Pianificazione urbanistica: variante di piano regolatore e restrizioni edificatorie (Cons. Stato n. 1882/2013)

Redazione 05/04/13
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Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 5.4.2013, n. 1882
 

FATTO e DIRITTO

1. La presente controversia concerne interventi di nuova costruzione per una superficie di circa mq 1.750,00 (costituiti da un fabbricato ad uso abitativo di mq 189,95, da una tettoia adiacente a detto immobile di mq 63,90, da un fabbricato ad uso archivio-deposito-uffici di mq 310,00, da tre tettoie per ricovero cavalli di mq 268,30, da un insieme di tettoie e manufatti di vario genere disposti “a ferro di cavallo” di mq 587,48, e da un insieme di manufatti seminterrati per il deposito di macchine agricole e attrezzi di mq 325,08), realizzati in totale assenza di titolo abilitativo a far tempo dalla metà degli anni 90 ed ampliati nel tempo, ubicati nel territorio collinare di Bologna posto in zona di tutela paesistica (TP).

Gli immobili insistono su aree originariamente di proprietà del signor *****************, di seguito alienate alla società ******* s.r.l. e da quest’ultima affittate alla Azienda agricola “Il fondo” di cui è titolare la signora R. M..

I ricorsi di primo grado si dirigono sia avverso una serie di provvedimenti di natura pianificatoria del Comune di Bologna, sia avverso i provvedimenti di diniego al rilascio di permesso in sanatoria e le ordinanze di demolizione e di ripristino (unitamente ai relativi atti presupposti, connessi e consequenziali) concernenti i menzionati interventi abusivi.

2. L’adito T.a.r. per l’Emilia Romagna, con la sentenza in epigrafe (n. 740/2011), definitivamente pronunciando sui ricorsi n. 1150 del 2006, n. 1311 del 2007, n. 251 del 2009, n. 430 del 2009, n. 552 del 2009, n. 1016 del 2009, n. 1038 del 2009, n. 1075 del 2009 e n. 246 del 2011, tra di loro riuniti, proposti dagli odierni appellanti avverso tali atti del Comune di Bologna e delle altre Amministrazioni resistenti, provvedeva come segue:

(i) affermava la ritualità della costituzione in giudizio del curatore fallimentare della Martina s.r.l., dichiarata fallita con sentenza n. 52/2011 del Tribunale civile di Bologna, con riferimento ai ricorsi n. 1150 del 2006, n. 1311 del 2007, n. 1038 del 2009, 1075 del 2009 e n. 246 del 2011, trattandosi di costituzione in prosecuzione volontaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 79, comma 2, cod. proc. amm. e 299 e 300 cod. proc. civ.;

(ii) dichiarava invece l’inammissibilità dell’intervento effettuato dal curatore fallimentare nell’ambito dei ricorsi n. 251 del 2009, n. 430 del 2009, n. 552 del 2009 e n. 1016 del 2009, trattandosi di intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso ed avendo l’interveniente omesso di notificare l’atto di intervento alle altre parti e di provvedere al relativo deposito nei termini stabiliti dall’art. 45, comma 1, cod. proc. amm.;

(iii) respingeva il ricorso n. 1150 del 2006, proposto avverso la delibera del consiglio comunale di Bologna n. 160/20606 del 17 luglio 2006, concernente la variante grafica e normativa al piano regolatore generale (PRG) ai sensi del combinato disposto degli artt. 15 l. reg. – Emilia Romagna 7 dicembre 1978, n. 47, e dell’art. 41, comma 2 lett. b), l. reg. n. 24 marzo 2000, n. 20 (integrato da motivi aggiunti proposti avverso la deliberazione consiliare n. 125/2008, di approvazione di suddetta variante), ritenendo legittima l’applicazione dell’art. 33 della l. reg. n. 47 del 1978 e della relativa procedura semplificata, al fine di consentire l’adeguamento delle previsioni del piano regolatore generale agli strumenti sovraordinati, in particolare al Piano territoriale e paesaggistico regionale (PTPR) e al Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), e ritenendo inconsistenti le altre censure, di illegittimità derivata e di eccesso di potere sotto vari profili;

(iv) respingeva il ricorso n. 1311 del 2007, proposto avverso la deliberazione di adozione del Piano strutturale comunale (PSC), nonché i motivi aggiunti proposti avverso la successiva delibera di approvazione, rilevando che le aree di cui si discute rientravano nel territorio rurale comunale, segnatamente nel territorio agricolo periurbano di rilievo paesaggistico (ai sensi dell’art. 28 l. reg. n. 20 del 2000), con riferimento al quale già il PTCP aveva previsto il sostanziale divieto di nuove costruzioni (infatti, secondo la previsione dell’art. 11.5 del PTCP, in tale zona territoriale gli strumenti urbanistici comunali avrebbero mirato prioritariamente al recupero del patrimonio edilizio esistente ed al contenimento di ogni ulteriore nuova edificazione, indipendentemente dall’attività professionale o imprenditoriale del soggetto interessato alla realizzazione dell’opera), ed escludendo che tale impostazione si ponesse in contrasto con le previsioni di carattere generale del PTCP, nonché respingendo i rilievi d’illegittimità costituzionale mossi avverso l’art. 28 l. reg. n. 20 del 2000 per asserito contrasto con gli artt. 1, 3, 97 e 117 Cost.;

(v) dichiarava inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso n. 251 del 2009 (come integrato da relativi motivi aggiunti), proposto avverso il parere ambientale negativo della commissione integrata ARPA – Dipartimento sanità pubblica (DPS) e gli atti connessi, rilevando il carattere endoprocedimentale degli atti impugnati e la loro inidoneità a determinare l’arresto del procedimento di rilascio del permesso a costruire – poi conclusosi con provvedimento di diniego, autonomamente impugnato –, con consequenziale mancanza di idoneità lesiva;

(vi) dichiarava inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso n. 430 del 2009, proposto avverso il parere negativo del Comune di Bologna su una istanza di sanatoria relativa a movimenti di terreno, connessi alla costruzione di nuovi manufatti, in area soggetta a vincolo idrogeologico, rilevando anche in tal caso la natura endoprocedimentale dell’atto impugnato, privo di autonoma valenza lesiva;

(vii) respingeva il ricorso n. 552 del 2009, proposto avverso il provvedimento comunale del 23 febbraio 2009, di diniego di permesso di costruire in sanatoria relativo alle opere abusive, attesa la conformità del diniego sia all’art. 6.9 PTCP, che prevede il divieto di realizzazione di nuove costruzioni esterne al territorio urbanizzato nelle Unità idrogeologiche elementari (UIE), non idonee ad usi urbanistici, sia alla disciplina di zona TP e alla scheda TP9 (ex art. 41 delle norme tecniche di attuazione del PRG), ostando al rilascio del permesso di costruire la costruzione di manufatti di qualsiasi tipologia in zone di tutela paesistica, nonché, per quanto attiene la scheda TP9, la mancata presentazione ed approvazione in via preventiva di un Piano di sviluppo aziendale (PSA), costituente atto attuativo del PRG volto a vagliare la compatibilità complessiva degli interventi, con conseguente inammissibilità di una produzione postuma rispetto al rilascio del permesso in sanatoria;

(viii) respingeva, sostanzialmente per le stesse ragioni sub (vii), il ricorso n. 106 del 2009, proposto avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di approvazione del Piano di sviluppo aziendale (PSA);

(xi) dichiarava improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso n. 1038 del 2009 (integrato da motivi aggiunti), proposto avverso l’ordine di demolizione dei manufatti abusivi, superato sia dalla presentazione di una domanda di accertamento di conformità ex art. 17 della l. reg. n. 23/2004, anch’essa oggetto di diniego poi impugnato, sia dall’emissione, a seguito di annullamento d’ufficio della precedente ingiunzione, di una nuova ordinanza di riduzione in pristino dello stato dei luoghi e di demolizione delle opere abusive, a sua volta oggetto di separata impugnazione;

(x) dichiarava inammissibile, per difetto d’interesse, il ricorso n. 1075 del 2009, proposto avverso le delibere consiliari n. 47/2000 e n. 144/2009, di adozione e rispettivamente di approvazione del Piano operativo comunale (POC), in quanto l’impugnato strumento urbanistico, alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria, non era stato neppure adottato, con conseguente mancata incidenza diretta sulla situazione fatta valere dai ricorrenti;

(xi) respingeva, infine, il ricorso n. 246 del 2011, proposto avverso le ordinanze di ripristino e demolizione del 22 novembre 2010 e del 24 ottobre 2010, e gli atti presupposti e connessi, ritenendoli immuni dalle censure d’illegittimità, derivata e propria, procedimentale e sostanziale, dedotte dai ricorrenti;

(xii) condannava i ricorrenti a rifondere al resistente Comune di Bologna le spese di causa.

3. Avverso tale sentenza interponevano appello gli originari ricorrenti soccombenti, riproponendo i motivi di primo grado (da p. 1 a p. 117 del ricorso in appello) e formulando i seguenti motivi d’impugnazione della sentenza (da p. 118 a p. 137 del ricorso in appello):

a) l’erronea statuizione d’inammissibilità dell’intervento del curatore fallimentare nei ricorsi n. 251 del 2009, n. 430 del 2009, n. 552 del 2009 e n. 1016 del 2009, in quanto “in ogni caso i giudizi sono stati tutti riassunti, anche nei confronti del Fallimento” (v. così, testualmente, il ricorso in appello);

b) l’erroneo rigetto del ricorso n. 1150 del 2006, per l’erronea mancata declaratoria d’illegittimità della variante di salvaguardia collinare, sotto vari profili, e l’erroneo omesso esame di tutti i motivi dedotti avverso le delibere di adozione di detta variante, di cui gli odierni appellanti contestano la sussumibilità sotto gli artt. 15 l. reg. n. 47 del 1978 e 41, comma 2, l. reg. n. 20 del 2000;

c) l’erronea reiezione del ricorso n. 1311 del 2007, presupponente la correttezza della qualificazione di tutto il territorio agricolo comunale quale “territorio agricolo periurbano di rilievo paesaggistico” ai sensi dell’art. 11.5 PTCP, espressamente contestata dagli originari ricorrenti, in quanto in contrasto con le previsioni dell’art. A-20 dell’allegato alla l. reg. n. 20 del 2000, attributive di detta qualificazione alle sole parti del territorio limitrofe ai centri urbani o a quelle intercluse tra più aree urbanizzate ad elevata contiguità insediativa, mentre le aree in questione sarebbero site a confine col territorio collinare del Comune di Sasso Marconi, dal cui abitato pure disterebbero di parecchi chilometri, nonché, comunque, il travisamento delle censure di illegittimità costituzionale mosse avverso la l. reg. n. 20 del 2000, per contrasto coi principi generali in materia di gestione del territorio e in materia tributaria stabiliti dall’ordinamento statale;

d) l’erronea dichiarazione d’improcedibilità dei ricorsi n. 251 del 2009 e n. 430 del 2009, non versandosi a fronte di atti endoprocedimentali e dovendosi il T.a.r. comunque pronunciare nel merito delle dedotte censure sub specie di invalidità derivata inficiante i provvedimenti conclusivi dei relativi procedimenti, pure impugnati con i ricorsi, riuniti, proposti in primo grado;

e) l’erroneo rigetto dei ricorsi n. 552 del 2009 (proposto avverso il diniego del permesso di costruire in sanatoria), n. 1016 del 2009 (proposto avverso il diniego del PSA), n. 1038 del 2009 (proposto avverso l’ordinanza di demolizione del 4 agosto 2009), n. 1075 del 2009 (proposto avverso il POC) e n. 246 del 2011 (proposto avverso l’ordinanza di demolizione e di ripristino del 22 novembre 2010), censurando il rigetto dei rispettivi ricorsi e deducendo il travisamento e l’omesso esame delle censure formulate in primo grado, espressamente riproposte nella presente sede.

Gli appellanti chiedevano dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento dei ricorsi proposti in primo grado.

4. Si costituiva in giudizio l’appellato Comune di Bologna, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

5. All’udienza pubblica del 27 novembre 2012 la causa veniva assegnata a sentenza.

6. L’appello è infondato, per le ragioni (di rito e di merito) di cui appresso.

6.1. Il ricorso in appello è strutturato in due parti, una prima (da p. 1 a p. 117), nella quale vengono riproposti i motivi di primo grado, senza che sia svolta censura alcuna con riguardo alle motivazioni addotte dal T.a.r. a supporto delle statuizioni di rigetto, ed una seconda (da p. 118 a p. 137), nella quale vengono svolte le censure avverso le motivazioni sviluppate nella sentenza di primo grado.

In applicazione della disposizione contenuta nell’art. 101, comma 1, cod. proc. amm., secondo cui il ricorso in appello deve contenere “le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata” – peraltro, in recepimento del prevalente orientamento di questo Consiglio di Stato, formatosi sulla disciplina processuale vigente prima dell’entrata in vigore del cod. proc. amm. (v., tra le tante, C.d.S., Sez. VI, 18 gennaio 2010, n. 132; C.d.S., Sez. VI, 1 luglio 2009, n. 4238) –, la semplice riproposizione delle censure di primo grado deve ritenersi inammissibile, in quanto le stesse devono essere accompagnate dalla specifica contestazione delle argomentazioni sviluppate nell’appellata sentenza a suffragio delle statuizioni di rigetto dei motivi medesimi, con la precisazione che i motivi d’impugnazione devono essere più o meno articolate, a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, della motivazione dell’impugnata sentenza.

Ne consegue che nel caso di specie possono essere considerati ritualmente introdotti i soli motivi che sviluppano una critica alle argomentazioni della sentenza di primo grado, contenuti nella seconda parte del ricorso in appello (salva la sufficienza della mera riproposizione dei motivi di primo grado entro i limiti ricollegati alla censura di omessa pronuncia).

6.2. Scendendo alla disanima dei singoli motivi d’appello, si osserva che destituito di fondamento è il motivo sub 3.a), non valendo la dedotta censura a scalfire la motivazione che sorregge la statuizione d’inammissibilità dell’intervento del Fallimento ******* s.r.l. nell’ambito dei ricorsi n. 251 del 2009, n. 430 del 2009, n. 552 del 2009 e n. 1016 del 2009 – correttamente qualificato sub specie di intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso –, per omessa notifica dell’atto di intervento alle altre parti ed omesso deposito nei termini stabiliti dall’art. 45, comma 1, cod. proc. amm.

6.3. Infondato è, altresì, il motivo d’appello sub 3.b).

La deliberazione consiliare n. 160/2006 del 29 luglio 2006 – recante l’adozione della variante grafica e normativa al PRG del 1985, ai sensi dell’art. 15 l. reg. n. 47 del 1978 e dell’art. 41, comma 2 lett. b), l. reg. n. 20 del 2000, “per l’adeguamento della disciplina di tutela della zona collinare quale misura di salvaguardia nel percorso in atto di elaborazione della nuova pianificazione urbanistica (PSC, POC, RUE)” (v. così, testualmente, la rubrica della delibera in esame) – configura una variante specifica, normativa e grafica, al PRG del 1985, finalizzata a tutelare le caratteristiche paesaggistiche ed ambientali della sola zona collinare (quale individuata cartograficamente nelle tavole del PRG), al dichiarato scopo di salvaguardare lo stato di fatto attuale dell’edificato nella zona in questione, sia per renderlo coerente con gli obiettivi di tutela dei valori paesaggistico-ambientali e con gli indirizzi del PTCP, sia per non pregiudicare la pianificazione in via di elaborazione con l’attuazione con l’attuazione di interventi di trasformazione del territorio che avrebbero potuto comprometterne la visione strategica e strutturale conseguenti agli obiettivi dell’adottando PSC.

La variante è stata correttamente ricondotta nell’alveo applicativo del combinato disposto degli artt. 41, comma 2 lett. b), l. reg. n. 20 del 2000 – secondo cui “dall’entrata in vigore della presente legge e fino all’approvazione del PSC, del RUE e del POC, possono essere adottati e approvati i seguenti strumenti urbanistici secondo le disposizioni previste dalla legislazione nazionale e da quella regionale previgente: (…) b) le varianti al PRG di cui ai commi 4 e 7 dell’art. 15 della l. reg. 7 dicembre 1978, n. 47” – e 15, comma 4 lett. e), l. reg. n. 47 del 1978 e succ. mod., che annovera, tra le varianti ammesse alla procedura semplificata di cui al successivo art. 21, quelle necessarie “per l’adeguamento alle prescrizioni, che comportino vincoli di carattere generale, contenute negli strumenti regionali o provinciali di programmazione e pianificazione territoriale”, ossia, le varianti necessarie per l’adeguamento alle previsioni immediatamente vincolanti del PTPR e del PTCP (ai sensi degli artt. 5, comma 3 lett. b), l. reg. n. 36 del 1988 e 2, comma 4 lett. b), l. reg. n. 6 del 1995), quali quelle relative a zone di particolare interesse paesaggistico-ambientale .

Ne consegue l’indubbia legittimità del procedimento seguito dall’amministrazione nell’adozione ed approvazione della variante di salvaguardia in esame, ponendo gli artt. 7.1 (che recepisce e integra l’art. 9 del PTPR) e 7.2 del PTCP (entrato in vigore il 14 aprile 2004) come obiettivo prioritario la tutela della zona collinare, con previsioni vincolanti per il PSC adottato con delibera consiliare n. 157/2007 del 16 luglio 2007 ed approvato con successiva delibera n. 133/2008 del 14 luglio 2008 (mentre l’impugnata delibera consiliare n. 125/2008, di approvazione della variante in esame, è stata emanata il 30 giugno 2008, appena due settimane prima della delibera n. 133/2008).

La tipologia di variante adottata e approvata con le impugnate delibere ha, peraltro, tutti i requisiti per essere qualificata come provvedimento di pianificazione e costituisce una modalità legittima di programmazione dello sviluppo del territorio, essendo le delibere motivate sui rilievi dell’insorgenza, medio tempore, di problematiche di carattere generale dell’assetto urbanistico nella zona collinare di Bologna (costante incremento, negli ultimi tempi, dell’edilizia sparsa nelle zone rurali; finalità di recupero del paesaggio e dell’ambiente; garanzia della fruizione, compatibile e naturale, del territorio collinare come bene collettivo della città), e perseguendo le stesse l’obiettivo di porre una limitazione alla edificazione in zona agricola, fino alla definizione articolata della normativa di tutela e di valorizzazione del POC. Le impugnate delibere rispondevano dunque ad esigenze effettive, concrete ed attuali di programmazione del territorio e non si risolvevano affatto – come paventato dagli odierni appellanti – in misure interinali di salvaguardia, in senso tecnico, non previste dalla legge, preordinate all’esclusivo fine dell’adozione di futuri atti pianificatori.

Di riflesso, ne deriva la legittimità dell’eliminazione, in sede di adozione della delibera n. 160/2006, di tutte le previsioni derogatorie alla disciplina generale delle zone di tutela paesistica (TP), contenute nelle schede TP di cui all’art. 41 delle norme di attuazione del PRG, tra cui la scheda TP9 relativa ai terreni de quibus, e del successivo parziale ripristino, con modificazioni, di detta scheda, in sede di approvazione della variante all’esito del parziale accoglimento delle osservazioni dell’interessato, che, ora, consente la realizzazione degli interventi edilizi strettamente connessi alla conduzione del fondo, fino ad un massimo di mq 265 di superficie utile, con esclusione dell’uso abitativo, previa approvazione di specifico PSA.

Come, peraltro, condivisibilmente statuito da questo Consiglio di Stato in materia di pianificazione urbanistica, deve ritenersi legittima la variante di piano regolatore che, al fine di tutelare una parte del territorio comunale particolarmente rilevante per il suo pregio ambientale, storico o artistico, dispone restrizioni edificatorie e particolari salvaguardie della zona agricola, la cui funzione non è solo quella di valorizzare l’attività agricola vera e propria, ma anche quella di garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (v., sul punto, per tutte, C.d.S., Sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7478, in una fattispecie connotata dall’apposizione di un termine alle previsioni di una variante di piano regolatore in attesa dell’elaborazione di una futura variante generale, ritenuta legittima sulla base del condivisibile rilievo che la previsione di tale limite temporale costituiva una ragionevole misura cautelativa rientrante nei poteri di buona amministrazione e, per di più, introduceva una disciplina più favorevole ai privati, poiché, in mancanza di una tempestiva adozione della variante generale, le previsioni temporanee sarebbero state destinate a cadere).

Deve, poi, escludersi, la ricorrenza di una delle evenienze che, nell’elaborazione giurisprudenziale (v. per tutte, Ad. Plen. n. 24/1999), giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, né, a fronte del carattere abusivo delle costruzioni, può ravvisarsi la lesione di un’aspettativa edificatoria qualificata in capo agli originari ricorrenti, con conseguente infondatezza anche di tali profili di censura.

Né, infine, rileva che il T.a.r. Emilia Romagna con sentenza n. 1667/2007 (invocata dagli odierni appellanti), nell’ambito di una causa intentata da altri ricorrenti contro l’Amministrazione comunale di Bologna, avesse dichiarato l’illegittimità (parziale) della delibera n. 160/2006, nella parte in cui aveva eliminata l’edificabilità di altra scheda del PRG (la ‘scheda Tr1 – Domizzola’, destinata ad insediamenti turistico-ricreativi, sempre nella zona collinare di Bologna), sul rilievo che si trattasse di misura anticipatoria, non prevista dalla legge, volta a “congelare” l’esistente in attesa dell’adozione di nuovi strumenti urbanistici, in quanto:

– la predetta sentenza non esplica efficacia di giudicato nell’ambito del presente giudizio, il quale esula dai limiti soggettivi ed oggettivi del giudicato formatosi sulla precedente sentenza;

– la rilevata insussistenza (del pericolo) di un conflitto tra giudicati esclude la configurabilità del vizio di illogicità della qui appellata sentenza del Ta.r., per contrasto con la pregressa sentenza n. 1667/2007, essendo in ogni tempo ammissibile un mutamento del convincimento giudiziale (in fatto, o in diritto), anche da parte dello stesso organo giudicante (purché, come nel caso di specie, il petitum o la causa petendi non siano identici rispetto al caso deciso in precedenza e non si sia dunque creata un vincolo da giudicato), senza che, per ciò solo, si concreti il denunziato vizio di illogicità motivazionale.

6.4. Privo di pregio è il motivo d’appello sub 3.c), concernente le deliberazioni consiliari n. 157/2007 del 16 luglio 2007 e n. 133/2008 del 14 luglio 2008, di adozione e rispettivamente di approvazione del Piano strutturale comunale (PSC).

La scelta pianificatoria operata nel PSC, di estendere a tutto il territorio rurale il carattere periurbano – con la conseguente esclusione della possibilità di realizzare nuovi edifici ad usi abitativi che ne siano sprovvisti –, deve ritenersi conforme all’art. A-20 dell’allegato alla l. reg. n. 20 del 2000 che, nel disciplinare gli “ambiti agricoli periurbani”, statuisce, al primo comma, che “negli ambiti agricoli periurbani la pianificazione persegue prioritariamente il mantenimento della conduzione agricola di fondi, nonché la promozione di attività integrative del reddito agrario dirette: a) a soddisfare la domanda di strutture ricreative e per il tempo libero; b) a contribuire al miglioramento della qualità ambientale urbana, attraverso la realizzazione di dotazioni ecologiche, di cui all’art. A-25 dell’allegato, e di servizi ambientali”, in tal modo escludendo la possibilità di realizzare interventi diversamente finalizzati.

Il secondo comma, prevedendo che “gli ambiti agricoli periurbani sono individuati, di norma, nelle parti del territorio limitrofe ai centri urbani ovvero in quelle intercluse tra più aree urbanizzate, aventi una elevata contiguità insediativa”, non pone una disposizione tassativa, bensì di principio, derogabile nel caso concreto in relazione alle esigenze pianificatorie dei singoli comuni; deroga, di cui nel caso concreto si è, evidentemente, avvalso il Comune di Bologna.

La scelta in esame è, inoltre, conforme alle previsioni dell’art. 11.10 del PTCP – in aderenza al terzo comma del citato art. A-20, secondo cui “il P.S.C., sulla base delle indicazioni del P.T.C.P., individua gli ambiti agricoli periurbani e ne definisce obiettivi e prestazioni attese e interventi ammessi” –, in quanto il richiamato art. 11.10, al punto 6.(D), sotto il titolo “ambiti agricoli periurbani”, pone la direttiva che “gli strumenti urbanistici comunali escludono la possibilità di realizzare nuovi edifici abitativi in unità fondiaria agricola che ne siano sprovvisti”, peraltro in puntuale attuazione dell’art. 11 del PTPR (del 1993), secondo cui “le indicazioni delle aree da conservare o destinare alla utilizzazione agricola, dettate dagli atti di pianificazione agricola, devono essere rispettate da qualsiasi strumento di pianificazione e/o di programmazione subregionale. In ogni caso le determinazioni degli strumenti di pianificazione regionali o subregionali che comportino utilizzazioni diverse da quelle a scopo colturale di suoli ricadenti nelle zone agricole, ovvero che siano suscettibili di compromettere l’efficiente utilizzazione a tale scopo dei predetti suoli, sono subordinate alla dimostrazione dell’insussistenza di alternative ovvero della loro maggiore onerosità, in termini di bilancio economico, ambientale e sociale complessivo, rispetto alla sottoposizione dei suoli all’utilizzazione a scopo colturale o alla compromissione dell’efficienza di tale utilizzazione”.

Ne consegue l’indubbia legittimità della censurata scelta pianificatoria.

In reiezione dei dedotti profili di censura di carenza motivazionale e di lesione della tutela dell’affidamento, valgono le considerazioni svolte sopra sub 6.3.

*****, conclusivamente, rimarcare che nel caso in esame si verte in fattispecie di abusi edilizi, perpetrati in assenza di un preventivo Piano di sviluppo aziendale (PSA), i quali comunque non appaiono sanabili – a prescindere da eventuali possibilità di deroga ai limiti di edificabilità fissati dal PRG, ai sensi dell’art. 40, comma 9, l. reg. n. 47 del 1978 (che testualmente statuisce: “Gli indici fissati dalle norme di zona possono essere superati in sede di piano di sviluppo aziendale o interaziendale e nell’ambito degli obiettivi produttivi stabiliti dal piano, qualora ciò sia previsto dalle norme del piano regolatore generale che disciplinano la zona agricola nel rispetto del presente articolo. Gli incrementi di cui al presente comma sono strettamente correlati alle esigenze produttive.”) –, in quanto la preventiva presentazione e approvazione del PSA costituisce, secondo la citata disposizione di legge, la condizione indefettibile per l’ammissibilità delle opere edilizie previste nella scheda TP9 in deroga alle previsioni generali di cui all’art. 41 norme di attuazione del PRG, che non consentono la realizzazione di una nuova costruzione a prescindere dalla sua destinazione d’uso.

A confutazione delle censure di illegittimità costituzionale degli artt. 28 ss. l. reg. n. 20 del 2000, per dedotto contrasto con gli artt. 1, 3, 97 e 117 Cost., ed a conferma dell’appellata sentenza, deve dichiararsi la manifesta infondatezza delle questioni medesime, ostativa ad una rimessione alla Corte Costituzionale, poiché il governo del territorio è materia di legislazione concorrente con quella statale, con conseguente indubbia costituzionalità di una legge regionale che – esercitando un potere valutativo tipico della normativa urbanistica – definisca circoscritti ambiti territoriali in prossimità o a ridosso dei centri abitati in cui escludere la realizzazione di nuove costruzioni, non contrastando siffatta disciplina con i principi fondamentali fissati in materia dalla legislazione dello Stato.

6.5. Destituito di fondamento è il motivo d’appello sub 3.d), attesa la corretta qualificazione degli atti impugnati come atti di natura endoprocedimentali, privi di autonoma valenza lesiva.

6.6. Inammissibili sono i motivi sub 3.e), attesa la genericità delle dedotte censure, inidonee a incrinare l’impianto motivazionale dell’impugnata sentenza.

Le relative censure sono, in ogni caso, infondate nel merito, per le ragioni in gran parte già sviluppate nell’appellata sentenza, in quanto:

– sulla base di una valutazione globale e complessiva della documentazione acquisita al giudizio, le opere abusive oggetto dell’istanza di rilascio di permesso in sanatoria, in particolare il manufatto adibito a civile abitazione e il fabbricato adibito parzialmente ad uso ufficio, devono ritenersi insistenti su area ricompresa nelle Unità idromorfologiche elementari (UIE), non idonee ad usi urbanistici (ai sensi dell’art. 6.9 del PTCP), oltreché in contrasto con l’art. 41 della norme di attuazione del PRG vigente all’epoca di presentazione dell’istanza di sanatoria e con la scheda TP9, con conseguente legittimità sostanziale del diniego ed irrilevanza dei dedotti vizi procedimentali;

– l’Amministrazione ha fatto corretta applicazione, in fatto e in diritto, della disciplina sulle distanze legali tra le costruzioni e delle fasce di rispetto per gli elettrodotti, con conseguente legittimità dei correlativi motivi di diniego;

– il sopra rilevato contrasto con la disciplina urbanistica, la quale non consentiva nuove costruzioni, precludeva all’Amministrazione comunale qualsiasi possibilità di prendere in considerazione eventuali modifiche progettuali od osservazioni proposte dagli interessati;

– considerazioni sostanzialmente analoghe valgono a confutare le censure mosse avverso il diniego di approvazione del Piano di sviluppo aziendale, peraltro giammai presentabile ex post a giustificazione dell’istanza di sanatoria;

– inammissibili, per carenza d’interesse, devono ritenersi le impugnazioni delle delibere di adozione ed approvazione del POC, in quanto comunque successive alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria;

– tenuto conto del carattere vincolato delle ordinanze di demolizione, le stesse si sottraggono ai dedotti vizi motivazionali.

6.7. Per le esposte ragioni, l’appello è da respingere, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.

7. Le spese del presente grado giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 3544 del 2012), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna le parti appellanti, in solido tra di loro, a rifondere all’appellato Comune di Bologna le spese del presente grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012

Redazione