Brevi riflessioni su truffa contrattuale e tutela del consumatore

Redazione 19/05/04
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Avv. Vincenzo Savasta – www.consumerlaw.it

Nel quadro della tutela del consumatore, talvolta si trascura la rilevanza penale di molte fattispecie pregiudizievoli per i diritti e gli interessi dei singoli.
Ciò deriva probabilmente dalla percezione (non sempre corretta) della natura prevalentemente civilistica della maggior parte delle situazioni in esame e di gran parte della normativa in materia.
Tuttavia, nell’assistere professionalmente il consumatore, sarebbe grave superficialità trascurare questo aspetto, che potrebbe offrire spunti di tutela ben più efficaci di quanto non lo siano i rimedi più ricorrenti.
Tra le fattispecie penali da prendere in considerazione nell’ottica consumerista una delle più rilevanti è quella della c.d. truffa contrattuale.
Tradizionalmente la distinzione tra frode civile e frode penale è questione molto dibattuta e probabilmente non ancora pacificamente delineata.
E’ infatti molto difficile tracciare un confine tra quei comportamenti fraudolenti che integrano il reato di truffa e quelle fattispecie che pur non essendo riconducibili a questa figura, tuttavia assumono almeno una certa rilevanza in ambito civilistico. Ogni possibile classificazione si è rivelata non esauriente, anche se poi nel corso del tempo la giurisprudenza ha operato un allargamento del concetto di artifizi e raggiri e quindi di truffa contrattuale.
Anzitutto merita approfondimento l’individuazione del bene tutelato nel reato di truffa, identificato dalla dottrina dapprima come interesse alla correttezza e regolarità dei rapporti giuridici e come tutela della libertà del consenso individuale ed in seguito come protezione del patrimonio del singolo.
Tale ultimo orientamento è al momento maggioritario, ed anche il principio della perseguibilità del reato in questione a querela della persona offesa depone a favore di quest’ultima interpretazione.
In realtà parrebbe più calzante la definizione di reato plurioffensivo, in quanto pregiudizievole sia per il singolo che per la sicurezza dei rapporti commerciali e giuridici in genere.
Soprattutto in materia consumerista, detta interpretazione sarebbe più aderente all’attuale mercato ed ai mutati rapporti commerciali, caratterizzati oramai (per quanto riguarda naturalmente le dinamiche di consumo) dalla contrattazione di massa, che spersonalizza la trattativa contrattuale ed assume -in certe situazioni- caratteristiche così peculiari ed innovative (si pensi ad esempio alle televendite oppure ai contratti informatici) da costituire un vero e proprio fenomeno sociale o comunque di costume.
Questa considerazione, unita al diffondersi di approcci commerciali a dir poco “disinvolti”, ed alla tipologia del consumatore medio come soggetto debole e spesso sprovveduto, non può non provocare un certo (per quanto moderato) allarme sociale ed una certa attenzione da parte degli “addetti ai lavori” a prevenire e sanzionare penalmente le situazioni più rilevanti, considerando determinate fattispecie non solo lesive di un mero interesse privato, ma anche di più generali principi di tutela della collettività.
Come è noto la truffa è reato “a forma vincolata”, cioè realizzabile solo attraverso specifiche modalità descritte compiutamente dal legislatore, e si concretizza tipicamente nel ricorso del soggetto attivo ad “artifizi” o “raggiri”, cioè manipolazioni della realtà oppure anche solo mere attività di persuasione, senza che rilevi l’identità tra il soggetto danneggiato e quello ingannato.
A ben vedere si tratta di comportamenti che vengono posti in essere non solo al momento della conclusione del contratto, ma anche nella fase preparatoria o in quella esecutiva di esecuzione del contratto stesso.
Al proposito non rilevano, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, né l’idoneità ingannatoria di questi comportamenti, né l’eventuale negligenza o ingenuità della persona offesa, che abbiano eventualmente agevolato la realizzazione del risultato illecito.
In questo senso sembra di poter leggere l’emersione del consumatore medio come persona offesa dalla condotta delittuosa.
E’ proprio costui, a giudicare dalle segnalazioni che pervengono allo studio CONSUMERLAW, il soggetto predestinato, per ragioni di carenze culturali specifici o anche solo per poca esperienza, che si lascia suggestionare dall’abilità del venditore che ricorre a pratiche commerciali aggressive e poco “garantiste” per l’aderente.
Al contrario è discussa la rilevanza della menzogna e del silenzio, che vengono da parte della dottrina considerati comportamenti idonei a configurare il reato, laddove altri orientamenti lo negano recisamente.
Gli artifizi e raggiri di cui sopra devono aver indotto in errore il soggetto passivo, inducendolo a compiere un atto di disposizione patrimoniale che, secondo la dottrina prevalente, potrà essere anche di natura omissiva.
Da tale disposizione patrimoniale deriveranno un danno ed un ingiusto profitto per il soggetto autore del reato.
La nozione di danno, in particolare, ha sollevato un problema interpretativo circa la sua natura, “giuridica” o “economica”. Secondo i sostenitori della prima teoria, esso consisterebbe nella perdita di un diritto o nell’assunzione di un obbligo, mentre per i secondi si potrebbe realizzare solo con una deminutio patrimonii.
Altri autori offrono una diversa interpretazione della nozione di danno, inteso in senso soggettivo (cioè tutto ciò che il singolo percepisce come tale) oppure in senso oggettivo, legato quindi alla volontà espressa dal contraente-soggetto passivo del reato.
Probabilmente è più accettabile l’opinione di coloro che tentano di contemperare le opposte teorie, tenendo presente non solo l’eventuale pura e semplice perdita economica, ma anche la sfera complessiva del singolo soggetto vittima del reato.
Sicuramente, con riferimento alla figura del consumatore, pare maggiormente calzante la nozione soggettiva del danno, per un individuo che, nel suo agire, pone come prioritarie esigenze esistenziali ed aspetti psicologici difficilmente riconducibili nei ristretti confini di considerazioni puramente economiche o comunque oggettive. Del resto, è sotto gli occhi di tutti la recente affermazione del danno esistenziale.
L’elemento soggettivo della truffa è il dolo, generico secondo la dottrina maggioritaria, essendo sufficiente la consapevolezza di realizzare la fattispecie criminosa in esame.
Si tratta altresì di un reato di evento, che può dirsi perfezionato solo quando si sono realizzati tutti i suoi elementi costitutivi.
In quest’ottica la truffa contrattuale si realizza solo se si raggiunge –per l’appunto– un accordo tra la vittima e l’agente. Occorrerà verificare se il momento consumativo del reato si realizza con il semplice accordo, oppure sia richiesta una deminutio patrimonii.
Ovviamente, accogliendo la (meno seguita) tesi “giuridica” del danno la modifica patrimoniale diverrà irrilevante, essendo invece centrale la conclusione del contratto. Certamente se si aderisce alla succitata teoria del reato plurioffensivo, considerare compiuto il reato anche prima del verificarsi di un pregiudizio economico sarebbe più rispondente ad una maggiore tutela di interessi collettivi.
Il Giudice territorialmente competente a giudicare il reato in oggetto sarà quello del luogo in cui si è realizzato l’evento tipico del reato stesso. Si osservi che nel caso di truffa contrattuale in danno del consumatore, questo regime si porrebbe in termini di eccezione alla regola che vuole le controversie di consumo radicate presso il foro del luogo di residenza del consumatore.
La procedibilità a querela riconduce ai discorsi già affrontati circa la natura del bene tutelato, ed in questo senso la giurisprudenza univoca, legata alla concezione patrimoniale dell’interesse leso, afferma che solo il soggetto che subisce il danno economico possa proporla, e non quello (ove vi sia differenza) che è stato ingannato.
La querela potrà essere proposta entro tre mesi decorrenti dalla notizia del fatto che costituisce reato, ma il dies a quo, proprio per la natura della truffa contrattuale, potrebbe essere individuato anche in un momento successivo alla stipulazione del contratto.
Nell’ottica della tutela del consumatore questa previsione potrebbe creare problemi là dove, spesso per negligenza o ignoranza o sprovvedutezza, il soggetto passivo non si attiva sin da subito per denunciare quanto accadutogli.
La prescrizione del reato è quinquennale e decorre dal momento consumativo identificabile, secondo alcuni, nel momento in cui si verifica il danno (tesi maggioritaria) e, secondo altri, dalla stipula del contratto.
Per concludere, va rilevato che quotidiana esperienza professionale a difesa dei consumatori è testimone di fattispecie che, in considerazione del comportamento assunto dalle parti durante le trattative, la negoziazione e l’esecuzione del contratto, possono assumere rilevanza penale.
La casistica è ricca di esempi: si pensi alle manifestazioni tenute in alberghi per la vendita di beni o multiproprietà, che sono precedute da telefonate in cui l’operatore commerciale induce il consumatore a partecipare con la promessa di omaggi, tacendo del vero scopo dell’iniziativa commerciale; si pensi a certe offerte di lavoro, ampiamente reclamizzate, su quotidiani e riviste, dissimulando (inutili) corsi di apprendimento, cui non segue mai un reale sbocco occupazionale.
Ed ancora alle pratiche commerciali di certe agenzie immobiliari che realizzano comportamenti suscettibili di valutazione in ambito penale, come il frequente il silenzio sulla mancata conformità di un immobile alla normativa urbanistico-edilizia e sanitaria.
La fantasia di certi “disinvolti” operatori commerciali è tale da creare sempre nuove situazioni oggetto di attenzione; parimenti la sensibilità del giurista dovrà maturare nuove sensibilità per cogliere, con riferimento alla peculiare figura di consumatore, la rilevanza di fattispecie situate a metà strada tra illecito civile e penale, ma che tendono a travalicare con sempre maggiore frequenza verso quest’ultimo.

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