2.7 La garanzia per la solvenza del debitore ceduto.

Redazione 04/10/01
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Capitolo secondo – seconda parte

Prima Parte

 

Una rilevante innovazione introdotta dall’art. 4 della legge n. 52/1991 è l’inversione del principio espresso nell’art. 1267 del c.c. e quindi la previsione della garanzia del cedente per la solvenza del debitore ceduto, come un’effetto naturale della cessione .[1]

In definitiva, la norma ha accolto un uso comune nelle condizioni negoziali, anche se la garanzia deve ritenersi estesa solamente al corrispettivo pattuito ed è più limitata, rispetto al valore nominale dei crediti ceduti.[2]

Nella prassi contrattuale perciò, l’assunzione di garanzia può essere limitata solo ad una parte del credito ceduto, siccome il fornitore potrà chiedere al factor, di assumere il rischio dell’eventuale insolvenza del debitore ceduto.

Il cessionario, a sua volta comunicherà con un modulo debitamente sottoscritto, l’approvazione o meno, il relativo importo e la data di decorrenza dell’intera operazione (Art. 6/1, Istituto Bancario S.Paolo).

A parte le possibili clausole negoziali di diverso contenuto, la garanzia non deve estendersi alla responsabilità del cedente e agli accessori previsti dall’art. 1267 c.c.

Infatti nel testo di legge, manca il riferimento alle “spese, agli interessi e ai danni” e la nuova disciplina descrive un rapporto contrattuale “verso corrispettivo pattuito”, nel quale le suddette poste passive, non sono considerate una conseguenza necessaria.[3]

Le stesse Condizioni contrattuali in uso, non prevedono a carico del cedente obbligazioni ulteriori, rispetto a quella di restituzione delle somme già ricevute, nell’ambito del corrispettivo stabilito per la cessione (Art. 14/a, Centrofactoring Spa).

Gli autori che si sono occupati di tale aspetto, non considerano ammissibile un’aggravamento convenzionale della garanzia legale del cedente e giudicano senza effetto, ogni patto diretto ad aggravare la sua responsabilità, applicando appunto la disciplina codicistica (art. 1267,1° comma c.c.). [4]

Il cedente potrebbe essere liberato dalla garanzia, in applicazione di un principio generale, cioè della regola contenuta nell’art. 1267,2° comma c.c., per la quale, alla negligenza del cessionario, che impedisce la realizzazione del credito, per insolvenza del debitore, consegue la liberazione dell’alienante.

Tuttavia, gli schemi negoziali escludono concordemente l’applicabilità al factor di tale disposizione (per tutti, Art. 9, ABF Factoring Spa, “…Il factor è in ogni caso esonerato dal disposto di cui al II comma dell’art. 1267 c.c…”).

La garanzia di cui all’art. 1267 del codice civile, copre il cessionario dal rischio dell’inadempimento, mentre quella stabilita dall’art. 4 è riferita anche al rischio dell’inefficacia del pagamento del debitore, obbligando il cedente a garantire la non revocabilità del pagamento.[5]

A conferma di questa osservazione, l’art. 6,2° comma della l. 52/1991, impedisce all’alienante del credito d’agire in rivalsa verso il cessionario e di richiedere i pagamenti revocati, a meno che il factor non abbia rinunciato alla garanzia per la solvenza.[6]

Le eventuali difficoltà di prova relative ad una cessione pro soluto sono eliminate attraverso l’utilizzo della forma scritta, poichè se il cliente sostenesse che la rinuncia solamente verbale della garanzia, fosse intervenuta prima o durante la stipulazione del contratto, gli sarebbe impedita la prova ex art. 2722 c.c.

Mentre se il patto fosse successivo rispetto alla convenzione, la prova per testimoni sarebbe consentita con alcune difficoltà nel caso di specie, in base all’art. 2723 c.c.[7]

Dal momento che con l’acquisto “pro soluto”, il factor assume solo il rischio dell’insolvenza del debitore e non quello dell’inadempimento dipendente da altre cause, gli schemi contrattuali prevedono specifiche ipotesi che determinano la cessazione dell’assunzione di garanzia, da parte dell’imprenditore cessionario a favore del cedente.

Le cosiddette cause di decadenza, affiancano la revoca per volontà del factor ed in fondo sono condizioni risolutive, del particolare patto in base al quale l’impresa cessionaria rinuncia alla rivalsa sul cedente, obbligandosi ad agire verso il debitore.[8]

Mentre la decadenza è legata a fatti specifici e puntualmente circostanziati nei formulari, l’eventuale revoca è concepita come esercitabile in qualsiasi momento, sempre che il fornitore non abbia ancora eseguito la prestazione verso il ceduto.

In entrambi i casi, l’approvazione si considera come non concessa fin dall’inizio, facendo venir meno con efficacia retroattiva, la garanzia di pagamento assunta dal factor.

Un’ipotesi di revoca dell’approvazione del credito è determinata dalla contestazione del debitore circa l’esatto adempimento del cedente e si collega ad un suo mancato pagamento dipendente da fondate eccezioni (Art. 7.1, Add. pro soluto, Ifitalia Spa).

Alcuni dubbi nascono però, dove si consideri l’effetto di questa condizione nello svolgimento pratico del rapporto, dal momento che sono frequenti i casi di coloro che essendo in difficoltà economica, ritardano il pagamento, sollevando eccezioni ingiustificate sull’esattezza della prestazione del creditore (Art. 7.2, Add. pro soluto, Ifitalia Spa).

Tuttavia anche di fronte a questo tipo di contestazioni infondate, il factor sembrerebbe potersi sottrarre al rischio di insolvenza, visto che spesso la clausola non fa riferimento alla fondatezza dell’eccezione.

In particolare, la deroga generalmente prevista dell’onere di attivarsi per proporre le azioni contro il debitore, trasforma la revoca della garanzia in una risoluzione dell’acquisto del credito, con la contemporanea cessazione anche del servizio gestionale attinente all’assunzione delle liti giudiziarie.[9]

Questo carattere condizionale dell’assunzione del rischio, consente di applicare le norme che impongono doveri di correttezza in pendenza della condizione, ma anche il principio della buona fede nei comportamenti reciproci, in costanza del rapporto obbligatorio.[10]

In sostanza, il factor potrà invocare la condizione risolutiva, solo a patto che l’abbandono delle pretese verso del debitore non sia un ingiustificata sottrazione di un rischio già accettato, ma sia effettivamente una scelta attuata dopo un attento esame dell’eccezione.

La valutazione dovrà dimostrare che il mancato pagamento, non dipende da un’insolvenza nascosta sotto altre forme, ma invece da un motivo estraneo al rischio assunto.

Le stesse motivazioni spingono a considerare come cause di sospensione dell’approvazione del credito, sia le situazioni per le quali il debitore eccepisca compensazioni con crediti verso il fornitore e sia la dichiarazione del debitore di voler intarprendere un’azione contro il fornitore (Art.7/2, Ifitalia Spa, Add. pro soluto).

A proposito di quest’ultima ipotesi, la sua interpretazione dovrebbe essere piuttosto restrittiva, se non si vuole arrivare alla conseguenza che il factor si sottrae al rischio assunto, quando il debitore dichiara di voler agire giudizialmente verso il fornitore, per rapporti estranei a quelli costitutivi il credito ceduto.

La condizione risolutiva potrà attivarsi solo se l’azione del debitore riguardi il credito ceduto o le circostanze opponibili al cessionario e se venga accertato che il mancato pagamento dipende da un evento diverso da una semplice impossibilità a pagare del debitore, solo momentaneamente nascosta dalla minaccia di agire contro il creditore.

In tutti questi casi, il fornitore dovrà raggiungere un accordo amichevole con il debitore ceduto, entro sessanta giorni dalla data in cui sia venuto a conoscenza delle previste eccezioni.

In mancanza, le Condizioni generali di contratto prevedono la retrocessione del credito al cliente, perchè provveda a tutelare giudizialmente le proprie ragioni e la restituzione al factor degli anticipi corrisposti, maggiorati degli interessi convenzionali decorsi, fino al momento della restituzione.

2.8 Le relazioni negoziali generiche tra factor e fornitore.

Il dovere di collaborazione tra le parti del rapporto, dovrebbe rappresentare un elemento d’interpretazione delle norme che regolano il factoring, ma le Condizioni contrattuali approntate dalle più importanti imprese del settore, concedono maggiore rilevanza alla definizione dei doveri del fornitore.

Il factor è genericamente obbligato ad agire, tenendo in considerazione l’interesse del fornitore a mantenere buoni rapporti con i propri acquirenti, soprattutto con riguardo al potere d’eseguire in qualsiasi momento, gli opportuni controlli sull’azienda e sulle strutture contabili del fornitore (art. 17, Factorcoop Spa) .[11]

Con la previsione di queste facoltà, i factors tendono a cautelarsi da un lato nell’acquisto dei crediti, dal momento che dall’esame della contabilità del fornitore, essi possono rendersi conto dello stato dei rapporti con la clientela e della puntualità di questa nei pagamenti.

Inoltre dalle scritture contabili, emergono elementi attinenti la solvibilità dei soggetti interessati, nonchè dati rivelatori del rispetto del patto di cessione globale.

Alcuni autori giuridici, hanno ravvisato in questo potere di ispezione, un’espressione del controllo del factor sui propri clienti, nel senso indicato dall’art. 2359,2° comma c.c., perchè esso si risolverebbe in un’influenza dominante in base ai vincoli contrattuali imposti.[12]

Un’indiscriminata rinuncia del cedente alla propria riservatezza commerciale può essere contraria ai principi di ordine pubblico economico, ma le attuali previsioni contrattuali sono meno gravose che in passato e non evidenziano ingerenze ingiustificate, rispetto al significato del contratto.

Il fornitore potrebbe giustamente sottrarsi alle indagini che compromettono la propria attività economica, ad esempio nel caso di un’impresa cessionaria, che pretenda di esaminare la documentazione relativa al trasferimento di un brevetto industriale, la quale non abbia almeno un diretto collegamento con le cessioni del credito.[13]

In relazione alla diversa tipologia di servizi assicurata dal factor al cliente, la modulistica adottata dalla ABF Factoring Spa, ad esempio, mostra sia la presenza di spese fisse annue, dovute per l’istruttoria della pratica del fornitore, sia l’esistenza di costi amministrativi annui, collegati ad ogni nominativo proposto nell’ambito di una cessione “pro soluto” o “pro solvendo”.

Inoltre gli stessi accordi integrativi dei contratti di factoring, distinguono la commissione per le operazioni con rivalsa, in una percentuale “una tantum” da corrispondersi in occasione di ogni cessione e in un’altra frazione percentuale, sempre del valore del credito ceduto e non interamente pagato alla scadenza, da versare al momento della consegna del documento rappresentativo del credito.

Tali pattuizioni complementari che intercorrono tra le parti hanno anche lo scopo di definire l’entità delle spese poste a carico del fornitore, per ogni documento rappresentativo dei crediti ceduti, per le spese di tenuta conto da addebitare ad ogni chiusura, per l’incasso effetti e ricevute bancarie su carta.

Le parti contrattuali sono solite precisare l’entità del carico IVA e dell’imposta di bollo a spese del fornitore, dove applicabile e gli eventuali costi di cessione a mezzo Ufficiale giudiziario.

I prospetti esaminati, dedicano ampio spazio all’elencazione degli interessi da applicare sui corrispettivi anticipati, puntualizzandone la capitalizzazione mensile e definendo l’entità degli eventuali interessi di mora, nella misura di tre punti sopra il tasso precedentemente pattuito.

Altra funzione di questi accordi è quella di stabilire le valute calcolabili, sui versamenti intercorrenti tra le parti, relativi alle anticipazioni da effettuarsi a mezzo assegno o bonifico, sulla base di un numero di giorni lavorativi antecedenti ad esempio, la data d’emissione dell’assegno.

Tali valute infatti, sono poi definite per ogni sistema di pagamento a favore del factor, poichè esso può essere eseguito a mezzo assegno circolare, bancario su o fuori piazza, o tramite bonifico.

L’impresa di factoring, registra le somme di propria competenza nella partita “dare” e nella categoria “avere” gli importi dovuti al proprio cliente-fornitore.

In particolare, vengono registrate tra le poste attive per il factor, le somme riguardanti gli anticipi corrisposti, i relativi interessi e le somme che rappresentano il corrispettivo dei servizi prestati, che si calcolano in misura percentuale sull’importo del credito.

In genere, i crediti vengono acquistati al valore nominale e l’iscrizione del valore avviene in tempi diversi, a seconda del tipo di cessione messa in atto.[14]

Nella cessione realizzata “pro solvendo”, la registrazione viene effettuata al momento del pagamento e nei limiti dell’importo effettivamente ricevuto, mentre per quella senza rivalsa, il factor annota l’importo, quando riceve il pagamento e se questo avviene, oppure entro un termine dalla scadenza che può variare tra i 150 e 210 giorni.

Il conto corrente e i sottoconti in cui può articolarsi, sono soggetti ad una chiusura con periodicità anche mensile, a cui segue l’invio dell’estratto conto al fornitore (art. 15, Ifitalia Spa) e le relative risultanze, si intendono approvate in mancanza di contestazioni, decorso il previsto termine di 60 giorni dalla spedizione.

Le scritture contabili del factor, i cui movimenti non siano contestati, si considerano come facenti piena prova nei confronti del fornitore e in caso di errori di calcolo, di scritturazione o di omissioni, il cliente dovrà chiederne la rettifica al factor a pena di decadenza, entro sei mesi dal ricevimento delle scritture da cui siano comprovati.

In tendenza, i formulari prevedono un sistema di compensazione volontaria, tra il saldo del conto corrente e le somme eventualmente dovute dal fornitore al factor, anche quando tali crediti non siano liquidi ed esigibili e pure se si tratti di crediti verso il fornitore, che il factor abbia accettato in cessione da terzi (art. 17, Centrofactoring Spa).

2.10 L’estinzione del factoring.

In genere, i formulari esaminati prevedono tre gruppi di cause di cessazione del rapporto di factoring, il quale a differenza dello strumento della cessione del credito, si qualifica nettamente come un rapporto di durata.

Un primo gruppo di tali disposizioni è costituito dalle clausole risolutive espresse, che elencano una serie di ipotesi d’inadempimento, automaticamente produttive di risoluzione e rappresentano situazioni in cui sia il factor che il fornitore, potranno risolvere il rapporto in base all’art. 1453 c.c. [15]

L’impresa cessionaria dei crediti, avrà titolo alla risoluzione, anche in riferimento all’art. 1456 c.c., tramite lettera raccomandata ed in seguito alla mancata esecuzione degli obblighi conseguenti alla garanzia dell’esistenza del credito o in assenza dei dovuti pagamenti delle somme spettanti al factor.

Ma anche la violazione da parte del fornitore, degli obblighi previsti nelle sezioni relative ai suoi doveri di informazione e di collaborazione e di quelli connessi con l’anticipo del corrispettivo, comportano la conseguente risoluzione del rapporto (art. 19, Ifitalia Spa).

Di solito però, anche altre norme danno al factor la possibilità di una risoluzione: ad esempio, nel caso in cui il fornitore divenga insolvente, fallisca, venga comunque sottoposto alle procedure concorsuali, compresa l’Amministrazione controllata (art. 20, ABF Factoring Spa).

Invece diverse disposizioni riguardano la durata del contratto, che in tutti i formulari considerati viene fissata a tempo indeterminato con facoltà di recesso “ad nutum”, attribuita ad entrambe le parti e da comunicarsi in forma scritta, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, telegramma o telefax all’altra parte, senza obbligo di motivazione o di preavviso (art. 18, Banca Monte dei Paschi).

In questo tipo di accordo, la facoltà di recesso rappresenta una normale applicazione del principio della recedibilità dei contratti a tempo indeterminato.

Di conseguenza, non sembra criticabile il fatto che alcune clausole, sottraggano alle parti l’onere del preavviso, da esercitarsi entro un congruo termine, poichè la regola è indirizzata ad entrambi i contraenti in una posizione di eguaglianza.[16]

Sebbene l’onere del preavviso, sia riprodotto nella disciplina di vari contratti tipici (artt. 1725, 1833 c.c.), sembra sicura la sua disponibilità convenzionale, perchè il suo scopo è quello di tutelare gli interessi d’esclusiva pertinenza delle parti.

Tuttavia è agevole comprendere come la clausola sia piuttosto sfavorevole al fornitore, poichè questi potrebbe trovarsi a dover improvvisamente fronteggiare un’aspetto organizzativo della propria attività d’impresa, che prima aveva delegato ad altri, con la necessità di una veloce riorganizzazione del servizio.

La considerazione della norma sul preavviso, nell’ambito della disciplina del mandato e anche la convenienza del fornitore, fanno ritenere giusto che tutti quei contratti che non escludono il preavviso, ma che nemmeno lo prevedono, debbano essere valutati in collegamento con i principi generalmente accolti e quindi a favore della sua implicita necessità.

Non si è riscontrata la prevalenza di rapporti contrattuali di durata annuale, con tacito rinnovo in mancanza di recesso, da comunicarsi tre mesi prima della scadenza, se si esclude la previsione dell’art 13, del formulario dell’Istituto Bancario S. Paolo di Torino.[17]

Le società di gestione dei crediti, stabiliscono la risoluzione del contratto, quando contro il fornitore vengano levati protesti o si propongano azioni cautelari esecutive.

Tuttavia lo stesso risultato è collegato alla presentazione a carico del fornitore di istanze d’ammissione ad una procedura concorsuale, comprese anche l’amministrazione controllata e quella straordinaria.

In altri casi il factor si vale della risoluzione, se l’impresa cliente sia posta in stato di liquidazione, in caso d’inadempienza oppure in costanza di un ampio genere di situazioni in cui si manifesta la garanzia, che comprendono l’esclusiva titolarità, la liquidità, l’esigibilità alla scadenza, l’incontestabilità e l’inesistenza di eccezioni del debitore ceduto sulla validità del credito (Art. 11/1, Istituto Bancario S.Paolo).

In tutti queste ipotesi indicate, il fornitore dovrà restituire le eventuali anticipazioni ricevute, compresi gli interessi maturati e le spese, entro un termine prescritto dalla successiva richiesta scritta, dopo di che decorso tale termine, il factor agirà nei confronti del fornitore, di eventuali garanti dello stesso, dei terzi aventi causa e se possibile del debitore ceduto.

In tema di scioglimento i formulari applicano il principio generale per cui lo scioglimento dei contratti di durata, lascia sopravvivere le prestazioni già effettuate dalle parti.

Più precisamente, lo scioglimento del negozio non pregiudica la validità e l’efficacia delle cessioni già perfezionate o da perfezionare, in correlazione con le disposizioni che prevedono l’assunzione della garanzia per il pagamento da parte del factor.

Di conseguenza, in questi casi, continueranno ad applicarsi le norme delle Condizioni generali di contratto e di ogni altro accordo che le integri o le modifichi, poichè avranno efficacia le obbligazioni e le garanzie assunte rispettivamente dal fornitore e dai terzi eventualmente intervenuti (art. 20, Ifitalia Spa).

Si accomuna alle previsioni appena citate, anche l’art. 20, delle condizioni contrattuali della Banca Monte dei Paschi, dove viene stabilito che entro 15 giorni dal verificarsi dell’evento risolutivo o dalla ricezione della dichiarazione di recesso, le parti provvederanno alla liquidazione del rapporto.

2.11 La trasparenza delle clausole contrattuali.

La legge 17 febbraio 1992 n. 154, perseguiva lo scopo di garantire alla clientela una chiara e corretta informazione, rendendola consapevole dei costi relativi all’acquisto dei servizi finanziari.

Infatti la normativa sulla “trasparenza bancaria”, si riferiva ai principi stabiliti dal Consiglio delle Comunità europee, nella Direttiva n. 87/102 del 22 novembre 1986, in tema di omogeneità delle norme degli Stati membri sul credito al consumo ed è stata recepita nel nostro ordinamento, con gli artt. 18 e ss. della l. 19 luglio 1992, n.142.[18]

Le disposizioni in parola riguardano la pubblicità degli enti creditizi e degli altri intermediari professionali nei rapporti con la clientela (art. 2), ma anche prescrizioni sulla forma dei contratti (art. 3) ed gli obblighi di comunicazione periodica da adempiere verso i consumatori.

La disciplina è stata poi sostanzialmente riprodotta nel titolo VI del t.u. del credito, che pur non valutando nel merito le condizioni economiche praticate, richiede il rispetto di prescrizioni dal contenuto sia formale che sostanziale.

Le società di factoring, anche in conformità dell’art. 2,7° comma del decreto del Ministero del tesoro del 24 aprile 1992, devono esporre e mettere a disposizione i fogli informativi che spiegano analiticamente le operazioni finanziarie e i relativi costi ed affiggere alle pareti, gli avvisi sintetici relativi alle condizioni praticate, secondo schemi elaborati dalla Banca d’Italia.[19]

Questa pubblicità deve aver identico contenuto su tutto il territorio nazionale e risultare aggiornata con prontezza, circa le modifiche disposte ai tassi, ai prezzi e alle condizioni praticate.

In particolare i tassi d’interesse, debbono essere indicati al valore nominale e su base annua, con l’ulteriore avvertimento della periodicità di capitalizzazione.

Lo schema preparato dalla Banca d’Italia, intende distinguere gli oneri e le spese riguardanti l’intervento finanziario del factor, dalle spese pertinenti la gestione ordinaria dell’operazione.

Infatti la normativa di base può essere distinta in tre parti: una riguardante le anticipazioni e i finanziamenti, che riporta la misura del tasso applicabile, degli interessi di mora e di quelli di massimo scoperto.

Un’altra sezione è dedicata alle voci riferite alle spese di istruttoria, di tenuta di conto, di valutazione dei debitori, di riscossione effetti ed altri documenti e alle valute applicabili agli incassi e agli accrediti e infine l’ultima parte dello schema, prende in considerazione le spese di invio delle comunicazioni.

Per ciò che riguarda la forma e il contenuto dei contratti, l’art. 117 del T.U. del credito pone l’importante principio, per cui le prestazioni economiche a carico del cliente, sono solo quelle determinate o determinabili nel testo contrattuale.

I contratti devono avere la forma scritta (art. 117,1° comma e anche art. 4 del d.m. tesoro 24 aprile 1992) e in mancanza sono considerati nulli (art.117,3°comma) e inoltre richiedono l’indicazione degli interessi e di ogni altro prezzo e condizione praticata (art.117,4° comma ).

Infine, la variazione delle condizioni economiche nel senso sfavorevole al cliente, deve essere contenuta in un’apposita clausola contrattuale sottoscritta specificamente, mentre si considerano nulle le clausole di rinvio agli usi per la determinazione di prezzi, interessi e condizioni, meno agevoli rispetto a quelli esplicitamente pubblicizzati.

L’art. 118 del t.u. dispone poi, che se nei contratti di durata, è convenuta la facoltà di modificare unilateralmente le varie condizioni, le variazioni sfavorevoli debbono essere comunicate al cliente, nei modi e tempi previsti dai provvedimenti del Comitato Interministeriale Credito e Risparmio.

Il factoring costituisce una relazione di durata tra il cessionario e l’impresa cedente e i formulari contrattuali riconoscono alle due parti un potere di recesso “ad nutum” (Art. 19 Centrofactoring Spa, art. 18 Banca Monte dei Paschi), ma la disciplina dei rapporti reciproci mette al sicuro l’efficacia delle cessioni già concluse, al momento in cui diventa operante l’atto di recesso.

In aggiunta a questa fattispecie di carattere generale, si è affermata un’ulteriore ipotesi in favore del fornitore e cioè il recesso che questi potrà esercitare, entro 15 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, con la quale viene informato delle modificazioni dei vari aspetti contrattuali (art. 17,2° comma, Ifitalia Spa).

2.12 La natura giuridica della convenzione.

Secondo un’orientamento sostenuto da molti autori, il factoring è un contratto di scambio[20], dove alle cessioni di credito va riconosciuta una causa di vendita e all’eventuale anticipazione va attribuita la natura di pagamento parziale del corrispettivo, perchè gli interessi corrisposti sulle somme erogate dal cessionario, al pari della commissione, sono una componente negativa del prezzo.[21]

Questa qualificazione si basa anche sulla struttura dei modelli contrattuali approntati dalle imprese, in cui il factor dichiara di acquistare i crediti dell’impresa cliente, obbligandosi al pagamento del corrispettivo pattuito, pari al valore nominale del credito.

Nella convenzione sono anche disciplinati in via programmatica i tratti essenziali di altre prestazioni ulteriori del factor, come l’assunzione del rischio di solvenza del debitore ceduto e la frequente corresponsione di anticipazioni a valere sul prezzo di acquisto.

Nella determinazione della disciplina applicabile al negozio, il De Nova ha sostenuto la necessità di far riferimento ai contratti di scambio, tenendo però presente che il factoring, pur avendo tale struttura, può sicuramente svolgere una funzione di finanziamento.[22]

La causa complessa del factoring è stata individuata dal Porro nella sua adattabilità a realizzare un contenuto di scambio, nelle forme della vendita vera e propria oppure nell’attuazione di altre funzioni, come quella creditizia o quella della prestazione di un servizio.[23]

Anche secondo il Santangelo, la definizione del factoring coincide con quella di un contratto innominato a funzione complessa, che deriva dall’unificazione diretta al medesimo scopo, di varie cause tipiche in esso ricorrenti e quindi la formula negoziale assomma in se, un’insieme di prestazioni di servizi, tra i quali il finanziamento, la gestione del credito e la garanzia per la solvenza del debitore ceduto.

Ma la figura differisce dall’assicurazione, in quanto nel caso in cui il factoring avvenga senza rivalsa, l’assicuratore si impegna a corrispondere l’indennità al momento in cui si verifica l’insolvenza, mentre il factor paga in anticipo e poi di norma l’assicuratore copre il rischio solo in parte, laddove l’impresa cessionaria garantisce per l’intero.[24]

Diversamente dall’opinione appena ricordata, la Corte d’Appello di Milano, in un passo di una sentenza interpretata come uno dei motivi fondanti la pronuncia, ha affermato che “ il contratto di factoring ha natura aleatoria perchè per i crediti approvati, il cessionario ha l’obbligo di accreditare il corrispettivo anche nel caso d’insolvenza del debitore ceduto.[25]

Tuttavia in un vero e proprio contratto aleatorio, l’alea renderebbe incerti dall’inizio, i margini di guadagno e di danno di entrambe le parti, così da diventare sostanzialmente bilaterale.[26]

Invece il credito oggetto della cessione, ha un valore determinato o determinabile, che deve essere valutato dal factor, anche in considerazione della solvibilità del debitore.

Quindi nel factoring, sarebbe rilevabile solo una generica alea in senso economico, che rappresenta la misura normale di un rischio ragionevolmente prevedibile di qualsiasi negozio bilaterale e che non può essere accomunata, con quella che impedisce la risoluzione e la rescissione in base agli artt. 1448 e 1467 c.c.

Inoltre il factor, non sempre assume il rischio per l’insolvenza del debitore e anche quando decide di farlo, il contenuto della modulistica ne evidenzia i limiti precisi: la decadenza dalla garanzia avviene sia per causa di forza maggiore, sia quando il mancato pagamento del debitore, dipende da eccezioni che il ceduto basa sul contratto intercorso con il cedente ( per tutti, Art. 7.2 lett e), Istituto Bancario S.Paolo ).

In uno studio dedicato al contratto di sconto, il Panzarini ha osservato come le società di factoring sono solite invadere il campo delle imprese bancarie e come i trasferimenti di crediti avvengono in funzione di garanzia, se contestuali ad un finanziamento e se successivi, si realizzano a scopo tipicamente solutorio.[27]

Anche se il factoring non è qualificabile all’interno di uno schema unitario, secondo quest’autore, il meccanismo della vendita è lo strumento principale per ottenere la mobilizzazione dei crediti d’impresa e l’anticipazione concessa dal factor, non avviene a titolo di sconto e neanche come pagamento versato “pro quota”.

In particolare, dovrebbe escludersi il contratto di sconto, perchè lo scarto tra la somma anticipata, che in genere costituisce circa l’80% del credito ceduto e il suo valore nominale, considerato come costo dell’operazione, verrebbe a rappresentare un tasso fortemente usurario, ma anche perchè gli interessi dovuti al factor sulle somme anticipate, non sono prededotti, come nel contratto previsto dall’art. 1588 c.c., ma sono calcolati e pagati successivamente.

In base a queste considerazioni, il modo adatto per spiegare il decorso degli interessi sugli anticipi, sarebbe quello di ammettere che il fornitore riceve questi importi con l’obbligo di restituirli e di conseguenza, al contratto di vendita di crediti deve considerarsi collegato funzionalmente un contratto di mutuo.

Il termine per al restituzione del “tantundem” è fissato per il cliente al momento della scadenza del credito, mentre il debito che si crea per la restituzione è regolato mediante compensazione dei reciproci debiti delle parti contrattuali.

A questa ricostruzione sembra aderire il Tribunale di Napoli nella Sentenza 4 luglio 1986, riguardante la controversia SMAC Spa c. Barclays Factoring Spa, in Fallimento (1987), in cui i giudici hanno ravvisato il sinallagma contrattuale nella prestazione reciproca di un mutuo e di una cessione che sorgono contestualmente, in maniera tale da non risultare consentita l’impugnativa separata, della cessione rispetto a quella del mutuo.

Invece tra coloro che non ritengono corretto seguire la valutazione del contratto in termini di vendita dei crediti, alcuni ne hanno messo in evidenza la variabilità della causa tenendo conto delle diverse forme possibili di attuazione del rapporto, mentre altri hanno qualificato il factoring come un’accordo avente causa unica.[28]

Nell’ambito del primo orientamento, il Carnevali ha evidenziato la natura di durata della convenzione, come contratto atipico di liquidità da un lato e di garanzia dall’altro, giudicando la cessione del credito come un’effetto solamente strumentale dell’accordo.[29]

Precisamenente, l’impresa cedente utilizza a questo scopo la cessione di credito e contemporaneamente garantisce al cedente, una disponibilità economica attuale attraverso gli anticipi concessi dal factor, realizzando una specie di mandato all’incasso con piena titolarità, se non vi siano anticipi e al contempo un’anticipato regresso, per l’ipotesi in cui il factor garantisca la solvenza del debitore ceduto.

Sempre il Carnevali ha interpretato innovativamente alcuni aspetti del rapporto, ad esempio definendo la facoltà dell’imprenditore cessionario di acquistare o meno tali crediti, come una condizione potestativa, con la quale il factor si tutela nel caso in cui il fornitore voglia occultarli.

L’Autore descrive il contratto come una cessione globale condizionata di crediti presenti e futuri, ma critica l’idea che nel contratto di factoring si metta in atto unicamente un trasferimento di crediti a scopo di garanzia, poichè il negozio non vieta al factor di disporre del credito ricevuto in cessione, cedendolo a terzi o scontandolo per rifinanziarsi.

Inoltre il factor, nel caso di adempimento del debitore ceduto, si soddisfa direttamente sull’oggetto della garanzia e tutto ciò sembra contrario alla struttura e alla funzione di tale istituto, nel nostro ordinamento, poichè il creditore che ha ricevuto in garanzia un credito verso terzi, non può liberamente disporne (art. 2792 c.c.) e neanche rivalersi direttamente su di esso ( art. 2803 e 2804 c.c).

Ulteriormente nella reale configurazione del rapporto, il pagamento da parte del debitore ceduto costituisce il normale mezzo di soddisfacimento del cessionario e la rivalsa verso il cedente, alla quale il factor può rinunciare, viene considerata eventuale ed eccezionale.

L’atteggiamento dei rapporti reciproci tra factor e cliente-cedente non delinea una prestazione in luogo dell’adempimento dell’obbligo di restituire le somme anticipate.

Nel factoring, l’impresa di gestione dei crediti decide sia sul “se”, che sul “quanto” del finanziamento, che rimane pur sempre una prestazione eventuale, a differenza che nella “datio in solutum”.

Per il Carnevali, il factoring senza rivalsa non è un contratto aleatorio, come non lo è allo stesso modo la fideiussione, dal momento che il factor non garantisce ogni rischio riguardante il credito, ma si trova nella medesima posizione di un fideiussore o del mandatario con il patto dello star del credere, siccome essi per non pagare, possono opporre tutte le eccezioni esperibili dal debitore ex art. 1945 c.c.

La caratterizzazione mutevole della causa del factoring venne sostenuta anche dallo Zuddas, il quale definì il rapporto come operazione creditizia o assicurativa, poichè la sua causa si specifica proprio nelle singole cessioni dei crediti.

Queste cessioni dovrebbero essere intese come negozi attuativi di trasferimento, messi in atto in adempimento di un “pactum de contrahendo” stipulato in precedenza.[30]

L’Autore individua nel contratto un carattere di definitività, dato dal fatto che le successive cessioni non ne costituiscono il superamento, ma la specificazione e anche perchè la convenzione non è soggetta ad essere sostituita con altra situazione giuridica finale.

Quindi nel factoring, va individuata una funzione non unica ma “articolata”, perchè si compone di una varietà di atteggiamenti funzionali che si specificano in ogni singola cessione, come negozi traslativi “solvendi causa”, ossia negozi di attribuzione di un’operazione giuridica già impostata.

Per essere valide, queste prestazioni richiedono un riferimento causale esplicito, hanno bisogno cioè di adempiere ad un precedente rapporto obbligatorio.

Questo è quanto accade nel factoring, dove il trasferimento del diritto ha causa esterna e viene attuato in esecuzione di in patto precedente, contenuto nel negozio iniziale.

Il rapporto si configura perciò come un fenomeno di pluralità negoziale e non è un contratto preliminare, poichè mentre quest’ultimo anticipa un futuro assetto d’interessi, che si concretizza poi in un contratto definitivo avente causa propria, il patto che è obbligo a contrarre, esprime un regolamento d’interessi definitivo, ma contenuto in parte indeterminato.

Altri Autori giuridici, hanno individuato nel factoring un contratto avente causa unica, nel cui ambito assume un particolare rilievo l’anticipazione creditizia a favore del cliente.

Perciò la causa del contratto, intesa come elemento di unità delle parti essenziali del negozio, consiste secondo il Clarizia, in un finanziamento operato con l’acquisto “pro soluto” dei crediti e con la concessione di anticipazioni da parte dei cessionari.[31]

In seguito, l’Autore ha avuto modo di rettificare la sua opinione, prendendo atto che le cessioni che costituiscono il momento attuativo della convenzione, sono prevalentemente realizzate con rivalsa verso il cedente.

Contro tale definizione di causa di finanziamento, si è obiettato che le anticipazioni rappresentano solamente l’estinzione dell’obbligo di pagare il prezzo della cessione e che quindi la funzione di finanziamento, non può essere realizzata attraverso la dazione anticipata, di una somma che è già in altro modo dovuta.

Inoltre l’applicazione analogica delle norme sul mutuo e sugli altri contratti di credito alla convenzione, sarebbe impedita dalla mancanza nel factoring di un’elemento qualificante di tali contratti, come l’obbligo di restituire il “tantundem”[32].

Invece una sentenza del Tribunale di Firenze del 16 luglio 1984, riguardante la controversia Raccuglia Grazia c. Centro Factroring S.p.a., ha accolto la tesi del Clarizia e ha criticato allo stesso tempo, che il factoring sia un “contratto normativo unilaterale da cui discendono negozi giuridici particolari”.[33]

Sicchè seguendo tale orientamento, dovrebbe ipotizzarsi l’uso delle norme relative la disciplina legale dei contratti di credito, per risolvere i problemi della convenzione di factoring, mentre nei riguardi delle singole prestazioni esecutive, sarebbero utilizzate le norme proprie dei tipi già legislativamente disciplinati in quanto compatibili.

Invece la Cassandro Sulpasso, pur qualificando la cessione di crediti in termini di vendita strumentale, ha ravvisato nel factoring un contratto di collaborazione alla gestione delle imprese.[34]

Il tratto significativo dell’intera operazione è stato individuato, nello stretto rapporto tra il factor e il cliente che ne utilizza i servizi, poichè gran parte dell’attività prestata dal cessionario, come la gestione contabile, amministrativa e contenziosa, le ricerche di mercato e l’orientamento vendite, è ugualmente necessaria al funzionamento e all’espansione della stessa società di factoring.

Per l’Autrice, rappresentare il trasferimento globale di una massa di crediti, come un preliminare di cessione, ha determinato la frammentazione del negozio in una serie di distinte manifestazioni di volontà delle parti, tendenti rispettivamente a cedere e ad acquistare i singoli crediti, nei diversi momenti in cui vengono ad esistenza.

Infatti una sentenza connessa ad un’aspetto fondamentale dell’operazione, affermava che la comunicazione della cessione per essere valida ed efficace, doveva realizzarsi in modo formale e che il debitore avrebbe dovuto ricevere notizia qualificata del relativo trasferimento.[35]

Inoltre il conflitto tra più cessionari dello stesso credito, si risolveva rispetto al debitore ceduto, con la prevalenza della cessione a lui notificata o di quella accettata per prima con atto avente data certa, ancorchè posteriore (1265 c.c.).

Invece la strutturazione del contratto, nei termini di cessione in massa di crediti futuri comporta una semplificazione rispetto a tali questioni, poichè per l’opponibilità del trasferimento nei confronti dei debitori ceduti, basterebbe la comunicazione del cedente della stipulazione dell’accordo di factoring e delle conseguenze che da esso derivano.

Da quel momento il ceduto non potrebbe più affermare l’ignoranza della cessione di un singolo credito, proprio perchè gli è stato notificato l’accordo globale, magari in forma di presa nota e accettazione della cessione in massa, con il vantaggio dell’inopponibilità della compensazione, in base all’art. 1248,1° comma c.c.

Del resto il factor sarebbe tutelato rispetto a qualsiasi successivo avente causa del cedente, poichè la cessione globale è opponibile ai terzi con riguardo delle prescrizioni riferite non più alle singole cessioni, ma bensì alla convenzione di factoring.

La stessa valutazione può farsi nel caso del fallimento, allo scopo di rendere opponibili l’acquisto del factor di tutti i crediti sorti prima della sentenza dichiarativa.

In tal caso, la tutela del cessionario sarebbe possibile non solo verso i crediti già sorti, ma anche nei confronti di quelli per i quali è già stato stipulato ma non ancora eseguito il contratto di fornitura, poiché per essi il factor potrebbe aver anticipato parte del corrispettivo pattuito.

Infatti in questa ipotesi il curatore avrebbe la scelta tra l’esecuzione o meno del contratto di fornitura (art. 72,4° comma l. fall.), ma se decidesse per l’esecuzione del contratto il relativo credito spetterebbe al factor.

Nella prospettiva di un unico accordo di cessione globale di crediti futuri, la convenzione di factoring rappresenta il solo atto di disposizione dei crediti effettuato dal fornitore-cedente.

Perciò per coloro che sostengono tale impostazione, non sarà possibile procedere all’esercizio delle azioni revocatorie nei confronti di ogni singola cessione.

L’orientamento appena descritto ricomprende in se diverse opinioni riguardanti la modalità, diretta per alcuni e mediata per altri, con cui si realizza l’effetto traslativo dei crediti quando essi vengono ad esistenza.[36]

Sempre nell’ambito di questa ricostruzione, la posizione del factor è definita da taluno come una posizione di attesa, per cui nel periodo intercorrente la stipulazione del contratto di cessione ed il sorgere del credito futuro, la situazione giuridica dell’acquirente è quella di un’aspettativa giuridicamente tutelata, di cui l’ordinamento favorisce la conservazione e l’attitudine a trasformarsi in un diritto soggettivo.[37]

La maggior parte degli giuristi che si sono occupati del contratto di factoring, ne hanno messo in evidenza l’estrema flessibilità e la natura di contratto atipico di durata.

L’impostazione appena illustrata trova ancora oggi, dopo la legge n. 52/1991, un limite nella posizione assunta dalla giurisprudenza, poichè per ciò che concerne il momento traslativo, la Cassazione ha affermato che il contratto di cessione di un credito futuro ha efficacia solamente obbligatoria ed il suo trasferimento avviene unicamente nel momento in cui esso viene ad esistenza.[38]

In tema di ammissibilità della cessione di crediti futuri, l’art. 3 della legge 21 febbraio 1991, n. 52, non si applica a tutte quelle cessioni nelle quali non si rinvengano i presupposti richiesti dalla nuova disciplina.

In questi casi, i giudici tendono ad affermare che: “al momento della conclusione del negozio debba sussistere già il rapporto giuridico di base, dal quale possano trarre origine i crediti futuri, perchè questi siano determinati o determinabili”.[39]

Anche il Frignani, in uno dei suoi molteplici contributi sull’argomento, ha avuto modo di precisare che pur realizzandosi attraverso una cessione di credito, il factoring ha un più ampio contenuto giuridico ed economico ed i suoi caratteri principali come la durata, l’onerosità i diritti e gli obblighi reciproci tra le parti, incidono nel loro rispettivo comportamento anche con obbligazioni di fare o prestare.[40]

In particolare, il contratto base sarebbe un negozio normativo bilaterale e individuale, poichè le parti convengono di applicare le norme lì stabilite nei loro futuri rapporti reciproci.

Inoltre considerando la differenza con il contratto collettivo che pure merita la qualifica di normativo, su questa struttura si innesterebbe un contratto preliminare, a patto che le parti si obblighino a stipulare i contratti dei quali hanno concordato il contenuto.

Tale ricostruzione in termini di contratto preliminare unilaterale è criticabile sulla base di certe osservazioni giurisprudenziali, per cui al momento della stipula della convenzione, le parti non sono a conoscenza di molti aspetti essenziali del rapporto.

Questo potrebbe far propendere per la nullità di un simile contratto, per indeterminatezza dell’oggetto, poichè per non incorrere nella sanzione di cui all’art. 1418,2° comma c.c., il preliminare deve contenere gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo.[41]

Inoltre le espressioni utilizzate dai contraenti non sembrano confermare completamente questa ricostruzione, siccome le Condizioni generali regolano il rapporto come un contratto di durata, approntando una disciplina puntuale ed esauriente da lasciare in secondo piano, le singole successive cessioni di credito, che sono ridotte ad una fase solamente esecutiva.

Infine la natura di contratto preliminare è stata contestata anche da chi ha osservato che nel factoring, quelli che costituirebbero altrettanti contratti definitivi, non hanno una loro funzione economica tipica, adatta a restare costante anche senza un collegamento con un’altro negozio, ma le singole cessioni di credito ricevono una loro funzione, proprio in collegamento con la convenzione di base.

Un’opinione contraria all’atipicità del contratto di factoring è stata proposta dal Nuzzo, il quale ha completato la sua opinione, sostenendo che la cessione dei crediti nell’ambito dell’accordo di factoring avvenga a causa di mandato.[42]

Da questo punto di vista, l’imprenditore cessionario è tenuto quale mandatario senza rappresentanza, a realizzare la gestione dei crediti trasferiti, in nome proprio e nell’interesse del cedente.

Infatti il trasferimento del diritto di credito non sarebbe incompatibile con il tipo legale del mandato predisposto dal legislatore, perchè le parti hanno sicuramente la possibilità di disporre dei diritti con effetto reale, allo scopo di rendere possibile l’attività di cooperazione gestoria pattuita, mettendo in atto la cessione, definita come una “prestazione traslativa isolata”, che trova il proprio presupposto causale nella convenzione di factoring.

Per quanto riguarda poi le attività di finanziamento e di garanzia effettuate discrezionalmente dal cessionario, esse vanno considerate come l’espressione di negozi funzionalmente collegati al mandato generale senza rappresentanza, per la gestione di una massa di crediti del cedente.

Precisamente si avrebbe un’apertura di credito, nel caso che il factor si determinasse a concedere l’anticipo e una fideiussione nel caso in cui l’acquisto del credito avvenga senza rivalsa.[43]

Per l’Autore tali contratti conservano una loro autonomia causale e questo impedisce di considerare il factoring così come attuato in Italia, come un contratto a causa unitaria, mentre sembra più rispondente al vero individuarvi un fenomeno di collegamento negoziale.

Dovrà pertanto ritenersi effetto di questo collegamento, la dipendenza che le successive pattuizioni hanno rispetto all’accordo di mandato, poichè se questo cade, gli accordi posteriori lo seguono (un collegamento negoziale di tipo unilaterale: Cass., 9 aprile 1983, n. 2520 in Foro it., 1983, I, 1900)[44].

La convenzione base contenuta nei modelli negoziali contiene inoltre l’enunciazione a livello precontrattuale, della disponibilità del factor a trattare la conclusione di ulteriori affari, come la corresponsione di anticipazioni, la prestazione di garanzie e altri servizi.

Siccome le successive stipulazioni, sono prese sulla scorta della reciproca fiducia e sulla base della collaborazione che si instaura tra le parti in ragione di un rapporto di clientela, nel rapporto di factoring si intravede una similitudine con quanto avviene nel conto corrente di corrispondenza, tenuto nell’ambito di un’attività bancaria.

Il volume dei crediti assunti in gestione ricorda, nei confronti del factor, quanto è rappresentato dalla disponibilità che si crea presso una banca, anche perchè in base all’entità della somma, l’impresa di gestione valuterà se provvedere alle anticipazioni sui crediti da incassare oppure se concedere una sorta di “credito di firma”, con l’assunzione della garanzia per il pagamento.

La conseguenza della qualificazione della convenzione di factoring nello schema tipico del mandato, comporta l’applicazione in via integrativa delle relative disposizioni, tra le quali ad esempio, quella che prevede l’obbligo di diligenza del mandatario (art. 1710 c.c.), l’impossibilità per il mandatario di eccedere i limiti fissati nel compimento dell’attività di gestione (art. 1711 c.c), l’obbligo del mandatario di far riscuotere gli interessi sulle somme riscosse a causa del mandato e non ancora consegnate (art.1714 c.c.).

Inoltre saranno applicabili ad integrazione della disciplina pattizia, lo strumento di autotutela privata costituito dalla prededuzione del mandatario ex art. 1721 c.c., ma anche l’art. 78 della legge fallimentare che dispone, nel caso di fallimento dell’imprenditore cedente, lo scioglimento del contratto e comporta la retrocessione a favore della massa, dei crediti trasferiti e non ancora incassati e delle somme riscosse e non ancora girate.

Queste disposizioni riguardano però il rapporto interno tra il cedente e il factor, perchè è il trasferimento reale dei crediti che costituisce l’impresa di gestione come titolare esclusiva nei confronti dei terzi e del debitore ceduto, nel rispetto degli artt. 1264 e 1265 e degli artt. 5-7 della legge n. 52/1991, tenuto conto però dell’effettiva configurazione del contratto.

2.13 Conclusioni.

I tratti salienti dell’operazione, com’è definita dalla modulistica presa in considerazione e rinnovata rispetto alla precedente, dopo l’entrata in vigore della legge n. 52/1991, sono a parte qualche modifica di taglio prevalentemente formale e terminologico, gli stessi che erano espressi negli schemi contrattuali elaborati prima della riforma.

Infatti il factoring rimane un rapporto che si fonda sulla cessione dei crediti, ma che poi nella realtà si compone di una serie di contenuti che spesso tolgono al trasferimento del credito, il ruolo centrale che molti autori gli attribuiscono.

Il legislatore non sembra delineare la fattispecie del factoring, conferendogli una tipicità legislativa con tecnica simile a quella seguita ad esempio, per la commissione e spedizione rispetto al mandato.

La maggioranza degli autori concorda sul fatto che il contratto rimane sostanzialmente innominato, da un lato per via del giudizio generale sulla varietà delle funzioni che si presta a svolgere nella pratica e dall’altro, perchè la nozione di tipicità sembra riguardare piuttosto il contenuto del contratto, che le sue tecniche di attuazione.

L’effetto giuridico più appariscente del factoring è costituito dal trasferimento di una globalità di crediti, nell’ambito di un rapporto professionale e continuativo tra due imprenditori.

La traslazione della titolarità di un complesso di crediti, dal cliente-fornitore al factor, dietro pagamento di una provvigione per i servizi resi, permette all’imprenditore specializzato di mettere in atto una gestione amministrativa e contabile dei diritti, svolta in nome proprio e per conto del cedente, compiendo in definitiva, un’attività articolata e funzionale alle specifiche esigenze della controparte.

La considerazione dei poteri di controllo contabile esercitati sul cedente e della riscossione dei crediti effettuata dal factor, con la previsione di un rendiconto periodico tra le parti e con l’obbligo di restituzione delle somme incassate, una volta operate le debite deduzioni, rafforza la convinzione di un rapporto più ampio di una semplice vendita di crediti (per tali aspetti: Art. 4, 8, 16, 18, Banca Monte dei Paschi).

Da questo punto di vista, la sottoscrizione delle Condizioni generali di contratto, indica un regolamento d’interessi dichiarato dalle parti corrispondente al tipo legale della vendita, dove sono presenti i noti elementi costitutivi rappresentati dal diritto, dal prezzo e dal trasferimento di proprietà.

Anche l’eventuale esecuzione di erogazioni finanziarie o l’assunzione di garanzia per la solvenza, solitamente è ricondotta dalla disciplina convenzionale, alla realizzazione di un programma di scambio del diritto di credito contro prezzo.

Le dichiarazioni dei contraenti però, non concludono la ricerca con la quale si assegna rilevanza alle regole concordate, perchè raccolti gli elementi costitutivi dell’accordo e delle finalità pratiche perseguite, bisogna qualificare il negozio attraverso il confronto, tra lo scopo individuato nel dispositivo e quello effettivamente perseguito.

Infatti dal punto di vista funzionale, la convenzione di factoring evidenzia il contrasto tra le affermazioni proprie dell’impresa cessionaria e del suo cliente-cedente e le effettive finalità pratiche realizzate dal contratto.

Alcuni autori hanno affermato che il legislatore italiano ha ritenuto di poter meglio tutelare le società finanziarie, configurando il trasferimento del credito come una vendita, perchè in altri ordinamenti questa struttura permette di escludere l’applicazione di una serie di onerose disposizioni, come quelle sul trasferimento di denaro e quelle sugli adempimenti pubblicitari previsti dalla cessione (in tal senso la legge n. 52/1991).

Se tuttavia il factor venisse considerato solo un’acquirente, non si potrebbe spiegare perchè per esercitare le prerogative del proprietario e quindi per riscuotere, contabilizzare, recuperare i crediti, si faccia poi pagare un’apposita commissione.[45]

Nella pratica poi, rimane difficile contestare la validità di clausole contrattuali che contengono la previsione del prezzo, poichè le parti ad esclusione della sua determinabilità, hanno un’ampio potere di stabilirne i termini e i modi di corresponsione.

Però i criteri usati per la definizione del corrispettivo, devono risultare compatibili almeno con la funzione contrattuale che si afferma di voler realizzare.

Perciò, sembra poco credibile il ruolo economico di una vendita di crediti, il cui corrispettivo pagato è pari al valore nominale dei diritti ceduti e che non tiene in alcun conto la solvibilità dei relativi debitori, la cui diversa valutazione invece, dovrebbe incidere sul valore del bene trasferito.[46]

Il fatto che il cessionario si obblighi a pagare a fronte della cessione, un’importo pari al valore nominale del credito ceduto, indica un rapporto privo di funzione economica, oppure rappresenta un qualifica di comodo del fenomeno contrattuale, in cui l’anticipo si giustifica quando la prestazione del factor non è il pagamento, ma la gestione in cambio delle commissioni a carico del cliente.

Inoltre, la comune clausola contrattuale che stabilisce l’accredito del corrispettivo al momento dell’effettivo l’incasso, a parte il caso di cessioni “pro soluto” o a meno che non sia stato pattuito diversamente, considera eccezionale una circostanza che invece dovrebbe giudicarsi normale e cioè il pagamento del corrispettivo al momento dello scambio.

Ma le anticipazioni concesse dal factor al cliente, sono state assimilate ad una forma di anticipo in conto prezzo, richiamando in tal modo la disciplina di cui all’art. 1185,2° comma c.c., che permette al debitore di adempiere prima del termine.

In realtà, si tratta di finanziamenti concessi al fornitore cedente, perchè la circostanza che la somma erogata frutti un’interesse al cessionario, significa che essa fa ancora parte del suo patrimonio e che l’utile ricavato, rappresenta il compenso pagato dal cedente al factor, per l’utilizzazione di un bene che deve essere restituito al cessionario.

Questo rafforza l’opinione che il pagamento dell’anticipo, non sia una prestazione che si contrappone alla cessione, ma piuttosto sia un’elemento collegato nell’ambito di un rapporto di portata più vasta.

La compravendita del credito può sicuramente svolgere una funzione finanziaria, ma tale soluzione passa attraverso il riconoscimento di un reddito dell’acquirente, da individuarsi in uno scarto tra l’entità del credito ceduto e il prezzo corrisposto, elemento che non trova una conferma invece nelle caratteristiche formali dichiarate del rapporto.

Questa ricostruzione è confermata dalla constatazione che gli interessi corrispettivi, vengono calcolati dalla data dell’erogazione finanziaria e che spesso i versamenti anticipati, sono riferiti alla data di scadenza dei crediti ceduti, smentendo in tal modo che si tratti di un pagamento del debito del prezzo, come avverrebbe invece, se ci si rapportasse alla data di scadenza del debito del factor verso il cedente.

Le ragioni appena esposte fanno pensare che il rapporto di factoring, sia costituito da una convenzione-base che si perfeziona mediante la sottoscrizione di una serie di condizioni generali di contratto e che questa sia completata da una serie di negozi successivi di puro trasferimento, che trovano la loro causa in una preesistente relazione giuridica.

In certi casi qualcuno di questi accordi è diretto ad attuare la cessione dei crediti e si ricollega con immediatezza alla stipula della ricordata convenzione, mentre altri negozi si presentano come strutturalmente autonomi.

Infatti, la convenzione li prevede in via solamente programmatica, poichè essi sono diretti ad ottenere la prestazione di alcuni dei servizi tipici del factor come le anticipazioni, la gestione del credito e la collaborazione commerciale (in tal senso, Art 1 Add. pro solvendo, di tutti i nuovi schemi negoziali).

Dunque, il fine costante della cessione attuata nel factoring è quello di trasferire al cessionario la titolarità dei crediti, affinchè l’imprenditore specializzato possa esercitare in nome proprio e per conto del cliente, la loro gestione contabile e amministrativa.[47]

La compatibilità del rapporto, con le caratteristiche dello schema del mandato è stata posta in discussione anche con riferimento alla facoltà del cessionario di scegliere quali crediti accettare, dichiarandoli fattorizzabili e quali invece rifiutare, poichè in tal caso sarebbe il factor e non il mandante, a determinare l’oggetto stesso del contratto.[48]

Tuttavia le critiche portate nei confronti della descritta ricostruzione dei rapporti costituiti tra le parti non sembrano cogliere nel segno.

La concreta prassi contrattuale, di collegare l’acquisto di una globalità di crediti verso un solo debitore al “plafond”, cioè ad un massimale prestabilito e concordato tra le parti, ma anche la dichiarazione di procedere alla cessioni in massa nei confronti di ogni debitore specificamente accettato anticipo, non lascia una totale discrezionalità di scelta al factor e sicuramente non permette di affermare, che il cliente non abbia un sufficiente spazio negoziale, per indirizzare le prestazioni del factor verso il proprio campo di interesse.

Da altro punto di vista, non vanno seriamente considerate limitative della libertà di determinare l’oggetto contrattuale, da parte del fornitore-cedente, le clausole negoziali che escludono dal rapporto determinati categorie di crediti come quelli derivanti da contratti condizionati o rappresentati unicamente da fatture provvisorie o “pro forma” (Art. 2/1, Istituto Bancario S. Paolo).

Inoltre si è messo in evidenza che quando il factor approva il credito ceduto e la cessione è quindi “pro soluto”, per il cedente diventa assolutamente indifferente che il ceduto adempia oppure si rifiuti di pagare.

In questo caso, il rapporto non potrebbe neanche delinearsi come un mandato “in rem propriam”, in quanto l’unico interesse giuridico apprezzabile, sarebbe quello proprio del factor e la posizione del cedente non verrebbe ad essere minimamente influenzata, dall’esito dell’azione del mandatario.[49]

Anche questa considerazione sembra smentita nelle cessioni attuate “pro soluto”, dove la mancata riscossione è di sicuro interesse per il fornitore, perchè determina un’assenza protratta di liquidità.

Infatti il pagamento del corrispettivo, avviene non prima dei 210 giorni dalla scadenza o dopo che sia comunque trascorso il periodo di ritardo medio, desunto dai precedenti pagamenti del debitore (Art. 15, Banca Monte dei Paschi).

Per di più, non sembra essere irrilevante il fatto che sulle somme erogate, decorrono gli interessi convenzionali dal momento effettivo della corresponsione, a quello del pagamento o in mancanza, a quello contrattualmente stabilito (Art. 6, Factorcoop).

In definitiva, se l’effetto giuridico della cessione permette di raggiungere dei risultati economici di gestione, finanziamento e traslazione dei rischi, la considerazione degli aspetti funzionali effettivamente costanti nel rapporto di factoring, giustifica l’idea che il credito non sia attribuito al factor a causa di vendita, ma piuttosto per realizzare un programma di cooperazione gestoria caratteristico della causa del mandato.

Considerando che la qualificazione giuridica del rapporto, che è alla base di una domanda giudiziale è una prerogativa del giudice, si potrà estendere legittimamente la disciplina del tipo legale del mandato per quanto compatibile, a quelle relazioni contrattuali delle quali si possa escludere, la causa di vendita e la presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla legge n. 52/1991.

[1] CASSANDRO SULPASSO, Italo Calvino, Hermann Melville e la legge n. 52/1991, in Giur. comm, 1994, I , p. 402. “Un’altra disposizione, contenuta in entrambi i provvedimenti legislativi è quella che stabilisce la responsabilità del cedente verso il cessionario, in caso di insolvenza del debitore. La formulazione delle due norme (art 4. l. n. 52/1991 e art. 1-1- l. 81-1) è leggermente diversa, perchè il testo francese indica il cedente come garante “solidaire” del pagamento, riecheggiando la terminologia cambiaria, mentre quello italiano fa più semplicemente riferimento, alla garanzia per la bonitas del credito: entrambe le disposizioni sono però derogabili nell’accordo contrattuale. La disposizione italiana tiene conto della prassi delle società che esercitano il factoring, che nel nostro Paese prevede una cessione del credito “pro solvendo” e raramente “pro soluto”, discostandosi così da uno dei connotati tipici dell’operazione. Anche qui però, la norma sottolinea in definitiva la natura finanziaria dell’operazione, indipendentemente da quello che poteva essere l’obiettivo dei redattori della legge, che col costante riferimento a termini come acquisto, corrispettivo, sembrano configurare la fattispecie come semplice vendita di crediti”.

[2] PERLINGERI, La cessione dei crediti in Commento al codice civile a cura di Scialoja e Branca, 1982, p. 12 ss.

[3] RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa. in Riv. dir. civ., 1991, II, p. 718. “Mentre vi è una sostanziale corrispondenza tra i limiti del corrispettivo pattuito, previsti nell’art. 4 e i limiti di quanto il cedente ha ricevuto, la differenza consiste in questo: l’art. 4 non aggiunge altro e invece il codice afferma che il cedente, assumendo la garanzia, deve corrispondere gli interessi, rimborsare le spese di cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato, per escutere il debitore e risarcire il danno. Di conseguenza questa estensione della garanzia non si applicherà al regime speciale dettato dalla legge n. 52/1991, vista la lettera della norma, volta a disciplinare rapporti negoziali con controparti professionali, in cui l’incidenza delle spese non può considerarsi una conseguenza necessaria della garanzia”.

[4] RIVOLTA, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa. in Riv. dir. civ., 1991, II, p. 720. L’autore è favorevole all’aggravamento convenzionale della garanzia della solvenza, tra le parti del rapporto, non potendo trovare invece applicazione la previsione dell’art. 1267,1° comma c.c.

[5] PERLINGERI, La cessione dei crediti in Commento al codice civile a cura di Scialoja e Branca, 1982, p. 12 ss. La garanzia per l’esistenza del credito, comprende anche i casi di mancata legittimazione, nullità del credito, assenza di eccezioni che impediscano totalmente o parzialmente l’esercizio del diritto e quindi dovrebbe anche considerarsi un’elemento costante della cessione, prevista dalla legge speciale, che intende proporre una disciplina integrativa alle norme del codice civile, regolando una cessione traslativa dietro pagamento di un prezzo. La legge speciale invece, non prevede che il cedente debba garantire anche l’esistenza del credito, come fa il codice con l’art. 1266, sia per l’ipotesi di cessione onerosa che per quella gratuita.

[6] Art. 6, Legge 21 febbraio 1991, n. 52, in G.U. n. 47, del 25 gennaio 1991: “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario, non è soggetto alla revocatoria prevista dall’art. 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione concordata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente, qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato d’insolvenza del debitore ceduto e alla data del pagamento al cessionario. 2. E’ fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario, che abbia rinunciato alla garanzia di cui all’art. 4”.

[7] Art. 2723 c.c. “Patti posteriori alla formazione di un documento. Qualora si alleghi, che dopo la formazione di un documento è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, l’autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo per la qualità delle parti, per la natura del contratto e ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte modificazioni verbali”.

[8] Art. 7/2 Istituto Bancario S.Paolo, “ a) modifica del contratto di fornitura senza l’assenso scritto del factor; b) modifica delle modalità e dei tempi di pagamento rispetto a quelle indicate; c) contestazioni da parte del debitore ceduto sull’esistenza del credito ceduto o sul suo ammontare ed eccezioni sull’esatto adempimento del contratto; d) inosservanza di uno degli obblighi previsti dalla convenzione di factoring; e) mancato pagamento del debitore ceduto, già verificatosi e previsto per fatti certi, imputabile a comportamento del fornitore; f) mancato pagamento del debitore ceduto, per cause di forza maggiore; g) inserimento nel contratto di fornitura di clausole che non consentano al fornitore stesso di agire in recupero dei crediti verso il proprio cliente; h) elevazione protesti, proposizione di azioni cautelari ed esecutive, presentazione di istanze di ammissione di procedure concorsuali, ivi compresa l’amministrazione controllata e straordinaria o delibera di messa in liquidazione del debitore ceduto, purchè tali eventi si siano verificati prima o contestualmente rispetto alla data di fornitura”.

[9] Art. 9, Centrofactoring Spa: “…Ad avvenuta restituzione dei corrispettivi anticipati e di quant’altro dovuto, il credito verrà ritrasferito al fornitore, salvo che questi richieda al factor di esperire a proprie spese le azioni necessarie per il recupero del credito…”.

[10]BIANCA, Diritto Civile: Il contratto, Giuffrè 1992, p. 525. “In pendenza della condizione, l’obbligato e l’alienante sotto condizione sospensiva e l’acquirente sotto condizione risolutiva, devono comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni della controparte (1358 c.c.). Il richiamo ribadisce al tempo stesso, il limite dell’impegno del contraente, in quanto il comportamento secondo buona fede è rapportato al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte contrattuale”. In merito alla rilevanza della buona fede, si veda: Cass., 10 aprile 1986, n. 2500, in Mass. Giust civ., 1986, p. 692. “..anche la mera inerzia cosciente e volontaria, che sia di ostacolo al soddisfacimento del diritto della controparte, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale, avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, contrasta con i doveri di correttezza e di buona fede e può configurare inadempimento”.

[11] ALESSI, BALOSSINI, DE NOVA, LOI, SILENZI, Commento agli usi di factoring, Milano 1985 , p. 43.

[12] LIBONATI, Factoring, in Riv. dir. comm, 1981, I, p. 317. Per il Libonati, il contratto non va qualificato sulla base delle varianti secondarie, ma in relazione allo schema costante e minimale riscontrato nell’amministrazione e nel recupero contenzioso dei crediti commerciali a breve di un imprenditore, con le possibili varianti del finanziamento mediante anticipi dell’impresa cliente e con l’assunzione del rischio dell’insolvenza del debitore ceduto.

Si tratta cioè di un contratto atipico d’impresa, in cui un’imprenditore si impegna a prestare una serie di servizi a favore di altro soggetto economico, articolando e svolgendo una fase dell’attività a cui il cliente sarebbe altrimenti costretto in proprio.

La convenzione dovrebbe essere strutturata, come una cessione in massa di crediti futuri, anche in base ad esigenze di tutela del cliente, poichè in questo modo il comportamento del factor che sceglie i crediti che gli sono offerti, si svolge appunto già in fase di esecuzione del contratto.

Ulteriormente, se si ammette che la convenzione di factoring presenta i caratteri di un contratto di organizzazione di un settore dell’attività imprenditoriale del cliente, non si può disconoscerne la sua valenza di negozio definitivo, perchè rispetto ad esso è naturale sia che i singoli atti in cui il rapporto si concreta, debbano ancora sorgere, sia che essi abbiano nature negoziali diverse, nel quadro stabilito dal contratto base.

Ne consegue che in genere il factor, può valutare tutto il meglio dei crediti vantati da un gran numero di clienti e frazionare il rischio di ogni singola operazione nell’ambito di un volume di crediti molto ampio, tale da potersi accollare il rischio dell’insolvenza del debitore ceduto.

Nel factoring, il cessionario è solito richiedere l’esclusiva della gestione del portafoglio dei crediti commerciali a breve e nonostante l’innegabile vocazione finanziaria del rapporto, che si manifesta in una formula indirizzata al finanziamento del fornitore, la convenzione è sostanzialmente neutra nei confronti delle possibili soluzioni di credito che si andranno ad instaurare, in quanto i finanziamenti potranno assumere forme diverse, tra le quali il mutuo e lo sconto dei crediti.

Se non si restringe il fenomeno dell’influenza dominante, ai soli casi di collegamento societario per partecipazione di controllo o per comunanza di amministratori tra due società, ma si ammette che essa possa derivare da situazioni di fatto, come l’influenza decisionale, allora nel caso in questione, se ne può individuare un tratto significativo nel finanziamento del cliente e nella scelta dei crediti approvati da parte del factor.

[13] ZUDDAS, Il contratto di factoring, Napoli 1983, p. 229. “In pratica, l’obbligo di informazione gravante genericamente sui titolari di situazioni debitorie, assume nel factoring una connotazione specifica, in virtù delle clausole che lo prevedono e costituisce una garanzia sui generis per il cessionario, rafforzato da tutti i poteri di controllo che egli può svolgere sulla gestione contabile amministrativa del cliente. La clausola consente al factor, di esercitare qualunque verifica o controllo (disapplicata di fatto dalla prassi italiana), ma ha suscitato in dottrina una serie di discussioni. Infatti una cosa è vedere e disporre dei documenti che si riferiscono ai crediti ceduti, altra cosa è verificare tutti i documenti contabili del cliente, dato che ciò porterebbe il factor a conoscenza di notizie di cui potrebbe profittare”.

[14] Cass., 26 luglio 1989, n. 3507, ha deciso la fattispecie in esame, nel senso che l’accreditamento di una somma si perfeziona al momento dell’annotazione sul conto, argomentando in tal modo dall’art. 1852 c.c., a norma del quale il correntista può in qualsiasi momento disporre delle somme risultanti a suo credito dal conto e la banca non è libera di effettuare le registrazioni senza limiti di tempo, ma che anzi a ciò deve provvedere con la massima rapidità consentita dagli strumenti tecnici.

[15] CLARIZIA, I contratti di finanziamento: leasing e factoring, UTET, Torino 1989, p. 206. “Per quel che riguarda la risoluzione del contratto in esame, nei formulari è comune la possibilità di chiedere la risoluzione giudiziale per inadempimento ai sensi dell’art. 1456 c.c. Costante è anche la previsione della clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 c.c. e questo potrà determinare in certi casi, la risoluzione di diritto del contratto, con la comunicazione alla controparte la volontà di valersi della suddetta clausola. Le situazioni in cui essa può essere invocata, comprendono sia situazioni particolari che coinvolgono l’impresa cedente, come pignoramenti, sequestri, procedure concorsuali e tutta una serie di inadempimenti a questa imputabili, relativamente agli obblighi contrattuali posti a suo carico. Non si può parlare di clausola risolutiva espressa, quando essa estende la sua operatività a tutti i possibili casi d’inadempimento imputabili al cliente. In tali casi infatti, si avrebbe un mero richiamo alle norme generali (art. 1453, 1455 c.c.) che regolano la materia della risoluzione per inadempimento e ci si troverebbe di fronte a una mera clausola di stile”.

[16] GALGANO, Diritto privato, Gli effetti del contratto, Cedam 1992, p. 305. “Il codice civile è ispirato da un criterio di sfavore per i rapporti contrattuali che vincolano le parti definitivamente privandole alla propria libertà contrattuale. Talvolta si riconosce ad entrambi i contraenti la possibilità di un recesso puro e semplice, come nella somministrazione o nella società di persone, mentre in altri casi la facoltà è attribuita ad una sola delle parti, come il committente nell’appalto o al lavoratore nel contratto di lavoro”. Anche la considerazione della norma sul preavviso, nell’ambito della disciplina del mandato, nonchè l’esistenza di una convenienza del fornitore fanno ritenere giusto, che tutte quelle clausole che non escludono il preavviso ma che nemmeno lo prevedono, debbano essere valutate in sintonia con i principi generalmente accolti e quindi a favore dell’implicita necessità del preavviso:

Art. 1725,2° comma c.c. : “Se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia stato dato un congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa”.

Art.1833,1° comma c.c.: “Se il contratto è a tempo indeterminato ciascuna delle parti può recedere ad ogni chiusura di conto, dandone preavviso almeno dieci giorni prima”.

[17] “Il presente contratto ha durata di due anni, dalla data di stipulazione dello stesso e si intende rinnovato automaticamente di due anni in due anni, salvo che una delle parti, a mezzo lettera raccomandata, comunichi all’altra la sua volontà di recedere, con preavviso di almeno tre mesi”.

[18]GIORDANO, La trasparenza delle condizioni contrattuali nella nuova legge bancaria , in Riv. delle società, 1993, I, p. 1234 ; CLARIZIA, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e obblighi di informazione, in Riv. italiana leasing, 1992, p. 213.

[19] Decreto del Ministero del tesoro del 24 aprile 1992, sulla Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, in G.U. 11 maggio 1992, n.108.

[20] MOLL, Note per un’inquadramento giuridico-funzionale dei factors e delle loro operazioni mercantili, in Banca, borsa e tit., 1974, I, p. 321. Il finanziamento è il contenuto economico principale del contratto di factoring e per il Moll il negozio realizza un servizio a connotazione creditizia che mobilizza i crediti a breve, trasformando in liquidità le somme che sono bloccate nel conto clienti.

Tale Autore ha ritenuto di qualificare il contratto come un’accordo consensuale, bilaterale, di durata e di adesione e ha incluso il factoring nello schema della cessione per causa di vendita, in quanto questa soluzione, sarebbe interamente idonea a recepire tutti gli elementi essenziali dell’operazione.

Tuttavia è abbastanza diffuso il riconoscimento che la cessione dei crediti, pur costituendo una nota essenziale nel rapporto contrattuale, non ne esaurisce il contenuto, che si presenta più ampio della cessione stessa, dal punto di vista economico ma anche giuridico.

Questa valutazione è già espressa in Trib. Milano, 28 marzo 1977, in Giur. comm., 1978, II, p.436. Diversamente i giudici milanesi, nelle loro precedenti pronunce, avevano considerato il contratto come un’operazione di anticipo a tassi bancari, dell’importo dei crediti vantati delle imprese industriali o commerciali per forniture verso terzi, previa cessione dei crediti medesimi.

[21] DE NOVA, voce Factoring, in Digesto Discipline privatistiche, sez. comm.,V, p. 354. “L’eventuale anticipo costituisce un pagamento parziale appunto anticipato del prezzo e i cosiddetti interessi sono una componente negativa del prezzo, non diversamente dalla commissione”.

[22] DE NOVA, Gli usi di leasing e factoring. Factoring: contratto, attività, concorrenza. in Riv. it. leasing, 1989, fasc. 3, p. 527-538.

[23] FOSSATI-PORRO, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano 1994.

[24] SANTANGELO, Il factoring, in Dir.fall,1975, I, p. 197.

[25] App. Milano, 21 febbraio 1975 – Odorisio Presidente – Meoni Estensore – Ifitalia Spa c. Utensileria Bixia s.a.s. in Giur. comm., 1976, II, p. 387.

“Il factor che affermi di essere cessionario di un credito, derivante da una vendita risolta convenzionalmente, dopo la notifica della cessione al presunto debitore acquirente, deve provare non solo la stipulazione del contratto e la sua successiva risoluzione, ma anche l’anteriorità rispetto alla notifica della cessione. Non commette illecito ex art. 2043 c.c., il presunto debitore ceduto che ometta di contestare tempestivamente l’esistenza del credito, quando riceva notizia della cessione da parte del factor se questi, contrariamente alle condizioni generali di contratto, accredita al cliente il corrispettivo della cessione, prima del pagamento del debitore o prima della conferma dell’esistenza del credito. Il contratto di factoring ha natura aleatoria, perchè per i crediti approvati, il factor ha l’obbligo di accreditare il corrispettivo della cessione anche in caso di insolvenza del debitore ceduto”.

[26] Contro: Cass., 9 Aprile 1980, n. 2286, in Giust. civ., 1980, I, p. 1503 .

[27] PANZARINI, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano 1984.

[28] CAPOTOSTI, Assicurazione del credito e factoring, in Assicurazioni, 1972, p. 521. L’autore pur essendo un sostenitore della variabilità della causa del contratto, afferma che il rapporto di factoring consiste di un’obbligazione particolare, da inquadrare nell’ambito delle disposizioni legali degli articoli 1260 e seguenti del codice civile. Il fenomeno negoziale sarebbe sufficientemente definito, da un elemento generico e costante da ravvisarsi nell’interesse a trasferire il credito e da uno specifico e variabile, da vedersi nell’utilità rappresentata da un’attribuzione patrimoniale onerosa.

Da questo punto di vista, va individuato il momento nel quale il factor diviene titolare del credito cedutogli dal fornitore-cliente, poichè il contratto traslativo di un diritto ha effetti reali ed ad esso si applica il principio enunciato dall’art. 1376 c.c.La giurisprudenza ha ritenuto costantemente che l’acquisto del credito in capo al cessionario, si verifichi per effetto del solo consenso legittimamente manifestato tra le parti, indipendentemente cioè dalla volontà del ceduto e dalla conoscenza che egli abbia dell’avvenuta cessione (Cass., 26 luglio 1966, n. 2702; Cass., 27 giugno 1977, n. 2761).

[29] CARNEVALI, I problemi giuridici del factoring. in Riv. dir civ., 1978, I, p. 299.

[30] ZUDDAS, Il contratto di factoring, Napoli 1983.

[31] CLARIZIA, I contratti di fananziamento: Leasing e factoring, UTET, Torino, 1989. “Anche per il factoring, così come per il leasing, l’operazione va valutata nel suo complesso, considerando i suoi requisiti oggettivi e soggettivi. Sicchè non deve sottovalutarsi la circostanza che il factoring si è diffuso come fattispecie contrattuale, perfezionata da società finanziarie, specializzate nel settore del parabancario, della c.d. intermediazione finanziaria. La gestione dei crediti da parte delle società di factoring, conseguente al trasferimento dei crediti dal cedente al cessionario, non è la causa del contratto, mentre è il finanziamento a costituire l’elemento distintivo dell’istituto rispetto ad altri contratti”.

[32] LABIANCA, Factoring, in Riv. dir. comm., 1979, I, p. 137. “Se le anticipazioni sono effettuate a fronte di crediti ceduti pro soluto, il fornitore non è costituito debitore per la somma ricevuta, nè all’atto dell’erogazione, nè successivamente. Trasferito il credito a null’altro è tenuto il fornitore, sia che il debitore ceduto paghi, sia che invece non paghi. Se le anticipazioni sono effettuate a fronte di cessioni “pro solvendo”, il cedente per intanto nulla deve all’atto della consegna del denaro e se in seguito al mancato pagamento del ceduto, sarà tenuto a ripetere nei confronti del factor, sarà perchè oggetto della sua obbligazione è la garanzia della solvenza e non la restituzione di quanto ricevuto. In altri termini la cessione di credito, non attua una funzione di garanzia, in quanto non esiste una obbligazione di restituzione assunta dal cliente-fornitore. Quindi in tal caso, non c’è operazione creditizia, ma vendita di credito con garanzia della solvenza”.

[33] Trib Firenze, 16 luglio 1984 – Vailati Pres.- D’Amora Est., Raccuglia Grazia c. Centro Factoring Spa. “Sotto l’accennato profilo, il factoring appare definibile in modo soddisfacente come un contratto atipico con causa di finanziamento, che realizzi i suoi effetti mediante il meccanismo della cessione del credito. E’ dunque a tale ultima disciplina che occorre fare riferimento nel caso de quo, che non attiene al factoring come evento complessivamente ed unitariamente valutato, ma da uno dei suoi concreti momenti attuativi”.

[34] CASSANDRO SULPASSO, Italo Calvino, Hermann Melville e la legge n. 52/1991, in Giur.comm, 1994, I , p. 402.

[35] Trib. Milano, 14 marzo 1973, in Giur. it., 1975, I, c. 538.

[36] CASSANDRO SULPASSO, Collaborazione alla gestione e finanziamento dell’impresa, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano 1981, p. 73. Nell’ambito di questo orientamento si distingue chi sostiene la tesi dell’acquisto diretto, secondo cui il factor acquista immediatamente il credito e la tesi dell’acquisto mediato, secondo cui il credito si perfeziona prima in capo al cedente trasferendosi poi automaticamente al cessionario

[37] QUATRARO, Factoring e procedure concorsuali, in Società, 1984, p. 985. L’autore rifiutava la tesi di una cessione di crediti sottoposta a condizione sospensiva, sostenuta viceversa in CARNEVALI, I problemi giuridici del factoring, op. cit, secondo cui l’operatività della cessione sarebbe subordinata al placet del factor, grazie alla sua facoltà di accettare i crediti o meno.

[38]Cass., 17 marzo 1995, n. 3099, Soc Fincral c. Fall.to Tamborra, in Mass. 1995, “La natura consensuale del contratto di cessione del credito, importa che esso si perfezioni per il solo effetto del consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non significa che al perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito, così nel caso in cui oggetto del contratto sia un credito futuro, il trasferimento del credito dal cedente al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui esso viene ad esistenza e prima di allora il contratto pur essendo perfetto, esplica soltanto effetti obbligatori”; Cass., 22 novembre 1993, n. 11516, Quaquarelli c. presidio Multizonale Assistenza Ospedaliera S.Paolo, in Foro It. , 1994, I, 3126, “Posto che nella cessione di credito futuro l’effetto reale, cioè il trasferimento di credito che il negozio è volto a realizzare, si verifica solo quando il diritto sia venuto ad esistenza, tale cessione ancorchè valida è inopponibile da parte del cessionario al fallimento del cedente laddove , al momento della dichiarazione di fallimento, il credito stesso non sia ancora liquido ed esigibile”; Trib. Torino, 21 novembre 1994, Soc. Indesit c. Barclays Financial Service Italia, in Dir Fall. 1995, II, 881. “Il contratto di factoring non è immediatamente traslativo dei crediti di futura negoziazione, la cui traslazione avviene in forza di successive convenzioni; l’opponibilità e la revocabilità di dette cessioni ha luogo in base alla data di ciascuna di esse”.

[39] Cass., 5 giugno 1978, n. 2798, Fall. soc. Saer c. Banca Nazionale delle Comunicazioni, in Giust. civ., 1978, I, p. 1792 ; Ad esempio, in senso contrario, Trib. Milano 16 ottobre 1989, Banque Nationale de Paris s.a. c. Soc. La Rinascente Spa e c. Italo Cremona Spa e c. ComFactor Spa, in Rivista italiana leasing, 1990, p. 182.

[40] FRIGNANI, Prime decisioni dei giudici italiani in tema di factoring. in Foro pad., 1974, II, p. 44. ; Id., Recenti sviluppi del factoring in Italia., in Quaderni di Giur.comm., 1978, p. 195 ; Id., Il factoring: la nuova legge n. 52/1991 e i riferimenti alla convenzione di diritto uniforme, in Giur. it., 1991, IV, p. 481.

[41] Cass., 29 ottobre 1975, n. 3677, in Giust. civ., 1975, 1688.

[42] NUZZO, Il factoring nella dottrina italiana., in Riv. it. leasing, 1985, p. 322. “Personalmente ho sostenuto una tesi simile a quella del Libonati, ma non ne ho peraltro accettato la conclusione che il contratto abbia struttura atipica, con ciò ponendomi in contrasto con la dottrina assolutamente prevalente. Si deve negare all’accordo la natura di vendita di crediti, nonostante le dichiarazioni delle parti e il modello negoziale adottato. La causa dell’accordo stipulato tra il factor e l’impresa cliente deve, a mio avviso, rinvenirsi nello schema del mandato: i crediti vengono trasferiti per consentire al factor la gestione e l’incasso in nome proprio dei crediti dell’impresa cliente”.

[43] Tribunale Genova, 17 luglio 1991- Sciacchiatano Presidente – Viazzi Estensore – Fall.to Nuova Impa s.n.c. c. Trade factoring Spa. “Il contratto di factoring è un contratto di collaborazione tra imprese, avente ad oggetto l’organizzazione e la gestione di un servizio, che si compone in una convenzione base, ascrivibile come causa allo schema del mandato, ed in una pluralità di successivi negozi con essa collegati costituiti, in particolare da cessioni di credito, le quali appaiono come mezzo per effettuare il mandato. La qualificazione del contratto in termini di atipicità, non può consentire di sottrarre il rapporto all’applicazione di eventuali norme imperative, sia speciali sia proprie della disciplina dei contratti tipici, che in esso si combinano”.

[44] LABIANCA, Factoring, in Riv. dir. comm., 1979, I, p.137. Un’altro autore, il Labianca, ravvisa nel factoring un’ipotesi di negozi collegati e nega la sua natura di rapporto aleatorio, sottolineandone invece le caratteristiche di un negozio di scambio, sinallagmatico e obbligatorio, di durata e a titolo oneroso.

Le cessioni non sarebbero atti d’esecuzione della convenzione-base, ma atti strutturalmente autonomi per ciò che attiene l’oggetto che per la funzione, poichè mentre la singola cessione attua il trasferimento di un credito, la convenzione vincola la libertà di contrarre e realizza una predisposizione normativa.

Ponendo in atto la serie dei negozi collegati il fornitore perseguirebbe un’interesse realizzabile solo attraverso la stipula di entrambi e cioè quello di concentrarsi sull’attività produttiva, eseguendone una semplificazione e perseguendone l’economicità.

[45] TUCCI, Factoring, in Contratto e impresa, 1992, p. 1391. “La qualificazione del factoring come attività, in forza della quale il soggetto che la svolge, presta dei servizi a favore dell’impresa cliente, non è nuova nella nostra, come in altre esperienze giuridiche. Oggi semmai, tale qualificazione acquista rilievo ai fini di una corretta distinzione tra il contratto e l’istituto della cessione dei crediti d’impresa, che conosce con la l. n. 52/1991, una disciplina speciale in deroga a quella degli artt. 1260 e ss. del c.c. L’attività di factoring, quale risulta dal contratto, non si identifica mai con la cessione o il pegno di crediti o con lo sconto degli stessi, poichè il ruolo del factor non è assolutamente identificabile con quello del cessionario o dello scontatario”; SANTINI, I servizi, Bologna 1987 ; NITTI, Il contratto di factoring , in Nuova rass., 1986, p. 1045.

[46] NUZZO, Dal contratto all’impresa: il factoring, in Riv. delle società, 1984, I, p. 943. “Codesta pattuizione risulta irrazionale se inserita in un contratto di vendita, considerato altresì che nel caso di specie, si tratta di operazioni di massa condotte da imprese specializzate” ; “Questa conclusione appare confortata, dalle determinazioni prese dalle parti in ordine alle modalità di pagamento del corrispettivo. E’ infatti pattuito che il pagamento debba avvenire dopo l’adempimento del terzo debitore. E’ vero che, perchè si possa considerare concluso il contratto di compravendita è sufficiente la determinazione del suo corrispettivo in denaro, peraltro anche ciò tenuto presente, non può non sollevare dubbi, che il pagamento avvenga dopo che il diritto oggetto della pretesa compravendita si sia in realtà estinto” ; “Alla stessa conclusione si dovrebbe pervenire dinanzi ad una ipotetica convenzione con la quale A alieni a B la propria autovettura, contro il pagamento di un prezzo X, che B otterrà rivendendo il veicolo a C, promesso acquirente, detratta una commissione a favore di B. E’ possibile che si tratti di una doppia vendita, ma non vi è chi non possa dubitare che il negozio sia un mandato ad alienare”.

[47] Su questo particolare aspetto, ha avuto modo di esprimersi il Supremo Collegio in: Cass., 22 settembre 1990, n. 9650, in Giur. it. 1991, I, c. 410. “La cessione di credito e il mandato irrevocabile all’incasso, conferito anche nell’interesse del mandatario, sebbene utilizzate per raggiungere le medesime finalità solutorie o di garanzia, sono figure diverse e tra loro incompatibili, atteso che la prima introduce l’immediato trasferimento della posizione attiva del rapporto obbligatorio ad un’altro soggetto che diviene l’unico legittimato a pretendere la prestazione del debitore ceduto, mentre con il mandato in “rem propriam”, al mandatario viene conferita soltanto la legittimazione alla riscossione del credito, di cui resta titolare il mandante” ; Cass., 9 settembre 1992, n. 10314, società Montefibre c. Ministero del tesoro, in Rass. Avv. Stato, 1993, I, 49. “La cessione di credito e il mandato irrevocabile all’incasso, conferito anche nell’interesse del mandatario, sono figure ontologicamente diverse: la prima produce l’immediato trasferimento della posizione attiva del rapporto obbligatorio ad altro soggetto che si sostituisce all’originario creditore e diviene quindi l’unico legittimato a pretendere la prestazione del debitore ceduto; di contro il mandato in “rem propriam” conferisce al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, del quale resta titolare il mandante e perciò non è idoneo a realizzare gli effetti solutori, propri della cessione di credito; l’art. 1 della l. n. 44/1978 prevede che l’impresa finanziaria conferisca a favore della banca mutuante, un mandato irrevocabile ad incassare i crediti verso le amministrazioni e non già una cessione di detti crediti”.

I termini di paragone delle citate sentenze non sono il contratto di factoring e il mandato generale a gestire e a riscuotere, ma piuttosto in relazione ai loro effetti propri, l’istituto della cessione dei crediti e il mandato irrevocabile all’incasso, conferito nell’interesse del mandatario. Di conseguenza, il contenuto di tali pronunce non sembra contraddire la possibilità che nell’ambito della figura di cui all’art. 1703 e ss. si possa disporre, da parte del mandante, un trasferimento reale di beni per consentire l’esercizio, di un mandato generale a gestire una globalità di crediti, in nome proprio e per conto del mandante.

[48] CARNEVALI, I problemi giuridici del factoring, op. cit, p. 308. “Tali clausole potrebbero dar luogo alla nullità del contratto, per indeterminabilità dell’oggetto: il factoring potrebbe acquistare a suo piacimento tutti i crediti come nessuno e di conseguenza per evitare la minaccia di nullità, si potrebbe considerare la facoltà del factor di accettare solo alcuni dei crediti offertigli, come una specie di discrezionalità tecnica”.

[49] App. Napoli, 11 giugno 1990, SICELP c. SICAM, in Giur. comm., 1992, II, p. 966.

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