Tutela dell’ambiente e del sistema finanziario nel decreto legislativo 21/2018

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Proseguendo la disamina delle novità introdotte dal decreto legislativo n. 21 del 2018, l’art. 3  del decreto legislativo n. 21/2018 apporta talune  modifiche in materia di tutela dell’ambiente.

In particolare, dal momento che la delega escludeva che contestualmente all’inserimento nel codice penale di singole fattispecie criminose seguisse “una più vasta opera di sistemazione del settore mediante l’introduzione di tutti i reati in materia di inquinamento marino e idrico contemplati nel testo unico sull’ambiente[1], si “è, pertanto, proceduto tenendo conto del fatto che la struttura dei reati ambientali e la loro collocazione in corpi normativi unitari e tendenzialmente esaustivi (salvo integrazioni tecniche da parte di fonti secondarie e di autorità amministrative) sconsigliano di scindere le sanzioni penali dai pertinenti precetti amministrativi, in linea con la tradizione legislativa italiana e con un modello ormai assimilato dagli operatori del diritto e dai destinatari delle normative[2].

Posto ciò, il primo comma di questo precetto normativo prevede, al posto dell’art. 260 del decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l’art. 452-quaterdecies  (Attivita’  organizzate  per  il  traffico illecito di rifiuti)  a norma del quale: “Chiunque, al fine di conseguire  un  ingiusto profitto, con piu’ operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi  e attivita’ continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce  abusivamente  ingenti  quantitativi di rifiuti e’ punito con la reclusione da uno a sei anni. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattivita’ si applica  la  pena della reclusione da tre a otto anni. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui  agli  articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter, con la limitazione di cui all’articolo 33. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di  procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e puo’ subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente. E’ sempre  ordinata  la  confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non  sia  possibile, il giudice  individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche  indirettamente o per interposta persona la disponibilita’ e ne ordina la confisca”.

Al contrario non “si è ritenuto di fare in relazione alla fattispecie di combustione illecita di rifiuti di cui all’articolo 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006[3] dato che, “nonostante trattasi di fattispecie delittuosa di carattere doloso, severamente sanzionata, nonché munita di taluni requisiti autenticamente penalistici (“appicca il fuoco”; tiene determinate condotte “in funzione della successiva combustione”), così come di aggravanti che rinviano a criteri penalistici (“attività organizzata” ecc.), si rileva come una serie di riferimenti, per esempio, ai rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato (“abbandono, gestione abusiva e spedizione illecita di rifiuti”) rimandino direttamente o indirettamente alla disciplina generale dei rifiuti contenuta nel medesimo testo unico[4] tenuto conto altresì del fatto che questa norma giuridica “si chiude, poi, con un rinvio a particolari rifiuti che, ove bruciati, non danno luogo a responsabilità penale, ma restano puniti in via amministrativa[5].

Va altresì rilevato che l’art. 3, c. 2, decreto legislativo n. 21/2018 per esigenze di coordinamento di ordine procedurale,  stabilisce che all’“articolo 51, comma 3-bis, del  codice  di  procedura  penale approvato con decreto del Presidente della  Repubblica  22  settembre 1988, n. 447, sono apportate le seguenti modificazioni: a)  dopo  le  parole: «416-ter»  sono inserite le seguenti:  «, 452-quaterdecies»; b) le parole: «e dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,» sono soppresse.”.

L’art. 4 decreto legislativo n. 21/2018, a sua volta, interviene in materia di tutela del sistema finanziario attraverso le seguenti modificazioni: a) al posto dell’art. 55, commi 5 e 6, secondo periodo del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, viene introdotta una nuova norma giuridica ossia l’art. 493-ter (Indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento) ai sensi del quale: “Chiunque al fine di  trarne  profitto  per se’ o per altri, indebitamente  utilizza,  non  essendone  titolare, carte di credito o di pagamento,  ovvero  qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto  di beni o alla prestazione di servizi, e’ punito con  la  reclusione  da uno a cinque anni e con la multa da  310 euro a 1.550  euro.  Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per se’ o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante  o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di  provenienza  illecita  o comunque falsificati o alterati, nonche’ ordini di pagamento prodotti con essi. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma e’ ordinata la confisca delle cose  che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonche’ del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non e’ possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilita’ di cui il reo ha la disponibilita’ per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto. Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al  secondo comma, nel  corso  delle  operazioni  di  polizia  giudiziaria, sono affidati dall’autorita’ giudiziaria agli organi  di  polizia  che  ne facciano richiesta”; b) in luogo dell’art. 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto 1992, n. 356, viene inserita la seguente disposizione legislativa: “Art. 512-bis (Trasferimento fraudolento di valori). – Salvo che il fatto   costituisca   piu’   grave   reato,   chiunque    attribuisce fittiziamente ad altri la titolarita’  o  disponibilita’  di  denaro, beni o altre utilita’ al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di  prevenzione  patrimoniali  o  di  contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei  delitti  di  cui  agli articoli 648, 648-bis e 648-ter, e’ punito con la reclusione da due a sei anni”.

Pertanto, operando in tal guisa, da un lato, si è operato “il trasferimento nel codice penale dell’articolo 55, comma 5, del d.lgs. n. 231 del 2007 che incrimina l’indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento o la loro falsificazione, posta non a tutela del bene del patrimonio, ma dei valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico, economico e della fede pubblica[6] trattandosi “di una disposizione del tutto estranea al testo normativo di riferimento dedicato alla prevenzione del riciclaggio e, pertanto, adeguatamente inseribile nel codice penale[7], dall’altro, è stata contemplata “la trasposizione nel codice penale dell’articolo 12-quinquies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992 (“Trasferimento fraudolento di valori”)[8] collocandola “nel Titolo VIII dedicato ai delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio[9] stante il fatto che “le attività di riciclaggio e di reinvestimento incidono in misura sensibile sul sistema economico nel suo complesso, con specifico riguardo al settore finanziario, utilizzato dal crimine organizzato per l’allocazione più conveniente delle risorse patrimoniali illecitamente conseguite[10].

Al contrario non si è ritenuto che analogo rilievo sul piano dell’aggressione all’economia assumessero le condotte in materia di obblighi di comunicazione patrimoniale dei condannati per mafia o dei sottoposti a misure di prevenzione dato che per queste condotte è stata stimata più adeguata la loro collocazione all’interno del codice antimafia[11].

Va infine osservato che anche qui, per esigenze di coordinamento, vengono apportate delle emende di ordine procedurale e, segnatamente, all’articolo 33-bis, comma 1, del codice di procedura penale approvato con decreto del Presidente della  Repubblica  22  settembre 1988, n. 447, prevedendo la sostituzione della lettera o) con la seguente: «o) delitto previsto dall’articolo 512-bis del codice penale;» (art. 4, c. 2, decreto legislativo n. 21/2018).

[1]Relazione illustrativa di questo decreto legislativo.

[2]Ibidem.

[3]Ibidem.

[4]Ibidem.

[5]Ibidem.

[6]Ibidem.

[7]Ibidem.

[8]Ibidem.

[9]Ibidem.

[10]Ibidem.

[11]Così: Relazione illustrativa di questo decreto legislativo.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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