Detenuto lamenta insufficienza dello spazio minimo vitale all’interno della cella, ma è confermata la legittimità della scelta del Magistrato di sorveglianza (Cass. pen. n. 36686/2013)

Redazione 06/09/13
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Ritenuto di fatto

1. R.G., detenuto nel carcere di Monza, impugna personalmente innanzi a questa Corte il decreto del 26 ottobre 2012, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Milano ha disposto l’archiviazione delle doglianze da lui formulate ex art. 35 Ord. Pen. avverso l’insufficienza dello spazio minimo vitale di cui poteva disporre in cella.
2. Il Magistrato di sorveglianza, acquisita una relazione della direzione dei carcere, ha ritenuto che, nonostante le oggettive difficoltà strutturali ed organizzative dell’istituto penitenziario in cui il reclamante era recluso, era stata assicurata la sua dignità personale ed era operativo il trattamento rieducativo finalizzato alla risocializzazione dei detenuti.
3. Deduce il ricorrente che nella casa circondariale di Monza, ove egli era recluso, non era assicurato il rispetto della dignità ed erano carenti le opere trattamentali applicate dopo attenta osservazione scientifica del recluso; mancavano le aule dove svolgere attività paraculturale ed era altresì mancante la stessa area tratta mentale. Inoltre il Magistrato di sorveglianza non aveva effettuato alcuna doverosa verifica in ordine a quanto da lui denunciato, essendosi limitato ad acquisire una relazione della direzione carcerarla; in realtà nel carcere di Monza l’espiazione della pena non era finalizzata al recupero sociale dei reclusi ed alla restituzione alla società di persone migliori.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto da R.G. è infondato.
2. Correttamente invero il Magistrato di sorveglianza di Milano ha disposto l’archiviazione delle doglianze da lui formulate, non avendo il ricorrente indicato quali siano stati in concreto i diritti soggettivi in concreto violati dal personale penitenziario.
3. Qualora poi le doglianze del ricorrente fossero state finalizzate ad ottenere il risarcimento dei danni da lui sofferti per le inadeguate modalità con cui la carcerazione veniva esercitata nei suoi confronti, va rilevato che, in materia risarcitoria ed indennitaria il sistema normativo vigente prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile; e le attribuzioni al giudice penale di competenze in materia risarcitoria costituiscono eccezioni alla ripartizione anzidetta e devono essere previste da specifiche previsioni normative, come l’art. 74 cod. proc. pen., che attribuisce al giudice penale il potere di pronunciarsi sulla domanda risarcitorta del danneggiato da un reato costituitosi parte civile.
4. La legge penitenziaria poi non attribuisce alcuna competenza al Magistrato di sorveglianza In materia risarcitoria od indennitaria, atteso che la competenza di detto Magistrato In materia di violazione dei diritti dei condannati e degli internati nel corso del trattamento, cui fa riferimento l’art. 69 comma 5 u.p. Ord. Pen., va intesa solo nel senso che egli deve vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e pena ai fini della corretta esecuzione della pena o della misura di sicurezza, con una proiezione ripristinatoria volta al futuro, si da escludere alcuna sua competenza In materia di ristoro risarcitorio, per sua natura rivolta al passato (cfr., in termini, Cass. Sez. 1 n. 4772 del 15/1/2013, *******, Rv. 244271).
5. Da quanto sopra consegue Il rigetto dei ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione