Ebbene, il figlio può escludere dalla successione l’ascendente nei limiti tratteggiati dall’art. 448 bis c.c.; quindi, potrà non solo diseredare, ma, vieppiù, escludere un potenziale legittimario, l’ascendente.
Tale assunto dalla portata potenzialmente esplosiva va, però, ponderato e calibrato con attenzione.
Limitandosi ad analizzare strictu sensu il dato testuale, l’art. 448 bis c.c. cristallizza un’ipotesi tipica di “diseredazione” del legittimario in spregio alle tradizionali ricostruzioni sull’argomento.
La norma, però, non va valutata soltanto nella sua individualità, ma va interpretata in un’ottica sistematica. Bisogna comprendere, infatti, quale sia il suo reale rapporto con l’art. 463, comma 1, n. 3 bis c.c. ove si prevede «l’indegnità per chi sia decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell’art. 330 c.c., senza essere stato reintegrato nella stessa alla data di apertura della successione». I due istituti sono profondamente diversi tra loro. L’indegnità è tipizzata e la sua ratio originaria è quella di preservare interessi generali. Essa “punisce” i successibili che si rendono autori di atti
particolarmente gravi, espressamente elencati all’art. 463 c.c.
Il legislatore interviene, prevedendo l’indegnità, in appositi casi tassativi al fine di tutelare la persona del testatore ovvero la sua libertà testamentaria.
La diseredazione, invece, deve essere disposta mediante dichiarazione espressa contenuta nel testamento e può dipendere dai più svariati motivi che non necessariamente devono essere puntualizzati dal testatore. L’indegnità, inoltre, scatta automaticamente, indipendentemente dalla previsione nell’atto di ultima volontà e può operare sia in caso di successione testamentaria che legittima.
La diseredazione, invece, opera solo nel quadro della successione testamentaria.
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