L’atto amministrativo implicito

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La nascita dell’istituto dell’atto amministrativo implicito è correlata all’esigenza di individuare un atto impugnabile anche laddove non sussiste un provvedimento esplicito. La riconosciuta ammissibilità dell’atto amministrativo implicito, pertanto, ha reso possibile affermare la giurisdizione del giudice amministrativo in materie che altrimenti sarebbero rimaste escluse dal sindacato giurisdizionale o che sarebbero state devolute al giudice ordinario.

Gli atti della Pubblica amministrazione

La Pubblica Amministrazione, nell’esercizio delle sue funzioni, determina la propria volontà mediante atti amministrativi. Gli atti amministrativi si distinguono in endoprocedimentali, nel caso abbiano efficacia interna al procedimento ed in provvedimenti, nel caso siano gli atti conclusivi del procedimento.

È possibile effettuare una classificazione dei provvedimenti amministrativi. La concessione ricorre quando il provvedimento conferisce ad un privato un diritto o un potere che non possedeva e si distingue dall’autorizzazione la quale si manifesta attraverso la rimozione di un limite alla possibilità del privato di utilizzare il proprio diritto. Tali provvedimenti sono ampliativi della sfera giuridica del privato. Vi sono inoltre, provvedimenti che limitano la sfera giuridica del privato, i quali sono l’espropriazione per pubblica utilità, la requisizione e la confisca. In tali provvedimenti la Pubblica amministrazione priva il privato del diritto di godere e disporre della cosa per ragioni di pubblica utilità.

Il rapporto tra la situazione del privato ed il potere della Pubblica Amministrazione

Nel momento in cui l’interesse del privato verso un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo della Pubblica amministrazione si configura l’interesse legittimo.  L’interesse legittimo è una situazione giuridica di vantaggio che spetta ad un soggetto in ordine ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene (cfr.Cass. Civ. Sezioni Unite, sentenza 22 luglio 1999 n. 500). Quello che maggiormente distingue il diritto soggettivo dall’interesse legittimo è il carattere assoluto che l’ordinamento accorda al diritto soggettivo, il quale è assistito da una tutela tendenzialmente piena e diretta. L’interesse legittimo è, invece, necessariamente correlato all’esercizio del potere amministrativo e quello che lo caratterizza sono la differenziazione, ovvero il fatto che il titolare di un interesse legittimo si trova rispetto all’esercizio del potere amministrativo in una posizione differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti, e la qualificazione, in quanto la norma posta a disciplina dell’esercizio del potere della pubblica amministrazione per il perseguimento dell’interesse pubblico primario prende in considerazione implicitamente l’interesse sostanziale individuale connesso all’interesse pubblico. Gli interessi legittimi si distinguono in interessi legittimi pretensivi e interessi legittimi oppositivi. I primi si sostanziano nella pretesa del titolare a che l’amministrazione adotti un determinato provvedimento, i secondi legittimano il titolare a opporsi all’adozione di atti pregiudizievoli della propria sfera giuridica.

La problematica dell’atto amministrativo implicito

Si riconduce all’atto amministrativo implicito il caso in cui la Pubblica Amministrazione non adotti un provvedimento espresso ma è possibile desumere la volontà di quest’ultima dai comportamenti tenuti. La dottrina si è domandata sull’ammissibilità nel nostro ordinamento dell’atto amministrativo implicito, in quanto l’articolo 2 della legge n.241/1990 (c.d. legge sul procedimento) prevede un obbligo per la Pubblica amministrazione di concludere il procedimento e in particolare prevede un obbligo di provvedimento espresso.

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia (Cons. Stato, Sez. V, n. 00589/2019) ammette l’astratta ammissibilità dell’atto amministrativo implicito. In particolare, in merito all’ammissibilità, la sentenza afferma che “l’astratta ammissibilità del provvedimento implicito non può essere negata, qualora l’Amministrazione, pur non adottando formalmente la propria determinazione, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un contegno conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato: le quante volte, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà”. In tema di ammissibilità dell’atto amministrativo implicito la sentenza afferma che l’art. 2 della l. n. 241/1990, che nel dato testuale richiede un provvedimento espresso, intende solo imporre una definitiva determinazione, senza sancirne le necessarie modalità formali. Si afferma, inoltre che l’art. 21 septies, nella parte in cui evoca la nullità per l’ipotesi di assunzione in assenza dei requisiti formali, si riferisce solo alle ipotesi in cui la carenza incida sull’insieme delle caratteristiche esteriori necessarie alla qualificazione dell’atto.

Tuttavia, per configurare il provvedimento implicito, occorre che sussistano i requisiti elaborati dalla giurisprudenza sulla tematica (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2456/2018 cit.), ovvero:

“a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa; b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione); c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (ex art. 21 septies cit.); d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione); e) che, in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell’iter procedimentale e alle effettive acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 cit.) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato.

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Dott.ssa Laura Facondini

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