. 4645 del 10/10/2012) comporta che la motivazione sulle esigenze cautelari possa essere più affievolita rispetto a quella cui è ordinariamente chiamato il giudice della cautela, fermo restando però che, pur se nel contesto di una motivazione affievolita, un percorso logico che spieghi quali sono le esigenze cautelari cui è funzionale l’applicazione della misura, e da quali circostanze il giudice ne trae l’esistenza, deve pur esservi nella ordinanza applicativa.
Orbene, alla luce di tale quadro ermeneutico, i giudici di legittimità ordinaria consideravano come, nel caso in esame, la ordinanza impugnata avesse specificato che la misura cautelare era stata disposta per il pericolo di fuga, ma non veniva spiegato in alcun modo da quali circostanze fosse desumibile tale pericolo.
Si riteneva quindi come il provvedimento impugnato fosse affetto da vizio di motivazione, così come denunciato con il ricorso e, per questo motivo, esso era annullato con rinvio per nuovo giudizio.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quale valutazione è chiamato a fare il giudice della revisione per decidere se applicare o meno una misura cautelare nel giudizio di revisione.
Difatti, fermo restando che, come è noto, l’art. 635, co. 1, primo periodo, cod. proc. pen. dispone che la “corte di appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284” cod. proc. pen., si afferma in tale pronuncia, dopo essere precisato che il giudice della cautela non deve effettuare valutazioni sui gravi indizi di colpevolezza nel caso di specie, come sia richiesta comunque una valutazione sulle esigenze di cautelari che, seppur non debba avvenire in modo autonomo secondo quanto previsto dall’art. 292, co. 1, lett. c), cod. proc. pen., pur tuttavia, va condotta alla stregua dei criteri enunciati dall’art. 274 c.p.p., essendo questo l’unico parametro normativo offerto in proposito dal sistema.
Dunque, se, in un frangente procedurale di questo tipo, è contemplata una motivazione sulle esigenze cautelari più affievolita rispetto a quella cui è ordinariamente chiamato il giudice della cautela, è però richiesto pur sempre un percorso logico che spieghi quali sono le esigenze cautelari cui è funzionale l’applicazione della misura, e da quali circostanze il giudice ne trae l’esistenza.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se una misura cautelare sia stata correttamente disposta a norma dell’art. 635, co. 1, cod. proc. pen..
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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