Trattenimento in servizio dei dipendenti civili dello Stato (Cons. Stato n. 1672/2013)

Redazione 26/03/13
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FATTO e DIRITTO

L’Università degli studi di Firenze chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Toscana ha accolto il ricorso proposto dagli odierni intimati, ricercatori con incarico di professore aggregato, avverso i provvedimenti del Rettore, del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione che ne hanno disposto il collocamento a riposo a decorrere dal 1° gennaio 2011, ai sensi dell’art. 72, comma 11, d.l. n. 112 del 2008, conv. nella legge n. 133 del 2008.

Anche i dottori ******************, ***********, ********, **********, ************* e ********** hanno chiesto, con appello incidentale condizionato, la riforma della sentenza impugnata.

I) La sentenza oggetto del giudizio ha accolto il ricorso, avendo rilevato:

– l’infondatezza del primo motivo del gravame, con il quale si pretendeva la riconducibilità della categoria dei ricercatori a quella dei professori universitari, esclusi dall’art. 72 comma 11 d.l. n. 112 del 2008 dalla collocazione obbligatoria in quiescenza, poiché l’art. 1 d.p.r. n. 382 del 1980 distingue il ruolo dei ricercatori universitari, tra i quali trovano collocazione i professori aggregati, da quello dei professori, straordinari e associati;

– l’infondatezza del quarto motivo, relativo alla violazione della direttiva 2000/78/Ce, e delle censure di illegittimità costituzionale sollevate nell’ambito del terzo mezzo, tutte concernenti una pretesa discriminazione in ragione dell’età, poiché il meccanismo contestato colpisce coloro che hanno riscattato i servizi pregressi e quindi i lavoratori più giovani d’età;

– la fondatezza del quinto motivo, con cui si censurano i criteri stabiliti dall’Università per individuare i casi in cui non avvalersi della facoltà di risolvere il rapporto di lavoro con il ricercatore: la deliberazione del Senato accademico del 12 maggio 2010, nello stabilire la salvaguardia di competenze scientifico-didattiche specialistiche, ha escluso dal collocamento a riposo il ricercatore afferente a un settore nel quale siano assenti professori o ricercatori in settori affini nell’intero Ateneo. In alternativa, la risoluzione del rapporto di lavoro è esclusa laddove il ricercatore soddisfi almeno due tra le seguenti condizioni: avere partecipato ad almeno uno degli ultimi tre bandi PRIN conseguendo valutazione positiva; avere conseguito un punteggio complessivo nella valutazione del comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) 2001/2003 maggiore o uguale a uno e non inferiore a buono; essere responsabile di un progetto approvato nell’ambito del quarto programma quadro della Comunità europea rilevante per la quantificazione del Fondo per il finanziamento ordinario dell’Università di Firenze.

Il Tribunale amministrativo ha rilevato che il concetto di afferenza non è definibile con esattezza, specie se riferito all’intero Ateneo, e che la necessità della competenza specialistica scientifico didattica avrebbe dovuto essere valutata a livello di singola facoltà e verificata caso per caso; che i criteri alternativi sono anch’essi irragionevoli, posto che solo i professori ordinari possono essere responsabili di un progetto nell’ambito comunitario che sia rilevante per la quantificazione del Fondo di finanziamento ordinario dell’Università; che la valutazione da parte del CIVR ristretta al triennio 2001/2003 con effetti per l’anno 2010 non è ragionevole, posto che ben potrebbe darsi che un ricercatore valutato negativamente nel periodo suddetto abbia sviluppato negli anni successivi nuovi lavori rilevanti sul piano scientifico, tali da renderlo indispensabile ai fini dell’offerta formativa, ovvero che un ricercatore con valutazione prima positiva possa poi risultare poco utile per l’Ateneo. L’irragionevolezza sia dei singoli criteri, sia della richiesta della presenza congiunta di almeno due di essi vizia, secondo la sentenza impugnata, la deliberazione del Senato accademico, con conseguente fondatezza del ricorso, a prescindere dai vizi di incostituzionalità di cui al secondo e al terzo motivo e assorbimento delle ulteriori censure.

II) L’appello proposto dall’Università di Firenze evidenzia che l’art. 72, comma 11, d.l. n. 112 del 2008, conv. nella legge n. 133 del 2008, attribuisce alle pubbliche amministrazioni il potere di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non appartenenti alle categorie espressamente escluse, al solo ricorrere del presupposto dell’anzianità contributiva e al fine di ridurre la spesa inerente al pubblico impiego: il mancato esercizio di tale facoltà si configura, pertanto, come eccezionale, cosicché ad essere gravati da un obbligo motivazionale circa le effettive esigenze organizzative e funzionali sono i provvedimenti con i quali l’Amministrazione decide di non disporre il collocamento a riposo.

Sostiene ancora l’appellante che i criteri censurati dal Tar sono ispirati a quelli di cui all’allegato 1 al d.m. 32 settembre 2009, n. 45 per l’accertamento della “virtuosità” degli Atenei in termini di qualità della ricerca e dell’offerta formativa ai fini della ripartizione del fondo di finanziamento ordinario.

In particolare, circa l’elasticità del criterio dell’afferenza, che secondo il Tar ne determina l’irragionevolezza, rileva l’Università che, al contrario, le eventuali affinità sono stabilite in maniera puntuale da specifici atti ministeriali (d.m. 4 ottobre 2000, come mod. dal d.m. 18 marzo 2005) e si concretano proprio nei dipartimenti e nelle facoltà dell’Ateneo nel cui ambito si iscrive il settore considerato, strutture nelle quali sono in servizio professori e ricercatori nel medesimo settore cui afferiscono i ricorrenti in grado di garantire la presenza di competenze scientifico didattiche, come è stato puntualmente verificato nella fattispecie in esame.

Per quanto riguarda la possibilità che solo i professori ordinari possano essere responsabili di un progetto nell’ambito comunitario che sia rilevante per la quantificazione del Fondo, l’Università oppone che né la legge n. 168 del 1989, né la normativa comunitaria si oppongono a che i ricercatori universitari possano essere responsabili di progetti di ricerca riconducibili al programma quadro di azione comunitaria.

Infine, il riferimento all’arco temporale preso in esame trova giustificazione nella cadenza triennale della valutazione del CIVR, alla stregua delle “linee guida per la valutazione della ricerca” adottate dal medesimo organo del MIUR, che ha fatto riferimento al triennio 2001-2003 per il primo esercizio di valutazione della ricerca, mentre, per il triennio successivo, nessun bando risulta emanato dal CIVR: gli unici dati disponibili di carattere oggettivo sono, quindi, quelli relativi al periodo suddetto, nel quale i ricorrenti in primo grado non hanno ottenuto alcuna valutazione.

III) Anche i ricorrenti in primo grado (con l’eccezione della dottoressa **************), nel resistere all’appello, hanno chiesto, con appello incidentale condizionato, la riforma della sentenza sopra riassunta, censurandola nelle parti in cui ha respinto il primo e il quarto motivo del ricorso di primo grado e non ha preso in considerazione le questioni di costituzionalità dell’art. 72, comma 11, d.l. n. 112 del 2008, in quanto la disparità di trattamento che introduce tra posizioni di lavoro del tutto omogenee è irragionevole e il collocamento a riposo di una consistente aliquota di professori aggregati determina un impoverimento dell’offerta didattica e quindi si pone in attrito con gli art. 97 e 33 della Costituzione, oltre a determinare una lesione del principio di parità a seconda della data di maturazione dell’anzianità contributiva e dell’avvenuto o meno riscatto dei servizi pregressi.

Gli appellanti incidentali ripropongono anche la questione, sollevata con il quarto motivo del ricorso di primo grado, relativa alla violazione del principio di non discriminazione dei lavoratori sulla base dell’età, di cui alla Direttiva 2000/78/CE attuata dal d.lgs. n. 216 del 2003, e le censure di cui al sesto, settimo, ottavo e nono motivo, relative, rispettivamente, all’omissione dell’obbligo di avviso di avvio del procedimento e del preavviso di rigetto, all’individuazione della data di collocamento a riposo senza attendere la conclusione dell’anno accademico in corso, come prevede l’art. 34, comma 7, d.p.r. n. 382 del 1980 e al mancato rispetto dell’obbligo di preavviso imposto dallo stesso art. 72 d.l. citato.

IV.1) Il Collegio ritiene opportuno premettere all’esame della controversia sopra riepilogata alcune considerazioni circa la portata e le ragioni sottese alla novella introdotta dall’art. 72 del d.l. 112 del 2008 sull’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti civili dello Stato (anche in regime di diritto pubblico) delineato dall’art. 16 del d.lgs. 503 del 1992.

Come questo Consiglio ha puntualizzato in numerose pronunce (per tutte, sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2518 e 24 gennaio 2011, n. 479), tale norma si propone di risolvere la delicata questione del bilanciamento fra l’interesse privato al trattenimento in servizio e l’interesse pubblico alla salvaguardia delle esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione di appartenenza, tenuto anche conto dell’evidente finalità di contenimento dei costi del personale nel settore pubblico che caratterizzano i più recenti interventi normativi in subjecta materia, prima regolata dall’art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, che – affermando semplicemente che “è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio (…) per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi” – riconosceva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i professori universitari) un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo riposo descritto” (Cons. Stato, IV, 21 febbraio 2005, n. 573).

Il comma 7 dell’articolo 72 del d.l. 112 del 2008 ha profondamente modificato le previsioni di cui al richiamato articolo 16, il quale così recita: “è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento”.

Questa normativa sopravvenuta non riconosce più un diritto soggettivo alla permanenza in servizio del pubblico dipendente, ma prevede che l’istanza, che egli ha facoltà di presentare, vada valutata discrezionalmente dall’Amministrazione, la quale, a sua volta, ha facoltà di accoglierla, e possa trovare accoglimento solo in concreta presenza degli specifici presupposti individuati dalla disposizione, i primi dei quali sono legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione medesima (“in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali”) e i seguenti alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente (“in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi”).

Alla luce della richiamata disciplina è dato ricavare che l’istituto del trattenimento in servizio ha ormai assunto un carattere di eccezionalità in considerazione delle generali esigenze di contenimento della spesa pubblica che hanno ispirato e informato l’intero impianto normativo sotteso alla disciplina di cui al d.l. 112, cit., e, segnatamente, alla disciplina di cui al Capo II di tale decreto, nel cui ambito è collocato il più volte richiamato art. 72 (in tal senso: Cons. Stato, sent. 479/2011, cit.).

Poichè è questa la ratio sottesa al richiamato intervento normativo, ne consegue che l’ipotesi ordinaria è quella della mancata attivazione dell’istituto del trattenimento (ipotesi ricorrendo la quale l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione sarà limitata all’insussistenza di particolari esigenze organizzative e funzionali le quali inducano a decidere in tal senso), mentre all’ipotesi del trattenimento sarà da riconoscere carattere di eccezionalità, con la necessità di esplicitare in modo adeguato le relative ragioni giustificatrici, conferendo rilievo preminente alle esigenze dell’amministrazione lato sensu intese.

Ebbene, rispetto a tali esigenze “la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti” rappresenta – se del caso – un criterio giustificativo necessario, ma non già la ragione determinante della scelta.

Si tratta infatti di dar corso ad un’ipotesi eccezionale di provvista di personale docente, che deve essere adeguatamente giustificata da oggettivi e concreti fatti organizzativi, tali da imporre che si faccia ricorso ad un tale particolare strumento eccettuale. L’esternazione della giustificazione di una tale scelta – insieme a quella sugli altri elementi richiesti, a seguire, dalla disposizione – è necessaria per dar conto del come e perché l’Amministrazione si determini, derogando alle esigenze di risparmio perseguite dalla legge, a seguire questa speciale via.

Non così è quando l’Amministrazione si determini in senso negativo, ricorrendo allora la situazione ordinaria di normale estinzione del rapporto lavorativo per raggiungimento dei limiti di età, che non richiede una speciale esternazione circa la particolare esperienza professionale dell’interessato.

È stata dunque, con l’innovazione del 2008, introdotta nuova disciplina, che ha invertito il rapporto tra regola ed eccezione della legislazione del 1992. L’uso del termine “facoltà” descrive attualmente null’altro, se non la possibilità, da parte dell’interessato, di domandare all’Amministrazione il trattenimento in servizio, ma non più un diritto a permanere nell’ufficio.

La struttura della fattispecie definita dalla nuova disposizione configura come eccezionale e soggetto a rigorose condizioni l’accoglimento dell’istanza di trattenimento.

IV. 2) Applicando questi principi, orami pacificamente sedimentati nella giurisprudenza, al caso di specie, ne deriva, innanzitutto, l’infondatezza dei motivi non esaminati dal Tar e riproposti con l’appello incidentale dai ricorrenti in primo grado (appello che, pur essendo proposto in via condizionata, ben può essere esaminato nel merito, laddove esso proponga censure palesemente non condivisibili, anche ai fini della portata conformativa della sentenza sull’ulteriore attività amministrativa).

Innanzitutto, non è condivisibile la tesi, sostenuta dagli appellanti incidentali, che riconduce il ricercatore universitario nella categoria dei professori universitari, e quindi nella eccezione prevista dall’ultimo periodo del comma 11 dell’art. 72 citato.

Il d.p.r. n. 382 del 1980 distingue nettamente, sotto il profilo sia organizzativo, sia funzionale, la figura del professore universitario da quella del ricercatore; in generale, la normativa si riferisce alle due categorie in modo espressamente distinto, ad esempio per quanto riguarda la disciplina dei congedi per motivi di studio (art. 17 del d.p.r. 382/1980 per i professori universitari, art. 8 della legge 349/1958 per i ricercatori), la disciplina dell’attività didattica (art. 10 del d.p.r. 382/1980 e art. 16 della legge 230/2005 per i professori, art. 32 del d.p.r. 382/1980 per i ricercatori; tra l’altro, tale ultima norma attribuisce ai ricercatori esclusivamente “compiti didattici integrativi” dei corsi di insegnamento ufficiali).

La mancanza di una categoria omnicomprensiva dei “docenti universitari” è resa palese, quindi, dalla diversa considerazione a livello normativo: ad esempio, l’articolo 3, comma 2, del d.lgs. 165/2001, nel disporre il mantenimento del carattere pubblicistico dei relativi rapporti di impiego, così come l’articolo 1 della legge 230/2005, nel far salvo lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento, si riferiscono separatamente, seppur contestualmente, alle categorie dei “professori e ricercatori universitari”.

Anche le ulteriori censure sollevate in primo grado e riproposte con l’appello incidentale sono infondate.

Non sussiste, infatti, la pretesa violazione degli obblighi partecipativi presidiati dalla legge n. 241 del 1990, dal momento che il procedimento sfociato nei provvedimenti impugnati in principalità è iniziato a istanza di parte; né può ritenersi che l’applicazione dell’art. 72 d.l. citato evidenzi la violazione di parametri costituzionali e/o di regole comunitarie.

Non appare infatti, irragionevole la scelta del legislatore di degradare il precedente diritto potestativo al mantenimento in servizio alla positiva valutazione dell’Amministrazione in ragione dei due parametri sopra già evidenziati. Anzi, per certi aspetti l’inversione di prospettiva risulta invero coerente non solo con il principio del buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 cost., ma anche ai principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa desumibili dall’ordinamento e che informano (indipendentemente dal regime giuridico del singolo rapporto di lavoro) anche l’organizzazione degli uffici e l’attività della pubblica Amministrazione.

Peraltro, come già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’inversione di prospettiva risulta coerente non solo con il principio del buon andamento della pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ma anche ai principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa desumibili dall’ordinamento e che ne informano (indipendentemente dal regime giuridico del singolo rapporto di lavoro) anche l’organizzazione degli uffici e l’attività (d.lgs. n. 165 del 2001).

La normativa censurata incide, infatti, unicamente sull’aspettativa, di mero fatto, di durata della vita lavorativa, essendo dato al legislatore ridisciplinare i rapporti di durata con salvezza dei diritti quesiti (Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2011, n. 3360), e non può essere tacciata di irragionevolezza, poiché introduce un criterio coerente il raggiungimento della anzianità massima contributiva e, quindi, appare rispettosa anche degli interessi dei dipendenti.

Tali considerazioni consentono di respingere anche il sospetto di infrazione delle normative comunitarie, dal momento che la disciplina così introdotta non contiene alcuna discriminazione in base all’età anagrafica, come sostengono gli appellanti incidentali, ma una meccanismo che, fermo restando l’inevitabile arresto della vita lavorativa ( e la connessa naturale discriminazione dovuta all’età), lo modula appunto anche secondo l’interesse stesso dei lavoratori, in considerazione del raggiungimento del massimo dell’anzianità contributiva.

V) L’appello principale avanzato dall’Università è, peraltro, infondato (e la conseguente sostanziale conferma della sentenza impugnata, sia pure con motivazione in parte diversa, priva di interesse l’esame completo del ricorso incidentale, in particolare per quanto riguarda l’individuazione della data di collocamento a riposo e il mancato rispetto dell’obbligo di preavviso imposto dallo stesso art. 72 d.l. citato).

Come si è esposto nella parte narrativa, l’Università di Firenze ha ritenuto di preconfigurare criteri generali da applicare nell’esaminare le domande di trattenimento in servizio. Tale modus operandi è consentito dalla norma, che, condizionando il potere discrezionale alla valutazione di specifici presupposti, alcuni legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione, “in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali” e gli altri alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del ricercatore “in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi”, permette che l’Amministrazione limiti la propria discrezionalità fissando criteri generali per autovincolarsi nell’esercizio del successivo potere.

Peraltro, anche in tale caso il potere discrezionale deve essere esercitato secondo i consueti canoni della logicità e della ragionevolezza.

Nella fattispecie in esame, il Senato accademico ha individuato i seguenti criteri per esercitare la facoltà di proroga: a) mancanza nell’Ateneo di professori o ricercatori afferenti al medesimo settore disciplinare o a settori affini; in alternativa, la presenza di almeno due tra i seguenti criteri: b) partecipazione con esito positivo ad almeno uno degli ultimi tre bandi PRIN; c) conseguimento di punteggio complessivo nella valutazione CIVR 2001-2003 maggiore o uguale a 1; d) responsabilità di un progetto approvato nell’ambito del VI programma quadro della Comunità europea che rilevi ai fini della quantificazione del fondo ordinario dell’Università di Firenze.

Occorre quindi procedere all’esame della logicità di tali parametri, e della loro congruenza con gli scopi presidiati dalla norma, relativi, come più volte si è sottolineato, alla tutela delle esigenze organizzative e funzionali dell’Università, anche in considerazione della particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti.

Alla luce dell’esigenza di salvaguardia dell’efficiente andamento dei servizi, l’ambito al quale il Senato accademico ha ritenuto di parametrare il criterio sopra indicato sub a) appare eccessivamente vasto, dal momento che, come ha rilevato il Tar, la presenza nell’intero Ateneo di professori o ricercatori afferenti ad un settore anche affine non garantisce, di per sé, il livello organizzativo e funzionale postulato dalla norma, per il quale rileva la necessità di garantire una adeguata offerta formativa a livello della singola facoltà, da verificare previa specifica istruttoria in relazione alla concreta domanda da parte dell’utenza.

Del pari, sempre tenendo presente la ratio della norma e lo scopo di garantire la funzionalità e l’efficienza del servizio mediante la valorizzazione della particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti, illogico si palesa il criterio sopra indicato sub c), dal momento che l’indicatore di valore prescelto restringe al periodo 2001-2003 la valutazione rilevante, quando è evidente che sia l’esperienza specialistica del richiedente, sia le esigenze organizzative e funzionali dell’Università devono essere considerate nella loro portata concretamente attuale rispetto al momento della decisione. L’aver assunto a parametro tale criterio, seppur oggettivo, restringe la valutazione fino a renderla, anche “cronologicamente”, non congruente con l’interesse pubblico presidiato dalla norma.

Per quanto riguarda l’altro criterio preso in esame dal Tar, relativo alla titolarità di un progetto comunitario come sopra precisato sub d), è invece fondato il motivo d’appello volto a sottolineare come i ricercatori ben possano partecipare a programmi di ricerca promossi anche da istituzioni internazionali (art. 6, comma 4, legge n. 168 del 1989) e che quindi non sia illogico assumere tale circostanza quale indicatore della particolare professionalità del richiedente, tale da consigliarne il mantenimento in servizio ai fini della qualità dell’offerta formativa.

Anche non illogico di per sé, contrariamente a quanto ha ritenuto il Tar, e rientrante nell’ambito di discrezionalità dell’Amministrazione, appare l’aver richiesto la costanza di due indicatori per concedere la proroga, dato che un tale stringente criterio è coerente con il carattere di eccezionalità del mantenimento in servizio rispetto alla regola dell’immediato collocamento a riposo stabilito dalla norma.

VI) L’appello principale proposto dall’Università di Firenze merita quindi accoglimento, nei sensi e nei limiti di cui sopra, mentre l’appello incidentale proposto dai ricorrenti in primo grado va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile: conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere confermata, sia pure con motivazione in parte ridimensionata.

Dato l’esito del giudizio, le spese possono essere compensate tra le parti anche per questo secondo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello incidentale e sull’appello principale in epigrafe indicati, respinge il primo e accoglie in parte, e nei limiti di cui in motivazione, il secondo, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata, salvi gli ulteriori adempimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013

Redazione