Usi civici e protezione ambientale: dalla legislazione montana alla legge n. 168/2017

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Un ordinamento primario

La legge n. 168 del 20 novembre 2017 riconosce i domini collettivi quali ordinamenti giuridici primari delle «comunità originarie»[1] ed «elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali»[2]. Il richiamo al secondo articolo della nostra Costituzione, inoltre, li sottopone direttamente alla tutela della Repubblica italiana[3]. In linea con alcune disposizioni normative del passato, il Legislatore sottolinea anche il ruolo fondamentale degli usi civici nella protezione ambientale e paesaggistica[4], essendo «strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale»[5] e «basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale»[6].

La legislazione montana

I Legislatori che si occuparono della gestione delle aree montane, a partire dagli anni cinquanta del Novecento, furono i primi a individuare negli usi civici e, in generale, negli assetti fondiari collettivi istituzioni fondamentali per la tutela delle zone interne del Paese. La legge n. 991 del 25 luglio 1952 riconobbe l’alto valore culturale, economico e sociale delle comunità agro-silvo-pastorali appenniniche e alpine, come già un’altra disposizione normativa, la n. 3267 del 30 dicembre 1923, aveva sottolineato a proposito della gestione dei patrimoni forestali[7]. Le vicende giuridiche seguite alla promulgazione della ben nota legge n. 1766 del 16 giugno 1927 per il riordino degli usi civici, infatti, avevano per anni rinviato una seria riflessione sulla loro utilità ai fini della preservazione del paesaggio rurale italiano.

Dalla legge Galasso al Codice Urbani

Giuseppe Galasso, storico meridionalista e deputato repubblicano, fu il promotore politico della legge n. 341 dell’8 agosto 1985, che da lui prende il nome (Legge Galasso)[8]. Per la prima volta, esplicitamente, si annoverarono «le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici»[9] tra le terre sottoposte a vincolo ambientale. Come la legge n. 991/1952, anche la successiva normativa n. 97 del 31 gennaio 1994 dava risalto alle comunioni familiari montane e a tutti gli altri enti agro-silvo-pastorali. Il Legislatore ribadì le prescrizioni della Legge Galasso e sottolineò la necessità di rivalutarle «sia sotto il profilo produttivo, sia sotto quello della tutela ambientale»[10]. Nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, ovvero il decreto legislativo n. 490 del 29 gennaio 1999, venne ripresa l’intuizione del Galasso, vincolando di nuovo le aree gravate da uso civico o assegnate alle università agrarie. Queste disposizioni furono successivamente inserite nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, ossia il decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, conosciuto come Codice Urbani, dal nome del Ministro dei beni e delle attività culturali, il professore Giuliano Urbani.

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Note

[1] Articolo 1, legge n. 168 del 20 novembre 2017, in “Gazzetta Ufficiale” n. 278 del 28 novembre 2017

[2] Articolo 2, comma a, ivi

[3] Articolo 1, ivi

[4] Articolo 1, comma d, ivi

[5] Articolo 3, comma b, ivi

[6] Articolo 1, comma d

[7] Michele Tamponi, Gli interessi tutelati nella gestione delle terre di godimento collettivo, in “Archivio Scialoja – Bolla. Annali di studi sulla proprietà collettiva”, n. 1, 2011, p. 19

[8] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, Siena, Pacini Editore, 2016, p. 44

[9] Articolo 1, comma h, legge n. 341 dell’8 agosto 1985, in “Gazzetta Ufficiale” n. 197 del 22 agosto 1985

[10] Articolo 3, legge n. 97 del 31 gennaio 1994, in “Gazzetta Ufficiale” n. 10 del 14 gennaio 1994

Alfredo Incollingo

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