Va quindi condiviso il dedotto difetto motivazionale che inficia l’impugnato provvedimento di autotutela, avuto particolare riguardo alla mancata emersione delle sottese ragioni di pubblico interesse

Lazzini Sonia 02/12/10
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Va quindi condiviso il dedotto difetto motivazionale che inficia l’impugnato provvedimento di autotutela, avuto particolare riguardo alla mancata emersione delle sottese ragioni di pubblico interesse.

Sul punto vale osservare che la giurisprudenza si è data carico di precisare, per quanto concerne le pubbliche selezioni per l’affidamento a privati di lavori o servizi, gli ambiti di legittima esercitabilità del potere di autotutela; conseguentemente va affermata, in generale , la sussistenza di uno jus poenitendi da parte dell’Amministrazione, inteso come facoltà di revocare o annullare la gara, ma solo laddove vi siano preminenti esigenze pubbliche che lo impongano, fatta salva (anche in considerazione della fase procedimentale più o meno avanzata, in cui le dette esigenze vengano rilevate) l’eventuale responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c. (T.A.R. Toscana, sez. I, 30 maggio 1991 n. 313).

In altri termini occorre che sopravvengano circostanze che rivelino il mutamento dell’interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto e di tale sopraggiunto mutamento l’Amministrazione deve nondimeno dare puntuale ed accurata motivazione nell’ambito del provvedimento di revoca (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1990 n. 28; Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1996 n. 1263 e sez. VI, 29 marzo 1996 n. 518, 30 aprile 1994 n. 652 e 16 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 1998 n. 3261).

Trattasi di direttrici ermeneutiche da ultimo recepite a livello legislativo attraverso la puntuale regolamentazione del potere di revoca provvedimentale ad opera dell’art. 21 quinquies L. 241/1990, introdotto dalla legge. n. 15/2005: tale norma, infatti, circoscrive con rigore i presupposti (prevedendo non solo le tradizionali ipotesi costituite dalla sopravvenienza di motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, ma anche l’eventualità di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario) e le condizioni per il legittimo esercizio di siffatto potere di autotutela, nonché i conseguenti effetti (rispettivamente, sul piano dell’attività amministrativa, la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti; sul piano della tutela patrimoniale dei privati, l’obbligo generale di indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti direttamente interessati, in conseguenza della revoca).

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha esercitato questa facoltà adducendo argomentazioni niente affatto persuasive, disattendendo la particolare cautela che legittima l’esercizio da parte della p.a. di siffatto ius poenitendi.

La censura dedotta è da ritenersi meritevole di accoglimento e, comportando la fondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, determina l’assorbimento delle ulteriori censure non espressamente esaminate, ivi compresa la richiesta risarcitoria o indennitaria.

Il ricorso, quindi, va accolto con conseguente annullamento delle determinazioni di revoca dell’affidamento del servizio e declaratoria di inefficacia dell’atto di scioglimento del contratto.

 

 

A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 22688 del 4 novembre 2010 pronunciata dal Tar Campania, Napoli

 

N. 22688/2010 REG.SEN.

N. 02661/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2661 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ricorrente s.p.a., Ricorrente due S.p.A., rappresentati e difesi dagli avv. ***********, ********************, con domicilio eletto presso *********** in Napoli, viale Gramsci 16;

contro

Comune di Marigliano in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall’avv. *****************, con domicilio eletto in Napoli, piazza ************ n.10;

per l’annullamento

della delibera di G.M. n. 10 del 08/02/2010 di avvio del procedimento di revoca dell’affidamento dell’appalto avente ad oggetto la gestione e manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica; e di ogni altro atto connesso e conseguente.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Marigliano;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2010 il dott. **************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

L’amministrazione comunale di ********** ha avviato una procedura di revoca dell’affidamento e di risoluzione del contratto stipulato con la ricorrente per la gestione e manutenzione degli impianti di illuminazione elettrica.

Avverso tali atti si dirigono il ricorso originario ed i motivi aggiunti, che censurano l’operato dell’amministrazione sotto il profilo della mancata evidenziazione dell’interesse pubblico sotteso alla emanazione del provvedimento di secondo grado, suscettibile di conculcare il legittimo affidamento del gestore alla prosecuzione del rapporto contrattuale.

Si è costituita l’amministrazione comunale che conclude per il rigetto del ricorso. Accolta la richiesta cautelare con ordinanza 1194 del 2010, confermata in sede di appello con ordinanza 4495/2010, all’udienza di discussione del 6 ottobre 2010 la causa è trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente va respinta l’eccezione sollevata in rito dall’amministrazione comunale, secondo cui Consip rivestirebbe la qualifica di controinteressato.

Il sistema centralizzato di acquisto di beni e di servizi per la pubblica amministrazione, istituito dalla L. 23/12/1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) e gestito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso una società concessionaria (CONSIP s.p.a), si configura quale convenzione quadro per l’acquisizione di beni e servizi. I singoli contratti di fornitura devono considerarsi conclusi a tutti gli effetti con l’emissione dell’ordinativo di fornitura da parte dell’amministrazione interessata.

La presenza di una convenzione quadro tra Consip e fornitore – destinata a promuovere un numero indeterminato di contratti – rivela l’esistenza di un collegamento negoziale necessario fra i due rapporti, di modo che gli effetti del primo si comunicano anche al conseguente ordinativo richiesto dall’amministrazione contraente.

L’accordo-quadro si qualifica giuridicamente come contratto normativo (Consiglio Stato sez. II, 26 luglio 1995 n. 1964). Pertanto, sul piano civilistico, l’originario contratto programmatico necessita di essere via via attuato mediante ulteriori e distinti accordi negoziali mano a mano conclusi tra l’amministrazione contraente ed il fornitore.

In tale situazione, il Ministero dell’Economia si presenta come amministrazione agente mediante interposizione di altro soggetto a tale scopo espressamente istituito ex lege; tale soggetto adempie all’obbligo nazionale e comunitario di individuare il migliore contraente tramite procedure ad evidenza pubblica, di modo che non può considerarsi elusiva di tale obbligo la adesione di amministrazioni pubbliche alle convenzioni Consip, sussistendo una economicità intrinseca dei beni e servizi offerti dal sistema Consip poiché questi consentono di conseguire risparmi sia diretti, ottenibili in virtù del miglior prezzo offerto dalla convenzione quale risultato di una gara comunitaria ad evidenza pubblica, sia indiretti, consistenti nella riduzione dei costi per il potenziale contenzioso e nella riduzione dei tempi di avvio, espletamento e perfezionamento delle procedure di acquisto di beni e servizi.

Con l’effetto che la scelta di aderire alla convenzione Consip, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, proprio perché la individuazione del miglior contraente avviene nel rispetto dei principi comunitari, non richiede da parte della amministrazione che se ne avvale una specifica motivazione dell’interesse pubblico che la sottende.

Ed infatti per le amministrazioni non statali vi è una facoltà implicitamente desumibile dalla norma senza che per questo incomba sulla stesse un obbligo di motivazione sul perché della scelta di avvalersi o di non avvalersi della convenzione. E’ l’ente che, nell’ambito della sua autonomia e nell’esercizio di una attività non imposta ma consentita dalla norma, assume la decisione di aderire alla convenzione e tale adesione non necessita del supporto di una specifica delibera (cfr. C.d.S., Sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7261).

In altri termini, mentre dal punto di vista amministrativo l’affidamento a valle trova esclusivamente un presupposto giustificativo nella stipula di una convenzione a monte (e dunque i relativi procedimenti di evidenza pubblica sono autonomi e separati), il legame vale sul piano civilistico secondo lo schema del collegamento negoziale.

Da tali considerazioni emerge l’insostenibilità della tesi del comune e la insussistenza della qualità di controinteressato in capo a Consip, che non è pregiudicata in alcun modo dalla presentazione del ricorso e dei connessi motivi aggiunti.

Nel merito, il procedimento di secondo grado gravato si basa su un duplice presupposto: da un lato il comune ha aderito alla convenzione stipulata, a monte, dal Consip, pochi giorni prima che si esaurisse la vigenza dell’accordo quadro stipulato fra Consip e la ricorrente; dall’altro l’erroneo computo dei punti luce distribuiti sul territorio comunale espone l’amministrazione ad un esborso superiore a quello derivante dalla indizione di una nuova gara.

In primo luogo occorre chiarire che il procedimento di secondo grado concluso dall’amministrazione comunale deve essere qualificato alla stregua di una revoca in senso stretto, non emergendo profili di illegittimità dell’affidamento originario.

Sul piano dell’opportunità e della perdurante convenienza del rapporto contrattuale, che costituiscono i parametri per vagliare la legittimità della revoca del provvedimento amministrativo, non sembra avere nessun rilievo il momento in cui il contratto è stato stipulato, anche laddove, come nella specie, esso sia stato concluso mediante adesione ad un convenzione Consip che si sarebbe esaurita pochi giorni dopo. Il dato è giuridicamente ininfluente e sembra essere utilizzato nell’impianto motivazionale della revoca più come elemento suggestivo che come presupposto giuridico giustificativo.

Le ulteriori motivazioni poggiano su un giudizio di scarsa convenienza dell’accordo concluso fra la ricorrente e l’amministrazione locale, sia perché le ditte locali sarebbero in grado di svolgere il servizio in maniera più economica, sia perché l’errore in eccesso di punti luce da manutere avrebbe consentito alla parte contraente una speculazione indebita.

Sul primo punto, vale rimarcare l’estrema genericità dell’affermazione che potrebbe al più valere ad indurre la stazione appaltante ad effettuare una appropriata indagine di mercato prima di deliberare in futuro sul metodo di affidamento, ma certamente non può essere causa di ripensamento da parte della pubblica amministrazione, consentendole una sorta di recesso ad nutum travestito sotto le spoglie della revoca del provvedimento di affidamento del servizio, salva la dimostrazione di una antieconomicità tale da conculcare l’interesse pubblico all’efficiente utilizzazione delle risorse dell’amministrazione.

In merito al secondo punto occorre precisare che, quanto alle prestazioni pregresse, l’eventuale locupletazione indebita da parte della società affidataria, in tesi comunque addebitabile alla mancata vigilanza degli organi dell’amministrazione comunale preposti alla tutela della corretta esecuzione del contratto, può trovare adeguato correttivo mediante la proposizione di un’appropriata azione civilistica; mentre quanto alle prestazioni ancora da rendersi, la convenzione-contratto prevede uno specifico meccanismo per adeguare costantemente il rapporto contrattuale al numero di punti-luce presenti sul territorio (cfr. il procedimento di revisione-correzione di cui all’articolo 7 della convenzione Consip).

Va quindi condiviso il dedotto difetto motivazionale che inficia l’impugnato provvedimento di autotutela, avuto particolare riguardo alla mancata emersione delle sottese ragioni di pubblico interesse.

Sul punto vale osservare che la giurisprudenza si è data carico di precisare, per quanto concerne le pubbliche selezioni per l’affidamento a privati di lavori o servizi, gli ambiti di legittima esercitabilità del potere di autotutela; conseguentemente va affermata, in generale , la sussistenza di uno jus poenitendi da parte dell’Amministrazione, inteso come facoltà di revocare o annullare la gara, ma solo laddove vi siano preminenti esigenze pubbliche che lo impongano, fatta salva (anche in considerazione della fase procedimentale più o meno avanzata, in cui le dette esigenze vengano rilevate) l’eventuale responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c. (T.A.R. Toscana, sez. I, 30 maggio 1991 n. 313).

In altri termini occorre che sopravvengano circostanze che rivelino il mutamento dell’interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto e di tale sopraggiunto mutamento l’Amministrazione deve nondimeno dare puntuale ed accurata motivazione nell’ambito del provvedimento di revoca (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1990 n. 28; Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1996 n. 1263 e sez. VI, 29 marzo 1996 n. 518, 30 aprile 1994 n. 652 e 16 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 1998 n. 3261).

Trattasi di direttrici ermeneutiche da ultimo recepite a livello legislativo attraverso la puntuale regolamentazione del potere di revoca provvedimentale ad opera dell’art. 21 quinquies L. 241/1990, introdotto dalla legge. n. 15/2005: tale norma, infatti, circoscrive con rigore i presupposti (prevedendo non solo le tradizionali ipotesi costituite dalla sopravvenienza di motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, ma anche l’eventualità di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario) e le condizioni per il legittimo esercizio di siffatto potere di autotutela, nonché i conseguenti effetti (rispettivamente, sul piano dell’attività amministrativa, la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti; sul piano della tutela patrimoniale dei privati, l’obbligo generale di indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti direttamente interessati, in conseguenza della revoca).

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha esercitato questa facoltà adducendo argomentazioni niente affatto persuasive, disattendendo la particolare cautela che legittima l’esercizio da parte della p.a. di siffatto ius poenitendi.

La censura dedotta è da ritenersi meritevole di accoglimento e, comportando la fondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, determina l’assorbimento delle ulteriori censure non espressamente esaminate, ivi compresa la richiesta risarcitoria o indennitaria.

Il ricorso, quindi, va accolto con conseguente annullamento delle determinazioni di revoca dell’affidamento del servizio e declaratoria di inefficacia dell’atto di scioglimento del contratto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato e dichiara inefficace la risoluzione del rapporto contrattuale. Condanna l’amministrazione comunale intimata al pagamento del contributo unificato come per legge ed alla refusione delle spese e competenze del giudizio che si liquidano in complessive 2.000 (duemila) euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

*************, Presidente

**************, Consigliere

Michele Buonauro, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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