Un gruppo definito “collegio”

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Fu una battaglia degna di essere ricordata per il rabbioso coraggio delle truppe inglesi e per la straordinaria incompetenza dimostrata dai generali di ambo le parti”

(Woodham-Smith, Balaclava, Rizzoli 2002)

 

Solitamente i membri del gruppo forniti di leadership formale hanno la tendenza a proporre/imporre le proprie idee, avendone i mezzi per indurre i membri del gruppo a modificare il loro agire, tuttavia l’influenza sociale è un processo bidirezionale, circostanza che porta comunque ad una influenza sull’azione del leader.

Accanto allo status riconosciuto e formalizzato, vi sono leadership informali che possono nascere dalla personalità (teoria della personalità) o dalle richieste funzionali della situazione (teoria situazionale).

Si realizzano nel gruppo due leadership, una esperta del compito, l’altra nel settore socio-emozionale, la prima fornita dalle abilità tecniche necessarie, la seconda capace di fornire risposte alle manifestazioni emotive all’interno del gruppo, i due ruoli possono essere separati e convergenti, ma questo non esclude la possibilità di raccoglierli in una unica leadership; pertanto il leader migliore risulta essere colui che pur riuscendo a realizzare le attività del gruppo resta sensibile alle opinioni e ai sentimenti dei membri.

Il fattore efficienza della leadership si realizza praticamente come una variabile dipendente tra stile del leader e tipo di situazione da affrontare, in altre parole l’atteggiamento del leader dipende dalla situazione più o meno favorevole (Modello interazionista).

Fiedler ha individuato a riguardo tre elementi che determinano la “favorevolezza” della situazione:

  • L’atmosfera del gruppo (fiducia, lealtà, rispetto);

  • La struttura del compito, in cui vi siano istruzioni chiare per raggiungere uno scopo ben definito;

  • Il potere che possiede il leader in termini di ricompense e sanzioni;

in questo schema si può osservare che la relazione leader-membri è la più importante, solo successivamente si strutturano il compito e il potere, deve comunque notarsi che in gruppi caratterizzati da una forte componente tecnica è su questa capacità che si fonda una notevole parte della leadership.

Recentemente l’aspetto piuttosto statico dello schema di Fiedler , per il quale i tratti di una personalità restano immodificabili, è stato sottoposto a critica in favore di una analisi della leadership come processo, emerge a tale proposito l’importanza delle norme nella regolamentazione del comportamento del gruppo, infatti viene evidenziato che ciascun individuo è influenzato dalle norme comportamentali costituite nel gruppo talché il leader è custode delle norme ma può anche essere elemento innovativo proponente l’adozione di nuove norme.

Hollander osserva che la leadership si costruisce inizialmente sulla propria “credibilità” di fronte al gruppo, definita come “credibilità idiosincratica” questa fornisce la legittimità necessaria per influenzare i membri e innovare le regole del gruppo, uno dei momenti fondamentali in questo processo è quello di adeguarsi inizialmente alle norme del gruppo stesso, dobbiamo considerare che tre sono le fonti di legittimità:

  • Il processo mediante il quale il leader ha raggiunto la propria posizione, elezioni interne o esterne, nomina da autorità esterna o altro;

  • Capacità di raggiungere i compiti del gruppo;

  • Identificazione del leader con gli ideali e le aspirazioni del gruppo.

Inoltre devono considerarsi i rapporti esistenti tra i gruppi, infatti sussiste una stretta interdipendenza tra i processi all’interno del gruppo e quelli tra i gruppi, la leadership viene consolidata dalla capacità relazionale intergruppi.

Bavelas concepisce i gruppi come “legami” di comunicazione nel quale la leadership assume un ruolo corrispondente ad un “indice di centralita”, in cui tuttavia la crescente complessità dei compiti impone l’analisi e l’integrazione di una maggiore quantità di informazioni, circostanza che conduce ad una decentralizzazione della comunicazione nel gruppo a seguito di una sua superiore efficienza in presenza di una elevata elaborazione.

La funzione integrativa che ricade solo su un soggetto può determinare un “sovraccarico cognitivo”, si ché risulta più economico non centralizzare eccessivamente i processi decisionali compensando rapidità di decisione e necessità di una ampia raccolta ed elaborazione delle informazioni.

Altro elemento che interviene in un gruppo è la motivazione che per Vroom è una combinazione moltiplicatoria dell’aspettativa, intesa quale probabilità soggettiva al raggiungimento di un determinato obiettivo, con l’utilità soggettiva che il soggetto attribuisce alla meta-incentivo (teoria aspettativa-valore).

La formazione dell’aspettativa è a sua volta il risultato del rapporto della scala di valori propri dell’individuo con la specifica esperienza nel promuovere i comportamenti necessari al raggiungimento dell’obiettivo, il raggiungimento della meta-incentivo costituisce una funzione di rinforzo nel confermare l’impegno senza mai confondere la “valenza dell’incentivo”, come soddisfazione anticipata, dal “valore del risultato”, in cui vi è una soddisfazione reale.

In qualsiasi decisione rimane comunque la possibilità di una “dissonanza cognitiva”, per cui il processo di decisione non si esaurisce con la decisione stessa, ma restano sempre presenti le possibili alternative scartate, si ché necessita una continua riconferma della decisione presa al fine di ridurre tale tensione.

Questo può accadere in quanto, secondo la “teoria della dissonanza cognitiva”, l’individuo tende a mantenere una certa coerenza tra conoscenze, credenze e opinioni costituenti i propri elementi cognitivi, questo induce ad eliminare la dissonanza proprio all’interno del dato cognitivo dissonante di minore resistenza.

L’intensità della dissonanza cognitiva deriva dall’importanza che la decisione ha per l’individuo, il numero delle alternative che si presentano, le caratteristiche positive e negative delle alternative.

Se il vincolo su una decisione è esterno l’intensità della dissonanza è in rapporto inverso al valore dell’incentivo e viene a diminuire nel tempo.

Questo bisogno di coerenza mentale è caratteristico dell’attività post- decisionale, del tutto differente dal conflitto che precede la decisione, nonché dal “rimpianto”, nel quale si rifiuta la decisione presa polarizzandosi sugli attributi positivi dell’alternativa rifiutata, ma il gruppo può essere anche un luogo conflittuale, fonte e origine di frustrazione, del sorgere di ostacoli alla soddisfazione dei propri bisogni, che diventano carichi di emotività, sia nell’ipotesi di ostacoli ambientali organizzativi che nell’ipotesi inversa di carenze personali psicologiche o professionali.

Tuttavia nonostante sia una esperienza spiacevole la frustrazione non è sempre negativa e destabilizzante sul comportamento, se non addirittura utile ai fini di una maturazione dell’individuo, quello che la caratterizza è la sua intensità, la durata della stessa, la possibilità di superarla mediante compensazione, nonché la sua arbitrarietà, pertanto la tollerabilità del livello di frustrazione costituisce un indice della maturazione dell’individuo, come la capacità di analisi critica del proprio comportamento.

Se il fattore tempo è un elemento fondamentale sulle dinamiche della frustrazione, altri “meccanismi di difesa” come l’autoinganno possono favorire l’adattamento psicologico dell’individuo proteggendone l’autostima.

Dobbiamo considerare che l’organizzazione è fonte di incentivi per alcuni elementi propri dell’uomo, quali il successo, lo sviluppo, autorealizzazione e la sicurezza; in essa si sviluppano sentimenti quali l’orgoglio che può assumere due facce opposte, quella di un alto livello di autostima o al contrario di narcisismo, quando il singolo si pone quale causa predominante di un evento nella prima ipotesi, instabile e controllabile, orientata all’obiettivo, nella seconda stabile e non controllabile, presuntuosa rappresentazione relativa al proprio se globale.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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