Un esempio concreto di c.d. “Amministrazioni istituzionalmente integrate”: la costruzione ed il governo del piano di zona triennale (2006-2008) per gli interventi sociali dell’ambito territoriale dei Comuni di Sesto S. Giovanni e Cologno Monzese (in Provi

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1) Oggetto, finalità e metodo.
 Scopo del presente lavoro è esplicitare la complessità del processo di costruzione di un “piano” nella pubblica amministrazione locale e, soprattutto, il tentativo innovativo di integrazione politica e amministrativa in atto in diverse realtà locali. Alcuni ambiti della legislazione favoriscono l’integrazione e una visione comune rispetto ad un serie di problematiche. Il settore che verrà sinteticamente studiato riguarda gli interventi e i servizi alla persona di natura sociale, destinati a tutte le fasce di popolazione, dall’infanzia alla vecchiaia, alle situazioni di disabilità e povertà. La legislazione sociale ha assunto un assetto sempre più integrato a partire dalla legge nazionale n. 328/ 2000[1], che ha ridefinito e dato ordine al sistema degli interventi sociali. Il protagonismo delle Regioni e dei Comuni in ambito sociale è stato favorito anche dalla riforma del titolo V della Costituzione, entrata in vigore l’8 novembre 2001[2], dopo il referendum confermativo del 7 ottobre dello stesso anno, in seguito all’approvazione della Legge Costituzionale n. 3/2001 avvenuta in Senato in ultima lettura l’8 marzo 2001 senza la richiesta della maggioranza qualificata dei due terzi e in un clima politico condizionato dalle imminenti elezioni. La riforma costituzionale ha cercato di dare coerenza a provvedimenti precedenti che riguardavano gli enti locali, ed in particolare alle cosiddette “leggi Bassanini”, con riferimento specifico alla legge 15 marzo 1997, n. 59 e al Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n. 112.[3]
Nel corso di questo articolo, si cercherà di capire come, a partire dalla legislazione fondamentale di riferimento in materia sociale, si costruisca un processo di piano sociale, definito piano di zona per gli interventi sociali e socio – sanitari, integrato tra amministrazioni locali contigue, in nome di quella continuità territoriale che va oltre i confini del singolo comune e della maggior efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione. Dal punto di vista dell’orizzonte temporale, si prenderà in esame il periodo 2006 – 2008, tenendo presente che il processo di integrazione è iniziato a partire dall’autunno 2004 e i riflessi del piano di zona sul 2008 si avranno chiari soltanto nella fase di consuntivo.
  
2) L’iter procedimentale (I): il quadro normativo e di supporto.
La legge nazionale 328 del 2000 è la prima fonte a cui ci si ispira per costruire l’ “iter” a livello locale, poiché nel suo impianto sono contenuti i riferimenti essenziali, e in particolare il disegno di un sistema integrato di interventi e servizi in grado di garantire la promozione e la prevenzione per tutti i cittadini, la cura e la tutela nelle diverse fasi di vita e percorsi di inclusione sociale, ove necessario. La legge attribuisce la centralità al Comune, singolo o associato, responsabile:
         della programmazione del sistema locale, attraverso lo strumento piano di zona;
         dell’avvio e gestione del processo di coinvolgimento dei tanti soggetti titolati a partecipare alla costruzione del piano di zona e, successivamente, alla sua progettazione e gestione;
         della garanzia di esigibilità di alcuni diritti sanciti, che comportano l’accesso a prestazioni e servizi ritenuti essenziali o dal legislatore nazionale o regionale, o dagli stessi Amministratori dell’Ambito[4].
Inoltre, essa sottolinea la responsabilità del cittadino non solo come titolare di diritti e fruitore di servizi, ma come soggetto attivo e partecipe alla costruzione del welfare locale in diverse forme, ivi comprese le organizzazioni del terzo e quarto settore. Tutti i soggetti che in questa visione non sono portatori di un interesse esclusivo, svolgono una funzione di pubblica utilità riconosciuta dalla legge, che va molto al di là della rigida distinzione storica tra pubblico e privato. La legge 328 ha alla base come ispirazione il principio di sussidiarietà, ed infatti affida un protagonismo nella programmazione all’ente locale più piccolo, il comune, avendone esso tutte le caratteristiche per farlo; ed in più dà indicazioni importanti rispetto alla partecipazione delle formazione sociali[5]   alla definizione del welfare locale, rendendo tale formazioni non solo fruitrici o destinatarie di servizi, ma protagoniste piene nella costruzione del welfare locale.
Nel caso specifico in analisi del Piano di zona dell’ambito di Sesto S. Giovanni e Cologno Monzese, le circolari regionali n. 34 del 29 – 07 – 2005 e n. 48 del 27 – 10 – 2005[6], riguardanti i piani di zona del triennio 2006 – 2008, hanno integrato operativamente per il triennio la precedente legislazione e “tracciato la rotta”. A tale proposito occorre ricordare che, in base al titolo V della Costituzione Italiana, la Regione legifera in diverse materie,[7] e le leggi regionali, attuate poi concretamente tramite circolari esplicative, disegnano e definiscono il sistema di welfare regionale entro il quale si sviluppa il welfare locale. In materia sanitaria, poi, il potere della Regione è ancora più ampio ed esclusivo.
L’ambito[8] comprendente i comuni di Sesto S. Giovanni e Cologno Monzese ha costruito il piano di zona tenendo conto dei due riferimenti precedenti e anche di un altro riferimento importante: le linee guida per la costruzione dei piani di zona, un “vademecum” elaborato dalla Provincia di Milano, in collaborazione con tutti gli ambiti, uscito nella primavera del 2005[9]. Sul ruolo della Provincia occorre soffermarsi un attimo: nonostante il presente dibattito sulla soppressione di questo ente intermedio e le poche funzioni dirette in ambito sociale attribuite dalla legge, la Provincia di Milano ha deciso di giocare un forte ruolo di coordinamento, favorendo l’aggregazione dei comuni, offrendo formazione ai tecnici comunali e soprattutto elementi per costruire, gestire e valutare un piano di zona dal punto di vista tecnico e amministrativo e per favorire il ruolo attivo del terzo e quarto settore all’interno del piano di zona. Nella struttura provinciale esiste tuttora un ufficio supporto ai comuni in grado di offrire supporto metodologico e formativo.
 
3) L’iter procedimentali (II): la programmazione locale. Oggetto, soggetti, struttura organizzativa e fasi programmatorie.
All’interno di questo quadro normativo e di supporto, si è sviluppata la programmazione locale nell’ambito di Sesto – Cologno e si è dato avvio al processo di costruzione del piano di zona.
Alcuni brevi riferimenti temporali per la costruzione del piano locale: a partire dall’autunno 2004 si è cominciato a ragionare insieme tra Sesto e Cologno, a seguito della decisione della Regione Lombardia sul riassetto degli ambiti, poiché nel precedente triennio la città di Sesto S. Giovanni costituiva ambito a sé e la città di Cologno Monzese era comune capofila dell’ambito di Cologno e Brugherio, comune più piccolo al confine con Cologno. Tutto il 2005 è stato speso per costruire il nuovo ambito e il nuovo piano di zona valido per il triennio 2006 – 2008: in primis la costruzione dell’ambito, poiché si univano due comuni con metodi di lavoro e criteri di accesso ai servizi differenti, in più con la vocazione entrambi a dirigere, per quanto riguarda Sesto in solitudine, per quanto riguarda Cologno in coabitazione con la più piccola Brugherio.
Si susseguivano durante l’anno diversi incontri a livello tecnico – politico con lo scopo di guidare il processo alla presenza degli assessori alle politiche sociali, all’istruzione, allo sport e tempo libero, alla cultura, dei dirigenti di area di ciascun comune, oltreché dei dirigenti ASL di ambito con la duplice funzione di “controllori” in quanto erogatori di fondi per conto della regione e attori del welfare a livello locale, e dei funzionari delle aziende ospedaliere del territorio, comprendenti ospedali e poliambulatori, in quanto “tecnici” del settore sanitario ed erogatori di servizi ospedalieri e ambulatoriali da integrare strettamente coi servizi sociali territoriali. Questi incontri, necessari per definire il sistema di governo locale dall’alto, si svolgevano nel medesimo periodo e anzi in una fase successiva rispetto agli incontri di cooperative, associazioni, enti e soggetti de terzo e quarto settore, i quali indicavano alcune priorità di cui l’organo tecnico e politico dovevano tenere conto per costruire il piano. Va detto che a Sesto S. Giovanni la presenza di enti del terzo e quarto settore era istituzionalizzata attraverso i tavoli tematici di area[10], mentre a Cologno era caratterizzata da un livello più informale, consultivo e di supporto, essendo attive tre consulte sociali non divise in aree tematiche, una per volontariato, una per gli anziani, una per la salute , nelle quali erano presenti associazioni non lucrative a cui il comune aveva affidato la gestione di servizi tramite convezione, in particolare nelle aree dei minori e dei disabili.
Entrando più nel dettaglio dell’analisi amministrativa, la programmazione locale dell’ambito definiva un oggetto, dei soggetti, una struttura organizzativa e delle fasi di programmazione.
Per quanto riguarda l’oggetto, si definivano le aree di intervento sulle quali il piano di zona andava ad incidere, ed in particolare Minori – Famiglia, Disabilità, Anziani, Immigrazione, Adulti in difficoltà e grave emarginazione, Salute Mentale, Dipendenze. Inoltre, si dava priorità a tutti quegli ambiti di integrazione tra sociale e sanitario, nell’ottica di garantire il benessere e la salute della persona, per cui nel piano di zona attualmente vigente è presente come punto fermo la necessità di integrare le politiche, le strategie e gli interventi con l’Azienda Sanitaria Locale e le Aziende Ospedaliere. Inoltre grande attenzione è presente per le politiche di istruzione e formazione e di avvio e reinserimento alle attività lavorative. Tutti questi ambiti fanno parte dei cosiddetti servizi e interventi alla persona.
Per quanto riguarda i soggetti della programmazione essi sono:
         i Comuni, i quali concorrono alla programmazione regionale e sono titolari delle funzioni amministrative relative al sociale, esercitate secondo le forme previste dalla Regione;
         L’Azienda Sanitaria Locale e li Azienda Ospedaliera, le quali partecipano alla definizione dei piani di zona a tutela della salute e in un’ottica di integrazione di interventi socio – sanitari;
         La Provincia, la quale concorre mettendo in rete le competenze tecniche sopra menzionate e favorendo l’integrazione dei distretti e fra i distretti mediante l’ufficio supporto ai comuni;
         Il Terzo e Quarto Settore, con un ruolo di soggetto attivo nella programmazione in quanto depositario di esperienze sul territorio, in grado di partecipare al monitoraggio e alla costruzione del welfare territoriale, fino ad arrivare alla gestione di servizi per conto delle pubbliche amministrazioni;
         Gli altri soggetti istituzionali: Autonomie Scolastiche, Organi Locali del Ministero di Grazia e Giustizia, Fondazioni e Circoscrizioni. Tutti questi soggetti partecipano ala programmazione partire dalle proprie competenze istituzionali e dall’area specifica di intervento.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa della programmazione, essa deve ricomprendere tutti i soggetti esercitanti una funzione pubblica. La responsabilità istituzionale dei comuni è importante sia nella fase di attivazione – gestione del processo programmatorio, sia nella fase di approvazione dell’atto. A livello di vertice la struttura organizzativa e di governo del Piano di Zona comprende il Tavolo Tecnico Politico, composto dai soggetti che hanno il compito di governare, garantire ed erogare i servizi. Nel triennio 2006 – 2008 esso di norma è stato composto da: Assessori dell’ Area Sociale, Istruzione, Sport, tempo libero, Cultura; Dirigenti Comunali dei Settori menzionati, Rappresentanti dell’Azienda Sanitaria Locale del distretto di riferimento, Rappresentanti delle Aziende Ospedaliere di riferimento che operano nel distretto. Il Tavolo Tecnico – Politico può assumere funzione deliberante quando vi partecipano i soggetti istituzionali: di norma nel triennio 2006 – 2008 il Tavolo Tecnico Politico ha visto la partecipazione costante di Assessori, Dirigenti e capi Settore dei comuni di Sesto e Cologno, Responsabili dell’Ufficio di Piano di Ambito, Funzionari dell’Azienda Sanitaria Locale di distretto: in questa composizione ha assunto la funzione deliberante, mentre era contemplata anche la funzione consultiva in particolari momenti e su questioni specifiche con allargamento a soggetti interessati o in grado di contribuire in un ambito specifico. Tale funzione non è stata poi nei fatti utilizzata. Il tavolo tecnico – politico può essere sinteticamente definito come l’organo di governo del piano di zona che agisce su mandato e secondo gli indirizzi dei due consigli comunali, i quali hanno approvato formalmente, in quanto organo legislativo competente, il documento piano di zona rendendolo “legge”, e hanno affidato poi l’attuazione agli esecutivi (le giunte comunali attraverso il Sindaco o gli assessori competenti presenti al tavolo tecnico politico, i dirigenti comunali per la parte tecnica secondo le forme, le deleghe e le modalità operative stabilite).
Nella programmazione acquistano una funzione di estrema rilevanza i Tavoli Tematici di Area, dove siedono soggetti istituzionali e non istituzionali che svolgono una funzione pubblica secondo la legge 328: tra questi si ricomprendono tutte quelle istituzioni che non partecipano alla fase deliberante e i soggetti del terzo e quarto settore. La loro funzione è stata molto importante durante il triennio, e ancor prima nella fase di costruzione del piano: in sintesi questi soggetti riuniti in tavoli hanno la funzione di monitoraggio dei bisogni del territorio, di concorso nella definizione delle priorità del piano di zona, in quanto depositarie di un sapere e di un’esperienza territoriale, e di monitoraggio riguardo al raggiungimento degli obiettivi indicati e all’emergere di nuove priorità.
 Altro organo importantissimo dal punto di vista tecnico e strategico per un piano di zona risulta essere l’Ufficio di Piano, che costituisce “l’esecutivo” nel sistema di governo interno del piano di zona, nel senso che dà esecuzione dal punto di vista tecnico e gestionale alle decisioni strategiche prese dal tavolo tecnico politico, che si ispirano agli indirizzi politici approvati dal legislatore. La novità sostanziale consiste nel fatto che l’ufficio di piano è di ambito e si configura come struttura tecnica sovraccomunale: benché infatti la titolarità di attuazione rimanga formalmente in capo ai dirigenti, essi si avvalgono, per attuare e gestire i propositi e le indicazioni uscite dall’organo deliberante del piano, di un ufficio integrato intercomunale sotto la responsabilità formale dell’ente capofila (in questo caso Sesto S. Giovanni) e agente di fatto per conto di diversi settori di due diverse pubbliche amministrazioni, limitatamente alla gestione dei fondi e degli obbiettivi del piano di zona. Va ricordato per inciso che le risorse provenienti dai fondi nazionali, regionali e provinciali costituiscono nell’ambito sociale complessivamente meno del 10% della spesa per il welfare locale, che per il restante 90% e oltre è finanziato da risorse reperite autonomamente dai comuni. L’Ufficio di Piano, seppure non ancora formalizzato tramite convenzione, costituisce una delle principali novità dal punto di vista amministrativo all’interno del sistema locale in ambito sociale, ed è proprio grazie all’ispirazione della legge 328/2000 che ha potuto prendere piede a acquistare autonomia e autorevolezza all’interno del rigido panorama e degli ormai stretti confini delle amministrazioni comunali. Esso è composto nell’ambito di Sesto S. Giovanni – Cologno Monzese da un responsabile con le necessarie competenze tecniche più tre collaboratori a supporto, che esprimono competenze tecnico – sociali: tra le altre funzioni i componenti hanno anche quella di presiedere e coordinare i tavoli tematici di area e proporre ai dirigenti dei due comuni gli argomenti principali dell’organo deliberante. Inoltre, i componenti sono responsabili della rendicontazione nei confronti degli enti istituzionali superiori e dell’ASL e avviano e gestiscono dal punto di vista tecnico i progetti derivanti da obiettivi comuni, mentre per le funzioni di contabilità e cassa si avvalgono della collaborazione dei dipendenti preposti dell’ente capofila, così come per le valutazioni sociali si avvalgono della collaborazione dei dipendenti preposti dei due comuni
 
Per quanto riguarda le fasi della programmazione, si menzionano brevemente i vari passaggi:
         luglio – settembre 2005: AVVIO DEL PROCESSO: definizione della struttura organizzativa per la costruzione del piano di zona;
         settembre – dicembre 2005: COSTRUZIONE DEL PIANO DI ZONA: costruzione della base conoscitiva, diagnosi, ipotesi di obbiettivi, commisurati con le risorse, e l’approvazione del piano di zona da parte delle due Giunte e dei due Consigli Comunali di Sesto S. Giovanni e Cologno Monzese[11];
         gennaio 2006 – dicembre 2008: fase di attuazione del piano di zona in diverse tappe e momenti, che hanno coinvolto e coinvolgono tutti i soggetti sopra menzionati; alcune fasi e organismi saranno oggetto specifico della mia analisi successiva.
Nel sistema del piano di zona, naturalmente, i vari organi sono posti in stretta relazione; inoltre il luogo privilegiato di interlocuzione tra pubblica amministrazione e territorio è individuato nei Tavoli Tematici di Area. E’ prevista infine la partecipazione importante e rilevante, sempre nell’ambito dell’integrazione socio – sanitaria, a organi sovradistrettuali e momenti di incontro relativi alle aree della salute mentale e delle dipendenze.
Nel piano di zona sono previste delle azioni di sistema: tale definizione fa riferimento a strumenti e funzioni a supporto del governo e dell’attuazione del piano di zona.
Per prima cosa è la Regione a definire una di queste “azioni” mediante l’utilizzo strategico di buoni e titoli sociali, come previsto nelle delibere regionali. Non si intende qui discutere la ratio del legislatore nell’indicare obbiettivi dei titoli sociali, oggetto di un lungo dibattito politico e tecnico in questi anni nel panorama regionale lombardo; si precisa soltanto che l’ambito di Sesto – Cologno ne ha programmato l’utilizzo secondo gli standard e le percentuali regionali indicate all’atto dell’erogazione dei fondi del piano di zona, che dovrebbero raggiungere a “regime” il 70% dei fondi trasferiti: nel campo pratico e specifico di utilizzo, a Cologno Monzese i voucher sono stati impiegati, anche prima del vigente piano di zona, per la fornitura di pasti a domicilio agli anziani, mentre i buoni sono stati utilizzati come supporto a progetti individualizzati per il sostegno di anziani,disabili, minori; sul territorio di Sesto S. Giovanni i voucher sono stati e sono utilizzati per accedere ad asili nido privati accreditati e per il supporto alla fornitura di prestazioni di conciliazione dei tempi della famiglia (servizio baby sitter), mentre i buoni sono stati erogati principalmente come supporto nell’area anziani utilizzando la formula del bando pubblico, e nell’area disabilità per progetti individualizzati nella formula “a sportello”.
Secondo le delibere regionali, sarebbe stata affidata all’ambito anche la funzione amministrativa di autorizzare e accreditare nuove strutture sociali che fossero state avviate sul territorio dell’ambito. La successiva specificazione tramite delibere e circolari sulle funzioni e i processi di accreditamento e autorizzazione, rimaste in capo alla Provincia fino al 31 dicembre 2005, ha semplificato il quadro ridimensionando gli ipotetici gravosi compiti amministrativi del distretto e introducendo, come nella legislazione sui lavori pubblici vigente, la dichiarazione di inizio attività (una sorta di autocertificazione rispetto alla nuova struttura) invece della concessione di autorizzazione al funzionamento.
Altra azione di sistema prevista nel documento piano di zona è la programmazione e gestione associata nel governo del piano di zona e nella produzione di servizi e prestazioni: questa azione sistemica è la più rilevante, sebbene sia la più difficile da raggiungere negli anni, poiché mira all’uniformità nell’ambito per quanto riguarda non solo la programmazione, ma anche i criteri di accesso ai servizi e prestazioni e, in prospettiva futura, la gestione associata degli stessi. Il raggiungimento totale di questi scopi porterebbe ad una gestione associata sovraccomunale dei servizi e delle prestazioni sociali, auspicata nella legge 328 e di più facile applicazione nei piccoli comuni[12]. In attesa di ciò, ci si confronta con piccoli passi avanti, tesi ad uniformare l’ambito dal punto di vista dell’accesso ai servizi e delle caratteristiche degli stessi.
Ultima azione sistemica, non meno importante, presente nel documento, riguarda il partenariato con la Provincia. Su questo occorre spendere alcune parole: al di là del supporto tecnico e metodologico, la Provincia ha deciso di partecipare attivamente al raggiungimento degli obiettivi di welfare locale, mettendo a disposizione 200.000 euro l’anno per ogni ambito su azioni e progetti strategici e sperimentali, realizzati nelle aree di bisogno prioritarie definite dall’ambito. L’azione della Provincia ha garantito uno sviluppo di azioni e progetti pari a un quinto di spesa in più  rispetto a ciò che si era preventivato come standard. Per questo motivo la Provincia è entrata direttamente nell’accordo di programma del piano di zona, in quanto soggetto erogatore di fondi. Precisate le azioni di sistema, il documento di piano si è rivolto alla definizione delle priorità di intervento, scelta eminentemente politica e fatta in stretto rapporto con gli organismi del terzo settore, volontariato e cooperative: infatti la parte analitica del piano di zona è stata fatta insieme a questi attori, secondo il metodo di recepire le indicazioni provenienti dal terzo settore, espresse con appositi strumenti. In sintesi, oltre al “ritorno” avuto dai dati emersi dai servizi sociali e dalla tipologia di bisogno degli utenti e di efficacia di risposta dei servizi, si è fatto ricorso al momento di analisi e di proposizione del terzo settore, espresso tramite gli incontri dei tavoli tematici di area. I tavoli tematici di area, come ricordato in precedenza, hanno avuto la funzione di monitoraggio dei bisogni del territorio e anche di proposta di costruzione rispetto al Piano di Zona. Da essi sono emerse molte delle indicazioni che, integrate coi dati dei servizi, hanno poi composto la parte politico – propositiva del piano di zona. L’unica differenza tra Cologno Monzese e Sesto S. Giovanni, provenienti da due esperienze differenti di distretto, ha riguardato il fatto che a Sesto S. Giovanni i tavoli con il terzo settore erano istituzionalizzati, ufficiali e autonomi, mentre a Cologno Monzese nella precedente esperienza erano “informali”, cioè costituivano dei momenti di consultazione rispetto al governo del piano di zona precedente e alla fissazione delle linee guida.
Pertanto in un primo momento la raccolta delle priorità è avvenuta in modo differente, consultando gli organismi del terzo settore col metodo che ciascuno dei due comuni aveva in precedenza adottato, l’uno attraverso i tavoli, l’altro in via diretta, chiedendo ai principali organismi sociali territoriali di indicare le priorità future.
Da questo lavoro, assemblato poi a livello tecnico dall’ufficio di piano e condiviso a livello politico mediante l’integrazione dei vari bisogni al tavolo tecnico politico di costruzione del piano di zona, sono emerse per il territorio di Sesto Cologno circa 82 azioni prioritarie[13] che sono state elencate per intero, nel rispetto soprattutto del lavoro fatto dal terzo settore. Tale “manifesto” di 82 azioni prioritarie suddivise tra le aree infanzia, adolescenza e responsabilità genitoriali, popolazione anziana, disabilità, disagio psichico, immigrazione, contrasto delle povertà e dell’emarginazione, costituisce la “carta costituzionale triennale” redatta in termini di obiettivi. E’ del tutto evidente che, vista l’esiguità di risorse, le azioni prioritarie possono essere conseguite solo parzialmente, tramite le “priorità delle priorità”; tuttavia, questo tipo di lavoro ha costituito una reale fotografia del territorio e dal punto di vista dell’integrazione tra amministrazioni è risultato molto utile, poiché la scoperta di comuni priorità ha indotto l’ambito a riflettere sul fatto di offrire i servizi nel modo più uniforme possibile a Sesto e a Cologno in termini di criteri di accesso, efficienza ed efficacia e a porsi la riflessione se non fosse il caso di gestire insieme, oltre agli obbiettivi, anche gli altri momenti tecnici e amminsitrativi. Alcuni piccoli segni in questo senso si sono intravisti verso la fine del triennio con l’emanazione di un bando unico a livello di ambito sulla prevenzione del disagio giovanile, ricavato dalla quota di fondi provinciali. Il bando unico ha significato, oltre a obiettivi comuni, elaborazione comune di un unico strumento e gestione comune, e non solo associata, della parte tecnica e amministrativa. Le ricadute su un territorio più ampio del singolo comune rispetto a questa “piccola azione” non sono ancora state valutate, essendo il progetto in fase di realizzazione, tuttavia occorre puntualizzare che, in periodi in cui le risorse dagli enti superiori affluiscono in misura sempre minore, è stato importante attuare un’azione preventiva avente come scopo la prevenzione del disagio giovanile, del bullismo, del vuoto di spazi e momenti aggregativi per giovani e di voci che sappiano ascoltare e prevenire i loro disagi. Di più non si può aggiungere, poiché i fondi del piano di zona non possono essere utilizzati per finanziare o rafforzare servizi comunali già strutturati, se non per una parte minoritaria, mentre la maggior parte dei fondi è vincolata a progetti e azioni innovative, che faticano però a lungo termine a trovare continuità, o comunque al meccanismo di buoni e voucher, supporto economico senz’altro utile per le famiglie, nel senso anche di una loro responsabilizzazione, ma che non è utilizzabile per mantenere i costi di un servizio comunale strutturato, tenuto in piedi ormai grazie agli introiti delle finanze locali. 
In ogni caso, facendo riferimento alle 82 priorità del piano di zona sesto – colognese, a livello molto generale esse possono essere racchiuse in categorie che esprimono:
1)      esigenze concrete che si possono tradurre in servizi, supporti o spazi aggregativi: più nidi, più momenti aggregativi informali per disabili, ecc.., più momenti aggregativi per giovani, supporto all’azione educativa della famiglia, sostegno domiciliare agli anziani, ecc..;
2)      esigenze di “integrazione” e di “rete”: più collaborazione e monitoraggi comuni tra attori sociali e sanitari rispetto ai minori problematici, ai soggetti fragili usciti da periodi di dipendenza e in generale in tutte le aree di bisogno ecc..
In sostanza, dalle priorità, oltre al potenziamento dei vari supporti e azioni, è emersa la necessità di integrazione e lavoro comune indispensabile nel campo sociale. Da qui anche il proliferare di unità di valutazione comuni tra sociale e il sanitario, unità di valutazione minori, unità di valutazione disabili, ecc..,.[14] e i tavoli interistituzionali di distretto, tavolo psichiatria, ecc…, per azioni ancora più efficaci. Tali occasioni costituiscono in via naturale anche un’autoformazione per gli operatori che vi partecipano e un arricchimento di saperi laddove un approccio specifico viene integrato da un’altra visuale, in uno spirito di “compenetrazione” tra sociale e sanitario.
In concreto, più che sotto l’aspetto delle risorse, la definizione di priorità è stata massimamente utile per l’integrazione di competenza e, di riflesso, anche l’integrazione amministrativa nelle diverse successive fasi della visione comune, dei progetti comuni, degli strumenti comuni e, in futuro, dei servizi comuni.
 
4) L’iter procedimentale (III): in particolare, l’Ufficio di Piano, i Tavoli Tematici di Area ed il Tavolo Tecnico Politico.
Dopo le azioni prioritarie, è ora opportuno soffermarsi brevemente sul lavoro fatto nel triennio dagli organi fondamentali precedentemente menzionati: Ufficio di Piano, Tavoli Tematici di Area e Tavolo Tecnico Politico.
Si può partire dall’Ufficio di Piano, organo più snello per composizione, ma non meno importante in termini di regia per il funzionamento di tutta la “produzione” piano di zona. Nel triennio 2006 – 2008 l’ufficio di piano si è sobbarcato la maggior parte del lavoro, sia in termini propositivi, sia in termini di gestione del processo. La presenza di tecnici adeguatamente formati ha rappresentato un punto di riferimento sia per i soggetti del volontariato, sia per la parte politica. L’ufficio di piano ha molto creduto nel processo di integrazione e lo ha guidato fin dall’inizio in un contesto non facile, e fungendo da regista. Nel triennio i tecnici dell’ufficio di piano hanno guidato i tavoli tematici di area in innumerevoli incontri, hanno monitorato costantemente tutti i progetti di ambito, hanno rendicontato puntualmente alla Regione rispetto al percorso del piano di zona e alle azioni attivate, hanno fatto da interfaccia con la Provincia per i progetti finanziati dalla Provincia, e infine hanno proposto all’attenzione del tavolo tecnico politico gli ordini del giorno, affinché fossero prese le decisioni tecnico – politiche fondamentali. In sostanza, dal punto di vista dell’azione amministrativa l’ufficio di piano ha raggiunto tutti gli obiettivi definiti dal piano di zona per la sua competenza e ha costituito un modello di ufficio sovracomunale in forma snella e funzionale, creando benefici per le due pubbliche amministrazioni, le quali hanno tratto un beneficio anche economico dal fatto che i fondi per retribuire i componenti di detto ufficio fossero ricavati da una piccola quota di trasferimenti. Oltre all’aspetto economico, in termini di risultati, l’ufficio di piano ha contribuito ad “aggregare”, coordinando le realtà sociali e fungendo anche da strumento di monitoraggio e osservazione dei servizi socio sanitari del territorio, vista anche la partecipazione a tavoli di confronto con l’ASL di riferimento per l’integrazione socio sanitaria, nell’ambito della costruzione di servizi socio sanitari integrati sul territorio 
 
E’ molto interessante poi, dal punto di vista amministrativo, focalizzare l’attenzione sull’attività dei Tavoli Tematici di Area, vero e proprio sistema di monitoraggio “dal basso” di azioni e servizi, sempre coordinato da soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, che ne assicurano la regia pubblica. Si tratta di incontri con associazioni e cooperative del territorio, le quali operano in vari ambiti e, talvolta, gestiscono servizi per conto della pubblica amministrazione.
E’ interessante comprendere che, secondo il modello disegnato dal piano di zona, l’azione di monitoraggio sui bisogni e servizi non viene effettuata solo “dall’interno”, cioè partendo dal modello tradizionale secondo cui la pubblica amministrazione si dà degli strumenti di valutazione e autocontrollo e guida direttamente la valutazione rispetto ai bisogni del territorio mediante azioni o contatto diretto con o cittadinanza e utenti. Tali sistemi continuano a esistere e a ricoprire la loro rilevanza. Viceversa, secondo il modello disegnato dal pdz, esiste un monitoraggio e una valutazione “mediata” e realizzata in primis non da singoli soggetti, ma da corpi intermedi, quali sono associazioni e cooperative, mostrando in tal senso una moderna applicazione del principio del “pluralismo sociale”, sancito dall’art. 2 della nostra Costituzione, laddove si riconoscono i diritti dell’uomo come singolo e nelle formazioni ove si svolge la sua personalità[15]. Mantenendo la pubblica amministrazione la regia dei tavoli tematici di area, si sviluppa comunque un sistema di monitoraggio integrato moderno ed attuale, in grado di fornire numerosi spunti per l’azione e la decisione politica in un determinato ambito e momento storico.
E’ necessario ora vedere più da vicino come funziona il sistema dei tavoli tematici di area e quali risultati ha prodotto nel 2006 – 2008: nel corso del triennio di validità di un piano di zona, subito dopo la sua approvazione, partono questi tavoli, i quali si suddividono in aree, e per l’ambito di Sesto – Cologno in particolare:
1)      area minori, adolescenti, giovani e responsabilità familiari;
2)      area disabili;
3)      area immigrazione;
4)      area anziani
Ciascuno di questi tavoli ha un coordinatore, che è il responsabile o un collaboratore dell’ufficio di piano intercomunale, il quale ha la formazione metodologica per guidare il tavolo. Il lavoro del tavolo si potrebbe definire “circolare”: infatti parte dall’analisi delle azioni prioritarie definite nel piano di zona e cerca di esplicitare come si possano mettere in pratica e come si possa raggiungere l’obbiettivo. Ad esempio, nel campo dei disabili un’azione prioritaria del piano di zona sesto – colognese consiste nel realizzare progetti educativi personalizzati per promuovere l’autonomia del disabile e la sua capacità di relazione in un contesto comunitario: innanzitutto si cerca di capire insieme se tutti i servizi del territorio hanno questo tipo di approccio e se il servizio sociale pubblico, in primis, promuove concretamente questa azione, con progetti individualizzati di cui si assume la regia nella conduzione e valutazione. Su una singola azione prioritaria tutti i soggetti del tavolo esprimono l’opinione riguardo al grado di attuazione e agli strumenti necessari. Nel corso del triennio possono emergere altre priorità che si aggiungono o si sostituiscono a quelle precedenti: è questa la seconda parte del lavoro del triennio, nella quale inizia il supporto alla costruzione del successivo piano di zona.
In sintesi, nel triennio 2006 – 2008 si è cercato nella prima fase di verificare l’attuazione e lo sviluppo delle azioni prioritarie e nella seconda fase di definire nuove priorità o aggiornare le precedenti come suggerimenti per l’azione politica, la quale, in base ai fondi disponibili, dovrà poi fare la cernita di priorità tra le priorità.
Nel triennio, il lavoro dei tavoli tematici di area locali ha costituito un concreto supporto all’azione sociale dell’amministrazione sestese e colognese, le quali, grazie a ciò, tendono a perdere la loro autoreferenzialità, nonché altre “patologie” tipiche di un’azione amministrativa, consistenti nell’eccessiva frammentazione di azioni e servizi, tesi soltanto al mantenimento del consenso politico, oppure nella già citata autoreferenzialità nell’analisi su servizi e bisogni. In sostanza, l’azione dei tavoli tematici di area, così come tutto il percorso del piano di zona, tende a salvaguardare la continuità amministrativa contro i continui cambiamenti derivanti dal mutare dell’interlocutore politico e dai differenti obbiettivi che ogni singolo comune potrebbe perseguire in proprio, dando in questo senso una visione di area sovracomunale, molto interessante ai fini del delineare nuove future entità amministrative. Risultati secondari, ma non meno importanti, per i tavoli triennali, sono stati la reciproca conoscenza e arricchimento umano e professionale dei partecipanti e l’adozione di un metodo innovativo per la presentazione di progetti da realizzare sul territorio. Su questo secondo aspetto vorrei brevemente soffermarmi: nel sistema tradizionale amministrativo degli anni precedenti, un’associazione o una cooperativa operante sul territorio sestese o colognese era solita presentare progetti e azioni direttamente all’amministrazione di riferimento e agli interlocutori politici, in modo da ottenere direttamente finanziamenti e patrocini per sviluppare la propria azione pubblica sul territorio. Tale sistema si è dimostrato col tempo non del tutto efficiente, poiché sia l’azione del soggetto sociale, sia il gradimento della pubblica amministrazione erano parziali, temporanei, arbitrari e spesso non molto legati ai bisogni del territorio: questo approccio era accentuato dal cosiddetto finanziamento dei progetti a bando, secondo cui la Regione e la Provincia indicevano bandi di gara con i quali le associazioni ottenevano finanziamenti spesso vitali più per la sopravvivenza del soggetto sociale in un periodo economico critico, che per l’efficacia sul territorio. Nel meccanismo dei bandi veniva spesso premiato da Regione e Provincia un progetto che otteneva il previo gradimento del Comune e, quasi automaticamente, un cofinanziamento da parte dello stesso. La “competition” in ambito sociale non ha sempre prodotto negli anni precedenti il 2006 un significativo miglioramento dell’azione locale, poiché progetti inizialmente finanziati, negli anni successivi dovevano essere abbandonati, oppure riassorbiti divenendo talvolta vero e proprio servizio pubblico comunale, a volte innegabilmente anche con giusta intuizione e lungimiranza. Per ovviare a questi inconvenienti le amministrazioni di Sesto e Cologno hanno deciso in via generale già nel 2005 che i progetti presentati da associazioni e cooperative dovessero essere in linea con le priorità del piano di zona per ottenere il gradimento anche di parte politica e il conseguente eventuale cofinanziamento. Indubbiamente questa nuova prassi decisa dalle amministrazioni sestese e colognese ha combattuto di molto le distorsioni autoreferenziali di alcune associazioni e cooperative e il consenso troppo frettolosamente dato in base al gradimento politico, in alcuni casi, e a progetti presentati con grande sforzo comunicativo e di marketing, ma di poca sostanza.
Il principio generale stabilito dai comuni di Sesto e Cologno secondo il quale ogni progetto per la collettività debba passare dal tavolo, quantomeno per informazione e condivisione, e debba ottenere successivamente gli altri “imprimatur”, è garanzia di imparzialità ed efficacia nel raggiungimento degli obiettivi. La Regione e la Provincia nei bandi di questi ultimi anni hanno inserito come condizione decisiva la conformità agli obbiettivi del piano di zona locale per ogni progetto presentato da associazioni o cooperative.
Infine, uno sguardo rapido al tavolo tecnico – politico, organo decisionale supremo dal punto di vista degli indirizzi: nel triennio il tavolo ha visto la presenza costante degli assessori delegati ai servizi sociali dei due comuni, più le aree pubblica istruzione e cultura, sport e tempo libero. Oltre alla presenza dei dirigenti dei servizi alla persona dei due comuni, sono stati presenti altri funzionari e capi settore, e, soprattutto i componenti l’ufficio di piano. Nel corso del trienno il tavolo decisionale ha assunto queste importanti deliberazioni: scelta strategica di creare dei tavoli tematici di area col volontariato a livello di ambito, e non più divisi per città; criteri di ripartizione dei fondi sulle politiche sociali, in base alle priorità del piano di zona non appena i fondi venivano trasferiti; destinazione dei fondi provinciali ad aree strategiche, secondo le dette priorità; decisione di destinare parte dei fondi per un bando sulla prevenzione del disagio giovanile per tutto il territorio di Sesto e Cologno, come indicato dal tavolo tematico minori. L’integrazione tra le due realtà amministrative è stata pienamente attuata dalla parte politica e dai massimi dirigenti tecnici, mediante un’azione e una consultazione costanti.
 
5) Tra outputs ed outcomes: le prime provvisorie considerazioni sul caso in esame.
A questo punto, appare utile tracciare una sorta di bilancio del piano triennale di zona 2006– 2008, facendo brevi accenni alla mole economica e al “ritorno” sul territorio.
Dal punto di vista economico, in un triennio il volume di finanziamenti statali, regionali e provinciali totalmente gestiti in piano di zona è ammontato a 3.720.000 euro, cifra non molto alta rispetto ai bilanci nel settore delle due singole città, ma comunque significativa per una gestione associata. Certamente questa cifra, suddivisa poi in quota capitaria per i due comuni e destinata per la maggior parte agli utenti sotto forma di buoni e voucher in ossequio alle indicazioni regionali, non ha coperto le 82 azioni prioritarie che erano state individuate nella costruzione del piano; tuttavia, in fase di valutazione, i fondi sono stati utili ad integrare le già ingenti risorse comunali per il sostegno a famiglie di anziani non più totalmente autosufficienti, di disabili e di minori per un sostegno educativo individuale e di gruppo. Come già accennato anche in precedenza, a livello metodologico si è lavorato per una condivisione degli obiettivi e per un monitoraggio comune, mentre i fondi, una volta destinati, sono stati suddivisi tra i due comuni; un piccolo esperimento di vera e propria gestione comune anche di fondi è stato fatto con il bando sulla prevenzione giovanile, con una quota complessiva nel biennio 2007 – 2008 di circa 155.000 euro, visto che la decisione di questa piccola “gestione associata” è divenuta operativa a partire dal bilancio 2007 e il bando di gara è scaduto il 29 febbraio 2008 ( è ancora più significativo che tali risorse sono “spalmate” su due anni, anziché su tre).
Dal punto di vista del ritorno sul territorio, si è avuto principalmente il report delle associazioni e dei funzionari e responsabili dei servizi:
         nel primo caso la positività dell’esperienza di lavoro del piano di zona è stata valutata soprattutto dal punto di vista metodologico, poiché si è creata una messa in comune di esperienze, saperi e metodi di lavoro, mentre dal punto di vista dei bisogni le associazioni hanno riconosciuto il molto lavoro fatto, cercando però di spronare le amministrazioni ad andare ancora più in là, cosa che naturalmente è subordinata a più cospicui finanziamenti da parte di Governo, Regione e Provincia, peraltro dimostratisi fluttuanti, a seconda dei vari governi che si sono succeduti nelle istituzioni superiori;
          nel secondo caso, i funzionari e i responsabili valutano sempre più gli interventi del piano di zona come sostegno e potenziamento dei servizi esistenti, in un periodo storico in cui la spesa sociale fatica a mantenere i livelli anche solo di cinque anni fa per l’accrescersi delle problematiche dovute alla situazione sociale, alla situazione cronica dei conti del nostro Paese e all’instabilità politica. In questo contesto i fondi provenienti dal piano di zona, seppure vincolati per la maggior parte a buoni e voucher e in misura minore a potenziamento di servizi, costituiscono una “manna dal cielo” per chi siede tutti i giorni in trincea e si trova a fronteggiare sempre più casi di minori problematici o di anziani non autosufficienti. In questo senso, si può dire che lo spirito sussidiario della legge 328/ 2000 ha portato un vento positivo nelle amministrazioni locali, più sul piano metodologico che economico[16].
Rimane da capire come un cittadino comune che usufruisce di servizi sociali percepisca l’effetto del piano di zona e, prima ancora, se ne conosca il meccanismo, il processo, gli effetti: occorre dire che le persone non addette ai lavori non hanno una percezione conscia del piano di zona, né del resto è chiesto loro di averla; il processo di costruzione e governo del piano di zona rimane molto più sul piano amministrativo che comunicativo, e questo è normale, non avendo l’evidenza, ad esempio, di un’opera pubblica in costruzione. I servizi alla persona si caratterizzano infatti generalmente come servizi “invisibili” per chi non ne usufruisce, a differenza di un’opera pubblica che ha una visibilità anche per chi non ne beneficia direttamente. Tuttavia, la rappresentanza dei cittadini è pienamente garantita dal fatto che i piani di zona sono approvati dai consigli comunali, (organi legislativi dei comuni, eletti dal popolo), e la fase di monitoraggio e costruzione è assicurata e accompagnata dalle associazioni, le quali, secondo il già citato articolo 2 della Costituzione, esprimono il pluralismo sociale e sono forme sociali nelle quali si svolge la personalità, quindi derivano direttamente dalla persona stessa e non sono estranee alle dinamiche ed esigenze del singolo, anzi le sviluppano e “socializzano”. I benefici indiretti del piano di zona per i funzionari ed operatori sono stati soprattutto sul piano metodologico, in quanto il lavoro di squadra ha comportato arricchimento nel metodo di lavoro singolo, e anche arricchimento di saperi. Così facendo, nei comuni di Sesto S. Giovanni e Cologno Monzese si va sempre più sviluppando una dinamica di servizi sociali non assistenziale e calibrata sul progetto personale: ogni persona viene ascoltata, seguita e responsabilizzata e sottoposta alla firma di un patto di collaborazione, il quale sancisce, oltre all’aiuto dovuto, alcuni doveri e condizioni che vanno ottemperati ed evitano un’ottica assistenziale e “a pioggia”: tale metodo è ormai patrimonio comune delle città di Cologno Monzese e Sesto S. Giovanni, e questo grazie anche al prezioso lavoro del piano di zona.
 
6) Le prospettive future: tra efficienza (sviluppo dell’Amministrazione) ed efficacia (risposta ai bisogni).
A questo punto, alcune riflessioni che si possono fare a conclusione di questo percorso, che possono costituire una traccia per il futuro piano di zona.
Alla luce dell’esperienza degli attori che hanno contribuito a stenderlo e alla luce della mia personale esperienza, il prossimo piano di zona 2009 – 2011 potrebbe muoversi su due direttrici: risposta ai bisogni e sviluppo delle amministrazioni. Senza tralasciare la prima, scopo di questo articolo è anche e soprattutto delineare un percorso sulla seconda.
Se dal punto di vista dei bisogni, infatti, è scontato lo sforzo a ridefinire nuove azioni prioritarie per il territorio sesto – colognese, con una popolazione complessiva di circa 130.000 abitanti, dal punto di vista dell’azione amministrativa (che rende più efficace la risposta ai bisogni) sarà urgente completare entro il 2011 azioni amministrative basilari per un ambito, quali ad esempio:
         parità di accesso ai servizi a Cologno e Sesto, che si può realizzare uniformando i regolamenti di accesso ai servizi, come già parzialmente accade, per non creare discriminazione tra cittadini sestesi e colognesi, anche nella modalità di erogazione di servizi contributi, più che nelle fasce reddituali, ormai universalmente sottoposte al sistema ISEE;
         gestione associata non solo di indirizzi e di obiettivi, ma anche di fondi e modalità concrete, come successo col bando sulle politiche giovanili. Va subito precisato che, con tale affermazione, non si vuole mettere in discussione la titolarità di un singolo comune, in quanto sancita per legge. I servizi sono e rimarranno a livello comunale, poiché il territorio comunale è imprescindibile. Ciò che potrebbe diventare comune è la gestione amministrativa di progetti a potenziamento e integrazione di servizi, facendo sì che questo budget comune e comunemente gestito, non solo negli indirizzi, possa rappresentare la cellula di un qualcosa di nuovo, di sovraccomunale, un piccolo ponticello aperto verso gli orizzonti della città metropolitana. Ogni comune ha la sua storia e ne è fieramente e giustamente geloso; tuttavia, nell’esperienza di questi anni, un anziano di Cologno ha gli stessi bisogni e le stesse esigenze di un anziano di Sesto, così come un minore, così come un disabile. E ben venga quindi il piano di zona se contribuisce a superare rigidità amministrative, che, in un territorio metropolitano milanese ad alta mobilità, poco si addicono ad una risposta efficace. Le persone e le idee circolano molto rapidamente, così come i bisogni. Mantenere “l’ àncora territoriale” del singolo comune è indispensabile soprattutto per un fattore storico, affettivo e per chi non può materialmente avere un alto grado di mobilità; tuttavia, la pubblica amministrazione, ed in primis anche i politici, dovranno accettare in futuro la sfida di allargare i propri orizzonti e il proprio sguardo, creare sinergie e buone prassi,senza inutili doppioni. Solo così la pubblica amministrazione potrà   dare il suo importante contribuito ad un processo di integrazione e cittadinanza piena e “globale” che è un diritto di tutti, in un periodo storico difficile come il nostro in cui ci sono presenti molte tentazioni di chiusura e rigidità, le quali rischiano seriamente di sconfessare così l’indispensabile flessibilità mentale,da non confondersi con la precarietà delle persone, necessaria nel nostro tempo.
                                                                                                  
Dott. Massimo Verdino
Cultore della materia presso la cattedra di Storia delle Istituzioni Pubbliche Comparate, prof .Mario Scazzoso, Università Cattolica di Milano.
Assessore alle politiche sociali nel comune di Cologno Monzese (Mi) 
 
 
 
*Al fine della buona riuscita di questo articolo, si desidera innanzitutto ringraziare coloro che hanno permesso l’accesso a dati, verbali e riunioni svoltesi in questi anni e in particolare il dott. Andrea Pellegrino, responsabile dell’Ufficio di Piano di Sesto e Cologno, la dottoressa Eleonora Cola e il dott. Antonio De Fabritiis, collaboratori di detto ufficio, il dott. Giudo Bozzini, Dirigente dell’Area interventi Sociali di Sesto S. Giovanni, il dott. Pierino Rossini, Dirigente dell’area Interventi Sociali di Cologno Monzese, tutti i capi settore e i funzionari dei due comuni, il dott. Alessandro Pozzi, collega Assessore alle politiche Sociali del comune di Sesto S. Giovanni.
Si ringrazia inoltre il prof. Mario Scazzoso, docente dell’Università Cattolica di Milano ed il dr. (ph.d./avv.) Marco Rondanini, suo diretto collaboratore,, per il prezioso supporto e per le indicazioni date al sottoscritto per la stesura di questo articolo
 


[1]     La legge 8 novembre 2000, n. 328 definita “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 – Supplemento ordinario n. 186. E’ composta complessivamente da 30 articoli. L’art. 19 si sofferma in particolare sul piano di zona locale, oggetto di questo articolo di approfondimento
[2]          La riforma del titolo V della Costituzione, approvata in ultima lettura dal Senato il 31 marzo 2008 senza la maggioranza qualificata dei due terzi, sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre dello stesso anno ed entrata in vigore l’8 novembre, introduce alcune sostanziali novità, esplicitando in diversi articoli il principio di sussidiarietà, senza peraltro incrinare il principio dell’unità e della solidarietà nazionale. Sinteticamente, è già significativo l’art. 114 che riconosce il Comune quale ente di base che costituisce la Repubblica. L’art. 117 capovolge la precedente impostazione rispetto alle competenze, elencando espressamente le competenze statali, quelle concorrenti, ed, infine, ed infine precisa che per tutto ciò che non è menzionato la potestà legislativa spetta alle Regioni..
 
[3]         La legge 15 marzo 1997 n. 59 ha come “titolo”: “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti a Regioni ed enti locali, per la Riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, mentre il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112 è “intitolato”: “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione al capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59”
[4]         Si vuole qui fare riferimento all’art. 6 della citata legge n. 328/2000, che definisce le funzioni dei comuni nel dettaglio. La sostanza di tale articolo ribadisce il protagonismo dell’ente locale nel welfare locale, secondo il principio di sussidiarietà. A titolo esemplificativo, si può citare il primo comma dell’art.6, come “incipit” : “I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, secondo le modalità stabilite dalla legge 8 giungo 1990, n. 142, come da ultimo modificata della legge 3 agosto 1999, n. 265”
[5]        Per denominare gli organismi del terzo e quarto settore, si fa qui riferimento ad un termine utilizzato nell’art. 2 della Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”. Il principio del pluralismo sociale è presente nella Costituzione in questo articolo, ove si riconosce un protagonismo e una dignità sociale ad enti e associazioni come ambito di naturale svolgimento della personalità dell’uomo. In ambito sociale, l’importanza e il ruolo delle formazioni sociali è confermato dall’art. 1 della legge nazionale n. 328/2000, commi 4 e 5, citati testualmente: “Alla gestione dell’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici, nonché in qualità di soggetti attivi nella programmazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra lgi scopi anche la prmozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata (comma 5).La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1 (comma6)”. Anche l’art. 5 della citata legge valorizza le formazioni sociali, ove si parla di accesso agevolato al credito (comma 1), affidamento dei servizi a questi soggetti e regolamentazione dei rapporti con gli enti locali (commi 2 e 3), valorizzazione del volontariato nell’erogazione di servizi (comma 4)
[6]       La circolare n. 34 del 29 – 05- 2005, che reca come titolo “Indirizzi per la programmazione del nuovo triennio dei piani di zona si limita a definire tempi e ruoli di questo processo. Più specifica è la successiva circolare n. 48 del 27 – 10 – 2005, che reca come titolo “Linee guida per la definizione del piano di zona – secondo triennio”. Essa si sofferma sul sistema di finanziamento delle azioni definite nei piani di zona, sul sistema dei servizi, sui titoli sociali, sullo sviluppo e potenziamento della rete dei servizi, sulle forme di gestione associata, sulle funzioni di autorizzazione e accreditamento e su una sintesi finale degli obiettivi. I macro obiettivi definiti nelle linee – guida della circolare sono: A) consolidamento del sistema dei titoli sociali entro il triennio in tutti gli ambiti; B) attivazione di forme di gestione associata dei servizi sociali (la parte che interessa maggiormente il presente articolo); C) Costituzione del Fondo di solidarietà tra comuni associati; D) costituzione di un tavolo di rappresentanza del terzo settore 
[7]    Per quanto riguarda la legislazione sociale, la Regione garantisce con leggi e regolamenti i livelli essenziali di assistenza che lo Stato definisce in base all’art. 117, comma m. Per questo motivo ogni Regione si è dotata di una legge sui servizi sociali, che possa garantire sul proprio territorio i livelli essenziali di assistenza in base alla legge – quadro nazionale n. 328/2000. Naturalmente, oltre all’aspetto legislativo, è compito della Regione fornire indicazioni vincolanti affinché le prestazioni sociali essenziali possano essere garantite al cittadino su tutto il territorio regionale, secondo gli obiettivi fissati dalla propria legislazione. Secondo questo spirito, la Regione emana ogni tre anni le linee – guida per la costruzione e definizione dei piani di zona, alle quali i comuni si devono attenere, secondo un meccanismo regionale di controllo, integrandole con ulteriori indicazioni da parte delle province.
[8]          Il termine ambito è utilizzato non a caso, facendo riferimento all’art. 8 della legge 328/2000, riguardante le funzioni delle regioni, che tra le altre, devono determinare entro 180 giorni dall’entrata in vigore della leggegli ambiti territoriali (art. 8 comma 3 lettera a), e successivamente ripreso nell’art. 19 che riguarda il piano di zona: “I comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all’art 8, comma 3, lettera a…..”
[9]     Il documento provinciale si intitola “Linee – guida per la predisposizione dei piani di zona – art.19, legge 328/00” ed è frutto di un lavoro partecipato e condiviso da 43 tecnici, dirigenti e responsabili dei comuni, coordinati dall’Ufficio Provinciale supporto ai Comuni. Tale Ufficio ha la funzione essenziale di coordinare sul piano tecnico e metodologico il lavoro di predisposizione dei piani su scala provinciale (in ottemperanza alla legge 328/00 e alla legislazione regionale e alle linee- guida regionali, fornendo tutto il supporto e la formazione necessaria ai tecnici comunali e ai soggetti interessati). Va precisato che, per scelta della Provincia di Milano, le linee – guida provinciali hanno preceduto le indicazioni regionali, con l’obiettivo più specifico di soffermarsi sul piano organizzativo, come disposto dall’art. 19 della legge 328/00
[10]  Il termine, come sarà meglio precisato nel prosieguo dell’articolo, indica incontri di realtà del terzo e quarto settore “a tema” in base al settore in cui operano. Es: “tavolo” minori, “tavolo” anziani, ecc… I “tavoli” sono coordinati dal responsabile o dai collaboratori dell’ufficio di piano intercomunale
[11]      In realtà, i piani di zona sono stati approvati dai due consigli comunali, a breve distanza l’uno dall’altro, nel marzo 2006, poiché la complessità del nuovo processo tra due comuni nonché le procedure burocratiche legate agli enti istituzionali superiori, ha comportato il naturale ritardo di qualche mese rispetto all’approvazione fissata per il 31 dicembre 2005
[12]  Nella Provincia di Milano vi è un esempio di gestione associata “totale” dei servizi sociali per motivi organizzativi, fatti salvi gli indirizzi degli organi legislativi e le disposizioni degli esecutivi: nell’area del vimercatese, ambito di Vimercate, per lo più costituito da comuni al di sotto dei 15.000 abitanti, dal punto di vista gestionale i servizi sociali sono forniti da un’Azienda Speciale Consortile denominata “Offerta sociale”, che opera in nome e per conto dei comuni consorziati
[13] Come menzionato anche nel testo, le 82 azioni prioritarie sono il frutto di un lungo lavoro effettuato dai tecnici e dagli esponenti del volontariato e poi approvate dagli organi politici (giunte e consigli comunali) e spaziano su un larghissimo campo, prendendo in considerazione le aree infanzia, adolescenza e responsabilità e familiari, anziani, disabili, immigrati, nuove povertà e grave emarginazione. Naturalmente non si pretende rispondere a tutti i tipi di bisogni emersi ed espressi, ma raccogliere una mappa dei bisogni teorici del territorio, riscontrati e condivisi da chi agisce sul territorio stesso
[14] Per i casi di minori o disabili o anziani cosiddetti multiproblematici, sono previsti momenti di valutazione condivisa tra comuni ed ASL. A titolo di esempio, per un minore con problematiche sociali o familiari potrebbe essere richiesta anche una valutazione “sanitaria”, soprattutto dal punto di vista psicologico, così come nei casi di disabilità e per anziani che necessitano allo stesso tempo di un’assistenza sociale e sanitaria
[15] Rif. Nota n. 5
[16]  Sul piano metodologico, il beneficio introdotto dalla legge 328 di un lavoro comune è senz’altro riscontrabile, a detta di tutti gli operatori locali. Sul piano economico, la legge 328 incide ben poco sulle finanze locali. A puro titolo di esempio, nel solo comune di Cologno Monzese, per un bilancio preventivo 2008 del settore sociale (limitatamente a mantenimento e sviluppo dei servizi e progetti) di circa 3.978.800, la somma di spesa ricavata dai fondi della legge 328 sul piano di zona, trasferiti dalle Regione all’ambito di Sesto – Cologno e divisi poi in quota capitaria tra i due comuni, è prevista nell’entità di 350.000 euro, pari all’8,79% del Bilancio del settore sociale colognese, cifra irrisoria, se si considera che il restante 91,21% è finanziato con sole risorse ed entrate comunali

Verdino Massimo

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