La notificazione della cartella di pagamento tramite PEC continua a sollevare interrogativi in ordine alla validità del documento allegato. In particolare, la mancata apposizione della firma digitale in formato “.p7m” è stata frequentemente oggetto di contenzioso, con orientamenti non sempre uniformi circa la portata del vizio e i suoi effetti. La pronuncia della Corte di Cassazione n. 29048/2025 interviene nuovamente sulla materia, precisando il ruolo della posta elettronica certificata e delineando in modo più netto i criteri di validità della copia notificata. Per approfondire, consigliamo il volume “Come cancellare i debiti fiscali – Cartelle esattoriali, avvisi di accertamento e ingiunzioni fiscali”, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. La questione: il formato del documento notificato e la natura del vizio
- 2. Il contenzioso: l’impugnazione del contribuente e le doglianze dell’agente della riscossione
- 3. La validità della notifica PEC senza firma digitale: onere di contestazione e valore probatorio
- 4. La sanatoria del vizio di notifica: la conoscenza dell’atto come criterio determinante
- 5. Spunti sistematici e ricadute operative
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1. La questione: il formato del documento notificato e la natura del vizio
La Suprema Corte affronta il tema partendo da un presupposto essenziale: la notificazione a mezzo PEC, per sua stessa natura, garantisce l’autenticità della provenienza del messaggio e degli allegati. Di conseguenza, il problema della firma digitale riguarda non la formazione dell’atto, bensì la sua idoneità a provare la conformità della copia trasmessa all’originale. Per approfondire, consigliamo il volume “Come cancellare i debiti fiscali – Cartelle esattoriali, avvisi di accertamento e ingiunzioni fiscali”, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
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2. Il contenzioso: l’impugnazione del contribuente e le doglianze dell’agente della riscossione
Nel caso oggetto del giudizio, la cartella di pagamento era stata trasmessa in formato “.pdf” privo di firma digitale. Il contribuente aveva contestato la validità della notifica, ritenendo indispensabile che l’allegato fosse in estensione “.p7m”, e la Commissione tributaria regionale aveva accolto il ricorso. L’agente della riscossione, impugnando la sentenza, aveva evidenziato due profili:
- l’assenza, da parte del contribuente, di qualsiasi disconoscimento formale della conformità della copia ricevuta rispetto all’originale;
- la circostanza che il contribuente, avendo proposto ricorso contro la cartella, aveva comunque dimostrato di aver acquisito piena conoscenza dell’atto, rendendo in ogni caso superflua la discussione sulla regolarità formale della notifica.
Tali questioni diventano centrali nel ragionamento degli Ermellini, i quali colgono l’occasione per ricostruire in modo più sistematico la funzione della notifica telematica nel sistema delle riscossioni.
3. La validità della notifica PEC senza firma digitale: onere di contestazione e valore probatorio
Il primo chiarimento della Corte riguarda la necessità – o meno – del formato “.p7m”. L’ordinanza ribadisce che l’allegazione di un file “.pdf” non firmato digitalmente non è causa di nullità della notifica. La ragione è duplice.
Da un lato, la PEC assicura l’identità del mittente e la genuinità dell’invio, svolgendo una funzione equiparabile a quella della sottoscrizione quanto alla provenienza del documento. Dall’altro lato, la validità della copia informatica dipende dall’eventuale disconoscimento da parte del destinatario: solo un’esplicita contestazione della conformità tra copia e originale può compromettere l’idoneità probatoria dell’atto.
Ne deriva che l’onere di attivarsi grava sul contribuente. Se quest’ultimo non contesta la conformità in modo formale e puntuale, la copia “.pdf” notificata è pienamente utilizzabile e idonea a fondare la pretesa dell’amministrazione. La Corte valorizza, ancora una volta, l’approccio sostanzialistico già emerso in precedenti pronunce, privilegiando il diritto di difesa effettivo rispetto alle rigidità formali.
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4. La sanatoria del vizio di notifica: la conoscenza dell’atto come criterio determinante
Oltre alla questione del formato, la Cassazione richiama il principio generale della sanatoria per raggiungimento dello scopo, applicabile anche in materia tributaria. In forza del combinato disposto degli artt. 26 DPR 602/1973, 60 DPR 600/1973 e 156 c.p.c., il vizio formale è sanato quando il destinatario ha comunque avuto conoscenza dell’atto. La proposizione del ricorso da parte del contribuente rappresenta, in tal senso, la prova più evidente della conoscenza effettiva.
Il difetto del formato “.p7m”, pertanto, integra un’irregolarità priva di efficacia invalidante: l’atto raggiunge il suo scopo se il contribuente lo impugna, e ciò rende irrilevante la discutibile correttezza della modalità tecnica della trasmissione.
5. Spunti sistematici e ricadute operative
La decisione offre indicazioni utili per gli operatori del diritto tributario e per gli enti della riscossione. In particolare:
- la cartella notificata via PEC in semplice formato “.pdf” è valida, a meno che il contribuente non ne disconosca formalmente la conformità;
- il ricorso proposto dall’interessato sana eventuali irregolarità della notificazione, sempre che l’atto sia stato effettivamente conosciuto;
- l’attenzione dell’interprete deve spostarsi dal formalismo procedurale alla verifica dell’effettivo esercizio del diritto di difesa.
La pronuncia si inserisce in un percorso giurisprudenziale che mira a coniugare le ragioni dell’efficienza amministrativa con la tutela del contribuente, premiando la sostanza degli atti rispetto alle formalità tecniche non essenziali.
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