Accordi aziendali: mancato rinnovo e condotta antisindacale (Cass. n. 14511/2013)

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Massima

Non vige, nel sistema normativa dell’attività sindacale, il principio di necessaria parità di trattamento tra le organizzazioni sindacali.

Il datore di lavoro non ha alcun obbligo assoluto di aprire le trattative per la stipula di contratti collettivi con ogni organizzazioni. 

 

1.     Premessa

Nella decisione in commento del 14 giugno 2013 n. 14511, i giudici della sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato che la mancata sottoscrizione dell’accordo aziendale, da parte di una delle sigle sindacali, non ne legittima la nullità.

Nel caso in cui il datore rinnovi un accordo sindacale in scadenza, prescindendo dall’adesione di una sigla sindacale, non integra di per sé alcun comportamento antisindacale.

Nel caso concreto un sindacato delle Banche di credito cooperativo riteneva responsabile un datore di lavoro che aveva sostituito un accordo sindacale con altri soggetti.

Si presentava, quindi, ricorso per cassazione.

La Cassazione rigettava il ricorso del sindacato quadri del credito cooperativo in quanto non vi è obbligo per il datore di lavoro di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali.

 

2.  La fattispecie

Nella fattispecie concreta, con la sentenza della Corte di Appello veniva, parzialmente, riformata la sentenza di primo grado, con la conferma del provvedimento reso dal Tribunale ex articolo 28 dello statuto dei lavoratori (1), con cui era stato ritenuto insussistente il comportamento antisindacale denunciato da un sindacato.

La Corte aveva ritenuto che la “parte datoriale (in quanto responsabile dell’attuazione della contrattazione sottoscritta da …) nel sostituire un accordo sindacale stipulato (anche) con l’organizzazione sindacale ricorrente con altro stipulato tra altri soggetti non avesse posto in essere alcun comportamento antisindacale.

Riteneva, al riguardo, che non fosse ravvisabile alcun diritto o interesse dell’organizzazione sindacale ad agire in giudizio in relazione alla validità, efficacia o anche all’interpretazione di un contratto collettivo alla cui stipulazione era rimasta estranea, che non poteva sussistere una pretesa soggettiva alla trattativa senza che la controparte datoriale si fosse obbligata in lai senso, obbligo di cui nella fattispecie non vi era traccia, che non vi era prova dell’asserita modificano in peius da parte del nuovo contratto applicato”.

Il Sindacato proponeva ricorso per cassazione con due motivi.

Con primo motivo il sindacato ricorrente denuncia: “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si duole del fatto che la sentenza per un verso individua una fattispecie quale oggetto di causa (la sostituzione dei contratto stipulato con …….. ancora in corso di applicazione con altro contratto stipulato con altre OO.SS.)….

Con il secondo motivo il sindacato ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 28 legge n. 300/1970”. Ribadisce che la questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito non atteneva alla libertà di trattativa ma all’aggiramento del ruolo sindacale essendovi stata, con l’applicazione anche agli iscritti SI……… di un contratto pattuito con altri sindacati, di fatto una diretta trattativa con i lavoratori”.

 

3. Conclusioni

La Cassazione nella sentenza in commento ha precisato che nel nostro ordinamento non vi è alcun obbligo posto a carico del datore di lavoro di trattare e di stipulare contratti collettivi con ogni organizzazione sindacale.

Rientra, anzi, nell’autonomia negoziale da riconoscere alla parte datoriale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto con organizzazioni sindacali anche differenti da quelle che hanno trattato nonché sottoscritto il precedente accordo.

Si legge testualmente nella decisione de qua che “……La giurisprudenza di questa Corte è conformemente orientata nel ritenere che, nell’attuale sistema normativo della attività sindacale, non vige il principio della necessaria parità di trattamento tra le varie organizzazioni sindacali; il datore di lavoro non ha quindi l’obbligo assoluto neppure di aprire le trattative per la stipula di contratti collettivi con tutte le organizzazioni, potendosi configurare l’ipotesi di condotta antisindacale prevista dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori solo quando risulti un uso distorto da parte del datore medesimo della sua libertà negoziale, produttivo di un’apprezzabile lesione della libertà sindacale dall’organizzazione esclusa (2).

In conseguenza è stato, ad esempio, ritenuto che il comportamento del datore di lavoro il quale applichi il contratto collettivo concluso con alcune organizzazioni sindacali soltanto ai lavoratori aderenti all’accordo e non anche ai dipendenti che, iscritti al sindacato che ne rifiuta la sottoscrizione, non intendano aderirvi, non concreta gli estremi della condotta antisindacale vietata dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, non rilevando a tal fine l’eventuale danno economico subito dal singolo lavoratore, con le possibili ripercussioni sulla sua decisione di continuare ad aderire al sindacato che rifiuta il contratto”.

In pratica, il datore di lavoro non ha quindi l’obbligo assoluto neppure di aprire le trattative per la stipula di contratti collettivi con tutte le organizzazioni, potendosi configurare l’ipotesi di condotta antisindacale prevista dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori solo quando risulti un uso distorto da parte del datore medesimo della sua libertà negoziale, produttivo di un’apprezzabile lesione della libertà sindacale dall’organizzazione esclusa”.

 

4. Rassegna giurisprudenziale

In generale

l comportamento antisindacale del datore di lavoro, in relazione a uno sciopero indetto dai lavoratori, è configurabile allorché il contingente affidamento delle mansioni svolte dai lavoratori in sciopero al personale rimasto in servizio, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, avvenga in violazione di una norma di legge o del contratto collettivo, in particolare dovendosi accertare che, da parte del giudice di merito, ove la sostituzione avvenga con lavoratori di qualifica superiore, se l’adibizione dei primi a mansioni inferiori avvenga eccezionalmente, marginalmente e per specifiche e obiettive esigenze aziendali. (Cass. 19 luglio 2011, n. 15782, in Lav. nella giur., 2011, 1055) 

 

E’ antisindacale il comportamento aziendale consistito nel licenziamento di tre attivisti e militanti sindacali per fatti successi durante uno sciopero, risultati diversi in giudizio rispetto a quelli contestati nei procedimenti disciplinari, in quanto i comportamenti addebitati sono risultati oggettivamente insussistenti e comunque, anche dal punto di vista soggettivo, è risultato assente il deliberato intento di arrestare la produzione aziendale, contestato invece da parte aziendale; per l’antisindacalità, invece, è stato ordinato al datore di lavoro il reintegro immediato dei lavoratori licenziati e la pubblicazione del dispositivo del decreto sui giornali. (Trib. Melfi, 9 agosto 2010, in Lav. nella giur., 2010, 913) 

 

Costituiscono condotte antisindacali i comportamenti del datore di lavoro che hanno come conseguenza l’obiettiva estromissione della rappresentanza di un sindacato dal sito produttivo. La clausola del contratto aziendale di primo livello che riserva il diritto di costituire proprie rappresentanze aziendali soltanto ai sindacati firmatari dell’accordo medesimo integra gli estremi della condotta antisindacale poiché costituisce un abuso del diritto di negoziazione. Simili clausole determinano un aiuto in favore di alcune organizzazioni in danno dell’organizzazione sindacale non firmataria la quale, pur avendo espresso posizioni che hanno ottenuto nella competizione referendaria il consenso di un’apprezzabile, seppure minoritaria, percentuale di lavoratori, si trova nella condizione di non poterli rappresentare o assistere a nessun livello. (Trib. Torino, 15 settembre 2011, in Lav. nella giur., 2012, con commento di Maria Dolores Ferarra, 81)

 

La violazione di un accordo contrattuale aziendale configura comportamento antisindacale qualora, ponendo nel nulla il contenuto dell’accordo sindacale medesimo, vanifica l’opera dell’organizzazione sindacale svuotando di contenuto i poteri rappresentativi della stessa. (Trib. Milano 4/8/2010, ord., Est. Cuomo, con nota di Maurizio Riommi, “Il comportamento antisindacale nel caso di violazione di un accordo contrattuale aziendale”, 1006)

 

La mancata attivazione della procedura di contrattazione prevista dal Ccnl delle imprese creditizie, finanziarie e strumentali in caso di ristrutturazione aziendale costituisce condotta antisindacale, in quanto mina in maniera rilevante la capacità di confronto, di rappresentatività e di espressione degli interessi dei lavoratori che sono elementi imprescindibili dell’attività del sindacato (nella fattispecie è stato ritenuto che il licenziamento di 7 lavoratori da parte di una società con 40 dipendenti costituisse una rilevante ristrutturazione aziendale, nel senso indicato dalla norma del Ccnl citato, che prevede l’obbligo di preventiva informativa sindacale). (Trib. Milano, 17 settembre 2009, decr., Est. Lualdi, in DL, 2009, con nota di Alberto Vescovini, “Violazione degli obblighi contrattuali di informazione sindacale e comportamento antisindacale”, 661)

 

Costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nel non mettere a disposizione un locale sostanzialmente inidoneo all’esercizio dell’attività sindacale. (Nel caso di specie, il Giudice afferma che la sola presenza nel locale di scrivania, tavolo, sedie e armadio non integra un arredo adeguato allo svolgimento dei normali compiti propri dell’organismo sindacale, specie se questi opera in un’azienda di grandi dimensioni e diffusione su tutto il territorio nazionale). (Trib. Milano, 13/5/2008, Est. Gargiulo, in Orient. della giur. del lav., 2008, 547)

 

Integra gli estremi della condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nell’impedire l’accesso ai locali aziendali per l’esercizio delle libertà sindacali di due lavoratori iscritti al sindacato, di cui il giudice abbia in precedenza ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, a seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento loro intimato. (Trib. Milano 28/3/2008, Est. Peragallo, in Orient. della giur. del lav., 2008, 534)

 

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.

 

 

_________ 

(1) L. 20 maggio 1970, n. 300.

(2)  Cfr. in tal senso Cass. n. 1504 del 10 febbraio 1992; id. n. 6166 del 20 giugno 1998; n. 212 del 9 gennaio 2008. 

Sentenza collegata

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