Corte di Cassazione Civile sez. IV 5/10/2009 n. 21221; Pres. Roselli F.

Redazione 05/10/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato in data 28.9.1999, L.A. impugnava dinanzi al Tribunale di Palmi il licenziamento intimatogli il 31.5.1999 dalla spa Poste Italiane. Esponeva l’attore che il 3.12.1997 era stato posto agli arresti domiciliari per presunto concorso nel reato di usura; revocata la misura cautelare, era stato riammesso in servizio, ma in data 1.4.1999 gli erano state mosse contestazioni disciplinari in relazione al procedimento penale pendente. Sosteneva l’attore che la sanzione del licenziamento era ingiustificata, sia perchè occorreva al riguardo una condanna penale passata in giudicato, sia perchè i fatti contestati erano estranei al rapporto di lavoro.

2. Il Tribunale adito dichiarava illegittimo il licenziamento, ma riteneva applicabile la sola tutela "obbligatoria" e pertanto condannava Poste Italiane a riassumere il lavoratore ovvero a pagargli un’indennità pari a sei mensilità di retribuzione.

Entrambe le parti impugnavano la sentenza di primo grado. La Corte di Appello di Reggio Calabria, in accoglimento dell’appello incidentale delle Poste, dichiarava legittimo il licenziamento. Proponeva ricorso per Cassazione il L. e la Corte di Cassazione, con sentenza 14.4.2005 n. 7729, cassava la sentenza di appello con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro. Al giudice di rinvio veniva affidato il compito di accertare e pronunciarsi sulla eccepita tardività del licenziamento e sulla esistenza dei fatti idonei a far venire meno il rapporto fiduciario nei confronti del lavoratore.

3. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 6.3.2007, riteneva inammissibile la questione inerente alla intempestività della "contestazione degli addebiti", in quanto domanda nuova, non contenuta nel ricorso introduttivo e sollevata per la prima volta nelle note difensive autorizzate nel corso del giudizio di appello.

Quanto al merito, riteneva il giudice del rinvio che il L. non avesse mai contestato la sussistenza dei fatti addebitatigli, essendosi difeso in ordine alla sussistenza di una mera imputazione penale ed alla estraneità dell’episodio di usura contestatogli al rapporto di lavoro. Osservava al riguardo la Corte di Appello di Catanzaro che i fatti predetti, accertati nella loro esistenza storica, sono comunque incompatibili con la veste di direttore di un ufficio postale e si ripercuotono negativamente sull’azienda datrice di lavoro.

4. Ha proposto ricorso per Cassazione L.A., deducendo quattordici motivi. Resiste con controricorso la spa Poste Italiane.

Le parti hanno presentato memorie integrative.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce nullità del procedimento per omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 99, 100, 112, 345, 346, 434, 384, 394 e 161 cod. proc. civ., art. 2119 cod. civ. e della L. n. 300 del 1970, art. 7: fino dal ricorso introduttivo, esso attore aveva impugnato il licenziamento anche per la non-immediatezza rispetto ai fatti ed alla contestazione. Sul punto la Corte di Cassazione aveva affidato al giudice del rinvio il compito di verificare la tempestività o meno del licenziamento; inopinatamente la Corte di Appello di Catanzaro ha stabilito che trattasi di motivo inammissibile.

6. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 384, 392 e 394 cod. proc. civ., sotto il profilo che la Corte di Appello di Catanzaro non poteva comunque pronunciare sull’ammissibilità del motivo di impugnazione, in quanto la sentenza della Cassazione le aveva affidato la verifica nel merito del motivo stesso, onde la questione dell’ammissibilità risultava preclusa.

7. Con il terzo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 2909 cod. civ., artt. 324, 329 e 371 cod. proc. civ., perchè il giudice del rinvio non ha tenuto conto del giudicato interno formatosi a proposito della questione della tardività del licenziamento. Secondo l’attore, con la sentenza n. 20.2003 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato nel merito un motivo di impugnazione da lui proposto a proposito della non immediatezza del provvedimento e tale pronuncia non è stata oggetto di impugnazione incidentale.

8. Con il quarto motivo del ricorso, il ricorrente deduce ulteriore violazione dell’art. 2909 cod. civ., artt. 324, 329 e 371 cod. proc. civ., perchè la Corte di Appello in sede di rinvio ha violato il giudicato interno a proposito della tardività del licenziamento.

9. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 99, 100, 345, 414, 416, 420 e 436 cod. proc. civ., art. 2119 cod. civ., e della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè carenza di motivazione, per avere la Corte di Appello di Catanzaro ritenuto che il motivo di appello inerente alla non-tempestività della contestazione fosse domanda nuova.

10. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano fondati e vanno accolti. La sentenza di questa Corte 14.4.2005 n. 7729, accogliendo il terzo motivo del ricorso allora in discussione, osservava che "nel licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura come elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo". 11. Ciò posto, la Corte di Cassazione affidava al giudice del rinvio il compito di accertare l’eventuale ritardo eccessivo tra contestazione e irrogazione della sanzione. Così decidendo la Corte di Cassazione ha ritenuto "de plano" ammissibile la contestazione del lavoratore inerente al presunto ritardo intercorso tra contestazione dell’addebito e irrogazione del licenziamento. La Corte di Appello di Catanzaro, andando oltre i limiti che erano stati assegnati al giudizio di rinvio, ha invece deciso sulla inammissibilità del motivo di impugnazione, previo nuovo esame degli atti processuali che era invece precluso. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata "in parte qua" ed il processo va rinviato per un nuovo esame circa la tempestività del licenziamento ad altra Corte di Appello che dovrà procedere all’indagine non compiuta dalla Corte di Appello di Catanzaro. Il principio di diritto è quello riportato al precedente paragrafo 10. 12. Il sesto motivo del ricorso per Cassazione ribadisce la censura di violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della immediatezza ed anche della contraddittorietà del comportamento datoriale, giacchè Poste Italiane dapprima riammetteva in servizio il L. e quindi lo licenziava.

Il motivo è in parte assorbito dall’accoglimento dei motivi che precedono e va rigettato quanto alla presunta contraddittorietà del comportamento di Poste Italiane, posto che il datore di lavoro può riammettere provvisoriamente in servizio un lavoratore e successivamente, accertati i fatti, licenziarlo.

13. Col settimo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2697 cod. civ., artt. 116, 414, 416 e 420 cod. proc. civ., sotto il profilo che esso attore ha sempre contestato la sussistenza dei fatti addebitatigli.

14. L’ottavo motivo riprende la medesima censura, sotto il profilo che il giudice di merito ha erroneamente ritenuto sussistere una "mancata contestazione" dei fatti medesimi. Il nono motivo censura la sentenza per non avere rilevato che Poste Italiane nella memoria difensiva di primo grado non aveva sollevato l’eccezione per cui il lavoratore non avrebbe contestato gli addebiti. Il decimo motivo ripropone la questione della presunta ammissione dei fatti "sub specie" di violazione dell’art. 354 cod. proc. civ., e segg.. Con l’undecimo motivo, la stessa argomentazione (contestazione dei fatti, insussistenza di una ammissione anche tacita) viene riproposta sotto l’aspetto della violazione dell’art. 416 cod. proc. civ., art. 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ.. Col motivo dodicesimo, si fa riferimento ad un omesso accertamento della gravità del fatto.

15. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi sono infondati e vanno rigettati. Ove venga superata in sede di giudizio di rinvio la questione della tempestività del provvedimento rispetto alla contestazione, non appare dubbio che i fatti siano stati accertati dal giudice di merito e la relativa statuizione non sia ulteriormente censurabile in sede di legittimità. Infatti la Corte di Appello,sulla scorta degli atti del processo, ha accertato come il L. non abbia mai contestato la materialità storica dei fatti, ma abbia sempre allegato a sua difesa che essi erano comunque estranei al rapporto di lavoro. Ora, sulla base della sentenza di cassazione con rinvio, era stato affidato al giudice di merito il compito di accertare se sussistessero i fatti addebitati, non potendosi condividere la tesi secondo la quale una imputazione penale era di per sè fatto idoneo a legittimare la risoluzione del rapporto di lavoro. La mancata contestazione della materialità dei fatti e l’idoneità degli stessi a compromettere la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel lavoratore (art. 34 e 79 CCNL di settore) anche se i fatti medesimi non sono stati commessi in servizio, risulta acclarata con motivazione adeguata, immune da vizi logici o da contraddizioni, talchè essa si sottrae ad ogni possibilità di riesame e di censura in sede di legittimità. 16. Col 13^ motivo, il ricorrente si duole della decisione sulle spese, prospettando violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., sostenendo che la cassazione con rinvio avrebbe dovuto comportare la condanna della convenuta al pagamento delle spese fino al processo di legittimità. Il motivo è infondato, posto che soltanto all’esito definitivo della complessiva vicenda processuale sarà possibile valutare la soccombenza e, quindi, adottare un provvedimento definitivo in punto di spese del processo.

17. Col quattordicesimo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18, art. 2119 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per non essere stato accolto a suo tempo l’appello principale in punto di "tutela reale" e non meramente obbligatoria.

Per vero, il motivo viene proposto in modo condizionato, per l’eventualità che la Corte di Cassazione intenda decidere nel merito. Il motivo è comunque infondato, perchè l’indagine circa i presupposti della tutela reale deve essere preceduta da quella in ordine alla tempestività del provvedimento. Vero è che spetta a Poste Italiane provare di essere al di fuori del campo della "tutela reale", sulla base della giurisprudenza consolidata di questa Corte, ma rimane il fatto che il giudice di appello ha ritenuto giustificato il licenziamento e quindi non aveva l’onere di verificare la conseguenze di un eventuale licenziamento illegittimo.

18. Accolti i primi cinque motivi del ricorso per Cassazione, rigettati i rimanenti motivi, la sentenza impugnata va cassata "in parte qua" ed il processo viene rinviato alla Corte di Appello di Messina, la quale deciderà anche in ordine alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie i primi cinque motivi del ricorso, rigetta i motivi rimanenti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Messina.

Redazione