Abolizione delle tariffe professionali, in attesa dei parametri ministeriali si applica l’art. 2233 c.c.

Redazione 10/02/12
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Lilla Laperuta

Il decreto liberalizzazioni, D.L. 1/2012 (art. 9), abrogando le tariffe professionali e la norma che disponeva che il giudice dovesse riferirsi ad esse nella liquidazioni delle spese legali nel caso di soccombenza e, contestualmente, demandando l’indicazione dei nuovi parametri per il compenso ad un decreto ministeriale, senza dettare alcuna disciplina transitoria, ha di fatto creato un vuoto normativo per gli organi giurisdizionali chiamati a liquidare il compenso del professionista (leggi l’articolo su questo sito).

Sul punto il Consiglio nazionale forense (CNF), nelle more dell’elaborazione dei parametri predetti, per evitare la denunciata lacuna, aveva prospettato la necessità di un riferimento alla previgente disciplina tariffaria. A fronte di questa e altre soluzioni suggerite, lo scorso 31 gennaio, in esigenza ad una maggiore chiarezza e certezza del diritto, è stata presentata al Ministro della Giustizia Severino dall’on. Capano un’interrogazione nella quale si evidenzia il problema sollevato dalla formulazione lacunosa del citato art. 9, ovvero l’impossibilità per i giudici di liquidare le spese nei caso di soccombenza , nonché l’impossibilità per gli avvocati di redigere gli atti di precetto.

Tali atti, infatti – si sostiene – “non essendo rivolti ai propri clienti ma alle controparti non possono procedere alla quantificazione attraverso pattuizione, previste solo per il cliente, né possono utilizzare le tariffe previste nel decreto per il caso di soccombenza in assenza della sua adozione e comunque in difetto della specifica previsione della sua applicabilità agli atti di precetto”.

Ciò comporta, prosegue l’on. Capano, che l’utente dopo aver atteso molti anni per ottenere una sentenza non può procedere ad esecuzione forzata, ovvero che ai già noti ritardi della giustizia civile si assommino altri ritardi provocati dall’impossibilita per i giudice di pronunziare nella sentenza la condanna alle spese. Si chiede conclusivamente una cognizione dei tempi relativi alla edazione dei decreti ministeriali.

In risposta, la titolare del dicastero Paola Severino, ha precisato che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 9 D.L. 1/2012, non si è venuto a creare alcun vuoto normativo in quanto il referente positivo è rinvenibile nell’art. 2233 c.c. nel punto in cui stabilisce che il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe:

a) viene determinato in base agli usi;

b) in mancanza di usi è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene, in misura adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Da tali disposizioni per il Ministro, quindi, si potrebbe formare, in ambito nazionale, un uso normativo fondato sulla spontanea applicazione dei criteri di liquidazione del compenso già previsti dalle tariffe abrogate, nella convinzione della loro persistente vincolatività fino a quando non saranno adottati i decreti ministeriali previsti dall’articolo 9 precitato. In mancanza di usi normativi, il giudice potrà comunque liquidare il compenso in base al criterio residuale previsto dall’articolo 2233 c.c. e, in tal caso, le tariffe abrogate dal D.L. 1/2012 potrebbero venire in rilievo come criterio equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Ciò chiarito, il Ministro rassicura che è attualmente allo studio dell’Ufficio Legislativo un’ipotesi di intervento normativo, da realizzare attraverso la presentazione di un emendamento al disegno di legge di conversione del D.L. 1/2012, volta ad introdurre una disciplina transitoria.

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