E’ reato l’installazione illegittima di apparecchi per le intercettazioni (Cass. pen. n. 38963/2013)

Redazione 20/09/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 04/07/2012 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato l’affermazione di responsabilità di *****, in relazione ai reati di cui alla L. 8 aprile 1974, n. 98, art. 9, comma 3 e art. 617 bis cod. pen..

La Corte territoriale ha ritenuto che lo scanner idoneo a rilevare le frequenze in uso alla Compagnia dei carabinieri di Taurianova e alla polizia di Cittanova, rinvenuto il giorno successivo all’arresto del F., lungo il sentiero di fuga percorso da quest’ultimo nel tentativo di sottrarsi alla cattura, fosse riconducibile all’imputato. A tale conclusione è giunta rilevando: che il sentiero utilizzato dal F. era diverso da quello utilizzato dagli altri due soggetti che si trovavano con lui; che il fuggitivo rimasto non identificato non avrebbe avuto alcun interesse ad abbandonare l’apparecchio; che lo scanner rinvenuto era ancora acceso, a dimostrazione del fatto che era stato abbandonato da poco; che il F., latitante, era in possesso di altro scanner e alcune batterie di ricambio.

Sul piano del trattamento sanzionatorio, la Corte, esclusa l’operatività della contestata recidiva e il conseguente aumento di pena irrogato dal giudice di prime cure, ha ritenuto di confermare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, per la particolare gravità dei fatti, e di rigettare l’appello del P.M., quanto alla determinazione della pena, non attestata sui minimi edittali. Ha determinato la pena, pertanto, in anni due e mesi quattro di reclusione.

2. Nell’interesse del F. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo, si lamenta contraddittorietà della motivazione con riferimento alla rideterminazione della pena e alla mancanza di corrispondenza tra la parte motiva e la decisione, per avere la Corte territoriale, per un verso, escluso la operatività della contestata recidiva, che aveva condotto il giudice di prime cure ad applicare un aumento di otto mesi di reclusione, e, per altro verso, eliminato dal computo finale solo quattro mesi di reclusione.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta vizi motivazionali e inosservanza di norme stabilite a pena di nullità, per avere la Corte territoriale negato il riconoscimento delle attenuanti generiche, valorizzando la gravità dei fatti, senza considerare ulteriori profili, quali i motivi che avevano determinato la commissione del reato, le circostanze che lo avevano accompagnato, il danno cagionato, la condotta post delictum.

2.3. Con il terzo motivo, si lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, con riguardi al dovere di motivazione, per avere la Corte territoriale recepito le argomentazioni del giudice di prime cure, senza operare alcun valido scrutinio delle doglianze sollevate con l’atto d’appello.

2.4. Con il quarto motivo, si lamentano vizi motivazionali in ordine alla quantificazione della pena, per avere la Corte territoriale omesso di argomentare in ordine alla sollevata questione dell’eccessività della pena.

2.5. Con il quinto motivo, si lamentano vizi motivazionali, in ordine alla ritenuta sussistenza di entrambe le fattispecie contestate. In particolare, si sostiene che l’art. 617 bis cod. pen. comprende e assorbe anche la condotta prevista e punita dalla L. n. 98 del 1974, art. 9, comma 3.

3. L’imputato ha depositato memoria con la quale invoca la prescrizione e, in subordine, l’applicazione dell’art. 609 c.p.p., comma 2, in relazione alla L. n. 241 del 2006.

Motivi della decisione

1. Esaminando i motivi formulati secondo il loro ordine logico, va dichiarata l’inammissibilità del terzo motivo, concernente la ricostruzione del fatto.

Premesso che essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilità dell’imputato, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550), si rileva che la sentenza di primo grado ha valorizzato anche il fatto che non risulta che gli altri soggetti presenti In loco abbiano mai impegnato tale sentiero percorso dal F., avendo seguito vie diverse.

Tale profilo vale a sottrarre la sentenza impugnata al rilievo della manifesta illogicità, mentre le critiche espresse in ricorso si traducono nella pretesa ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Canone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).

2. Il quinto motivo, concernente l’ammissibilità del concorso fra le due fattispecie contestate, è infondato.

La L. n. 98 del 1974, art. 9, comma 3, sanziona il comportamento di chi, senza licenza del Ministro per le poste e le telecomunicazioni, fabbrica, importa, acquista, vende, trasporta, noleggia od in qualsiasi altro modo mette in circolazione gli apparecchi o strumenti indicati nei precedenti commi del medesimo art. 9, o parti di essi.

Invece, il reato previsto dall’art. 617-bis cod. pen. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto, ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati (Sez. 2, n. 37710 del 24/09/2008 – dep. 03/10/2008, *******, Rv. 241456). Appare evidente la diversa oggettività giuridica delle due fattispecie incriminatrici.

3. Il secondo e il quarto motivo, concernenti, sotto vari profili, l’entità del trattamento sanzionatorio, sono infondati.

In particolare, con riguardo al diniego delle circostanze generiche, la sentenza impugnata ha valorizzato la particolare gravità del fatto, a fronte di motivi d’appello generici (“giacchè diversi elementi fattuali che emergono dalla vicenda avrebbero potuto essere valutati positivamente proprio in siffatta direzione e giustificare la diminuzione della pena”). Le stesse ragioni sorreggono, implicitamente, ma in modo univoco, la conferma della pena base.

4. Fondato è, invece, il primo motivo, giacchè la Corte territoriale, dopo avere escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della recidiva, ha solo parzialmente, ossia per quattro mesi, eliminato l’aumento di pena di otto mesi di reclusione applicato dal giudice di primo grado.

Ne segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), con rideterminazione della pena, attraverso l’eliminazione dei quattro mesi erroneamente non rimossi dalla Corte d’appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena da eliminare in conseguenza della ritenuta esclusione della recidiva, rideterminando detta pena in mesi otto di reclusione, sicchè la residua pena da espiare viene a risultare di anni due di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2013.

Redazione