Airbnb: sequestro per riscossione cedolare secca sugli affitti brevi

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Con l’art. 4 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) è stato precisato che si intendono per locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.
Per approfondimenti si suggerisce: Airbnb e tassazione affitti brevi-Guida operativa alle agevolazioni e agli obblighi fiscali
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Consiglio di Stato -sez. IV- sentenza n.9188 del 24-10-2023

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Indice

1. Gli affitti brevi ed Airbnb


La nozione di locazione breve, fornita dall’art. 4 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, non identifica una autonoma fattispecie contrattuale ma rileva ai soli fini dell’applicazione di uno specifico regime fiscale.
Questa normativa fiscale riguarda dunque anche i contratti conclusi con l’intervento di operatori diversi dagli intermediari immobiliari (il più noto dei quali è oggi Airbnb), che operano sul webcon piattaforme e servizi che hanno la finalità di far incontrare domanda e offerta nel campo delle locazioni.
In particolare la detta normativa ha previsto l’obbligo per società come Airbnb di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento (cedolare secca), da versare poi al Fisco. Chi svolge attività di intermediazione immobiliare o gestisce portali telematici, se residente in Italia o ivi avente una stabile organizzazione, dovrà operare come sostituto d’imposta. Inoltre è tenuto a raccogliere e trasmettere all’Agenzia delle Entrate tutti i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi per il loro tramite (art. 4, comma 4, D.L. n. 50/2017). In ogni caso secondo la stessa disciplina, qualora il soggetto che gestisce il portale telematico non risieda in Italia e sia riconosciuto privo di una stabile organizzazione, lo stesso è tenuto a nominare un rappresentante fiscale per adempiere agli obblighi fiscali in qualità non già di sostituto d’imposta, bensì di responsabile d’imposta (art. 4, commi 5 e 5-bis, D.L. n. 50/2017).

2. Il ricorso al Tar Lazio


Airbnb Ireland UC e Airbnb Payments UK Ltd, appartenenti al gruppo multinazionale Airbnb, hanno proposto ricorso per chiedere l’annullamento del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate (n. 132395) che ha dato attuazione al nuovo regime fiscale.
In particolare le ricorrenti hanno sostenuto che il provvedimento impugnato, che impone lo svolgimento di un’attività di vero e proprio sostituto d’imposta (nonché di raccogliere e trasmettere un’ingentissima mole di dati all’amministrazione finanziaria, e di nominare un rappresentante fiscale in Italia), e la normativa presupposta, del quale esso costituisce attuazione, contrastano con varie disposizioni di diritto europeo, e in particolare con le disposizioni in materia di concorrenza e non discriminazione, diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei servizi (quali racchiuse negli artt. 56 e 101 ss. del TFUE e nelle direttive 2006/123 e 2000/31/CE). Il Tar del Lazio però ha respinto il ricorso e la sentenza è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato. Quest’ultimo, con ordinanza n. 6219 del 18 settembre 2019, ha rinviato alla Corte di giustizia Europea l’analisi della compatibilità con il diritto europeo delle regole sulla cedolare secca per le locazioni brevi.


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3. La decisione della Corte di Giustizia Europea


Con sentenza del 22 dicembre 2022 (causa C-83/21), la Corte di giustizia ha precisato che il regime introdotto con il D.L. n. 50 del 2017 non comporta restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 TFUE nella parte in cui impone agli intermediari l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati” loro tramite.
In merito all’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte ha aggiunto che, questo s’impone tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento; di conseguenza la Corte esclude che detti oneri vietino, ostacolino o rendano meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi. Secondo gli stessi giudici di Lussemburgo, invece, benché teso a “perseguire uno scopo legittimo compatibile con il Trattato FUE”, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia rappresenta una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi, poiché grava, unicamente su taluni prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di stabile organizzazione in Italia.

4. La decisione del Consiglio di Stato


I giudici amministrativi italiani, adeguandosi alla decisione delle Corte Ue del dicembre 2022, richiesta in via pregiudiziale, hanno respinto il ricorso proposto contro le disposizioni dell’Agenzia delle Entrate, sull’obbligo degli intermediari di comunicare alla stessa Agenzia delle Entrate i dati dei contratti conclusi loro tramite, nonché di operare la ritenuta fiscale e di versarla all’erario. A tale ultimo proposito la Corte ha notato che le maggiori difficoltà lamentate da parte degli operatori (appellanti) sono, in realtà, quelle che ogni operatore non stabilito inevitabilmente incontra nell’operare in un mercato diverso dal proprio; in altre parole la Stessa Corte ha evidenziato che l’esigenza di conseguire un level playing field riguarda le regole del gioco, che debbono essere uguali per tutti gli operatori economici (residenti, stabiliti o non stabiliti), ma non implica anche una rimodulazione per così dire “ergonomica” del campo da gioco a favore dell’operatore straniero (ciò che potrebbe, anzi, determinare una discriminazione indiretta “al contrario” a danno dell’operatore locale o, comunque, stabilito). Del resto secondo i giudici di Palazzo Spada la previsione di un obbligo di ritenuta e versamento a carico degli intermediari non residenti che siano intervenuti nel pagamento costituisce, proprio alla luce della previamente acquisita disponibilità delle somme da versare, una modalità applicativa idonea, necessaria e adeguata ad assicurare la riscossione del tributo.
Al contrario il Consiglio di Stato ha dato ragione a Airbnb (annullando l’atto dell’Agenzia delle Entrate del 2017) solo relativamente al l’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale per gli intermediari non residenti in Italia, né ivi stabiliti, affermando (come già deciso dalla Corte Ue) che l’articolo 4, comma 5 bis, del Dl n. 50 del 2017 è in contrasto con il diritto europeo (Consiglio di Stato, Sez IV, 24/10/2023, n. 9188).

5. Le conseguenze della sentenza: Airbnb sotto indagine per frode fiscale


La legge 50/2017 si applica ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo da parte di persone fisiche che agiscono al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, di durata non superiore a 30 giorni. A partire dal 1° giugno 2017 i redditi derivanti sono soggetti a una ritenuta del 21% e i relativi dati devono essere trasmessi all’amministrazione fiscale. La sentenza del Consiglio di Stato n. 918872023 ha confermato che i soggetti che svolgono attività di intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d’imposta, la ritenuta sull’ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all’Erario. Di conseguenza si è affermato che Airbnb, ed in generale i portali di prenotazione online, sono sostituti di imposta: devono cioè riscuotere e versare allo Stato la cedolare secca sugli affitti brevi. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato italiano – che ha ribadito le conclusioni della Corte di Giustizia Europea –  la Guardia di Finanza di Milano ha potuto sequestrare – su ordine del Gip di Milano – nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Milano per reati fiscali, oltre 779 milioni di euro ad Airbnb Ireland Unlimited Company, titolare dell’omonima piattaforma di affitti brevi. La misura cautelare è fondata sulla contestazione di omessa dichiarazione fiscale da parte della società irlandese. Come ha precisato la procura la verifica fiscale ha fatto emergere che la società non ha ottemperato agli obblighi introdotti dall’articolo 4 del dl 50/2017, sottraendosi alla dichiarazione e al versamento, in qualità di sostituto d’imposta, di ritenute di ammontare pari all’entità del sequestro ottenuto dal Gip, calcolate in misura del 21% sui canoni di locazione breve per 3,7 miliardi relativi al periodo 2017-2021 dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzate dalla piattaforma. Gli importi sono stati successivamente retrocessi ai proprietari degli immobili, al netto della commissione per l’utilizzo della piattaforma digitale. Il sequestro mira ad evitare che la somma oggetto di illecito risparmio fiscale venga interamente dispersa e non possa, nemmeno in parte, essere destinata al pagamento del debito, così aggravando le conseguenze del reato contestato, sia con riguardo al mancato incasso del debito erariale da parte della PA sia con riguardo al danno economico a tutti gli altri operatori del settore che invece versano regolarmente tale imposta.

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Il manuale si pone l’obiettivo di essere una guida giuridico-fiscale per il piccolo proprietario immobiliare, affinché questi possa sfruttare l’opportunità delle locazioni brevi attraverso le piattaforme di home sharing, prima fra tutte AirBnB, mettendo a frutto i propri immobili sfitti, senza incorrere nel rischio di abusivismo o di evasione.

Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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