Corte di Cassazione Civile sez. II 7/5/2008 n. 11202; Pres. Elefante A.

Redazione 07/05/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M. ed altri condomini (in epigrafe indicati) dell’edificio "(omissis)" sito in (omissis) convenivano in giudizio M.C. deducendo che quest’ultima – che aveva provveduto a costruire il detto edificio in forza di progetto e di relativa licenza edilizia – aveva loro veduto singole unità abitative indebitamente escludendo essi acquirenti da qualsiasi diritto sulle aree destinate a parcheggio dei veicoli che, peraltro, erano state realizzate in misura inferiore a quella prevista nel progetto ed a quella corrispondente alla volumetria realizzata. Gli attori chiedevano quindi che fosse accertato il loro diritto di uso sulle aree di parcheggio coperte e scoperte secondo progetto ed in base ai volumi realizzati a norma della L. 6 agosto 1967, n. 765 art. 18.

La convenuta si opponeva alle pretese degli attori negando l’esistenza del diritto da questi invocato in ragione della validità delle clausole dei contratti di vendita con le quali essa convenuta aveva riservato a sè i diritti sulle aree di parcheggio del fabbricato.

Con sentenza non definitiva 30/6/1989 l’adito tribunale di Salerno dichiarava la nullità dei contratti di vendita delle singole unità immobiliari limitatamente alla parte relativa all’esclusione degli acquirenti dal diritto d’uso – proporzionale ai diritti sulle parti comuni dell’edificio in questione – dell’esistente area di parcheggio coperto estesa mq. 424,53. Il tribunale dichiarava altresì integrati i contratti con la previsione del detto diritto d’uso in favore di ciascun condomino e disponeva poi con ordinanza l’ulteriore corso del giudizio. In particolare il primo Giudice, sulla scorta della espletata c.t.u. che aveva ritenuto recuperabile alla funzione di parcheggio una superficie coperta a diversa destinazione, disponeva altra C.T.U. per acquisire ulteriori elementi al fine o di verificare la possibilità di recuperare a parcheggio la superficie di mq.

214,07 avente una diversa destinazione (magazzini) attraverso opere demolitorie, ovvero di acquisire parametri estimativi ai quali rapportare l’eventuale risarcimento del danno per equivalente.

Avverso la detta sentenza la M. formulava riserva di impugnazione a norma dell’art. 340 c.p.c..

Proponevano invece appello i figli della M. – R., G., G. ed A.A. – i quali deducevano di aver nelle more del giudizio acquistato dalla madre la proprietà dei locali destinati a magazzini e quello destinato a "garage".

I condomini appellati resistevano al gravame sostenendone l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza.

Nelle more del giudizio di appello decedeva la M. lasciando eredi il marito, Al.An., ed i figli R., G., G. ed A.A.. Essendo questi ultimi già in giudizio in veste di appellanti, il giudizio veniva riassunto dagli appellati nei confronti di Al.An. il quale si costituiva riproducendo le posizioni della sua dante causa.

Il gravame degli A. veniva dichiarato inammissibile dalla corte di appello di Salerno con sentenza 9/2/1994 avverso la quale i condomini appellati proponevano ricorso per cassazione che veniva rigettato da questa Corte con sentenza 2/5/1996 n. 4024.

Il giudizio di primo grado proseguiva innanzi al neo costituito tribunale di Nocera Inferiore – competente per territorio – il quale, con sentenza 25/3/1997, ad integrazione di quanto disposto nella sentenza non definitiva:

a) dichiarava il diritto degli attori all’uso, proporzionale ai diritti sulle parti comuni dell’immobile, dell’ulteriore area di parcheggio coperta estesa mq. 71,14 – da ricavarsi dalla demolizione delle tramezzature esistenti al piano terraneo – illegittimamente destinati dalla costruttrice – venditrice a magazzini;

b) dichiarava la compensazione giudiziale tra le somme spettanti agli attori a titolo di risarcimento danni per il mancato godimento dell’area destinata a parcheggio di mq. 315,53, e quelle spettanti ai convenuti a titolo di integrazione del prezzo dovuto dagli attori per la costituzione del diritto d’uso dell’area di parcheggio;

c) condannava gli A. al pagamento delle somme nel dettaglio indicate in favore dei singoli attori.

Gli A. proponevano appello avverso la sentenza non definitiva del tribunale di Salerno e la sentenza definitiva del tribunale di Nocera Inferiore deducendo, tra l’altro, che all’epoca in cui era sorto il condominio l’area destinata parcheggio era di mq. 424,53 al coperto per cui solo questa poteva essere "restituita" a tale destinazione mentre per la residua ed inesistente area gli attori avrebbero potuto solo ottenere il risarcimento del danno.

Gli appellati resistevano al gravame.

Con sentenza non definitiva 29/5/2001 la corte di appello di Salerno rigettava il gravame avverso la pronuncia del tribunale di Salerno ed accoglieva per quanto di ragione l’appello avverso la decisione del tribunale di Nocera Inferiore rigettando la domanda degli attoriappellati di accertamento della comproprietà dell’area scoperta di mq. 125,21 da destinare a parcheggio secondo il progetto. La corte di appello dichiarava inoltre il diritto degli attori-appellati ad usare, quale parcheggio, un’area coperta di mq. 445,79 e, quindi, anche un’area di mq. 21,26 occupata da magazzini e da individuare mediante nuova consulenza come da separata ordinanza. Dichiarava poi che gli attori – appellati avevano diritto al risarcimento del danno per il mancato uso a parcheggio di un’area di mq. 77,54, danni da liquidare nell’ulteriore corso del processo. Dichiarava infine che gli appellanti avevano diritto all’integrazione dei corrispettivi dei contratti di vendita in relazione al diritto d’uso come parcheggio di un’area coperta di mq. 445, 79. La corte di appello perveniva alle dette conclusioni rilevando in fatto e in diritto che:

a) l’area coperta destinata a parcheggio secondo il progetto era di mq. 445,79;

b) l’area scoperta destinata a parcheggio doveva essere di mq. 125,21 ma di fatto non era stata mai realizzata e, quindi, non era mai venuta ad esistenza sicchè non poteva essere "recuperata" e poteva solo dar luogo al risarcimento del danno;

c) l’area coperta destinata a parcheggio era stata di fatto realizzata per mq. 424,53 dei quali la venditrice si era riservata la proprietà ed era recuperabile all’uso;

d) parte dell’area coperta destinata a parcheggio (per mq. 21, 26) era stata illecitamente destinata dalla venditrice ad altri usi;

e) in relazione a tale ultima area gli attori – appellati potevano ottenere il risarcimento del danno anche sub specie di esecuzione forzata ex art. 2058 c.c., per recuperare al vincolo legale le destinazione di tale area.

Con separata ordinanza la corte di merito rimetteva le parti in istruttoria durante la quale veniva disposta ed eseguita una nuova C.T.U..

Gli appellanti formulavano rituale riserva di impugnativa avverso la sentenza non definitiva.

Quindi, con sentenza definitiva 24/4/2003, la corte di appello:

a) condannava A.A. a destinare ad area di parcheggio coperto la superficie di mq. 21,26, come indicata nella planimetria allegata alla c.t.u. e ad eseguire tutte le opere indicate nell’allegato computo metrico – estimativo;

b) condannava i fratelli A. al pagamento, in ragione di un quarto ciascuno, delle somme nel dettaglio specificate in favore dei singoli attori – appellati.

La corte di merito osservava: che gli appellanti per la prima volta, dopo la sentenza non definitiva, avevano eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni invocato ex adverso; che tale eccezione era inammissibile perchè tardiva atteso che l’articolo 345 c.p.c. (nel testo previgente applicabile nella specie) doveva essere interpretato in collegamento con l’art. 342 c.p.c., relativo alla specificità dei motivi di gravame; che pertanto la detta eccezione poteva essere proposta solo nell’atto di appello; che gli appellanti con la comparsa conclusionale avevano reiterato l’eccezione di carenza di interesse degli appellati a "recuperare", quale area destinata a parcheggio, quella di mq. 21,26, realizzata dalla costruttrice con funzione di magazzino e di proprietà di A. A.; che tale questione non era esaminabile in quanto definita con la sentenza parziale; che inoltre gli stessi appellanti avevano prospettato la possibilità di sostituire la trasformazione di detta ulteriore area da magazzino (di proprietà di A.A.) a parcheggio, con una forma di risarcimento del danno per equivalente tenuto anche conto dell’eccessiva onerosità dell’intervento recuperatorio; che anche rispetto a tale questione essa corte era vincolata dal decisum della sentenza parziale con la quale era stato stabilito che gli appellanti avevano diritto al risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c., e, quindi, a recuperare come area destinata a parcheggio quella porzione di piano coperto di mq. 21,26 assegnata illecitamente a magazzino; che non poteva parlarsi di eccessiva onerosità dell’intervento ripristinatorio atteso che il costo delle opere demolitorie – ricostruttive era stato determinato in appena Euro 5.815,67; che l’eccessiva onerosità non poteva essere ravvisata in relazione alla perdita di utilità subita dall’ A. per la riduzione dell’area destinata a magazzino; che con la sentenza non definitiva era stato affermato che gli appellanti non avevano mosso alcuna censura in ordine ai criteri seguiti dal consulente e fatti propri dal tribunale per la determinazione del danno per il mancato uso a parcheggio di un’area di mq. 77,54 per cui su tali criteri si era formato il giudicato interno.

Con ricorso affidato a tre motivi i fratelli R., G., A. e A.G. hanno chiesto la cassazione della sentenza non definitiva della corte di appello di Salerno del 26/9/2001 e della sentenza definitiva della stessa corte del 24/4/2003. Tutti gli intimati in epigrafe indicati hanno resistito con controricorso. Entrambe le pari hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare va rilevata l’infondatezza dell’eccezione sollevata dai resistenti relativa all’asserita inammissibilità del ricorso per:

a) violazione dell’art. 366 c.p.c., per essere stati esposti i fatti di causa in maniera diversa da come riportati nelle sentenze impugnate e nella sentenza di questa Corte 4024/1996;

b) violazione dell’art. 360 c.p.c., "per improponibiltà congiunta di due diversi motivi di censura distintamente previsti al n. 3, ed al n. 5, della norma citata";

c) violazione dell’art. 366 c.p.c., per aver i ricorrenti fatto riferimento ad isolate pagine di scritti difensivi;

d) violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, per aver i ricorrenti fatto richiamo cumulativo, confuso e generico a numerose norme di diritto senza specificare quali norma sarebbero state violate e per quale motivo.

Al riguardo è appena il caso di osservare che i fatti di causa risultano esposti in ricorso in modo sostanzialmente conforme a quanto in proposito riportato nelle sentenze impugnate. Peraltro dall’esame complessivo dei ricorso così come predisposto dagli A. emergono con sufficiente chiarezza l’esposizione del fatto ed i motivi posti a base della richiesta di annullamento delle decisioni della corte di appello di Salerno. In base ad una lettura attenta del ricorso – articolato in una prima parte espositiva ed in una seconda riservata ai motivi – è possibile ricavare una cognizione chiara e completa sia del quadro complessivo e del nucleo essenziale delle circostanze di fatto da cui trae origine la controversia, sia della vicenda processuale e sia della portata precettiva e della ratio decidendi delle sentenze rese dai Giudici di merito, sì che è consentito agevolmente intendere l’origine e l’oggetto della lite, lo svolgimento del processo e la posizione assunta dalle parti nei due gradi del giudizio, nonchè il significato e la portata delle critiche rivolte alle sentenze impugnate.

Le altre asserite violazioni degli artt. 360 e 366 c.p.c., si risolvono essenzialmente e più correttamente nella questione relativa alla fondatezza o meno delle censure mosse dai ricorrenti e non certo all’ammissibilità del ricorso. Va peraltro aggiunto che i ricorrenti hanno richiamato e fatto riferimento ai precedenti scritti difensivi articolati nella fase di merito al solo fine di rafforzare le tesi poste a base delle censure alle sentenze impugnate. Tutte le norme di diritto trovano poi giustificazione negli argomenti sviluppati a sostegno delle critiche esposte nei motivi di ricorso e ciò indipendentemente dalla loro fondatezza. Nessuna norma impedisce inoltre di inserire in uno stesso motivo di ricorso la denuncia di violazione dell’art. 366 c.p.c., nn 3 e 5.

Con il primo motivo di ricorso i germani A. denunciano violazione della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, e artt. 817, 818, 871, 872, 1374, 1418, 1419 e 2058 c.c., nonchè vizi di motivazione.

Deducono i ricorrenti che, come da essi A. sostenuto ed eccepito sin dal giudizio di primo grado, l’area di parcheggio per la quale era possibile emettere pronunzie costitutive era solo quella di mq. 424,53 esistente all’epoca in cui era sorto il condominio. La demolizione parziale di locali di proprietà esclusiva – per recuperare l’area coperta destinata a parcheggio – è quindi illegittima ed in contrasto con il principio più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la tutela recuperatoria non può essere concessa nell’ipotesi – ricorrente appunto nella specie – in cui lo spazio destinato a parcheggio non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato invece impiegato per realizzare manufatti di altra natura (nel caso in esame depositi – magazzini). In tale ipotesi è possibile agire solo per il risarcimento del danno. Ha quindi errato la corte di appello nell’affermare nella sentenza non definitiva che gli attori avevano "diritto ad ottenere la reintegrazione dell’area coperta destinata a parcheggio di mq. 445,79 e, quindi, di una porzione dell’area occupata dai magazzini di mq. 21,26". La sentenza non definitiva deve pertanto essere cassata con conseguente cassazione – per illegittimità derivata – anche della sentenza definitiva nella parte in cui ha condannato A.A. a destinare ad area di parcheggio coperto la superficie prescelta di mq. 21,26.

Il motivo è fondato atteso che la corte di appello – con la sentenza non definitiva – si è posta in netto ed insanabile contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso (sentenze 22/2/2006 n. 3961; 18/4/2003 n. 6329; 27/10/1995 n. 11194).

Nella specie, come sopra riportato nella parte narrativa che precede, risulta accertato in punto di fatto dalla sentenza di primo grado che l’area coperta destinata a parcheggio, che secondo il progetto era di mq. 445,79, era stata invece realizzata per mq. 424,53 in quanto parte di tale area (per mq. 21,26) era stata illecitamente destinata dalla venditrice ad altri usi (magazzini – depositi) prima d’ultimare il fabbricato e di procedere alle alienazioni delle singole porzioni di esso. Ne consegue che agli acquirenti delle singole unità abitative può essere riconosciuto solo il diritto al risarcimento del danno e non anche alla riduzione in pristino per la realizzazione ex novo, dello spazio da destinare a parcheggio non riservato in corso d’edificazione.

Con il secondo motivo di ricorso gli A. denunciano violazione della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies, come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, e art. 2058 c.c., nonchè vizi di motivazione. Ad avviso dei ricorrenti la corte di appello ha errato nell’individuare – con la sentenza definitiva ed alla stregua della c.t.u. – l’area coperta di mq. 21,26 da destinare a parcheggio e nell’escludere l’eccessiva onerosità dell’intervento "ripristinatorio – recuperatorio".

Il motivo deve ritenersi assorbito atteso che le questioni ivi prospettate risultano logicamente superate e travolte dall’accoglimento del primo motivo di ricorso. D’altra parte gli stessi ricorrenti riconoscono che l’accoglimento del primo motivo del ricorso ed il conseguente annullamento della sentenza non definitiva devono comportare la cassazione della sentenza definitiva "nel capo in cui ha dato attuazione al decisum della prima".

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2938 c.c., e artt. 345 e 342 c.p.c., sostenendo che la corte di appello ha errato nel ritenere inammissibile l’eccezione di prescrizione delle domande di risarcimento danni proposte dagli acquirenti degli appartamenti in questione. Infatti nella giurisprudenza di legittimità più volte è stato affermato il principio secondo cui, in riferimento ad un procedimento pendente alla data del 30/4/1995, l’eccezione di prescrizione può essere dedotta per la prima volta in appello fino al momento della precisazione delle conclusioni.

Il motivo è manifestamente infondato posto che il prevalente indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, che merita piena adesione, è nel senso – dopo alcune incertezze ormai da ritenersi superate – che l’appellante, a differenza dell’appellato che non sia a sua volta appellante incidentale, deve prospettare tutte le censure. ivi comprese quelle che attengono a mere eccezioni, con l’atto di appello e nulla può aggiungere in prosieguo in quanto il diritto di impugnazione si consuma con il detto atto che fissa i limiti della devoluzione della controversia in sede di gravame in conseguenza dell’operatività della regola della specificità dei motivi. L’art. 345 c.p.c., anche nel testo previgente che consentiva alle parti di proporre nuove eccezioni in appello deve infatti essere interpretato in collegamento con l’art. 342 c.p.c., che pone la regola della specificità dei motivi di gravame, i quali svolgono la funzione di delimitare l’estensione del riesame e di indicarne le ragioni: pertanto l’eccezione tesa alla riforma della sentenza impugnata, risolvendosi nella esplicazione del diritto di impugnazione, può essere proposta solo nell’atto di appello e non anche nell’ulteriore corso del giudizio di gravame (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 17/7/2007 n. 15883; 10/4/2003 n. 5673; 27/6/2002 n. 9378; 12/9/2000 n. 12024; 16/11/1999 n. 12669; 18/3/1999 n. 244).

In definitiva il terzo motivo di ricorso va rigettato e va invece accolto il primo motivo (per le ragioni sopra esposte) con assorbimento delle altre censure sviluppate in detto motivo nonchè del secondo motivo.

Le sentenze impugnate vanno pertanto annullate nella parte in cui viene dichiarato il diritto degli attori – appellati ad usare quale parcheggio un’area coperta di mq. 21,26 occupata da magazzini (capo "2" del dispositivo della sentenza non definitiva) e nella parte in cui A.A. viene condannata a destinare ad area di parcheggio coperto la "superficie prescelta" di mq. 21,26 come indicata nella planimetria allegata alla relazione del c.t.u. (capo "a" del dispositivo della sentenza definitiva). Da ciò deriva che deve essere rideterminato l’ammontare del risarcimento del danno da riconoscere ai resistenti dovendosi a tal fine tener conto anche del mancato uso a parcheggio della detta area di mq. 21,26.

La causa va quindi rimessa per un nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Salerno – in diversa composizione – che si atterrà ai principi di diritto sopra esposti provvedendo altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il terzo, assorbito il secondo, cassa le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Salerno in diversa composizione.

Redazione