Valore pubblico e assemblee legislative regionali: appunti per una riflessione

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Approfondimento sul valore pubblico e sulle assemblee legislative regionali.

Indice

1. Premessa

La presente pubblicazione analizza, o cerca di analizzare, attraverso una ricostruzione sintetica la nozione di valore pubblico. Dal contesto istituzionale si vuole raggiungere l’obiettivo di fornire utili spunti di riflessione, anche critica, sul valore pubblico e la possibile, in particolare, correlazione con la qualità della normazione. Uno specifico spazio è riservato, tuttavia, principalmente alla comprensione, almeno di cornice, di cosa sia valore pubblico. Ci si interroga, quindi, su quale sia il contributo delle assemblee legislative alla creazione del valore pubblico, tenuto conto delle tipicità, delle attività e dello scopo di tali organi istituzionali. Può esserci, dunque, una correlazione fra valore pubblico e la qualità e la chiarezza del linguaggio degli atti normativi, si può affermare – o avere almeno una consapevolezza – che i due piani (qualità normativa e creazione valore pubblico) quanto meno si intrecciano e presentato elementi di specificità ma anche di vicinanza.

2. Il contesto istituzionale

Il concetto “creazione valore pubblico” è presente da anni nella letteratura scientifica (Mark H. Moore, La creazione di valore pubblico, 1995) [1], mentre è entrato nel vocabolario istituzionale solo di recente. A partire dalle Linee guida per il Sistema di misurazione e valutazione della performance dei Ministeri del 2017, il “valore pubblico” viene richiamato per esprimere la finalità di ciascuna istituzione, in relazione alla programmazione delle performance e alla valutazione delle stesse.
Il concetto di valore pubblico si ritrova anche nell’attuale contesto delle disposizioni che disciplinano l’adozione del nuovo Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO), previsto dall’art. 6 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con legge 6 agosto 2021, n. 113, recante: «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia». 
Anche in tal caso, emerge una nozione di valore pubblico strettamente connessa al sistema delle performance,quale criterio per individuare gli obiettivi programmatici e strategici della performance individuale e organizzativa, nonché le modalità di monitoraggio degli esiti e dell’impatto sugli utenti [2].
In particolare, nelle Linee guida del Ministero per la Pubblica Amministrazione per la redazione del PIAO si prevede che, nella seconda sezione del Piano, l’amministrazione definisca i risultati attesi in termini di obiettivi generali e specifici, programmati in coerenza con i documenti di programmazione finanziaria adottati da ciascuna amministrazione, le modalità e le azioni finalizzate, nel periodo di riferimento, a realizzare la piena accessibilità, fisica e digitale, alle amministrazioni da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità, nonché l’elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare. L’amministrazione, inoltre, è tenuta ad esplicitare come una selezione delle politiche dell’ente si traduca in termini di obiettivi di valore pubblico (outcome/impatti), anche con riferimento alle misure di benessere equo e sostenibile (Sustainable Development Goals dell’Agenda ONU 2030; indicatori di Benessere Equo e Sostenibile elaborati da ISTAT e CNEL).
In altre parole, la creazione di valore pubblico sembrerebbe porsi come il fine ultimo cui ciascuna amministrazione deve tendere; il valore pubblico, quindi, a rigor di logica dovrebbe essere individuato e definito ex ante, in modo da operare, dapprima, come criterio – guida alla luce del quale programmare il sistema delle performance e, poi, come paradigma per valutare le stesse, sulla base dei relativi indicatori di impatto [3].
Così operando, il valore pubblico diventerebbe il “fil rouge” delle performance [4], in grado di mettere a sistema le performance programmate e finalizzarle verso uno scopo comune (la creazione di valore pubblico, appunto), evitando così il rischio che le stesse si traducano in un insieme di attività scoordinate tra di loro, che finirebbero per ridursi in meri adempimenti fini a se stessi o al più legati ad una maggiorazione della retribuzione.

3. La definizione di valore pubblico

Abbiamo fin qui sostenuto il ruolo strategico del valore pubblico nelle scelte programmatiche delle amministrazioni. A questo punto però una domanda sorge spontanea: in cosa consiste nel concreto il valore pubblico? E ancora: chi lo definisce e in che modo?
Definire il significato di valore pubblico non è semplice e forse non è nemmeno possibile una determinazione troppo analitica dello stesso, quasi a ricondurlo a un paradigma univoco: le pubbliche amministrazioni, per loro natura, sono chiamate a rispondere a logiche economiche, alle logiche politiche degli amministratori eletti, ai bisogni dei cittadini e di tutti gli altri stakeholders con cui interagiscono; questo fa sì che al processo di creazione del valore pubblico si associno una molteplicità di significati, con conseguente difficoltà, se non impossibilità, di riduzione ad unità.
Ciò spiegherebbe la ragione per cui del concetto di valore pubblico si rinvengono solo definizioni molto ampie, che necessitano poi di essere declinate in modelli operativi di generazione del valore pubblico nei vari contesti, tenendo conto delle caratteristiche peculiari e delle esigenze proprie di ogni organizzazione
Fatte queste premesse, nel tentativo comunque di provare a dare una risposta alle domande poste in apertura del presente paragrafo, si ritengono opportune alcune considerazioni preliminari in merito all’annosa questione della separazione tra funzione politica e funzione amministrativa e di conseguenza tra responsabilità politiche e gestionali.
Le organizzazioni pubbliche sono create per svolgere determinate funzioni, ossia “attività ordinate ai fini per le quali le organizzazioni sono mezzi”.
La realizzazione di tali fini, aventi caratteri generali (vale a dire comuni a tutta la collettività di riferimento)  avviene attraverso varie fasi: in particolare, mentre l’individuazione dei fini generali, in un determinato contesto storico, sociale e politico, costituisce oggetto della funzione politica e si esplica mediante atti politici, la realizzazione concreta degli obiettivi individuati dal potere politico è affidata alla funzione amministrativa e viene attuata tradizionalmente mediante l’adozione, da parte della pubblica amministrazione, di atti amministrativi.
Dalla distinzione così operata, per sommi capi, tra funzione politica e amministrativa, si evince una qualificazione dell’attività amministrativa quale attività vincolata nel fine, nel senso che la pubblica amministrazione sarebbe tenuta a perseguire quel determinato (e prestabilito) fine pubblico alla cui cura essa è preposta.
Da tale ricostruzione sembra potersi ricavare una prima importante considerazione in ordine alla creazione del valore pubblico. Alla domanda “chi definisce il valore pubblico?” la risposta dovrebbe essere “la politica”.  Una volta affermato, da un lato, che il valore pubblico costituisce la finalità di ogni istituzione e, dall’altro, che ogni amministrazione risulta vincolata al fine prestabilito dal potere politico, non si può infatti che desumere che sia il potere politico a definire cosa sia il valore pubblico, alla luce del quale gli amministratori pubblici devono poi organizzare la propria attività.
Questa conclusione troverebbe conforto nelle parole di Woodrow Wilson, il quale, a cavallo del secolo scorso, offriva una soluzione in tal senso: separare le responsabilità politiche da quelle di gestione e perfezionare ogni attività in ciascuna sfera.
Una tale configurazione dei rapporti tra politica e attività amministrativa presuppone che i mandati politici giungano agli amministratori pubblici in forma di politiche coerenti e ben definite, in modo che quest’ultimi possano focalizzare l’attenzione sull’individuazione della strategia più efficiente ed efficace per giungere agli scopi delegati [5].
A ben vedere, però, nella maggior parte dei casi, i politici che ruotano intorno ad un’amministrazione, in quanto portatori di concezioni di valore tra loro diverse, non sono in grado di suggerire una nozione di valore pubblico che possa ergersi veramente a “stella polare” delle scelte dell’amministrazione.
Allo stesso modo, spesso si muovono critiche all’efficacia delle attività in corso e si avanzano proposte per il loro miglioramento, il che consente ai funzionari pubblici di trovare spazio per l’innovazione e la sperimentazione. Ciò si verifica, in particolare, nei momenti di maggiore difficoltà, laddove insorge un nuovo problema o gli approcci precedenti a quel problema sono ampiamente screditati; perché è proprio nella difficoltà che si colloca l’occasione per prendere in esame una più ampia gamma di possibili azioni ed attivare un processo di trasformazione che porti ad una profonda riconsiderazione dei metodi di lavoro e delle persone che lavorano nella pubblica amministrazione, nella ricerca di nuove sinergie tra l’ambiente interno ed esterno.
Inteso in questo senso, il valore pubblico cessa di essere un concetto astratto e fumoso, per divenire un metodo di lavoro concreto diretto a produrre, sulla base di un approccio sussidiario, una trasformazione delle dinamiche interne ed esterne alla pubblica amministrazione, al fine di individuare modalità di lavoro efficienti ed efficaci che permettano di avere una pubblica amministrazione funzionante. È in questo processo di trasformazione, che vede il necessario concorso di più soggetti, che si crea il valore pubblico. Alla luce di quanto detto sin ora, si comprende la ragione per cui si assiste oggi ad una nuova enfasi sul concetto di valore pubblico [6].

4. Le assemblee legislative regionali. La qualità della normazione produce valore pubblico?

Le assemblee legislative regionali esercitano principalmente la funzione legislativa attribuita dalla Costituzione alla Regione [7] e, in quanto organo legislativo rappresentativo della Regione, il principale “prodotto” dei consigli regionali è costituito dal complesso normativo delle leggi regionali e dei regolamenti approvati dall’Assemblea, in funzione dello svolgimento dei compiti assegnati dall’ordinamento alle regioni e in attuazione degli obiettivi e dei risultati attesi dell’amministrazione regionale, come definiti nel DEFR, in coerenza con la Strategia Regionale di Sviluppo Sostenibile.
Nel momento in cui ci si interroga su quale sia il contributo delle assemblee legislative alla creazione del valore pubblico, bisogna pertanto tener conto della tipicità del loro “prodotto” e del fatto che – salve alcune attività [8] – lo scopo istituzionale dei consigli regionali non consiste nell’erogazione diretta di servizi ai cittadini [9]. Alla luce della ricostruzione operata in precedenza sul concetto di valore pubblico – considerate le caratteristiche peculiari dei consigli regionali [10] – si ritiene, quindi, opportuno focalizzare l’attenzione sul “prodotto” consiliare.
Se dunque, come previsto dall’art. 121 della Costituzione, “il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi, può fare proposte di legge alle Camere”, nel momento in cui si indaga su quale sia il contributo del Consiglio regionale bisogna pertanto considerare il suo “core business”.   
I profili che si possono individuare sono due [11].
Un primo aspetto vuole rispondere all’esigenza di assicurare una sempre più accurata valutazione degli impatti finanziari delle disposizioni legislative, nonché una più adeguata copertura finanziaria, in ottemperanza al disposto dell’articolo 81 della Costituzione, il cui terzo comma stabilisce che “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
In più occasioni la Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo – nelle relazioni annuali sulla copertura delle leggi di spesa ha richiamato l’importanza della sua quantificazione, in quanto elemento centrale della relazione tecnico-finanziaria di accompagnamento alle proposte di legge, questo quale strumento volto al rispetto del principio di copertura finanziaria.
In particolare, i giudici contabili, in talune occasioni, hanno rilevato una serie di considerazioni: la  carenza, o addirittura l’assenza, degli elementi giuridici e fattuali che possano illustrare compiutamente la base delle varie stime; la mancata dimostrazione, laddove a copertura delle spese vengano richiamati stanziamenti già a bilancio, dell’assenza di altri oneri pregressi già gravanti sulle risorse individuate derivanti da altre leggi già approvate e senza esplicitazione della effettiva disponibilità finanziaria residua; la copertura della spesa per il solo anno di approvazione della legge e non invece per l’intera durata dell’onere, in presenza di spese continuative e ricorrenti di carattere obbligatorio; il ricorso alle clausole di neutralità finanziaria, affermando, senza fornire alcun elemento quantitativo, che il complesso normativo introdotto non produrrebbe oneri aggiuntivi rispetto alle risorse già stanziate.
Si può quindi sostenere che la creazione di valore pubblico viene raggiunta nel momento in cui nelle relazioni tecnico-finanziarie, tutte le volte che si utilizzano le risorse già a bilancio come copertura finanziaria, si concretizza un’attenta quantificazione degli oneri e una specifica ed analitica determinazione delle risorse disponibili per farvi fronte [12]. Vi è, in questa circostanza, un’attenzione più sul lato dell’azione tecnica piuttosto che di quella dell’elaborazione del testo normativo, poiché i rilievi individuati dai giudici sono soddisfatti nel momento in cui vengono prodotti  più accurati elementi giustificativi e valutativi in merito alla riduzione di altre spese, dando atto della non esistenza di obbligazioni giuridiche sottostanti alle spese in diminuzione assicurando per quanto riguarda gli oneri pluriennali, la copertura per tutta la durata dell’onere (e non solo per l’anno di approvazione della legge), nel caso in cui si tratti di spese continuative e ricorrenti di carattere obbligatorio. In sostanza, attraverso l’elaborazione di migliori disposizioni interne improntate ad un maggiore rigore nel garantire l’analiticità e la completezza della relazione tecnico-finanziaria, a corredo dei progetti di legge, si realizza, a giudizio di chi scrive, un incremento del valore pubblico [13].
Un secondo profilo, meritevole di attenzione, riguarda l’approvazione (rectius la legiferazione) di leggi “irrimediabilmente oscure”, che determinano una “intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta”, determinando un contrasto con il principio di ragionevolezza fondato sull’art. 3 della Costituzione. Tale concetto è stato affermato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 110 del 5 giugno 2023, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione in materia edilizia contenuta in una legge regionale [14].
Senza entrare nel merito della decisione della Suprema Corte citata, si può ricordare che “… vi sono modi diversi di essere oscuri: lo sono alcune leggi perché scritte con parole di uso non comune, altre perché sintatticamente involute, altre perché redatte con frasi troppo lunghe, altre perché fanno eccessivi riferimenti ad altre norme, altre ancora perché rispondono all’intento apprezzabile – ma fuori luogo in una legge – di spiegarne la ragione o i presupposti. In secondo luogo, le cause dell’oscurità degli atti giuridici cambiano con il mutare delle condizioni in cui si svolgono l’attività legislativa e quella amministrativa…”. [15]
La Corte Costituzionale aveva già affrontato, in precedenti occasioni [16], il tema delle leggi “oscure” anche rispetto alle disposizioni che regolano la generalità dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, sottolineando che “ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela”. Il ragionamento, illustrato dei giudici della Corte, ha evidenziato che, “una norma radicalmente oscura vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalità e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le condizioni per un’applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parità di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell’art. 3 Cost.”.
Qui non si vuole analizzare, nuovamente, la sentenza o la giurisprudenza costituzionale sul tema [17] ma l’obbiettivo è porre l’accento se il legislatore ha, a fronte di una legge dichiarata incostituzionale per i motivi sopra ricordati, creato disvalore e poteva, invece, evitare di essere “oscuro” creando quindi quel “valore pubblico” che si compone di molti elementi: accountability, responsabilità, buona organizzazione, rispetto della legalità, efficienza, efficacia, economicità, visione del futuro, programmazione e controllo, coinvolgimento degli utenti  e necessariamente l’elaborazione di una norma di “qualità” [18].

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Note

  1. [1]

    Si possono anche citare Deidda Gagliardo 2002, Borgonovi e Mussari 2011.

  2. [2]

    [1] L’art. 6 del DL 80/2021 prevede che il Piano, di durata triennale con aggiornamento annuale, definisce « a) gli obiettivi programmatici  e  strategici  della  performance secondo i principi e criteri direttivi di  cui  all’articolo  10  del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, stabilendo il necessario collegamento  della  performance  individuale  ai  risultati  della performance organizzativa»; « b) la strategia di gestione del  capitale  umano  e  di  sviluppo organizzativo, anche mediante il  ricorso  al  lavoro  agile,  e  gli obiettivi formativi annuali e pluriennali »; « c) (..) gli strumenti  e  gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse  e  della  valorizzazione delle risorse interne»; « d)  gli strumenti e le fasi per giungere  alla  piena  trasparenza dei risultati  dell’attività  e  dell’organizzazione  amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia  di  contrasto  alla corruzione »; « e) l’elenco delle procedure da  semplificare  e  reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla  tecnologia  e  sulla  base della consultazione degli utenti (..); «  f) le modalità e le azioni finalizzate  a  realizzare  la  piena accessibilità alle amministrazioni, fisica e digitale, da parte  dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità;  g) le modalità e le azioni finalizzate al pieno  rispetto  della parità  di  genere,  anche  con  riguardo  alla  composizione  delle commissioni esaminatrici dei concorsi. (..)»; «le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione».

  3. [3]

    Al riguardo, si veda E. Deidda Gagliardo, La creazione di Valore pubblico come nuovo paradigma per valutare le performance delle PA, in Forum PA, 2016.

  4. [4]

    L’introduzione degli indicatori di benessere nella valutazione delle politiche pubbliche ha posto l’Italia in una posizione di assoluto rilievo a livello internazionale. La finalizzazione delle performance organizzative verso il Benessere Equo e Sostenibile costituirebbe una rivoluzione copernicana.” Tratto da “Il Valore Pubblico quale volano per finalizzare le performance di filiera dei Ministeri verso il Benessere Equo e Sostenibile” di Luca Papi, Riccardo Ievoli, Giorgia Gobbo, Enrico Deidda Gagliardo, Fabio Bacchini in Azienda Pubblica, Maggioli ed., n. 4/2020

  5. [5]

    V. M. H. Moore, La creazione di valore pubblico, edizione italiana a cura di Alessandro Sinatra, Milano, 2003.

  6. [6]

    “Il Valore Pubblico” è, dunque, un paradigma caratterizzato da indubbia potenzialità evocativa entrato, come si diceva, con forza nel dibattito sulla riforma della PA. Può essere definito come l’incremento del benessere reale (economico, sociale, ambientale, culturale etc.) che si viene a creare presso la collettività e che deriva dall’azione dei diversi soggetti pubblici, che perseguono questo traguardo mobilitando al meglio le proprie risorse tangibili (finanziarie, tecnologiche etc.) e intangibili (capacità organizzativa, rete di relazioni interne ed esterne, capacità di lettura del territorio e di produzione di risposte adeguate, sostenibilità ambientale delle scelte, capacità di riduzione dei rischi reputazionali dovuti a insufficiente trasparenza o a fenomeni corruttivi). È interessante sottolineare la bidimensionalità presente nella definizione: il Valore Pubblico non fa solo riferimento al miglioramento degli impatti esterni prodotti dalle Pubbliche Amministrazioni e diretti ai cittadini, utenti e stakeholder, ma anche alle condizioni interne all’Amministrazione presso cui il miglioramento viene prodotto (lo stato delle risorse). Non presidia quindi solamente il “benessere addizionale” che viene prodotto (il “cosa”, logica di breve periodo) ma anche il “come”, allargando la sfera di attenzione anche alla prospettiva di medio-lungo periodo” (tratto da “Performance e trasparenza: cos’è il valore pubblico” di Francesco Miggiani in Poliorama , rivista di economia, cultura e diritto, 4 marzo 2020).

  7. [7]

    A tale attività occorre ricordare che concorrono alla determinazione dell’indirizzo politico regionale, esplicano le funzioni di controllo sull’attività della Giunta, nonché ogni altra funzione conferitagli da norme costituzionali, statutarie e da leggi dello Stato e della Regione nonché esercitano altresì la funzione di controllo sull’attuazione delle leggi e di valutazione degli effetti delle politiche regionali.

  8. [8]

    Si pensi, per esempio, alle attività del Corecom, del Difensore civico e delle Autorità di garanzia.

  9. [9]

    In questo contesto potremmo anche inserire la “comunicazione istituzionale”. Durante una conferenza Ocse (Strengthening democracy: High-level policy discussion on the governance of information and the role of traditional and social media – Rafforzare la democrazia: discussione politica ad alto livello sulla governance dell’informazione e sul ruolo dei media tradizionali e sociali), del 17 marzo 2021, è stato affermato che “ … alla comunicazione [e ancora di più se facciamo riferimento alla comunicazione pubblica o in generale quella delle istituzione pubbliche] …  deve essere riconosciuto un <ruolo essenziale> ...”. Un ruolo, dunque, capace di incidere sulla stessa qualità dei servizi che fornisce la Pubblica Amministrazione, attribuendo alla comunicazione anche il valore di “indicatore”.  La corretta informazione è dunque un bene pubblico da “produrre e distribuire”, anche al fine di evitare fake news e l‘asimmetria informativa (prendendo a prestito concetti in altri ambiti, nel caso specifico dalla microeconomia).

  10. [10]

    L’argomento affrontato dovrebbe anche estendersi sull’individuazione delle modalità di lavoro che consentano di valorizzare l’attività di supporto agli organi politici nell’esercizio delle funzioni consiliari, tenendo anche conto che  “il Valore Pubblico non fa solo riferimento al miglioramento degli impatti esterni prodotti dalle Pubbliche Amministrazioni e diretti ai cittadini, utenti e stakeholder, ma anche alle condizioni interne all’Amministrazione presso cui il miglioramento viene prodotto” (Tratto da “Performance e trasparenza: cos’è il valore pubblico” di Francesco Miggiani in Poliorama, rivista di economia, cultura e diritto, 4 marzo 2020). Pur non sviluppando questo aspetto, ritenendolo più legato all’attività amministrativa consiliare, merita comunque un accenno la circostanza che l’amministrazione consiliare potrebbe creare, sotto diversi aspetti, valore pubblico sviluppando diversi obiettivi strategici quali, ad esempio: consolidare il lavoro agile come modalità ordinaria di lavoro; semplificare e reingegnerizzare le procedure interne; promuovere e diffondere tecnologie digitali.

  11. [11]

    Chi scrive, per scelta, si autolimita a due aspetti. In realtà, si potrebbe fin da subito individuare un ulteriore ambito: quello delle missioni valutative. Le missioni valutative sono iniziative volte ad analizzare l’attuazione delle leggi regionali e a valutarne gli effetti delle politiche con modalità che garantiscono la terzietà e l’imparzialità dell’analisi. Tale attività rientra nell’ambito delle iniziative, non da tutti i consigli regionali disciplinati, che le assemblee legislative possono intraprendere per valutare, appunto, i risultati di un intervento pubblico. Il soggetto deputato a tale attività, all’interno delle assemblee legislative che lo hanno previsto, è il Comitato Paritetico di Controllo e Valutazione (CPCV) che esercita, appunto, la funzione di controllo sull’attuazione delle leggi e valutazione degli effetti delle politiche regionali. Si ricorda che la valutazione delle politiche regionali è intesa come produzione sistematica di informazioni fondate sull’evidenza empirica per permettere ai policy maker di formarsi un’opinione sulle azioni pubbliche, con l’intento di migliorarle. In tale contesto occorre richiamare anche lo strumento della clausola valutativa. Dunque, anche quest’ambito è meritevole di indagine per comprende se la “valutazione” genera valore pubblico, e chi scrive è convinto in tan senso. Tuttavia, questo aspetto merita un approfondimento ad hoc e non può, per ragioni anche di sintesi, trovare una adeguato e dignitoso spazio in questo piccolo contributo. In proposito, E. Carola, M. Maccarini, “Leggi e politiche regionali: come capire se funzionano?”, Consiglio regionale della Lombardia, 2023; A. Martini e M. Sisti, Valutare il successo delle politiche pubbliche, Il Mulino, 2009.

  12. [12]

    Si sottolinea che  l’esame della giurisprudenza costituzionale, in materia,  evidenzia che il rischio per le Regioni è non solo sul fronte della spesa ma anche sulla stessa capacità di legiferare, in quanto la Corte costituzionale ritiene ammissibili anche il sindacato su altri parametri oltre a quelli che si richiamano all’articolo 81 Cost: nella sentenza n.138/2019 la Consulta afferma in modo netto che “… deve essere preliminarmente respinta l’eccezione della Provincia autonoma di Bolzano secondo cui la Corte dei conti non sarebbe legittimata a sollevare in sede di parificazione del rendiconto questioni di legittimità costituzionale in riferimento a parametri diversi e ulteriori rispetto agli artt. 81 e 119 Cost. Dalle prospettazioni dei giudici a quibus precedentemente richiamate appare evidente l’incidenza della violazione delle regole di riparto della competenza legislativa, – nel caso di specie di quelle contenute nell’art. 117, secondo comma, lettere l) e o), Cost. – sulla lesione dei princìpi della sana gestione finanziaria presidiati dall’art. 81 Cost.”.

  13. [13]

    La norma finanziaria deve quantificare con esattezza la spesa prevista e provvedere alla contestuale copertura, oppure attestarne, laddove non siano previste nuove o maggiori spese o minori entrate, la neutralità finanziaria. Nel caso di spese pluriennali, occorre indicare l’ammontare complessivo della spesa, nonché la quota eventualmente a carico del bilancio in corso e degli esercizi successivi potendo rimandare l’individuazione degli oneri per gli anni successivi alla legge di approvazione del bilancio dei singoli esercizi finanziari solo per le spese a carattere continuativo non obbligatorie. La relazione tecnico-finanziaria deve inderogabilmente contenere: l’individuazione della tipologia della spesa; la quantificazione quanto più attendibile della spesa; la ricostruzione logica e analitica del percorso seguito per la quantificazione degli oneri; l’individuazione delle risorse necessarie a dar loro copertura finanziaria. Laddove non siano previste nuove o maggiori spese o minori entrate, la relazione tecnicofinanziaria deve riportare un’analitica dimostrazione di quanto asserito e contenere la c.d. clausola di neutralità finanziaria secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 6 bis, della legge n. 196/2009.

  14. [14]

    Nello specifico della Regione Molise. La norma in questione stabiliva l’ammissibilità di non meglio precisati “interventi” all’interno di “fasce di rispetto” contenute nelle “aree di piano”, senza precisare a quali piani facesse riferimento. L’ammissibilità di tali interventi, d’altra parte, era prevista “previa V.A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto”: espressione giudicata incomprensibile dalla Corte, anche a fronte della circostanza che la Regione aveva assegnato all’acronimo “V.A.” due significati diversi (“valutazione ambientale” e “verifica di ammissibilità”) nelle proprie stesse difese. Infine, la disposizione in questione non si inseriva in alcuna legge preesistente, restando per così dire “sospesa nel vuoto”: ciò che rendeva impossibile lo stesso tentativo di interpretare i suoi requisiti alla luce dello specifico contesto normativo di riferimento. Dopo aver richiamato, in particolare, le proprie precedenti sentenze in materia di sufficiente precisione delle norme penali e delle leggi che impongono limiti ai diritti fondamentali della persona, la Corte ha osservato che anche rispetto alle disposizioni che regolano la generalità dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini “ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela”.

  15. [15]

    Così Sabino Cassese in “Il dovere costituzionale di farsi capire. A trent’anni dal Codice di Stile”, a cura di Maria Emanuela Piemontese, Carocci Editore. 2023

  16. [16]

    La Consulta si espressa in diverse circostanze. Si ricorda la sentenza n. 107/2017 che ha affermato che è censurabile, alla luce del principio di razionalità normativa, la formulazione che da luogo ad applicazioni distorte (prima ancora cfr. sentenza n. 10 del 1997) o ambigue (cfr. sentenza n. 200 del 2012), che contrasti, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell’azione amministrativa, secondo principi di legalità e di buona amministrazione. Questo principio si spinge anche all’ambiguità semantica. Si richiamano anche le sentenze Corte Cost. Sentenza n. 181/2014; Sentenza n. 70/2013 e Sentenza n. 13/2012. In un caso, nel 2013, è stato osservato che nel caso in cui ci fosse un esercizio della discrezionalità legislativa manifestamente irragionevole questa si traduce in un cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione

  17. [17]

    In dottrina si veda: Aida Giulia Arabiaì, La legge oscura. Come e perché è incostituzionale,  Osservatorio Costituzionale 5 marzo 2024; Andrea Bonomi, La forma è sostanza: quando una legge è irrimediabilmente oscura e come tale incostituzionale, Consulta online periodico telematico fascicolo I, 2024; Niccolò Ferracuti, Le leggi-labirinto e la crisi della certezza del diritto, Consulta online periodico telematico fascicolo I, 2024; Carla di Martino, Il diritto costituzionale alla “non radicale inintelligibilità” delle disposizioni, Consulta online periodico telematico fascicolo III, 2023; Clemente Forte, Quantificazione e copertura degli oneri continuativi correnti delle leggi di spesa: recenti orientamenti della Corte costituzionale di cui alle sentenze nn. 48, 57, 82, 84 e 110 del 2023, Osservatorio Costituzionale 3 ottobre 2023; Simone Scagliarini, La corte e la tecnica legislativa, Consulta online periodico telematico fascicolo III, 2023; Luca di Majo, Una legge “radicalmente oscura” è incompatibile con la Costituzione. Nota a Corte Costituzionale, sentenza n. 110/2023, Consulta online periodico telematico fascicolo II, 2023; Matteo Milanese, L’incostituzionalità delle “disposizioni irrimediabilmente oscure”. Riflessioni a margine di Corte Cost. Sentenza n. 110/2023; P.C. Ancora un (notevole) avanzamento nella giustiziabilità del drafting legislativo (osservazioni minime a prima lettura di Corte Cost. n. 110/2023), Consulta online periodico telematico fascicolo II, 2023

  18. [18]

    Anche se in un altro contesto, ma che comunque richiama ragioni di chiarezza espositiva, si può ricordare il parere, del 3 agosto 2016, della Giunta per il regolamento della Camera dei deputati in materia di numero massimo di parole che deve avere un atto di sindacato ispettivo. L’obiettivo del parere è stato quello di razionalizzare l’utilizzo degli strumenti di sindacato ispettivo, da parte dei membri della Camera dei deputati, cercando di favorire la formulazione di quesiti brevi, coincisi e diretti. Nello specifico il parere afferma che “ … gli atti di sindacato ispettivo devono essere formulati in modo sintetico, essenziale e diretto, focalizzandosi sul quesito rivolto al Governo (e) la parte premissiva o motivazione è solo eventuale e deve essere comunque strettamente collegata alla formulazione del quesito, evitando valutazioni, considerazioni o il richiamo a elementi informativi che risultino ultronei o non essenziali alla costruzione della domanda.” Per quanto attiene i limiti al numero di parole con cui è possibile formulare un atto di sindacato ispettivo questo corrisponde a: 1000 parole per le interpellanze urgenti, 800 per le interpellanze, 400 per le interrogazioni a risposta immediata e, infine, 600 per gli altri tipi di interrogazioni. È prevista una sospensione della pubblicazione, fino al termine dell’accertamento sulla sua ammissibilità, se l’atto supera tali soglie del 25%. Negli altri casi di superamento, l’atto è considerato automaticamente inammissibile. Si veda “Quando la lunghezza degli atti di sindacato ispettivo ne determina l’inammissibilità” (Osservazioni al parere della Giunta per il Regolamento del 3 agosto 2016) Stefano Bargiacchi, in Amministrazione in cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione, 31 gennaio 2017, a cura del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”.

Marzio Maccarini

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