Amianto e contributi (Cass. n. 5481/2012)

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Massima

In ordine ai benefici derivanti dall’esposizione alle polveri di amianto di cui all’art. 13 della L. 257/1992, elemento indispensabile per poterne usufruire è l’esistenza di una soglia di rischio. Ciò vale sia per le richieste successive all’entrata in vigore del D.L. 269/2003 che a quelle precedenti.

 

 

1. Premessa

Il beneficio della rivalutazione contributiva previsto dall’art. 13, comma 8, della L. 257/1992 in favore dei lavoratori del settore dell’amianto ha carattere pensionistico. Ed infatti, esso mira a garantire un più celere raggiungimento dell’anzianità contributiva necessaria per ottenere le prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria. Ne deriva che nelle controversie instaurate dai predetti lavoratori ai fini del riconoscimento del suddetto diritto, il soggetto legittimato a stare in giudizio è l’INPS, dato che esso risulta il solo ente tenuto ad operare la richiesta rivalutazione.

Ai fini del riconoscimento del beneficio di cui all’art. 13, comma 8, della L. 257/1992, non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso ed al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, se del caso anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno qualificato, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, ancorché espresso con un ampio margine di approssimazione.

 

2. Evoluzione normativa e benefici previdenziali

Con D.L. 269/2003, conv. in L. 326/2003 il legislatore è intervenuto sulle previsioni originarie relative ai benefici previdenziali derivanti dalla esposizione a fibre di amianto, prevedendo, all’art. 47, che a decorrere dall’1.10.2003 il coefficiente di rivalutazione fosse ridotto all’1.25 ed escludendo che la rivalutazione dei contributi fosse utile ai fini della maturazione del diritto al trattamento pensionistico. Al contempo ha stabilito che il nuovo regime trovasse applicazione anche per quei lavoratori che avessero ottenuto dall’Inail le certificazioni di esposizione sulla base degli atti di indirizzo del Ministro competente. Sempre con la medesima decorrenza, la novella ha disposto che i benefici in questione potessero essere attribuiti solo quando l’esposizione derivasse da una certa concentrazione di fibre, disponendo anche per la quantificazione del valore medio giornaliero.

Sul procedimento per ottenere i benefici, al comma 5 della norma citata, è stato previsto che i lavoratori dovessero presentare domanda all’Inail entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di un decreto ministeriale di attuazione. Tale disciplina trovava applicazione anche per i lavoratori che avessero ottenuto la certificazione dall’Inail prima dell’1.10.2003.

Con la legge di conversione, ancora, è stata prevista la salvezza del regime previgente per chi avesse maturato il diritto a pensione prima dell’entrata in vigore del D.L. 269/2003, per quelli che fruivano della mobilità e per chi avesse risolto il rapporto di lavoro in vista del pensionamento.

La materia è stata, infine, rivisitata dall’art. 3, comma 13, della L. 350/2003, che ha previsto la salvezza del vecchio regime per i lavoratori che avessero già maturato il diritto a pensione prima del 2 ottobre 2003 o per quelli che avessero avanzato domanda di riconoscimento all’Inail o che avessero ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data.

Il D.M. attuativo di cui alla L. 326/2003 (D.M. 27 ottobre 2004) ha previsto, infine, che anche i lavoratori cui si faceva applicazione delle regole proprie del regime anteriore alla riforma del 2003 presentassero la nuova domanda all’Inail nel termine di 180 giorni.

Sulla non semplice interpretazione della normativa richiamata ed al fine di far chiarezza sul discrimine relativo ai diversi regimi, tenuto anche conto della ridefinizione dell’istituto operato dalla normativa del 2003, è intervenuta la Suprema Corte che, con sentenza n. 15008/2005, ha ritenuto che: a) per “maturazione al diritto al beneficio” deve intendersi maturazione del diritto a pensione; b) che la salvezza del regime previgente riguardasse anche coloro che, prima del 2.10.2003, avessero comunque dato inizio ad un procedimento amministrativo.

Scrive, in particolare, la Corte che “la rivalutazione contributiva non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto a pensione; nel regime precedente non era stata prevista una domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto di esposizione ad amianto; il legislatore (della L. 350/2003) ha espresso l’intento, ricostruito secondo una interpretazione orientata dal principio costituzionale di ragionevolezza, di escludere dalla applicazione della nuova disciplina anche per coloro che comunque avessero già avviato una procedura amministrativa per l’accertamento dell’esposizione ad amianto” non solo mediante domande rivolte all’Inail, ma anche e soprattutto all’Inps quale parte del rapporto previdenziale).

Sulla base dei criteri indicati (ed alla quale ha fatto seguito una conforme giurisprudenza di legittimità: v. Cass. n. 16179/2005, Cass. n. 15007/2005, Cass. n. 441/2006), si può ritenere, per quanto qui interessi, che vale la regola secondo cui il regime anteriore alla riforma del 2003 debba trovare applicazione nel caso in cui l’assicurato abbia inoltrato una domanda indifferentemente all’Inps od all’Inail, purché, in definitiva, abbia dato origine ad una procedura amministrativa finalizzata all’ottenimento del beneficio.

Ne consegue che quando trovi applicazione il regime antecedente la riforma del 2003, l’interessato non è soggetto al termine decadenziale (180 gg.) introdotto dal D.L. 269/2003, che interessa solo quei lavoratori che non avessero presentato la richiesta amministrativa prima del 2.10.2003. né, a parere del Collegio, può trovare applicazione il disposto dell’art. 3, comma 2, del D.M. 27 ottobre 2004 nella parte in cui prevede che il termine decadenziale di cui alla L. 326/2003 operi anche nei confronti dei soggetti che avessero attivato le procedure di richiesta prima del 2.10.2003, poiché tale previsione – contenuta in una fonte secondaria – finisce per introdurre un istituto eccezionale (quale è sicuramente la decadenza sostanziale) in contrasto con la fonte primaria (L. 257/1992), che non prevede alcun termine di decadenza per l’esercizio dell’azione. Il decreto attuativo, infatti, ha un ambito di contenuti limitato alla specifica disciplina introdotta con il D.L. 269/2003 e dunque non può prevedere se non limitatamente alle fattispecie che ricadano sotto la disciplina legale.

 

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù

Sentenza collegata

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