Corte di Cassazione Civile sez. III 15/7/2009 n. 16456; Pres. Di Nanni L.F.

Redazione 15/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. V. citò in giudizio per il risarcimento del danno il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e gli avvocati che avevano partecipato alle deliberazioni concernenti la sua sospensione cautelare dall’esercizio della professione, conseguente ad un procedimento penale che lo aveva visto coinvolto.

Il Tribunale di Roma respinse la domanda con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello di Roma, la quale ha escluso l’esistenza dell’elemento psicologico colposo a sostegno della dedotta responsabilità.

Propone ricorso per cassazione l’avv. V. attraverso quattro motivi. Rispondono con controricorso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, i professionisti intimati, nonchè, separatamente l’avv. N.. Tutti gli intimati propongono ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, siccome proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. – IL RICORSO DELL’AVV. V..

Con il primo motivo l’avvocato V. censura la sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione laddove non ha tenuto conto che il Consiglio dell’Ordine ha disposto la sospensione cautelare benchè, in precedenza, il GIP del Tribunale di Roma avesse revocato il provvedimento restrittivo già emesso nei suoi confronti.

Sotto altro profilo il ricorrente sostiene che il provvedimento di sospensione fu adottato nei suoi confronti anche sulla base di circostanze mai contestategli ed insussistenti, quali la richiesta di rinvio a giudizio, la gravità dei fatti contestati e la fortissima ripercussione della vicenda sull’opinione pubblica.

Con il secondo motivo il ricorrente sostiene l’effetto di giudicato assunto dal provvedimento con il quale il Consiglio Nazionale Forense procedette all’annullamento del provvedimento cautelare, affermando che l’avv. V. non aveva avuto la possibilità di esercitare il diritto di difesa.

Il quarto motivo sostiene l’effetto di giudicato assunto dalla sentenza del Tribunale di Roma che, nel luglio 1994, lo assolse con formula piena dalle imputazioni, condannando, invece, il suo accusatore. Essendo stato, poi, quest’ultimo definitivamente condannato per calunnia nei confronti dello stesso avv. V..

Il quarto motivo censura la sentenza nel punto in cui ha ritenuto scusabile l’errore in cui era incorso il Consiglio dell’Ordine.

Sostiene il ricorrente che il giudice non avrebbe tenuto conto, a riguardo, dell’alta qualifica e dell’esperienza giuridica dei componenti del Consiglio; tali da rendere inescusabili la serie di errori in cui essi erano incorsi.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

I provvedimenti in questione (quello cautelare di sospensione ed i successivi con i quali furono respinte le istanze di revoca della sospensione stessa) sono senza alcun dubbio di natura amministrativa e fondano su un potere-dovere esercitato dal Consiglio dell’Ordine nei confronti dei propri iscritti. Nella specie, dunque, si discute di una domanda di risarcimento del danno aquiliano da provvedimento illegittimo della P.A..

A riguardo occorre ribadire il principio enunciato da Cass. sez. un. n. 500 del 1999 (e poi consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità) secondo cui, nel caso in cui sia stata introdotta, davanti al giudice ordinario, una domanda risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, questi dovrà procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) dovrà, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) dovrà, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A.; d) infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A.. Tale imputazione non potrà avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, richiedendo, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana.

Deve ritenersi che, nella specie, siffatto accertamento è stato legittimamente compiuto dal giudice del merito, il quale ne ha esposto i risultati attraverso una motivazione congrua ed immune da vizi logici.

Il nucleo principale della decisione poggia, infatti, sul difetto di colpa, a sostegno della pretesa responsabilità del Consiglio e dei suoi componenti, nell’emissione di un provvedimento che non aveva natura disciplinare, bensì cautelare e che, dunque, era diretto ad accertare la mera compatibilità tra l’assoggettamento del professionista al procedimento penale e l’esercizio della professione. A tal riguardo ha escluso che nel comportamento del Consiglio e dei suoi componenti fossero desumibili estremi di imperizia, negligenza o superficialità.

Non occorre qui ripetere le ragioni che hanno condotto il giudice a siffatta conclusione (s’è già detto che la motivazione è immune da vizi logico-giuridici), bisogna piuttosto porre in evidenza che l’errore d’impostazione nel quale incorre il ricorrente consiste nell’offrire una valutazione dei fatti ex post, avente, cioè, riguardo a quelli che, nel tempo, furono gli sviluppi del procedimento penale e dello stesso procedimento cautelare. Ogni valutazione sul tema deve essere, piuttosto, compiuta (come correttamente ha fatto la sentenza impugnata) ex ante, ossia nel momento in cui il Consiglio si trovò a deliberare in ordine alla sospensione dell’avv. V., in conseguenza della sua sottoposizione a procedimento penale ed a provvedimento restrittivo della libertà personale.

Non vale, perciò, fare riferimento (invocandone, addirittura, l’efficacia di giudicato) alle sentenze ed alle decisioni che successivamente provennero dal giudice penale e dal Consiglio Nazionale Forense, tutte, infine, favorevoli al professionista. Così come non vale, in questo processo, reclamare a proprio favore la condanna per calunnia di colui che fu l’accusatore dell’avv. V..

La dolorosa e lunga vicenda in cui quest’ultimo è stato travolto e la riconosciuta ingiustizia della iniziativa penale a suo carico non sono, dunque, ragioni valide per fondare il giudizio di responsabilità risarcitoria a carico del Consiglio e dei suoi componenti. Insomma, l’avv. V. non può pretendere che questi ultimi effettuassero in sede meramente cautelare (e, dunque, senza emettere alcun addebito di comportamenti deontologicamente rilevanti) quella serie d’accertamenti che furono successivamente e nel tempo svolti a suo favore dal giudice penale.

Nè il ricorrente può fondatamente sostenere la sua pretesa risarcitoria in base ad una sorta di automatica conseguenza dell’annullamento del provvedimento da parte del CNF. A tal riguardo vale, infatti, la medesima considerazione (svolta dalla citata Cass. sez. un. n. 500 del 1999 e da tutta la giurisprudenza successiva) circa l’insufficienza a fondare il giudizio di responsabilità della P.A. sul mero annullamento del provvedimento amministrativo in sede giurisdizionale.

2. – I ricorsi incidentali condizionati del Consiglio dell’Ordine e degli avv.ti A. ed altri (R.G. 3696/05) devono essere dichiarati assorbiti in conseguenza del rigetto del ricorso principale.

3. – Il ricorso incidentale dell’avv. N. deve essere respinto.

Egli impugna la sentenza nel punto in cui ha respinto il suo appello con il quale si doleva della disposta compensazione delle spese di primo grado, nonchè quello in cui ha compensato le spese del giudizio d’appello.

Lo stesso ricorrente pone in evidenza che il potere di compensare le spese deve essere motivato. Ed il giudice ha, in proposito, offerto, riguardo alla compensazione delle spese del primo e del secondo grado di giudizio, una motivazione congrua e logica, che ha tenuto conto della peculiarità della fattispecie, della difficile situazione personale e professionale venutasi a creare a carico dell’avv. V., dell’intervenuta declaratoria di illegittimità del provvedimento di sospensione da parte del CNF, che può avere ingenerato nel professionista stesso il dubbio dell’illiceità del provvedimento.

Le stesse ragioni possono trarsi a fondamento della compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale dell’avv. V. e quello incidentale dell’avv. N., dichiara assorbiti quelli incidentali condizionati del Consiglio Nazionale dell’Ordine e degli avv.ti A. ed altri. Compensa interamente tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

Redazione