Vendita di merce contraffatta: quando è punibile?

Redazione 01/11/17
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Interessante sentenza dalla Corte di Cassazione: la vendita su bancarelle di capi di abbigliamento con marchi contraffatti è reato anche quando la grossolanità dell’imitazione sia chiara ed evidente. Tuttavia, in alcuni casi il reato può non essere punibile se interviene la particolare tenuità del fatto. È quanto deciso dalla quinta sezione penale della Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 48109 del 18 ottobre 2017, che ha parzialmente accolto il ricorso di un cittadino extracomunitario.

 

Reato il commercio di prodotti contraffatti

Il caso giunto all’attenzione della Cassazione era all’apparenza molto semplice, e soprattutto molto comune in numerose città italiane: un venditore ambulante, con tanto di bancarella al lato della strada, era stato colto dalla Polizia mentre esponeva vestiti e altri capi di abbigliamento che presentavano un marchio “stampigliato” diverso da quello originale, e ovviamente a un prezzo molto minore. Si trattava, insomma, di capi contraffatti.

Il tribunale di primo grado aveva però assolto il venditore, sostanzialmente non prestando attenzione alle caratteristiche oggettive dei capi di abbigliamento in questione e dichiarando che il fatto non sussisteva. La Corte d’Appello, invece, avendo esaminato con attenzione il verbale di sequestro, aveva giudicato l’uomo responsabile del reato di cui all’art. 474 del Codice penale: commercio di prodotti contraffatti.

 

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Reato anche se l’imitazione è grossolana

L’uomo ha però proposto ricorso per Cassazione sulla base di alcuni motivi. Innanzitutto, sosteneva il ricorrente che la diversa decisione della Corte d’Appello rispetto al tribunale di primo grado dava troppo valore alle dichiarazioni degli agenti senza preoccuparsi di rinnovare l’istruzione dibattimentale. In realtà, la Cassazione fa notare come il giudice di appello abbia semplicemente valorizzato i contenuti conoscitivi di quanto già presente nel verbale della polizia: i marchi erano effettivamente contraffatti e il ricorrente li stava vendendo, dunque è senza dubbio integrato il reato di cui all’art. 474 del Codice penale.

Né può essere accolta l’opposizione del venditore in merito alla grossolanità della contraffazione, che a detta del ricorrente renderebbe impossibile il reato in questione. La Suprema Corte specifica infatti che il reato di vendita di prodotti contraffatti si configura a prescindere dal fatto che i clienti siano o meno tratti in inganno dall’abilità nel riprodurre i marchi originali.

La particolare tenuità del fatto

Coglie invece nel segno l’opposizione in merito alla particolare tenuità del fatto in questione. L’art. 131-bis del Codice penale prevede infatti, per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore a 5 anni, la non punibilità nei casi in cui il reato sia particolarmente lieve e abbia conseguenze esigue. Questo, beninteso, se il comportamento non è abituale e se il colpevole non è considerato un delinquente professionale. Ed è proprio questo il caso del cittadino extracomunitario ricorso in Cassazione: la grossolanità della contraffazione dei capi di abbigliamento integra comunque, come si è visto, il reato, ma allo stesso tempo lo rende sufficientemente lieve nelle circostanze da non permetterne la punibilità.

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