La stretta della Cina sugli influencer: competenza obbligatoria o controllo politico?

la figura dell’influencer si è evoluta da semplice vetrina personale a potenziale fonte di opinione, commercio e influenza sociale.

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Pianeta Terra, anno del Signore 2025: la figura dell’influencer si è evoluta da semplice vetrina personale a potenziale fonte di opinione, commercio e influenza sociale. Ma cosa succede quando uno Stato decide di trasformare l’influencer non più solo in “creatore di contenuti”, bensì in “professionista qualificato”? È quello che sta accadendo nella Cina, dove gli influencer che trattano argomenti “sensibili” – come sanità, diritto, finanza, istruzione – devono ora possedere credenziali formali prima di intervenire online. Per approfondire su questi temi abbiamo pubblicato il volume Influencer e intelligenza artificiale, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

Indice

1. Contesto e premessa


In Cina, come nel resto del mondo, il fenomeno degli “influencer” (o più correttamente “key opinion leaders” – KOL) è esploso in parallelo alla forte crescita dei social‑media, dello streaming live, e del commercio elettronico. Platform come Douyin (la versione cinese di TikTok), Xiaohongshu, Weibo e Kuaishou hanno favorito l’emergere di creatori che dall’oggi al domani possono raggiungere milioni di follower e monetizzare su livestreaming, consigli, vendite. Tuttavia, questo “self‑made” digitale ha incontrato problemi: proliferazione di pseudo‑esperti, consigli sanitari non verificati, schemi finanziari poco trasparenti (non solo in Cina per la verità).
Per questo motivo, le autorità cinesi hanno deciso di intervenire. Per approfondire su questi temi abbiamo pubblicato il volume Influencer e intelligenza artificiale, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

VOLUME

Influencer e intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando l’influencer marketing, creando nuove opportunità ma anche sfide legali e operative. Questo volume, pensato per professionisti del diritto e del- la comunicazione, offre strumenti concreti per orientarsi tra rischi, adempimenti e normative.Attraverso un percorso approfondito, il libro analizza l’evoluzione storica del fenomeno, l’ascesa degli influencer virtuali e tutti gli aspetti legali relativi all’utilizzo dell’AI nella creazione di contenuti, nella scelta dei creator e nell’ottimizzazione delle campagne.Ampio spazio è dedicato agli strumenti normativi disponibili, con modelli contrattuali aggiornati e schemi di policy aziendali per social media e AI nel marketing digitale.Uno strumento utile per giuristi, professionisti della comunicazione e del digitale che vogliano comprendere e gestire i nuovi scenari del marketing algoritmico.Riccardo Lanzo, Founding Partner dello studio legale Lanzo & Partners e professore a.c. di Diritto del Digital & Influencer Marketing in European School of Economics. Presta assistenza a società nazionali ed internazionali ed è organismo di vigilanza in importanti società, occupandosi anche della redazione di modelli organizzativi ai sensi del D.Lgs n. 231/01. Assiste nella contrattualistica i più importanti Content Creators, Influencers, Agenzie di management e Centri media a livello internazionale con particolare focus su diritti d’immagine e tutela della proprietà intellettuale.

 

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2. La normativa cinese sugli influencer


Tra le nuove misure emergono requisiti stringenti: secondo alcuni report, dalla fine di ottobre 2025 gli influencer che “commentano” o “consigliano” su medicina, diritto, finanza o istruzione devono dimostrare «qualifica professionale» (laurea, licenza, certificazione) per poter essere presenti in video o livestream. 
Parallelamente, le piattaforme sono chiamate a verificare le credenziali dei creator prima di pubblicare contenuti in queste categorie. 
Inoltre, nel quadro più ampio della regolazione del digital, già era in vigore il sistema di “real‑name” per gli utenti e regole stringenti per la gestione dei contenuti rispetto ai valori ufficiali. 
Infine, le agenzie che gestiscono influencer (le “MCN” – multi‑channel networks) sono sottoposte a registrazione e controlli: il draft pubblicato dalla Cyberspace Administration of China (CAC) a gennaio 2025 impone loro di garantire “direzione politica corretta” e aderire ai “core values socialisti” e alle regole del partito. 

3. Obiettivi dichiarati: tutela dei consumatori e ordine digitale


Il governo cinese presenta queste misure come una risposta ai rischi generati dalla crescita incontrollata dei creator digitali: false promesse, messaggi fuorvianti, mancanza di competenza. In sanità, nel campo finanziario o educativo, si argomenta, è pericoloso affidarsi a chi “ha molti follower” ma nessuna qualificazione reale. In quel contesto, elevare il livello professionale degli influencer è un modo per “ripulire” l’ecosistema digital, tutelare i consumatori e garantire che online circoli un’informazione più affidabile.
Tale logica si affianca a quella che si vede anche in Occidente: normative sulla trasparenza degli influencer, obblighi di disclosure e controllo dei messaggi promozionali. Ad esempio, in Cina l’Advertising Law of the PRC (“CAL”) già dal 2015 ha definito “promotore” o “endorser” e, successivamente, con le “Internet Advertising Measures” del 1º maggio 2023, ha ampliato la disciplina agli utenti di livestreaming che raccomandano beni o servizi. 

4. Il possibile rovescio della medaglia


Se da un lato le misure possono apparire legittime – “Se parli di medicina, mostra il tuo titolo” –, dall’altro emergono degli elementi che allarmano dal punto di vista della libertà d’espressione e del pluralismo. Ecco alcuni aspetti critici:

  • La norma che impone di non diffondere contenuti che “disturbino, indeboliscano o neghino” la guida del partito e dei valori socialisti: una parte significativa della regolamentazione riguarda non solo la competenza, ma il “giusto orientamento” del discorso pubblico. 
  • Le piattaforme diventano gatekeeper formali: incaricate di verificare credenziali, ma anche di filtrare e moderare contenuti sensibili. Chi non rispetta può essere bannato, penalizzato, privato di visibilità. 
  • Il “chilling effect”: molti creator preferiscono auto‑censurarsi, evitare tematiche borderline, prediligere contenuti sicuri piuttosto che rischiosi. Questo può portare all’omogeneizzazione del discorso online, perdita di creatività e minor pluralismo. 

In sintesi: la misura che ha il volto della competenza pro‑consumatore può assumere il corpo del controllo autoritario.

5. Influencer marketing e responsabilità: che succede in Europa?


Anche in ambito europeo, pur senza obblighi formali di qualifica, si stanno rafforzando i presidi a tutela degli utenti.
Alcuni esempi rilevanti:

  • Il Digital Services Act (DSA) impone alle piattaforme obblighi di trasparenza, tracciabilità dei contenuti e responsabilità nella moderazione, soprattutto per i servizi “very large” (come YouTube o Instagram).
  • Il Regolamento UE 2024/1689 (AI Act) prevede che, in caso di contenuti generati da sistemi di intelligenza artificiale, ci sia chiarezza sull’origine automatica.
  • Le Linee guida AGCM e IAP sull’influencer marketing richiedono esplicitazione degli interessi commerciali nei contenuti promozionali, pena sanzioni.

Anche se non esiste ancora un “patentino per influencer”, il trend è chiaro: non si può più comunicare contenuti a rischio senza assunzione di responsabilità. E chi lavora in settori regolati — come legale, sanitario, educativo — deve iniziare a porsi la domanda: sto rispettando le regole del mio ordine professionale? Sto tutelando correttamente chi mi ascolta?

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6. AI, dati personali e reputazione: nuovi rischi per chi crea contenuti


C’è un’altra variabile che complica lo scenario: l’uso sempre più diffuso di strumenti di intelligenza artificiale generativa per produrre contenuti online.
Se un creator utilizza ChatGPT per scrivere script, oppure DALL·E per generare immagini, oppure strumenti vocali per simulare la propria voce, chi è responsabile del contenuto?
E se il contenuto veicola dati personali, o raccomandazioni sbagliate, o informazioni non verificate?
In questo contesto, i rischi diventano tre:

  • Rischio regolatorio: in caso di contenuti ingannevoli o pericolosi, le autorità possono sanzionare non solo la piattaforma, ma anche il creator e le aziende coinvolte nella sponsorizzazione.
  • Rischio reputazionale: un errore pubblicato da un influencer su un tema sensibile (es. privacy, vaccini, investimenti) può travolgere la sua immagine pubblica, ma anche quella del brand associato.
  • Rischio di data breach: l’uso disinvolto di AI, strumenti di montaggio, app di editing può portare a trattamenti illeciti di dati personali o alla diffusione non autorizzata di informazioni.

7. Che fare: le 5 domande da porsi oggi


Per chi lavora nel mondo digital — come creator, DPO, responsabile marketing, consulente, brand manager — è il momento di porsi alcune domande molto concrete:

  • Se tratto temi professionali, ho titoli adeguati e verificabili?
  • Sto informando correttamente i miei follower su eventuali promozioni o contenuti sponsorizzati?
  • Uso strumenti di intelligenza artificiale? Se sì, li dichiaro? Ne controllo il risultato?
  • Tratto dati personali (es. nelle recensioni, nei commenti, nelle liste)? Sono conforme al GDPR?
  • Collaboro con altri creator? Ho verificato la loro affidabilità, reputazione e aderenza alle regole?

Per chi lavora anche con aziende cinesi o fa influencer marketing internazionale, la questione si fa ancora più delicata: le normative sono diverse, le piattaforme hanno responsabilità crescenti e il concetto stesso di “libertà di parola” cambia in base al contesto. Non basta conoscere le regole italiane: serve un’attenzione strategica alla compliance cross-border, anche nel mondo dei social.

8. Competenza e trasparenza: l’unico vero capitale del creator


In conclusione, le regole della Cina sono severe, forse troppo. Ma ci pongono una domanda utile anche qui: chi parla online con autorevolezza, ha davvero le competenze per farlo?
E soprattutto: cosa succede quando il pubblico lo prende sul serio?
Nel dubbio, vale un principio semplice: competenza, trasparenza, responsabilità non sono (solo) un obbligo. Sono l’unico vero capitale reputazionale che un creator può coltivare.

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Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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