Vanno abrogate le norme regionali che si occupano di tutela della concorrenza?

Lazzini Sonia 14/02/08
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Per quanto riguarda la tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questa norma evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico : corollario di ciò è che nelle suindicate materie, appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, le disposizioni legislative regionali – comprese quelle delle Regioni a statuto speciale – che confliggano con quelle statali, sono da considerarsi recessive rispetto alle corrispondenti disposizioni statali sopravvenute, le quali sono, in tal caso, immediatamente applicabili, senza che vi sia necessità di un loro recepimento espresso: queste disposizioni hanno la forza di abrogare, espressamente o implicitamente, qualsiasi norma che sia stata emanata in precedenza dalle Regioni in una materia di competenza statale, non occorrendo, pertanto, che venga posta nei confronti delle leggi regionali una questione incidentale di legittimità costituzionale
 
Merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla sentenza numero 786 del 13 dicembre 2007 emessa dal Tar Friuli, Trieste:
 
< Ciò posto, il Collegio osserva che il complessivo intervento legislativo statale rientra a più di un titolo nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., e, segnatamente: sotto il profilo dell’“ordinamento civile” (lett. l), sotto quello della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, quali sono, appunto, i diritti dei consumatori (lett. m), nonchè sotto quello della “tutela della concorrenza” (lett. e).
 
Appare evidente la necessità – nelle suddette materie – di regole uniformi sul territorio nazionale, per non alterare la “condizione di eguaglianza giuridica” nella quale hanno diritto di trovarsi i consumatori residenti in ogni località del Paese, nonché la necessità dell’indefettibile raccordo con le disposizioni di rango comunitario, che tutelano in modo omogeneo il consumatore che si colloca nel mercato interno dell’Unione europea.
 
In considerazione del grande rilievo, sia sostanziale che sistematico, della materia del consumo e della tutela dei consumatori, sembra potersi escludere la possibilità di ricondurla a quella, più angusta, del solo “commercio”, inteso come disciplina, prevalentemente amministrativa, delle relative attività e non come disciplina civilistica dei rapporti tra le parti contraenti.
 
Non sembra superfluo ricordare, in questo contesto argomentativo, che attualmente le norme fondamentali in materia di tutela dei consumatori sono contenute proprio nel codice civile, agli artt. 1469-bis e seguenti e 1519-bis, eppertanto dovrebbero essere ascritte – a rigore – alla materia dell’ “ordinamento civile”.
 
Per quanto riguarda la tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questa norma evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico (Cfr. Corte cost., sentenze n. 14 e n. 272 del 2004 e n. 77 del 2005).
 
Corollario di ciò è che nelle suindicate materie, appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, le disposizioni legislative regionali – comprese quelle delle Regioni a statuto speciale – che confliggano con quelle statali, sono da considerarsi recessive rispetto alle corrispondenti disposizioni statali sopravvenute, le quali sono, in tal caso, immediatamente applicabili, senza che vi sia necessità di un loro recepimento espresso: queste disposizioni hanno la forza di abrogare, espressamente o implicitamente, qualsiasi norma che sia stata emanata in precedenza dalle Regioni in una materia di competenza statale, non occorrendo, pertanto, che venga posta nei confronti delle leggi regionali una questione incidentale di legittimità costituzionale (Cfr., ex pluribus, Corte cost., nn. 151 del 1974, 50 del 1991, 497 e 498 del 1993, 153 del 1995, 22 e 302 del 2003; Cass., I, n. 3077 del 1997; Cons. Stato, sez. V, n. 1571 del 1995; Corte conti, sez. contr., n. 28 del 1992;T.A.R. Sicilia, sez. I, Catania, n. 370 del 1992).
 
Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di cui alla presente controversia, non può fondatamente confutarsi che la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e) ed f) del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 – disposizione rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato – ha abrogato implicitamente l’art. 35, comma 3 della legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29, ossia la disposizione in forza della quale è stato adottato l’impugnato provvedimento.
 
Del tutto irrilevante si appalesa la circostanza che la legge regionale n. 29 del 2005 sia frutto di potestà legislativa esclusiva della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia in materia di commercio, dato che la fattispecie disciplinata l’art. 35, comma 3 attiene a materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost.
 
Il fatto che una materia, di competenza statale, sia disciplinata ed incardinata in un complesso di norme (nel caso relative al commercio) di competenza regionale non vale di certo ad attrarre questa materia nello spettro legislativo riservato alla Regione.
 
Contrariamente opinando, si verrebbe surrettiziamente a sottrarre allo Stato competenze proprie, per il solo fatto che la Regione aveva precedentemente regolamentato materie di competenza statale, inserendole in un corpus normativo ricadente nella propria competenza.>
 
 
Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 786 del 13 dicembre 2007 emessa dal Tar Friuli, Trieste
 
N. 00786/2007 REG.SEN.
 
N. 00200/2007 REG.RIC.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia
 
(Sezione Prima)
 
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
 
Sul ricorso numero di registro generale 200 del 2007, proposto da:
ALFA Spa, rappresentato e difeso dagli avv. **************, **************, ***************, con domicilio eletto presso *******************. in Trieste, via S.Francesco 11;
 
 
contro
 
Comune di Tavagnacco, rappresentato e difeso dall’avv. ************, con domicilio eletto presso ********************. in Trieste, via Zanetti 8;
 
 
per l’annullamento
 
previa sospensione dell’efficacia,
 
ordinanza n. 119, con cui il Responsabile del Servizio Polizia Municipale del Comune di Tavagnacco ha ordinato alla ricorrente ALFA s.p.a. di sospendere l’attività di vendita nei giorni 03-04-05-06-07 giugno 2007 presso il punto vendita sito a Tavagnacco in Via Nazionale n. 114, ai sensi degli artt. 79 e 80 dela L.R. Friuli n. 5 dicembre 2005, n. 29; nonchè per la condanna dell’intimato Comune al risarcimento dei danni ingiustamente arrecati alla ricorrente..
 
 
 
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Tavagnacco;
 
Viste le memorie difensive;
 
Visti tutti gli atti della causa;
 
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24/10/2007 il dott. *************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
 
La ricorrente società ALFA s.p.a., distributore a livello internazionale di prodotti di elettronica e munita anche dell’autorizzazione alla vendita di generi del settore non alimentare rilasciata dal Comune di Tavagnacco (UD), ha impugnato l’ordinanza prot. n. 14054, n. 119 in data 7.5.2007, con la quale il responsabile del servizio Polizia Municipale del suddetto Comune le ha ordinato – a titolo sanzionatorio – di sospendere l’attività di vendita nei giorni 3, 4, 5, 6 e 7 giugno 2007 presso il punto di vendita sito in Tavagnacco in via Nazionale n. 114, ai sensi degli artt. 79, comma 2 e 80, comma 11 della legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29.
 
La ricorrente ha chiesto, altresì, la condanna dell’intimato Comune al risarcimento di tutti i danni ingiustamente arrecatile.
 
Il provvedimento impugnato si basa sui verbali di contestazione n. 23 del 16.10.2006 e n. 27 del 19.12.2006 della Polizia Municipale di Tavagnacco, che ravvisavano la violazione dell’art. 35, comma 3 della
 
suindicata legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29, per essere state effettuate delle vendite promozionali senza che le stesse fossero state comunicate al Comune e senza che ne fosse stata indicata la durata.
 
La ricorrente provvedeva ad oblare il 7.12.2006 e l’8.2.2007 – a mezzo di pagamento in misura ridotta – le sanzioni comminate dall’Amministrazione in forza dei due verbali testè indicati.
 
A sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto quattro mezzi.
 
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione dei principi di legalità e di irretroattività dei provvedimenti amministrativi contenuti nell’art. 11 delle preleggi, oltre che negli artt. 1 della L. n. 689/81 e 1 della L.R. Friuli V.G. n. 1/84, avendo l’Amministrazione sanzionato un comportamento che, al momento della sua commissione, non costituiva un illecito amministrativo.
 
Assume l’istante che nel mese di agosto del 2006 la riforma liberalizzatrice attuata con la L. 4 agosto 2006, n. 248 ha, difatti, abrogato, in nome dei principi di libero accesso al mercato, una serie di vincoli di carattere amministrativo allo sviluppo concorrenziale delle attività commerciali, tra cui “la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali che non siano prescritti dal diritto comunitario” e “l’ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali” (art. 3).
 
A fronte di tale nuova disciplina autoapplicativa e prevalente sugli ordinamenti interni – sottolinea la deducente – non potevano trovare applicazione per le vendite promozionali poste in essere dalla ******à ricorrente in data 12 ottobre 2006 e 16 dicembre 2006 le disposizioni normative regionali limitative della durata delle vendite promozionali e impositive dell’obbligo di comunicazione preventiva ai sensi dell’art. 35 della L.R. Friuli V.G. n. 29/05, con il relativo apparato sanzionatorio di cui ai successivi artt. 79 e 80: ciò in quanto la speciale competenza legislativa regionale in materia di commercio prevista dall’art. 4, comma 1, dello Statuto del Friuli Venezia Giulia sarebbe recessiva rispetto alla riforma liberalizzatrice di cui alla L. n. 248/06.
 
Detta riforma – prosegue l’istante – come confermato dal Report Ministero dello Sviluppo Economico del 18.7.2007, che ha sottolineato l’esigenza di salvaguardare gli interessi costituzionalmente garantiti di un corretto ed uniforme funzionamento del mercato e di un livello minimo ed uniforme di accessibilità dei consumatori all’acquisto di beni e servizi e come avvertito dalla Corte costituzionale, anche in relazione alle Regioni a statuto speciale, detta riforma – si diceva – muovendo dalla competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza e dal principio comunitario della libera circolazione delle persone e delle merci, ha inteso incidere direttamente sulla materia del commercio attraverso alcuni principi di fonte statale improntati alla esigenza che venga rimosso ogni limite al confronto concorrenziale.
 
Di qui la illegittimità della impugnata ordinanza per aver sanzionato un comportamento (la mancata preventiva comunicazione al Comune dell’avvio e della durata delle vendite promozionali svolte nei mesi di ottobre e dicembre 2006) che, al momento della sua commissione, non costituiva un illecito amministrativo: avuto, anche, riguardo al fatto che l’ordinanza è successiva al termine del 1°.1.2007, entro il quale la Regione Friuli Venezia Giulia avrebbe dovuto adeguare la propria legislazione alle disposizioni della legge n. 248 del 2006.
 
Con il secondo mezzo la società ricorrente ha dedotto la illegittimità del provvedimento comunale nella parte in cui configura la reiterazione della violazione amministrativa e, quindi, giustifica l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività di vendita ai sensi dell’art. 80 della legge regionale n. 29 del 2005, assumendo a presupposto il carattere “definitivo” dei due verbali di contestazione.
 
Sostiene la deducente che nessuno dei due verbali configura atto definitivo che suffraghi l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività di vendita ai sensi dell’art. 80 della legge regionale n. 29 del 2005, perché l’avvenuto pagamento delle sanzioni in misura ridotta (in data 7.12.2006 ed 8.2.2007) ha comportato l’estinzione del procedimento sanzionatorio a mente dell’art. 8 bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo cui la reiterazione – da dichiararsi con l’emanazione della ordinanza ingiunzione – non opera nel caso di pagamento in misura ridotta.
 
Con un terzo motivo l’istante lamenta che è stata ravvisata la recidiva malgrado il provvedimento sia stato emesso in un anno solare (2007) diverso da quello (2006) in cui sono state accertate le due violazioni: l’art. 79 della legge regionale n. 29 del 2005 richiede – infatti – che vi sia violazione per due volte in un anno solare, intendendo con ciò contenere il potere sanzionatorio entro un termine (l’anno solare) non superiore alla validità degli stessi illeciti amministrativi precedentemente commessi.
 
Il quarto ed ultimo mezzo si incentra sulla violazione della legge n. 241 del 1990, oltre che per difetto di motivazione (art. 3), per non avere l’Autorità procedente valutato le deduzioni svolte in sede di procedimento sanzionatorio dalla società istante (art. 10).
 
Si è costituito in giudizio l’intimato Comune, chiedendo il rigetto del gravame.
 
Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella pubblica udienza del 24.10.2007.
 
Con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato la violazione dei principi di legalità e di irretroattività dei provvedimenti amministrativi contenuti nell’art. 11 delle preleggi, oltre che negli artt. 1 della L. n. 689/81 e 1 della L.R. Friuli V.G. n. 1/84, avendo l’Amministrazione sanzionato un comportamento che, al momento della sua commissione, non costituiva un illecito amministrativo.
 
Assume l’istante che nel mese di agosto del 2006 la riforma liberalizzatrice attuata con la L. 4 agosto 2006, n. 248 ha, difatti, abrogato, in nome dei principi di libero accesso al mercato, una serie di vincoli di carattere amministrativo allo sviluppo concorrenziale delle attività commerciali, tra cui “la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali che non siano prescritti dal diritto comunitario” e “l’ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali” (art. 3).
 
A fronte di tale nuova disciplina autoapplicativa e prevalente sugli ordinamenti interni – sottolinea la deducente – non potevano trovare applicazione per le vendite promozionali eseguite in data 12 ottobre 2006 e 16 dicembre 2006 le disposizioni normative regionali limitative della durata delle vendite promozionali e impositive dell’obbligo di comunicazione preventiva ai sensi dell’art. 35 della L.R. Friuli V.G. n. 29/05, con il relativo apparato sanzionatorio di cui ai successivi artt. 79 e 80: ciò in quanto la speciale competenza legislativa regionale in materia di commercio prevista dall’art. 4, comma 1, dello Statuto del Friuli Venezia Giulia sarebbe recessiva rispetto alla riforma liberalizzatrice di cui alla L. n. 248/06.
 
Detta riforma – prosegue l’istante – come confermato dal Report Ministero dello Sviluppo Economico del 18.7.2007, che ha sottolineato l’esigenza di salvaguardare gli interessi costituzionalmente garantiti di un corretto ed uniforme funzionamento del mercato e di un livello minimo ed uniforme di accessibilità dei consumatori all’acquisto di beni e servizi e come avvertito dalla Corte costituzionale, anche in relazione alle Regioni a statuto speciale, detta riforma – si diceva – muovendo dalla competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza e dal principio comunitario della libera circolazione delle persone e delle merci, ha inteso incidere direttamente sulla materia del commercio attraverso alcuni principi di fonte statale improntati alla esigenza che venga rimosso ogni limite al confronto concorrenziale.
 
Di qui la illegittimità della impugnata ordinanza per aver sanzionato un comportamento (la mancata preventiva comunicazione al Comune dell’avvio e della durata delle vendite promozionali svolte nei mesi di ottobre e dicembre 2006) che, al momento della sua commissione, non costituiva un illecito amministrativo: avuto, anche, riguardo al fatto che l’ordinanza è successiva al termine del 1°.1.2007, entro il quale la Regione Friuli Venezia Giulia avrebbe dovuto adeguare la propria legislazione alle disposizioni della legge n. 248 del 2006.
 
Le prospettazioni meritano ingresso.
 
Come si è visto, il provvedimento impugnato si basa sui verbali di contestazione n. 23 del 16.10.2006 e n. 27 del 19.12.2006 della Polizia Municipale di Tavagnacco, che ravvisavano la violazione dell’art. 35, comma 3 della legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29 (legge recante la: “Normativa organica in materia di attivita’ commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 <<Disciplina organica del turismo>>)., per essere state effettuate delle vendite promozionali senza che le stesse fossero state comunicate al Comune e senza che ne fosse stata indicata la durata.
 
L’art. 35 così recita:
 
“Disciplina delle vendite promozionali)
 
1. Le vendite promozionali, caratterizzate da sconti o ribassi diretti a presentare al consumatore l’opportunita’ dell’acquisto, sono effettuate per tutti o una parte dei prodotti merceologici e per periodi di tempo limitato determinati a facolta’ dell’esercente.
 
2. Le vendite promozionali non possono essere effettuate nei quaranta giorni precedenti l’inizio dei saldi di cui all’articolo 34, comma 1.
 
3. L’effettuazione delle vendite promozionali va comunicata al Comune mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, spedita con almeno cinque giorni di anticipo e indicante la loro data di inizio e la loro durata.
 
4. E’ obbligatoria l’esposizione del prezzo praticato ordinariamente e dello sconto o ribasso espresso in percentuale sul prezzo normale di vendita e il prezzo finale praticato nel corso della vendita promozionale”.
 
Il successivo art. 79 stabilisce che:
 
“(Disposizioni comuni)
 
1. Le sanzioni di cui alla presente legge sono applicate in base alle norme di cui alla legge regionale 17 gennaio 1984, n. 1 (Norme per l’applicazione delle sanzioni amministrative regionali), e successive modifiche.
 
2. Sussiste recidiva qualora sia stata commessa la stessa violazione per due volte in un anno solare, anche se si e’ proceduto al pagamento della sanzione.
 
3. In caso di recidiva, il Comune dispone la sospensione dell’attivita’ secondo quanto stabilito agli articoli 80, 81, 82 e 83, e, qualora l’attivita’ venga svolta durante questo periodo di sospensione, la fattispecie e’ equiparata all’esercizio di attivita’ senza la denuncia di inizio attivita’ o senza la prescritta autorizzazione”.
 
A sua volta, l’art. 80 prevede che:
 
“(Sanzioni amministrative relative al commercio in sede fissa)
 
1. La violazione delle disposizioni in materia di requisiti soggettivi di cui agli articoli 5, 6, 7 e 10 e’ punita con una sanzione amministrativa da 1.600 euro a 10.000 euro.
 
2. La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 11, 12, 13, e 39, in materia di esercizio delle attivita’ di vendita al dettaglio in sede fissa, e’ punita con una sanzione amministrativa da 1.600 euro a 10.000 euro. Nel caso di apertura degli esercizi commerciali senza la denuncia di inizio attivita’ o senza la prescritta autorizzazione comunale, oltre alla sanzione suindicata, il Comune dispone l’immediata chiusura dell’attivita’. La vendita di prodotti non appartenenti al settore merceologico denunciato o autorizzato comporta la sanzione pecuniaria di cui sopra e il contestuale ordine di cessazione della vendita dei suddetti prodotti.
 
3. La violazione delle disposizioni in materia di forme speciali di vendita al dettaglio, di cui agli articoli 21, 22, 23, 24 e 25, e’ punita con una sanzione amministrativa da 1.600 euro a 10.000 euro.
 
4. La violazione delle disposizioni in materia di esercizio del commercio equo e solidale, di cui all’articolo 26, e’ punita con una sanzione amministrativa da 600 euro a 3.500 euro e con la revoca della denominazione e la chiusura dell’attivita’.
 
5. La violazione delle disposizioni in materia di regime degli orari delle attivita’ di vendita al dettaglio in sede fissa, di cui agli articoli 28 e 29, e’ punita con una sanzione amministrativa da 1.500 euro a 5.000 euro, qualora la violazione sia imputabile a esercizi con superficie di vendita fino a metri quadrati 1.500 e a esercizi che vendono i generi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a); con una sanzione amministrativa da 3.500 euro a 9.000 euro per esercizi con superficie di vendita superiore a metri quadrati 1.500 e fino a metri quadrati 5.000; con una sanzione amministrativa da 5.000 euro a 15.000 euro per esercizi con superficie di vendita superiore a metri quadrati 5.000. Tali sanzioni sono aumentate fino al massimo di un terzo qualora la violazione di cui all’articolo 29, comma 9, sia commessa in un Comune classificato come localita’ turistica ai sensi dell’articolo 30.
 
6. La violazione delle disposizioni in materia di pubblicita’ dei prezzi di cui all’articolo 32 e’ punita con una sanzione amministrativa da 600 euro a 3.500 euro.
 
7. La violazione delle disposizioni in materia di vendite straordinarie, di cui agli articoli 33, 34, 35, 36 e 37, e’ punita con una sanzione amministrativa da 600 euro a 3.500 euro.
 
8. La violazione delle disposizioni in materia di sospensione e cessazione dell’attivita’ di cui all’articolo 38 e’ punita con una sanzione amministrativa da 300 euro a 3.000 euro.
 
9. I titoli autorizzativi concernenti gli esercizi di vendita al dettaglio sono revocati nei casi in cui il titolare:
 
a) non inizi l’attivita’ di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio ovvero entro due anni, qualora trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga autorizzata in caso di comprovata necessita’;
 
b) sospenda l’attivita’ per un periodo superiore a dodici mesi in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 38, comma 2, ovvero qualora alla scadenza del termine previsto dall’autorizzazione medesima non riattivi l’esercizio commerciale;
 
c) non risulti piu’ provvisto dei requisiti di cui all’articolo 5;
 
d) commetta recidiva, come definita all’articolo 79, comma 2, nella violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria.
 
10. E’ disposta la chiusura degli esercizi di vicinato e delle medie strutture di cui agli articoli 11 e 12, per le violazioni di cui al comma 9, lettere b), c) e d) del presente articolo. Nell’ipotesi di cui alla lettera d) del medesimo comma 9, si applica la sanzione accessoria dell’interdizione ad attivare un nuovo esercizio per un periodo compreso tra un minimo di sei e un massimo di dodici mesi.
 
11. In caso di recidiva, oltre all’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal presente articolo, aumentate fino a un terzo, il Comune dispone la sospensione dell’attivita’ di vendita per un periodo compreso tra cinque e venti giorni. Qualora l’attivita’ venga svolta durante questo periodo di sospensione, la fattispecie e’ equiparata all’esercizio di attivita’ senza la denuncia di inizio attivita’ o senza la prescritta autorizzazione.
 
12. Nel caso di mancato rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro e degli accordi integrativi territoriali o aziendali, accertati dall’Autorita’ competente, oltre a una sanzione amministrativa da 1.500 euro a 5.000 euro, il Comune dispone la sospensione dell’attivita’ di vendita per un periodo compreso tra un minimo di tre e un massimo di quindici giorni, qualora la violazione riguardi esercizi di vendita fino a metri quadrati 1.500.
 
13. Nel caso di mancato rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro e degli accordi integrativi territoriali o aziendali, accertati dall’Autorita’ competente, oltre a una sanzione amministrativa da 3.500 euro a 9.000 euro, il Comune dispone la sospensione dell’attivita’ di vendita per un periodo compreso tra un minimo di cinque e un massimo di trenta giorni, qualora la violazione riguardi esercizi di vendita superiori a metri quadrati 1.500”.
 
Sin qui l’essenziale quadro normativo regionale di riferimento.
 
Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 (Gazz. Uff. 11 agosto 2006, n. 186, S.O.) entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, reca: “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”.
 
Il Titolo I della legge riguarda: “Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi”.
 
L’art. 1, rubricato “Finalità e ambito di intervento”, così recita:
 
“1. Le norme del presente titolo, adottate ai sensi degli articoli 3, 11, 41 e 117, commi primo e secondo, della Costituzione, con particolare riferimento alle materie di competenza statale della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, recano misure necessarie ed urgenti per garantire il rispetto degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea ed assicurare l’osservanza delle raccomandazioni e dei pareri della Commissione europea, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle Autorità di regolazione e vigilanza di settore, in relazione all’improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro.
 
1-bis. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione”.
 
Il successivo art. 3 (“Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”), che fa parte del Titolo I della legge dispone che:
 
“1. Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonchè di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:
 
a) l’iscrizione a registri abilitanti ovvero possesso di requisiti professionali soggettivi per l’esercizio di attività commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande;
 
b) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio;
 
c) le limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare;
 
d) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale;
 
e) la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal diritto comunitario;
 
f) l’ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti;
 
f-bis) il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
 
2. Sono fatte salve le disposizioni che disciplinano le vendite sottocosto e i saldi di fine stagione.
 
3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1.
 
4. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1° gennaio 2007”.
 
Il richiamato art. 3 – osserva il Collegio – fa parte, dunque, di quelle norme, comprese nel Titolo I, che “adottate ai sensi degli articoli 3, 11, 41 e 117, commi primo e secondo, della Costituzione, con particolare riferimento alle materie di competenza statale della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, recano misure necessarie ed urgenti per garantire il rispetto degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea ed assicurare l’osservanza delle raccomandazioni e dei pareri della Commissione europea, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle Autorità di regolazione e vigilanza di settore, in relazione all’improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro”.
 
L’art. 3 – per quello che qui rileva – stabilisce che:
 
“1. Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonchè di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:
 
[…….]
 
e) la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal diritto comunitario;
 
f) l’ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti;
 
[…….]”.
 
Ciò posto, il Collegio osserva che il complessivo intervento legislativo statale rientra a più di un titolo nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., e, segnatamente: sotto il profilo dell’“ordinamento civile” (lett. l), sotto quello della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, quali sono, appunto, i diritti dei consumatori (lett. m), nonchè sotto quello della “tutela della concorrenza” (lett. e).
 
Appare evidente la necessità – nelle suddette materie – di regole uniformi sul territorio nazionale, per non alterare la “condizione di eguaglianza giuridica” nella quale hanno diritto di trovarsi i consumatori residenti in ogni località del Paese, nonché la necessità dell’indefettibile raccordo con le disposizioni di rango comunitario, che tutelano in modo omogeneo il consumatore che si colloca nel mercato interno dell’Unione europea.
 
In considerazione del grande rilievo, sia sostanziale che sistematico, della materia del consumo e della tutela dei consumatori, sembra potersi escludere la possibilità di ricondurla a quella, più angusta, del solo “commercio”, inteso come disciplina, prevalentemente amministrativa, delle relative attività e non come disciplina civilistica dei rapporti tra le parti contraenti.
 
Non sembra superfluo ricordare, in questo contesto argomentativo, che attualmente le norme fondamentali in materia di tutela dei consumatori sono contenute proprio nel codice civile, agli artt. 1469-bis e seguenti e 1519-bis, eppertanto dovrebbero essere ascritte – a rigore – alla materia dell’ “ordinamento civile”.
 
Per quanto riguarda la tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questa norma evidenzia l’intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico (Cfr. Corte cost., sentenze n. 14 e n. 272 del 2004 e n. 77 del 2005).
 
Corollario di ciò è che nelle suindicate materie, appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato, le disposizioni legislative regionali – comprese quelle delle Regioni a statuto speciale – che confliggano con quelle statali, sono da considerarsi recessive rispetto alle corrispondenti disposizioni statali sopravvenute, le quali sono, in tal caso, immediatamente applicabili, senza che vi sia necessità di un loro recepimento espresso: queste disposizioni hanno la forza di abrogare, espressamente o implicitamente, qualsiasi norma che sia stata emanata in precedenza dalle Regioni in una materia di competenza statale, non occorrendo, pertanto, che venga posta nei confronti delle leggi regionali una questione incidentale di legittimità costituzionale (Cfr., ex pluribus, Corte cost., nn. 151 del 1974, 50 del 1991, 497 e 498 del 1993, 153 del 1995, 22 e 302 del 2003; Cass., I, n. 3077 del 1997; Cons. Stato, sez. V, n. 1571 del 1995; Corte conti, sez. contr., n. 28 del 1992;T.A.R. Sicilia, sez. I, Catania, n. 370 del 1992).
 
Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di cui alla presente controversia, non può fondatamente confutarsi che la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e) ed f) del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 – disposizione rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato – ha abrogato implicitamente l’art. 35, comma 3 della legge regionale 5 dicembre 2005, n. 29, ossia la disposizione in forza della quale è stato adottato l’impugnato provvedimento.
 
Del tutto irrilevante si appalesa la circostanza che la legge regionale n. 29 del 2005 sia frutto di potestà legislativa esclusiva della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia in materia di commercio, dato che la fattispecie disciplinata l’art. 35, comma 3 attiene a materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost.
 
Il fatto che una materia, di competenza statale, sia disciplinata ed incardinata in un complesso di norme (nel caso relative al commercio) di competenza regionale non vale di certo ad attrarre questa materia nello spettro legislativo riservato alla Regione.
 
Contrariamente opinando, si verrebbe surrettiziamente a sottrarre allo Stato competenze proprie, per il solo fatto che la Regione aveva precedentemente regolamentato materie di competenza statale, inserendole in un corpus normativo ricadente nella propria competenza.
 
Non giova alla tesi della vigenza dell’art. 35, comma 3 malgrado la sopravvenuta legge n. 248 del 2006, la disposizione del quarto comma dell’art. 3 di quest’ultima legge, secondo la quale: “4. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1° gennaio 2007”.
 
Ed invero, la locuzione “adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni” sta, chiaramente, a significare che questi enti debbono conformare, con norme di adattamento, la propria vigente normativa alla legge n. 248 del 2006, fermo, restando, ovviamente, l’effetto abrogativo di quest’ultima sulle disposizioni regionali incompatibili con essa.
 
Proprio questo effetto impone alle Regioni l’”adeguamento” e, nel caso in cui non avessero legiferato in materia, sono tenute ad introdurre disposizioni tali da conformarsi alla sopravvenuta normativa statale, armonizzando nel contempo le pregresse disposizioni direttamente od indirettamente correlate alle disposizioni stesse.
 
Diversamente, anche in questo caso si vanificherebbe un corpo normativo di diretta ed immediata applicabilità all’intero tessuto ordinamentale del Paese.
 
Va soggiunto che del tutto inconferente si appalesa la circostanza che la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia non si è “adeguata” entro il termine del 1° gennaio 2007 (lo ha fatto poi con legge 12 aprile 2007, n. 7, la quale, però, ha sostanzialmente mantenuto invariato lo schema del ripetuto art. 35, comma 3): come si è detto, quest’ultima disposizione era da intendersi implicitamente abrogata dalla legge n. 248 del 2006; pertanto, al momento della redazione dei verbali di contestazione n. 23 del 16.10.2006 e n. 27 del 19.12.2006 della Polizia Municipale di Tavagnacco vigeva quest’ultima legge.
 
Sotto questo assorbente profilo – che dispensa dal prendere in considerazione le altre censure – il ricorso va accolto e l’impugnata ordinanza prot. n. 14054, n. 119 in data 7.5.2007 va annullata.
 
Quanto alla richiesta risarcitoria, quantificata in circa € 29.000 al giorno, asseritamente corrispondente al mancato incasso conseguente ai giorni di chiusura dell’esercizio (incasso desunto dal “fatturato medio giornaliero” delle vendite effettuate nel periodo dal 1°.4.2006 al 1°.4.2007: documento n. 9 prodotto in giudizio dalla deducente in data 11.5.2007), essa va disattesa.
 
Infatti, con ordinanza n. 65 del 23.5.2007 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente: con la conseguenza che nessun danno le è derivato dalla impugnata ordinanza prot. n. 14054, n. 119 in data 7.5.2007, con la quale il responsabile del servizio Polizia Municipale del suddetto Comune le aveva ordinato – a titolo sanzionatorio – di sospendere l’attività di vendita nei giorni 3, 4, 5, 6 e 7 giugno 2007 presso il punto di vendita sito in Tavagnacco in via Nazionale n. 114.
 
La novità e la complessità delle questioni trattate inducono il Collegio a disporre la compensazione delle spese del giudizio.
 
P.Q.M.
 
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli – Venezia******a, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo
 
accoglie in parte, come in motivazione, e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, meglio in epigrafe specificato.
 
Spese compensate.
 
Condanna l’Amministrazione soccombente alla rifusione del contributo unificato alla parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 24/10/2007 con l’intervento dei signori:
 
 
 
**********************, Presidente
 
Oria Settesoldi, Consigliere
 
***************, ***********, Estensore
 
 
 
 
 
   
   
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 13/12/2007
 
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 
IL SEGRETARIO

Lazzini Sonia

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