La normalizzazione, in periodo di emergenza sanitaria, della remotizzazione delle indagini preliminari e del processo penale accusatorio.
L’incerto equilibrio tra le ragioni di tutela della salute pubblica e il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa.
Introduzione: l’art. 23 del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137 in vigore da oggi. Lo svolgimento delle indagini preliminari da remoto e la remotizzazione, consensuale, di alcune delle fasi del processo penale accusatorio. Analisi delle novità normative immediatamente applicabili.
Come è noto, è stato emesso e pubblicato in G.U. il decreto legge 28 ottobre 2020 n. 137, in vigore dal 29.10.2020.
Tale decreto contiene, al suo interno, alcune disposizioni volte ad assicurare l’esercizio dell’attività giurisdizionale e a semplificare le modalità di deposito di atti, documenti ed istanze nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Si tratta, in particolare, degli artt. 23 e 24.
Tali norme saranno dunque oggetto della presente analisi, al fine di comprendere (o quantomeno cercare di farlo) la loro precisa portata applicativa e determinare la loro ricaduta, concreta e pratica, sulle modalità concrete di espletamento delle indagini preliminari e sul processo penale accusatorio, da oggi fino al termine della emergenza sanitaria (che ancora non si riesce, purtroppo, a vedere), analizzandone punti critici e possibili frizioni con l’esercizio del diritto di difesa.
L’art. 23 del D.L. 137/2020 detta disposizioni per l’esercizio dell’attività giurisdizionale e si compone di dieci commi.
Il primo comma stabilisce che le disposizioni del suddetto decreto – in particolare, i commi 2-9 – si applicano dalla data odierna fino al 31.01.2021 (data per cui è attualmente previsto il termine di efficacia della dichiarazione dello stato di emergenza, di cui all’art. 1 del D.L. 19/2020, convertito dalla Legge 22 maggio 2020 n. 35).
Tuttavia, stante la possibilità di successive eventuali proroghe delle misure dettate per fronteggiare lo stato di emergenza – espressamente prevista dall’art. 1 del D.L. 19/2020, convertito con modificazioni dalla L. 35/2020, richiamato dal primo comma dell’art. 23 del D.L. 137/2020 – è ipotizzabile che le disposizioni date per regolamentare il funzionamento dell’attività giurisdizionale siano protratte nella loro efficacia applicativa anche oltre il termine del 31.1.2021.
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Il che rende necessario confrontarci con il contenuto del disposto di cui all’art. 23 del D.L. 137/2020.
Ciò nell’ipotesi in cui l’emergenza, da temporanea, possa diventare (anche se si auspica chiaramente di no) permanente e che dunque questo finisca per diventare il modello stabile per il funzionamento del settore giustizia.
Il secondo comma dell’art. 23 del D.L. 137/2020 riguarda il tema della REMOTIZZAZIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI.
Il testo di legge la prevede come una mera facoltà, e non un obbligo, innanzitutto.
Legittimati a condurre le indagini preliminari con questa modalità sono il pubblico ministero e la polizia giudiziaria.
L’utilizzo della congiunzione pone un primo, delicato, problema.
Che è quello dei rapporti tra P.G. e Pubblico Ministero.
In base al testo della legge, sembrerebbe che la P.G. possa operare autonomamente (e remotizzare l’ascolto di persona offesa, testimoni e consulenti) senza necessità di deleghe del P.M., che è – e resta però – in base al codice il titolare delle indagini preliminari e che dispone della P.G. potendo delegarle il compimento di alcuni atti.
Salva pertanto la possibilità per la P.G. di compiere alcuni atti urgenti (di assicurazione e conservazione delle fonti di prova, perquisizioni, sequestri, etc…), l’introduzione da parte della norma della possibilità della P.G. di agire autonomamente pone, dunque, un problema di utilizzazione di quelle prove che, in ipotesi, la Polizia Giudiziaria abbia ritenuto di effettuare in via autonoma o per cui non vi sia ad esempio delega del P.M.
Non è solo una questione teorica, ma anche pratica perché potrebbe dar luogo a questioni sulla utilizzabilità delle prove così formate e raccolte, che però per la difesa sarebbe estremamente difficile poter eccepire non essendo presente e che si sarebbero così formate.
Non sfugge infatti che, in base al secondo comma dell’art. 23, la possibilità di opposizione del difensore all’espletamento dell’atto di indagine da remoto è limitata ai casi in cui sia obbligatoria la sua presenza.
E cioè agli atti c.d. garantiti o a quelli in cui egli debba necessariamente intervenire il difensore (interrogatorio dell’indagato ma anche, ad esempio, consulenza ed accertamento tecnico irripetibile ex art. 360 c.p.p.).
In tutti gli altri casi, però – che sono quelli più frequenti – tanto la P.G. quanto il P.M. potranno continuare a sentire testimoni, persona offesa, consulenti e altre persone senza alcun avviso, in piena autonomia.
In questo, dunque, non cambia (e non cambierà) l’impostazione del codice di rito, secondo cui il P.M. – ed ora pare di capire anche la P.G. – sarà legittimato a compiere e condurre tutte le indagini ed accertamenti ritenuti necessari nella fase delle indagini preliminari, senza contraddittorio con la difesa e senza alcun vincolo.
Se non quando, come detto, dovrà sentire l’indagato, compiere atti garantiti o svolgere accertamenti tecnici irripetibili.
Questa norma emergenziale sembra dunque ampliare (e non ridurre) il gap conoscitivo che ordinariamente esiste tra pubblico ministero e difensore/parte indagata nella fase delle indagini preliminari, che è sì una fase iniziale e prodromica ma nella quale si formano e raccolgono gli elementi utili alle successive determinazioni ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’archiviazione del procedimento.
Per questo motivo, forse, sarebbe stata necessaria una maggiore ampiezza di poteri di intervento ed anche di opposizione del difensore in questa delicatissima fase, non limitato in sostanza ai soli atti garantiti ed irripetibili.
La norma non chiarisce poi con quali modalità tecniche deve avvenire il collegamento con la persona da sentire “in remoto”.
E ne condiziona l’espletamento al fatto che l’ufficio di polizia presso cui viene eseguita l’attività sia dotato di strumenti idonei ad assicurare il collegamento da remoto.
Il legislatore dell’emergenza crea dunque una previsione già debole di per sé e difficoltosa, nella applicazione pratica, in quanto è ragionevole ritenere che non tutti gli uffici di P.G. (salvo quelli delle città più grandi) siano dotati della relativa strumentazione, creando le basi per una futura sperequazione territoriale sulle modalità di condurre le indagini con queste modalità – che solo alcuni potranno fare – ed altri uffici che invece dovranno ricorrere ai metodi c.d. tradizionali, vanificando quindi quanto dettato per, secondo l’impostazione governativa, ridurre i rischi di contatto dal virus e le occasioni di contagio.
Insomma, un bel guazzabuglio, con la conclusione che probabilmente senza adeguati mezzi tecnici di cui dovranno essere forniti gli uffici di P.G. difficilmente le indagini c.d. da remoto avranno applicazione pratica concreta.
Un altro problema pratico, ed anche, processuale futuro è dato dal fatto che il secondo comma dell’art. 23 del D.L. 137/2020 non prevede un preciso termine di convocazione per le persone chiamate a partecipare al compimento dell’atto.
Parla soltanto di un invito che deve essere tempestivo.
Ora, dal momento che le persone chiamate a partecipare sono, e possono essere, anche l’indagato ed il suo difensore, si pongono, e si potranno porre, questioni processuali di non poca rilevanza.
Che passano dalla definizione del significato di questo aggettivo, anche rispetto ad altri termini previsti dal codice di rito per l’espletamento di atti c.d. garantiti o che richiedono l’assistenza necessaria del difensore.
Se, ad esempio, il difensore non sia stato avvertito si pone una questione di nullità dell’atto di indagine (ad avviso dello scrivente, assoluta e non a regime intermedio); se l’avviso è si pervenuto, ma è o può ritenersi tardivo, si potrebbe configurare una nullità relativa da dedurre prima del compimento dell’atto da remoto – per cui si è stati avvertiti, ma ad esempio in ritardo – e che se non dedotta potrebbe ritenersi sanata.
Questo è un esempio che però non esaurisce in alcun modo la casistica concreta.
Potremmo pensare ad esempio al caso del compimento di un accertamento tecnico ex art. 360 c.p.p. per cui il difensore non riceva avviso (ma solo l’indagato).
Sicuramente, quest’ultimo non avrebbe potuto opporsi al compimento dell’atto da remoto, pur avendone la facoltà.
Qui, in primo luogo, si pone il delicato problema di quale vizio processuale potrebbe integrare il mancato invio dell’avviso per non aver consentito l’esercizio del diritto di opposizione.
Una nullità dell’atto? Una inutilizzabilità delle risultanze probatorie (cioè della consulenza)?
La norma tace, prevedendo un diritto di opposizione ma non che cosa succeda se non lo si permette di esercitare in concreto, portando dunque con se il rischio di non poter dedurre successivamente alcuna invalidità della prova così formatasi per il principio di tassatività di cui all’art. 177 c.p.p.
Altro problema è se l’avviso perviene ma non è tempestivo e la parte indagata non è in grado (non per sua colpa) di nominare un suo consulente tecnico.
E si ritroverà con un atto irripetibile, assunto da remoto, che poi andrà a confluire anche nel futuro fascicolo del dibattimento.
Quale vizio potrebbe esserci in questo caso da dedurre ad opera della difesa?
Una nullità relativa dell’atto di indagine remoto?
Assoluta o a regime intermedio?
E quando sarebbe deducibile?
Una soluzione potrebbe essere quella di ritenere configurata una nullità a regime intermedio, da dedurre immediatamente prima del compimento dell’atto di indagine c.d. remoto “intempestivo”.
Tuttavia, risulta evidente la possibile lesione del diritto di difesa che l’espletamento di un atto con queste modalità potrebbe determinare e non è affatto certa (né garantita) la possibilità di dedurre immediatamente questa e simili questioni, che sono lasciate all’efficienza – o non efficienza – del collegamento remoto che si è adottato e a variabili del tutto casuali, senza che sia prevista per altro dalla norma una specifica sanzione processuale per la intempestività dell’avviso; sanzione che si dovrà necessariamente mutuare dalle norme del codice di rito.
Altro punto critico della remotizzazione (delle indagini preliminari, ma anche della successiva fase, legata al consenso delle parti) è costituito dalla necessaria riservatezza che deve essere assicurata al collegamento e al colloquio tra difensore e parte assistita/indagata.
La norma prevede che la riservatezza debba essere garantita senza che venga stabilito come lo si debba fare, sia di fronte a rischi di apprensione dei dati e delle informazioni riguardo all’espletamento dell’atto da parte di terzi estranei e legittimati all’intervento (tema della sicurezza del collegamento ed anche della riservatezza di quello che è, a tutti gli effetti, un atto di indagine coperto nel suo svolgimento dal segreto istruttorio), sia per evitare che l’interlocuzione tra difensore e indagata avvenga senza interferenze esterne e in una situazione di libertà di comunicazione tra le parti e di segretezza dei suoi contenuti.
Il secondo comma si chiude, poi, con la possibilità di estensione della disciplina del processo remoto anche all’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p.
La traslazione del modello di remotizzazione da un atto/atti espletati della pubblica accusa ad uno del giudice, e tra l’altro, così delicato, come l’interrogatorio di garanzia, appare impropria ed improvvida, proprio per le carenze e lacune che presenta questo modello processuale, anche se facoltativo, per come regolamentato dal legislatore dell’emergenza.
L’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p. è un atto che infatti implica, necessariamente, il contatto tra accusato ed il suo giudice ed è il primo momento utile in cui questi (spesso privato della libertà personale o gravato da misura di sicurezza) può fornire la propria versione e tesi difensiva ed elementi di prova al giudice delle indagini preliminari, comparendo davanti a lui.
La remotizzazione di simili attività è in contrasto con un pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa in tale delicata ed iniziale fase in quanto si traduce in una deminutio delle modalità con cui l’indagato può esercitare le proprie facoltà e diritti, non surrogabile certamente da un collegamento “a schermo”.
Terminata l’analisi del tema della remotizzazione delle indagini preliminari (anche se molto altro ci sarebbe da dire per poter esaurire l’argomento), occorre adesso esaminare quali siano i limiti, normativamente previsti, dal legislatore dell’emergenza per l’applicazione del processo remoto nella fase dibattimentale.
Il terzo comma chiarisce che le udienze civili e penali pubbliche possono essere svolte a porte chiuse ex art. 472 comma 3 c.p.p. e 128 c.p.c., chiarendo, dunque, che questa (le porte chiuse) è una modalità sicura per consentire lo svolgimento delle udienze, tanto penali quanto civili, senza rischi di contagio da covid-19.
Tale punto di partenza (la previsione, facoltativa e discrezionale, che le udienze penali possano svolgersi a porte chiuse, individuando tale modalità di celebrazione del processo penale limitata al solo intervento delle parti e senza pubblico, ma in praesentia, quale modalità sicura ed idonea a salvaguardare le esigenze di tutela della salute pubblica) inducono a dubitare, fondatamente, della utilità – o quantomeno della necessità ed urgenza ex art. 77 Cost. – della introduzione del processo c.d. da remoto, come si era già sottolineato al momento della introduzione del primo decreto legge emanato in materia.
Detto questo, occorre però chiedersi nella fase dibattimentale quale applicazione possa trovare il processo c.d. da remoto.
Il comma 5 dell’art. 23 limita i casi di applicazione del processo remoto, nella fase dibattimentale, alle udienze nelle quali non debbano essere sentiti testimoni, cioè alle udienze c.d. di smistamento o di mero rinvio, con esclusione delle udienze istruttorie e di discussione.
Anche l’applicazione del processo da remoto alle sole udienze di smistamento pone tuttavia alcuni problemi legati alla possibilità di garantire un collegamento funzionante e che consenta il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa, in quanto, in tale udienze, come noto, debbono essere comunque compiute attività processuali di rilievo, come la formulazione delle eccezioni e questioni preliminari, la formulazione delle richieste di prova e la produzione dei documenti, la richiesta di prove contrarie, etc…
Tali difficoltà sono, soltanto in parte (come vedremo meglio nel seguito), superabili mediante il preventivo deposito di memorie ex art. 121 c.p.p. da parte della difesa – che, ad esempio, pensi di anticipare tali questioni in forma scritta depositando la relativa memoria nella cancelleria del Giudice prima della udienza fissata – o anche di documenti, che però non sarebbero (e non sono) producibili prima ed al di fuori del contraddittorio tra le parti e non sono utilizzabili prima della interlocuzione in praesentia, che questo modello virtuale non prevede e che non potrebbe concretamente esplicarsi.
Senza contare che spesso le questioni preliminari, che il codice di rito impone di formulare in udienza in contraddittorio e che vengano verbalizzate, sono spesso molto complicate e potrebbe anche essere impossibile praticamente declinarle – e farle trascrivere – in un processo per così dire dematerializzato.
Così come potrebbe essere impossibile porre una questione sulla composizione del fascicolo del dibattimento, a tale udienza, per non essere stato consentito l’accesso al fascicolo cartaceo, considerato anche, come meglio si vedrà, che non è prevista dal D.L. alcuna forma di accesso “da remoto” dei difensori al fascicolo del dibattimento.
La remotizzazione della udienza di smistamento è dunque consentita anche se è – ad avviso dello scrivente – auspicabile che possa rimanere eventuale e discrezionale e non essere disposta (venendo al contrario sostituita dalla celebrazione della udienza a porte chiuse ex art. 472 comma 3 cpp) tutte le volte in cui il collegamento a distanza non consenta l’effettivo e concreto esercizio del diritto di difesa anche in tale, prodromica e delicata, fase, specialmente quando si debbano porre questioni preliminari ed in rito articolate e di rilevante complessità che non siano quelle relative alla citazione dell’imputato (che, comunque, consiglierebbe anche essa una presenza fisica delle parti per poter consentire un interlocuzione e confronto proficuo e reciproco, altrimenti svuotato dalla dematerializzazione nella celebrazione della udienza).
Ferma restando la possibilità attuale (e non l’obbligo, lo si ribadisce) – normativamente prevista – di applicare il processo da remoto alle sole udienze c.d. di smistamento, il comma 5 esclude dalla applicazione del processo remoto le udienze istruttorie, in cui debbano essere sentiti parti, consulenti e testimoni (quindi anche l’esame dell’imputato nella fase dibattimentale non si potrebbe svolgere da remoto e, stando così le cose, non si comprende la ragione per cui invece l’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p., ad esempio, lo si possa, invece, fare con collegamento a distanza), le udienze di discussione, sia nel caso di processo ordinario ex art. 523 c.p.p. che di rito abbreviato ex art. 441 c.p.p.
La norma prevede un generale divieto di applicazione del divieto alla celebrazione da remoto anche per l’udienza preliminare e per le udienze dibattimentali, SALVO CHE LE PARTI VI CONSENTANO.
La deroga allo svolgimento del processo in praesentia, tanto nella udienza preliminare quanto a quelle dibattimentali, e il suo svolgimento con collegamento a distanza, è possibile, dunque, solo con il consenso delle parti.
La formula utilizzata sembra presupporre che debba esservi il consenso di TUTTE LE PARTI, essendo dunque sufficiente che una sola di esse (la difesa, ma anche il P.M., e perché no anche solo la parte civile, una parte civile che notoriamente, anche se eventuale, è pur sempre parte processuale quando sia ritualmente costituita a ministero di un difensore con atto notificato fuori udienza oppure alla precedente udienza, rispetto a quella in cui ovviamente si voglia applicare il collegamento da remoto) lo neghi perché sia impedita l’applicazione del processo c.d. da remoto per l’udienza preliminare e quelle dibattimentali, in deroga al generale divieto stabilito dalla norma.
Per questo motivo, si è usato – in rubrica – il termine di remotizzazione consensuale per questa fase, in quanto senza consenso l’attività processuale non può svolgersi mediante collegamento a distanza e il processo penale non può ritenersi validamente celebrato.
Ulteriori difficoltà e problematiche applicative (oltre che questioni processuali) è destinata a porre anche, infine, la previsione che il giudice possa partecipare alla udienza anche in un luogo diverso dal tribunale (comma 7) e quella seconda cui nei procedimenti penali le deliberazioni collegiali possano essere assunte mediante collegamenti da remoto e che il luogo di collegamento sia considerato camera di consiglio con obbligo di inserimento nel fascicolo del dispositivo di sentenza prodotto “a distanza” (comma 9), con l’ovvia questione che l’inserimento del dispositivo di sentenza nel fascicolo, cartaceo e telematico che sia, non è nella immediata disponibilità del difensore che non può avervi accesso e che ciò potrebbe riflettersi negativamente sulle modalità di esercizio del diritto di impugnazione, specialmente in presenza di motivazione contestuale e di difficoltà pratiche del collegamento a distanza (come la caduta del collegamento, la mancanza di ascolto reciproco, etc…).
Ma le difficoltà da ultimo citate sono destinate a stemperarsi per il fatto che tali modalità di deliberazione collegiale possono essere applicate soltanto in caso di processo remoto, e, quindi, ai pochi casi in cui si debba applicare tale istituto (udienze di smistamento) tra cui non rientrano normalmente le udienze di discussione finale.
Infine, occorre porre attenzione al disposto dell’art. 24 del D.L. 137/2020 che si propone lo scopo di semplificare le attività di deposito di atti, documenti ed istanze nel periodo di emergenza epidemiologica.
L’art. 24 del D.L. 137/2020. Semplificazioni delle attività di deposito di atti, documenti ed istanze durante il periodo di emergenza epidemiologica. Alcune riflessioni sulla reale portata (ed efficacia) delle disposizioni emanate ed immediatamente vigenti.
L’art. 24 del D.L 137/2020 prevede, al comma 1, che, dalla data odierna e fino alla scadenza del termine di cui al comma 1 del D.L. 19/2020 convertito con modificazioni dalla Legge 35/2020 (ad oggi il 31.01.2021), il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate nell’art. 415-bis, comma 3, c.p.p. presso gli uffici della procura della repubblica presso i tribunali avvenga, esclusivamente, tramite deposito dal portale del processo telematico, con perfezionamento del deposito stesso al momento della generazione della relativa ricevuta.
Tale possibilità di deposito telematico degli atti – che per ora riguarda soltanto quelli successivi all’emissione del 415-bis c.p.p., e quindi la fase delle indagini preliminari, e non il processo penale nelle successive fasi – viene estesa dal successivo comma 2, “con riserva”, anche altri atti diversi da quelli di cui sopra, prevedendosi che con successivi decreti del Ministero della Giustizia debbano essere individuati tali ulteriori atti per cui sia consentito il deposito con modalità telematiche.
Consapevole della limitazione nell’uso dello strumento telematico che il comma 1 pone (e che essa non riguarda il processo, ma solo la fase successiva all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari), il Legislatore della emergenza – oltre a riservarsi “in bianco” l’ampliamento del novero degli atti per cui è consentita tale modalità al comma 2 – ha previsto che per tutti gli atti, documenti ed istanze diversi possa essere effettuato, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel RegInde.
Si tratta di una previsione utile ma timida, in quanto, per la sua attuazione, necessita di un – previo – provvedimento del Direttore del DIGSIA che sia stato pubblicato sul Portale del Servizi Telematici nel quale siano indicati, appunto, gli indirizzi di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari ed anche le specifiche tecniche relative al formato degli atti e le ulteriori modalità di invio.
Nè si comprende come mai sia stata esclusa dal comma 8 dell’art. 24 la possibilità – invero molto più semplice – di inviare gli atti, i documenti e le istanze (pur individuando il formato degli atti e delle specifiche tecniche) direttamente dall’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore, che sia stato validato ed idoneo, a quello PEC inserito nel REGINDE dell’ufficio giudiziario destinatario e che sia stato indicato dal Direttore del DIGSIA mediante pubblicazione nel Portale dei Servizi Telematici del Ministero.
Considerazioni conclusive (necessariamente provvisorie).
Il D.L. 137/2020 introduce, agli artt. 23 e 24, delle norme che non assolvono alla esigenza di assicurare il buon funzionamento del servizio giustizia nel periodo di emergenza.
L’applicazione del processo remoto nel processo, nella fase delle indagini preliminari, è concepita come eventuale e facoltativa e, per come è stata partorita, presenta problematiche applicative e difficoltà (senza contare tutte le questioni processuali e lesioni del diritto di difesa che è suscettibile di generare) che la rendono inidonea a garantire la corretta assunzione della prova continuando a far preferire l’assunzione della stessa con le modalità ordinarie.
Tale conclusione vale ancora di più se si pensa alla successiva fase dibattimentale in cui il collegamento da remoto è stato escluso per le udienze istruttorie e quelle di discussione (e quindi per tutta la attività di maggior rilievo per la quale si è correttamente, ed evidentemente, riconosciuto l’importanza dello svolgimento in presenza e del contraddittorio forte) ed è stato lasciato come ipotesi eventuale e negoziata, restando confinato alla fin fine alle sole udienze c.d. di smistamento.
Non sembra dunque che possa essere il processo da remoto a sostituire il processo accusatorio.
Anche in un momento calamitoso come questo, in cui, ad una (parziale) rinuncia al modello del contraddittorio nella formazione della prova e alla oralità di cui all’art. 111 Cost. non corrisponde (come si è visto sopra) una possibilità di accesso telematico da parte dei difensori al fascicolo processuale – non prevista dal suddetto decreto – e neppure un deposito di atti, memorie e documenti mediante invio a mezzo PEC per il procedimento penale.
Soltanto la realizzazione della informatizzazione, completa ed effettiva, con possibilità di accesso dei difensori al fascicolo (tanto delle indagini preliminari quanto del dibattimento) – in via riservata e in sicurezza – unitamente alla possibilità di inviare tutti gli atti, memorie, documenti, istanze e quant’altro (e non solo quelli successivi al 415-bis comma 3 c.p.p., come ad esso per ora è previsto), potrebbe consentire di rinunciare, in alcuni casi e modi espressamente e precisamente stabiliti dalla legge, in futuro alla presenza fisica in aula e al modello di contraddittorio forte previsto dal nostro codice di rito.
Ma non siamo ancora a questo punto.
E non sappiamo se ci arriveremo mai.
Quantomeno alle giuste condizioni, che non possono che essere quelle espresse sopra.
E non quelle, generiche, incerte e depotenziate, che vuole farci accettare il legislatore, con la scusa dell’emergenza sanitaria contingente.
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