Accordi patrimoniali tra ex conviventi: la natura contrattuale

Accordi tra ex conviventi validi se non impongono obblighi ex lege: valgono le regole generali dei contratti, anche su mantenimento e patrimonio.

Gli accordi tra ex conviventi per disciplinare il mantenimento della prole e le questioni patrimoniali rientrano nella capacità negoziale e sono soggetti alla normativa generale sui contratti se non implichino obblighi ex lege o finalità di mantenimento dirette alla prole. Lo ha stabilito la I sezione Civile della Corte di Cassazione nell’Ordinanza 20 gennaio 2025, n. 1324. In materia, consigliamo il volume I nuovi procedimenti di famiglia – Prima udienza, fase istruttoria e cumulo delle domande

Indice

1. La vicenda: accordi patrimoniali tra ex conviventi


La Corte d’Appello aveva riformato la decisione di primo grado, respingendo l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo col quale si era ingiunto a una donna di pagare, all’ex convivente, la somma di Euro 380.000,00, oltre interessi e spese, in forza di una scrittura privata sottoscritta da tali parti nel 2018, “a transazione”, per definire gli aspetti relativi all’esercizio della responsabilità sul figlio minore (nato nel 200 dalla relazione sentimentale con convivenza more uxorio tra i due, terminata nel 2011) e quelli patrimoniali, clausola con la quale la donna si era impegnata in qualità di proprietaria esclusiva dell’abitazione, a vendere il predetto immobile e a riconoscere all’ex sul prezzo della vendita un ricavato pari alla somma complessiva di Euro 380.000,00, riconoscimento di debito, sul prezzo di vendita di immobile di proprietà della donna, finalizzato all’equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dall’uomo alla prima famiglia e al primo figlio, con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia e al secondo figlio. Il Tribunale, pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo, aveva accolto l’opposizione e rilevato che con tale accordo, avente natura transattiva, le parti, dalla cui convivenza more uxorio era nato il figlio, avevano regolato gli aspetti concernenti l’affidamento e il mantenimento unitamente ad alcuni aspetti concernenti questioni patrimoniali pendenti tra le parti. La Cassazione affronta e fa chiarezza su alcuni aspetti che riguardano gli accordi tra ex conviventi. In materia, consigliamo il volume I nuovi procedimenti di famiglia – Prima udienza, fase istruttoria e cumulo delle domande

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2. Gli effetti negoziali


La Cassazione ha affermato che le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. (S.U. n. 21761/2021). Si è chiarito che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. n. 24621/2015) e la Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione “a latere” ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti. Ciò in relazione alla natura di contratti estranei all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale), il che ne evidenzia la natura di contratti, impugnabili secondo le regole ordinarie.

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3. La disciplina post convivenza


Nella specie, l’accordo era stipulato tra ex conviventi di fatto, al momento della cessazione della convivenza, per disciplinare sia profili relativi al mantenimento della prole sia questioni patrimoniali insorte nella coppia. Al riguardo, è stato affermato che “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art. 337 ter comma 4 c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo “ex lege”, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole” (Cass. n. 663/2022).

4. L’interpretazione dell’accordo


Per il giudice di legittimità, la sentenza territoriale, laddove ha ritenuto la clausola, in relazione al contenuto dell’accordo complessivo, nella parte relativa a una obbligazione ex lege, quale il mantenimento della prole che ricade su ciascun genitore, non avesse natura contrattuale, con conseguente inapplicabilità dei rimedi dell’eccezione di inadempimento e della risoluzione per inadempimento, in mancanza di sinallagmaticità tra gli obblighi previsti delle parti, non ha provveduto a ricostruire la volontà delle parti, per come fatta palese dal ricorso ai criteri di interpretazione teleologica e sistematica, oltre che letterale del testo al suo esame, omettendo di vagliare il tenore letterale della clausola nella sua parte finale, laddove afferma che il riconoscimento dell’importo di Euro 380.000,00 all’uomo è finalizzato alla equiparazione delle elargizioni e dei beni conferiti dallo stesso alla prima famiglia e al primo figlio, al quale è stato intestato un appartamento, con quelle riconosciute e da riconoscersi alla seconda famiglia ed al secondo figlio ed alla ulteriore ed eventuale prole che dovesse sopravvenire. Per il collegio, inoltre, non si è vagliata l’autonomia dell’impegno della scrittura, che impegnava le parti a depositare un ricorso congiunto ex art. 316 e 337 bis ss. c.c., “aventi le medesime condizioni della presente scrittura entro un mese dalla sottoscrizione della presente scrittura privata”. La clausola relativa ai 380.000 Euro che la donna si impegnava a versare all’ex convivente, secondo i giudici, deve essere letta nel suo insieme e già dal significato letterale emerge la condizionalità con l’assolvimento degli obblighi di mantenimento, laddove inadempiuti. Si dice espressamente che si equiparano i diritti della “prima famiglia” e della “seconda” dell’uomo. Si è in tal modo ritenuto che una delle parti, nell’ambito di un accordo con l’ex convivente sul mantenimento del figlio (questo lo scopo) e sulla sostanziale sistemazione dei profili patrimoniali (ma sempre in funzione del figlio), abbia riconosciuto un debito, disancorato dall’assunzione dell’obbligo ex lege, nonostante sia spiegata, nell’atto complessivo, la causa concreta del riconoscimento, la equiparazione dei diritti dei figli delle due famiglie dell’uomo.

Avv. Biarella Laura

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista.
È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giu…Continua a leggere

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