Affitto di azienda – mancato pagamento dei canoni – perdita dell’avviamento commerciale – risoluzione del contratto – sull’ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c.

Paolo Pitaro 15/11/19
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Breve cenno sui fatti di causa

Il Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza del 3.10.2019, ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dall’avv. Francesco Pitaro (Studio Legale Pitaro) nell’interesse di un imprenditore affittuario di un complesso aziendale adibito a ristorante ed ha ordinato al conduttore l’immediata restituzione dell’azienda al legittimo proprietario.

Il Tribunale di Catanzaro, nell’ordinanza de qua, ha accolto le richieste di parte ricorrente, ritenendo fondato ed ammissibile il ricorso proposto da quest’ultima ai sensi dell’art. 700 c.p.c. stante il mancato pagamento, da parte del conduttore, di svariati canoni di affitto nonché in virtù della chiusura del complesso aziendale da parte dello stesso affittuario.

Nell’emanata ordinanza, la corte catanzarese, dopo aver ritenuto ammissibile lo strumento cautelare atipico di cui all’art. 700 c.p.c., preferendolo, nel caso di specie, a quello tipico del sequestro giudiziario, sulla scia di una ormai consolidata giurisprudenza di merito, ha ritenuto il ricorso ammissibile e fondato anche sotto il profilo del periculum in mora, stante anche il rischio grave e concreto, per l’affittuario, di subire un danno grave ed irreparabile connesso alla perdita (o meglio, azzeramento) dell’avviamento commerciale a seguito della chiusura del complesso aziendale da parte del conduttore .

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Sulla distizione tra il rimedio cautelare atipico di cui all’art. 700 c.p.c. e quello tipico del sequestro giudiziario (art. 670 c.p.c.) – sull’ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c..

Dopo un breve incipit sulla funzione dello strumento cautelare atipico approntato dall’art. 700 c.p.c., la corte catanzarese, nell’ordinanza del 3.10.2019,  si è soffermata sulla distinzione tra il detto rimedio cautelare atipico e quello tipico di cui all’art. 670 c.p.c. (sequestro giudiziario), ritenendo più consono al caso di specie l’applicazione del primo.

Sul punto, infatti, il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto che il “… provvedimento di rilascio immediato dell’azienda di cui all’art. 700 c.p.c. rispetto al rimedio di cui all’art. 670 c.p.c. può garantire al meglio le esigenze aziendali nel loro complesso, sia sul piano produttivo che su quello concorrenziale …(così, Trib. Teramo, 11/02/2010; nello stesso senso, ex multis, da ultimo, Trib. Milano, sez. XIII, 27/12/2016; Trib. Genova sez. I, 17/10/2016 n. 2318)…”.

Ad ulteriore conferma dell’ammissibilità, nel caso di specie, del ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c., il Tribunale di Catanzaro ha, inoltre, evidenziato che “… Il provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. appare ammissibile, peraltro, quando si deduce, come nel caso di specie, non solo il pericolo di dispersione dell’avviamento aziendale e di cattiva gestione per disinteresse della cessionaria ma anche la possibile cessazione dell’attività di impresa conseguente alla revoca delle autorizzazioni amministrative e sanitarie: una tale tipologia di  pregiudizio porta a ritenere adeguata solo l’anticipazione, in via cautelare, del diritto alla restituzione dell’azienda nella diretta disponibilità dell’istante (Trib. Firenze, 17 maggio 2005)…”.

Sul merito della vicenda contenziosa – sulla risoluzione di diritto del contratto di affitto

In ordine, invece, al merito della vicenda contenziosa, il Tribunale di Catanzaro ha rilevato la fondatezza del ricorso e la sussistenza del fumus boni iuris della domanda, “… non avendo il resistente provato di aver sanato la propria morosità nel pagamento dei canoni dovuti per l’affitto dell’azienda …”.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, infatti, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento – salvo che si tratti di obbligazioni negative – deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Un., 30.10.2001 n. 13533).

In virtù della sopra citata giurisprudenza di legittimità, la corte catanzarese ha stabilito che: “… il contratto di affitto di azienda inter partes deve, pertanto, ritenersi risolto di diritto in virtù della clausola di risoluzione espressa di cui all’art. 3 del contratto in forza della quale: il mancato o ritardato pagamento di due rate dei canoni di locazione, anche non consecutive, è clausola risolutiva espressa del presente contratto, salvo il risarcimento del danno, esercitata dal ricorrente, con nota del 20/12/2017, trasmessa a mezzo racc. a.r…”.

Sul periculum in mora – sulla perdita dell’avviamento commerciale dell’azienda

Con riguardo, invece, al periculum, il Tribunale di Catanzaro, valorizzando la condotta inadempiente dell’affittuario, in adesione alle richieste di parte ricorrente, ha ritenuto che il “… grave inadempimento dell’affittuario all’obbligazione di pagamento dei canoni e la prosecuzione della detenzione dell’azienda senza la corresponsione del corrispettivo sono indubbi indici di insolvibilità, idonea a configurare, per la crescente morosità e per l’eccessivo scarto fra danno subito e danno risarcibile, un pregiudizio irreparabile nei tempi necessari per la decisione della causa di merito. Invero, è ragionevole temere che l’affittuario non sia in grado di assicurare una regolare gestione dell’azienda, con concreto pericolo di irreparabile compromissione dell’avviamento, della consistenza e funzionalità del complesso aziendale, con probabile perdita della clientela, oltre al pericolo di revoca delle autorizzazioni amministrative e sanitarie all’esercizio dell’attività aziendale (in questo senso Tribunale di Padova n. 3444/2016)…”.

In definitiva, quindi, “… i fatti dedotti in giudizio espongono, dunque, l’odierno ricorrente al concreto e irreparabile pericolo della cessazione dell’attività di impresa e dunque a pregiudizi non adeguatamente riparabili con la tutela risarcitoria tenendo conto dello scarto, anche temporale, tra l’effetto dell’adempimento dell’obbligata e quelli derivanti dall’eventuale provvedimento di condanna al risarcimento al termine del giudizio di merito …”.

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