I delitti di inondazione, frana o valanga e danneggiamento seguito da esse

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    Indice 

  1. Disciplina comune
  2. Inondazione, frana o valanga (art. 426 c.p.)
  3. Questioni di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 426 c.p.
  4. Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga (art. 427 c.p.)

1. Disciplina comune

Le fattispecie delittuose di inondazione, frana o valanga (art. 426 c.p.) e danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga (art. 427 c.p.) sono disciplinate dal libro secondo del codice penale – dei delitti in particolare – titolo VI – dei delitti contro l’incolumità pubblica – capo I – dei delitti di comune pericolo mediante violenza. Il legislatore con le norme di cui agli artt. 426 e 427 c.p. mira a tutelare la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone a causa degli effetti di inondazione, frana o valanga. I delitti contro l’incolumità pubblica sono caratterizzati dalla propagazione del danno, tale da recare nocumento ad un indefinito numero di individui, non determinabili ab inizio. Si realizza, pertanto, un duplice livello di incertezza: inerente la platea delle persone offese nonché le proporzioni degli effetti del comportamento tenuto. Poiché sono delitti che si prestano a colpire sia la collettività, sia il singolo individuo la dottrina li configura come reati plurioffensivi.

2. Inondazione, frana o valanga (art. 426 c.p.)

L’art. 426 c.p., testualmente, dispone che: “Chiunque cagiona un’inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni (449, 450)”.

Nella norma in scrutinio la minaccia per l’incolumità pubblica è integrata nel comportamento di chi cagioni un’ inondazione, una frana o una valanga.

Ai fini della sussistenza del delitto de quo non è idonea la realizzazione di un mero smottamento, essendo per converso  obbligatorio un avvenimento di danno, dalle notevoli dimensioni e caratterizzato da una difficile limitazione. Tali requisiti sono uguali anche per le ipotesi di calamità naturali in oggetto.

La definizione dell’evento frana è descritta dalla Corte di Cassazione nel seguente arresto giurisprudenziale: “L’evento di frana, rilevante agli effetti della legge penale nella fattispecie dolosa prevista dall’art. 426 c.p. ed in quella colposa prevista dall’art. 449 c.p., consiste in un fenomeno di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, senza che sia necessario verificare il concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, essendo tale pericolo presunto dalla legge”. (Cass. Pen., sent. 13 novembre 2003, n. 4040). Ed ancora sul punto: “Il delitto di “frana colposa” (o “disastro colposo innominato”) richiede un evento di danno, quale è una frana, di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, non essendo sufficiente il verificarsi di un mero smottamento; in presenza di tali condizioni, non rientra né la fattispecie dolosa né in quella colposa la sussistenza di un concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, che è presunto dalla legge e non va, pertanto, specificamente provato”. (Cass. Pen., 06 febbraio 2008, n. 13947).

La norma di cui all’art. 426 c.p. non richiede il dolo specifico caratterizzato dalla finalità di danneggiare la cosa. L’articolo de quo non prevede il determinarsi del concorso di reati tra inondazione, frana e valanga. Dunque, qualora il soggetto attivo ponga in essere delle condotte tali da cagionare una moltitudine di atti prescritti, dal legislatore, nella norma verrà ad aversi un solo delitto, purché rappresentino il risultato diretto di un medesimo comportamento. Così sul punto datata ma immutata giurisprudenza della Corte: L’art. 426 c.p. prevede ipotesi distinte; ma per applicarle in concorso occorre avere riguardo alla peculiarità dei fatti per stabilire se vi è stata una o più modificazioni della realtà naturale comportanti la lesione di più interessi socialmente rilevanti; ove i fenomeni esteriori della frana o della inondazione si fondano in un “evento” socialmente sentito come unico sotto i profili della perdita e della messa a repentaglio di vite umane e del danno economico globale, l’astratta configurabilità di due reati autonomi e concorrenti viene a mancare, sussistendo, invece, un unico reato di disastro colposo”. (Cass. Pen., 15 marzo 1971, n. 810).

Con riferimento al nesso di causalità si segnala la seguente statuizione della Corte di Cassazione: “Il fatto che taluno sia titolare di una posizione di garanzia e risulti colposamente venuto meno all’osservanza di adempimenti connessi a detta posizione non implica, di per sé, che egli possa essere automaticamente ritenuto responsabile di ogni evento, rientrante fra quelli teoricamente riconducibili alla suddetta inosservanza, occorrendo invece che risulti positivamente dimostrata la sussistenza di un concreto nesso causale tra l’inosservanza e l’evento effettivamente verificatosi, pur tenendo presente la regola secondo cui, in materia di c.d. «causalità omissiva», al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire quello della probabilità, nel senso che il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che la condotta doverosa omessa avrebbe avuto non già la certezza ma serie ed apprezzabili possibilità di evitare l’evento”. (Cass. Pen., sent. 13 settembre 2001,  n. 33577).

In merito all’elemento oggettivo si segnala che: “Il proprietario del terreno che abbia affidato a un terzo l’esecuzione di opere edilizie sullo stesso è  colposamente responsabile, nella qualità di titolare degli obblighi di sicurezza, per tutto quello che concerne l’approntamento della zona di lavoro, e, quindi, anche dell’inondazione conseguente alla fuoriuscita dell’alveo di un fiume per il mancato compimento e di regimentazione della scarpata artificiale del cantiere” (Cass. Pen., 02 luglio 2010, n. 34830).

Circa la prevedibilità dell’evento, infine, si segnala che: “In riferimento al delitto di “frana colposa” (o “disastro colposo innominato”), il giudizio di prevedibilità dell’evento deve essere svolto in relazione ai fattori che rendono possibile la verificazione della frana, cioè un evento di danno alle cose che presenti contenuti tali da porre in pericolo l’incolumità pubblica, e non con riferimento ai danni che dalla frana possono conseguire”. (Cass. Pen., 19 settembre 2018, n. 58349).

Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio – art. 50 c.p.p. – e di competenza del tribunale monocratico – art. 33 ter c.p.p. – . L’arresto è obbligatorio in flagranza – art. 380 c.p.p. – ed è consentito il fermo di indiziato di delitto – art. 384 c.p.p. – . Sono applicabili le misure cautelari personali – artt. 280 e 287 c.p.p. -.


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3. Questioni di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 426 c.p.

“Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, del codice penale nella parte in cui prevede il raddoppio del termine di prescrizione dei reati di frana colposa (art. 449, in riferimento all’art. 426 c.p.) e di naufragio colposo (art. 449, in riferimento all’art. 428 c.p.). Le fattispecie della frana colposa e del naufragio colposo individuano ‘disastri’ idonei a suscitare, pur quando provocati colposamente, un marcato allarme sociale e forieri, al tempo stesso, di problematiche assai complesse sul piano dell’accertamento: anche con riferimento a tali figure delittuose, ben si giustifica, quindi, l’intento del legislatore di evitare, tramite il meccanismo del raddoppio, una energica compressione dei termini prescrizionali”. (Corte Cost., 30 maggio 2018, n. 112).

4. Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga (art. 427 c.p.)

L’art. 427 c.p., testualmente, dispone che: Chiunque rompe, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate alla difesa contro acque, valanghe o frane, ovvero alla raccolta o alla condotta delle acque, al solo scopo di danneggiamento (635), è punito, se dal fatto deriva il pericolo di un’ inondazione o di una frana, ovvero della caduta di una valanga, con la reclusione da uno a cinque anni.

Se il disastro si verifica, la pena è della reclusione da tre a dieci anni (449, 450)”.

La norma in scrutinio disciplina un delitto di pericolo in concreto dato che tale requisito viene espressamente indicato dal legislatore. La sussistenza deve essere determinata dal giudice tenendo conto di tutti gli elementi concreti del fatto. Tale delitto si differenzia da quello precedente – art. 426 c.p. – per la finalità del danneggiamento di sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate alla difesa contro acque, valanghe o frane. Nell’articolo in scrutinio il dolo generico è inerente soltanto alla volontà di recare nocumento alle opere di cui sopra, con la coscienza di poter cagionare di valanga, inondazione, frana. Così come previsto per l’articolo precedente l’evento dannoso deve, in ogni caso, raggiungere proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento.

Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio – art. 50 c.p.p. – e di competenza del tribunale monocratico – art. 33 ter c.p.p. – .

L’arresto è facoltativo in flagranza con riferimento al primo comma – art. 381 c.p.p. -; obbligatorio in flagranza in relazione al comma secondo – art. 380 c.p.p. -.

Per ciò che concerne il fermo di indiziato delitto non è consentito per l’ipotesi di cui al primo comma, è ammesso per la fattispecie descritta nel secondo comma – art. 384 c.p.p. -. Sono applicabili le misure cautelari personali – artt. 280 e 287 c.p.p. -.

Infine, giova ricordare che: “Il reato di disastro colposo richiede, quali elementi costitutivi, una condotta colposa la quale si ponga in nesso di causalità con evento di danno che colpisca la collettività e produca effetti gravi, complessi ed estesi a cose ed a persone, esponendo a serio pericolo la incolumità pubblica” (Cass. Pen., 24 ottobre 1990, n. 3191).

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