L’adulterio: origini e abrogazione del reato 

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L’adulterio, dal latino adulterare, che significa corrompere, è una relazione sentimentale o sessuale tra due persone delle quali almeno una è coniugata con un’altra persona, e consiste in una violazione della fedeltà coniugale.

Indice

1. Le origini dell’adulterio

Nel diritto romano l’adulterio della moglie era previsto come reato ed era punibile, in età regia, con la pena di morte per mano del marito o dei familiari maschi.
 In seguito, si ebbero controverse interpretazioni delle previsioni in età repubblicana, mentre con Augusto fu emanata nel 18 a.C. la Lex Iulia de adulteriis coercendis, secondo la quale il marito adultero era punito con sanzioni pecuniarie, che comportavano la restituzione della dote, se dal fatto derivava il divorzio.
 Per la moglie adultera la prospettiva era molto diversa.
Se colta in flagrante adulterio dal padre, lo stesso la poteva uccidere insieme all’amante, qualunque fosse il suo lignaggio o carica pubblica.
Il marito poteva uccidere esclusivamente l’amante ed esclusivamente in flagranza, mentre al padre non era consentito uccidere l’amante senza uccidere contemporaneamente anche la figlia fedifraga. Per la flagranza, il marito aveva l’obbligo del divorzio, in caso contrario sarebbe stato accusato di crimen lenocinii, con attribuzione di presunta complicità e favoreggiamento in adulterio.
 Entro due mesi dal divorzio, il marito poteva richiedere che si aprisse un giudizio penale, denominato quaestio davantia giurati (accusatio adulterii iure mariti).
Dopo i 60 giorni il diritto a proporre l’azione spettava al padre dell’adultera (accusatio adulterii iure patris) e decorso un altro termine, chiunque purché cittadino poteva proporre l’accusa (accusatio publica adulterii iure extranei).
La pena prevista sarebbe stata esclusivamente monetaria e relativa alla confisca di parte della dote e dei parafernalia, mentre all’amante veniva confiscata la metà del suo patrimonio.
 In età successive fu ripristinata la condanna a morte, confermata da Giustiniano, mentre il diritto di agire fu ristretto ai familiari.

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2. L’adulterio nel vecchio diritto italiano

Come spiegherà lo stesso Zanardelli, nella presentazione al Re del progetto definitivo di codice, in molti preferirebbero non punirlo:
I legislatori non poterono dimenticare quanto diversi e quanto radicati nell’umana natura siano i moventi di questo in confronto ad altri delitti.
Non poterono dimenticare i differenti modi di apprezzare l’infedeltà coniugale che la storia dei popoli ci presenta.
Le leggi fatali del cuore umano di fronte alla indissolubilità di unioni infelici, create spesso da volontà inconsapevoli, la massima che vieta di scagliare la pietra ove per universale coscienza sono così facili le debolezze e i trascorsi; le colpe di cui per lo più non è scevro il coniuge offeso e che fanno a lui risalire le cause della toccata infedeltà”.
Ma, nello stesso tempo, è un fatto “molto grave” perché il codice non se ne occupi:
all’offeso – scrive Zanardelli – toglie beni di gran lunga più preziosi che non siano gli averi, la salute, l’esistenza medesima, oltre ad essere non di rado terribile cagione di altri delitti coi quali alla vita stessa direttamente si attenta”.
 L’articolo 559 del codice penale del 1930, rubricato “adulterio” stabiliva che:
 La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera.
La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito.
 La Corte Costituzionale è con la sentenza del 19 dicembre 1968 n. 126 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 e del comma 2, ritenuti discriminatori sulla base dell’articolo 29 che stabilisce l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Allo stesso modo, con la sentenza del 3 dicembre 1969 n. 147 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 3 e del comma 4.

3. La legge sull’adulterio

Attraverso e durante il matrimonio si promette di suggellare la completa devozione nei confronti del proprio partner.
La promessa è di amare esclusivamente l’altra metà della coppia.
Nella realtà, come è noto, non accade.
La maggior parte delle richieste di divorzio e di separazione sono causate da episodi di infedeltà coniugale o adulterio, che possono portare alla completa rovina della fiducia e all’impossibilità di proseguire con una relazione di coppia.
 Il tradimento all’interno del matrimonio è un valido motivo per avanzare la richiesta di scioglimento della coppia.
A questo proposito ci si chiede se l’ammissione di infedeltà, o scoprire la stessa attraverso prove inconfutabili, venga considerato nella legislazione odierna un reato.
 Il dubbio è lecito perché viene infranta una promessa solenne fatta all’altare.
L’infedeltà coniugale oggi è una causa lecita per l’addebito della separazione.
Questo vale se è stata l’unica causa, o la causa maggiore, della fine del matrimonio.
 Il tradimento nei confronti del marito o della moglie non è un reato punito dal codice penale, anche se non è stato sempre così, perché, come scritto in precedenza, due sentenze della Corte Costituzionale hanno abrogato il reato di adulterio (tradimento della donna nei confronti dell’uomo) e il reato di concubinato (tradimento dell’uomo verso la donna), emanate rispettivamente nel 1968 e nel 1969.
 Sino a quell’epoca, il partner che tradiva il proprio compagno era punito dal codice penale, e rischiava da multe salate alla galera.
 Si deve precisare che il reato di adulterio puniva le donne che avessero commesso infedeltà, indipendentemente dalla durata della loro relazione.
Il reato di concubinato, attribuito agli uomini, prevedeva la punizione se l’uomo avesse accolto la sua amante nella casa coniugale o altrove.
 La Corte Costituzionale ha ripreso più volte la disparità di trattamento nel corso degli anni e si è arrivati alle sentenze che hanno abrogato i due reati ed equiparato i tradimenti, sia che fossero permessi in atto dagli uomini sia che fossero messi in atto alle donne.

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