Transazione fiscale tra contribuenti e Fisco. Aspetti problematici

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Lo scopo del presente articolo è illustrare alcune problematiche ricorrenti nella neo-istituita procedura in assenza di giurisprudenza e dottrina consolidata circa e soprattutto la tipologia dei crediti transigibili alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 32 D.L. 185 del 29/11/2008; l’esito della procedura e le sue conseguenze sul concordato preventivo e con riferimento all’impugnabilità del mancato accordo non solo in sede di Commissione tributaria.
 
L’istituto della transazione fiscale è disciplinato dall’articolo 182-ter della L.F., come modificato dall’articolo 16, comma 5, del D.Lgs. n. 169 del 2007 e da ultimo dall’art. 32 d. lgs 185/2008.
La collocazione di tale istituto nel corpo della L.F., al titolo III ("Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione"), capo V ("Dell’omologazione e dell’esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di ristrutturazione di debiti"), è avvenuta in forza dell’articolo 146 del D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha introdotto l’istituto nell’ordinamento giuridico in attuazione della delega prevista dall’art. 1 comma 5 della L 80/2005 fornita al Governo per adottare uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali previste dalla L.F.
 
Come risulta dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 5 del 2006, con la delega di cui all’articolo 1, comma 5, della legge n. 80 del 2005, il legislatore "ha inteso allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione europea ed introdurre una nuova disciplina concorsuale per la regolamentazione dell’insolvenza che semplifichi le procedure attualmente esistenti e sopperisca in modo agile e spedito alla conservazione dell’impresa e alla tutela dei creditori, seguendo la tendenza a considerare preminente, ove possibile, la conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa”. Successivamente l’art. 1 comma 3 della L 228/2006 ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 1 della L 80/2005 testè citata, delegando il Governo ad adottare ulteriori disposizione correttive ed integrative della disciplina concernete la crisi d’impresa.
In attuazione di quest’ultima delega, è stato emanato il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, in vigore dal 1 gennaio 2008.
Al riguardo, nella relazione illustrativa al predetto D.Lgs. n. 169 del 2007, è stato precisato che "La necessità di apportare delle modifiche al decreto legislativo n. 5 del 2006 è emersa sin dai primi mesi di applicazione delle nuove norme, atteso che dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato numerosi aspetti critici e problematici della ‘riforma organica’ delle procedure concorsuali, i quali non possono che essere superati attraverso gli interventi correttivi ed integrativi previsti dal presente decreto".
Tra i quali hanno assunto specifica rilevanza gli accordi negoziali con i creditori dell’impresa (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti e appunto transazione fiscale avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografaro) finalizzati sia ad evitare un soddisfacimento migliore e più celere per gli stessi rispetto alla lunga e spesso infruttuosa tradizionale procedura liquidativi, sia e nel contempo alla conservazione dell’impresa con i relativi livelli occupazionali.
 
Infatti tale istituto di natura privatistica ex art. 1965 comma 1 (analogo alla transazione dei debiti iscritti a ruolo introdotto dall’art. 3 comma 3 d. l. 138/2002 convertito in L. 178/2002 ed oggi abrogato), è stato previsto in deroga al principio di indisponibilità del credito tributario al fine (così infatti la recente dottrina – L. Tosi in la Transazione fiscale in rassegna tributaria n. 4/2006 pagg. 1071 e ss)  di una più efficace riscossione dei tributi nei confronti degli imprenditori in stato di crisi e soprattutto per scongiurare eccessivi pregiudizi agli interessi degli altri creditori dell’imprenditore, oltre che dell’imprenditore stesso, in linea con la riforma del nuovo concordato preventivo volto a diventare una procedura non solo liquidatoria ma anche di risanamento.
 
Difficoltà interpretative sicuramente non ricorrono circa i presupposti di ammissione alla procedura transattiva, attesi i chiari requisiti sostanziali e procedurali stabiliti dalla Legge per accedervi.
 
Infatti come hanno ricordato gli esperti del Fisco con la Circolare 40/2008, è da sottolineare che la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali atteso il principio d’indisponibilità del credito tributario, è di stretta interpretazione e non suscettibile di interpretazione analogica o estensiva (articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale). Pertanto, non è possibile pervenire ad una soddisfazione parziale dello stesso al di fuori della specifica disciplina di cui all’articolo182-ter. Ciò comporta che la falcidia o la dilazione del credito tributario è ammissibile soltanto qualora il debitore si attenga puntualmente alle disposizioni disciplinanti la transazione fiscale di cui all’articolo 182-ter. Tale conclusione vale tanto più se si considera che con la proposta di transazione è possibile non soddisfare integralmente i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca. 
Infatti come è stato già ampiamente riportato da altra dottrina (……..in fisco on line del ……) è stabilito in sintesi che ai sensi dell’art. 182 ter L. F. la proposta transattiva presuppone la domanda di ammissione al concordato ex art. 160 formulata in base ad un apposito piano, da parte dell’imprenditore commerciale (per la cui individuazione è necessario far riferimento ai comma 1 e 2 dell’art. 1 L. F. (1);
con il ricorso il richiedente deve presentare tra l’altro ai sensi dell’art. 161 una relazione aggiornata della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso dei debitori;
 
l’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 163 LF avviene a seguito di decreto da parte del Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale;
 
il contribuente deve presentare ex art. 182-ter al competente agente della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale copia della domanda di transazione fiscale e della relativa documentazione unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici ed alla copia delle dichiarazioni integrative presentate fino alla data di presentazione della domanda di transazione, al fine di consentire da parte dei soggetti indicati il consolidamento del debito fiscale, ossia la “fotografia”, la individuazione dell’effettivo debito fiscale;
 
Successivamente l’Ufficio ed il concessionario entro il termine di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda devono rispettivamente procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorchè non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dei ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario; mentre quest’ultimo deve nel medesimo termine trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. Al riguardo è da sottolineare che la perentorietà del termine per provvedere da parte degli uffici finanziari è evidente sia dal tenore della disposizione (deve procedere o trasmettere) sia da esigenze di celerità proprie della procedura (infatti la Cicolare 40/2008 esorta gli uffici a chiedere agli organi della procedura eventuali proroghe per casi eccezionali), atteso che in caso di esito negativo della proposta transattiva riprende l’iter del concordato con ovvi aggravi di tempo circa la conclusione di tutta la procedura.
E’ da evidenziare nel contempo, che il termine previsto dal legislatore sembra essere estremamente breve soprattutto in presenza di debiti del proponente di entità considerevole (problemi quindi nel predisporre la relativa documentazione) e nel caso in cui l’ufficio debba provvedere a numerose attività di controllo, ossia in presenza di avvisi di irregolarità o notifica di atti di accertamento). Si ritiene però, che in assenza di disposizione circa le conseguenze del mancato rispetto del termine, gli organi fallimentari possono anzi avranno tutto l’interesse a concludere positivamente la procedura.
 
La sopra indicata documentazione deve essere trasmessa al commissario giudiziale per l’ulteriore decorso dell’iter ai sensi degli artt. 171 e ss della L. F.
 
Tipologia dei crediti transigibili
 
In base alla chiara dizione della legge sono transigibili i tributi amministrati dalle Agenzie fiscali ad eccezioni dei tributi costituenti risorse proprie della Comunità Europea.
Quindi rientrano nella transazione fiscale unicamente i crediti tributari con esclusione delle altre entrate di natura non tributarie gestite dall’Agenzia (ad es. canone televisivo) che però possono essere oggetto di concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti.
Pertanto anche in base alla Circolare testè citata sono sicuramente oggetto di transazione l’Ires, l’Irpef, le accise, l’imposta di bollo, l’imposta di registro, le imposte ipotecarie e catastali etc, cosi come l’Irap considerato che la stessa viene gestita dall’Agenzia, nonché gli accessori in senso proprio del tributo (interessi, sanzioni anche afferenti l’Iva, indennità di mora).
Non possono essere falcidiati gli aiuti di Stato dichiarati illegali e incompatibili dalla Commissione europea, nonché come precisato dagli esperti del Fisco le somme dovute a seguito di condanna per danno erariale.
Parimenti possono essere oggetto di transazione i dazi doganali, nonché a mentre dubbi prima della modifica dell’art. 182-ter da parte dell’art. 32 DL 185/2008, erano sorti per l’Iva considerata dalla prassi amministrativa e da parte della giurisprudenza non oggetto di transazione. Infatti gli esperti del fisco con la Circolare 40/2008 e con il successivo comunicato stampa del 18/04/2008 avevano escluso dalla tipologia dell’ambito di applicazione l’imposta sul valore aggiunto sulla base dell’ottavo considerando della Direttiva CEE 122/2006 in quanto risorsa propria della Comunità Europea.
Stessa considerazione era stata alla base di giurisprudenza minoritaria (Sentenza Trib. Piacenza dell’1/07/2008 in Fisco leggi d’Italia oppure sul sito Il caso.it).
Al contrario in base alla considerazione secondo la quale a differenza dei dazi doganali, nel caso dell’imposta sul valore aggiunto viene riversata all’Unione europea una somma corrispondente all’applicazione di una determinata aliquota sugli imponibili Iva, quale parametro cui applicare un’aliquota concordata da tutti i paesi membri, si era consolidata dottrina (Stasi, la Transazione fiscale, in Il Fall. pagg. 773 e ss.) e giurisprudenza (2) che ammetteva la transabilità del tributo.
Al riguardo è da rilevare che anche l’Amministrazione Finanziaria sembrava al riguardo possibilista ad un cambiamento di rotta atteso che nella Circolare pur invitando gli Uffici a tener fuori dalla transazione l’Iva, attendeva un consolidamento della giurisprudenza sul punto.
Ora invece in base al sopra menzionato art. 32 DL 185/2008 per l’imposta sul valore aggiunto è stato specificatamente previsto la impossibilità di pagamento parziale, ma esclusivamente la dilazione del versamento. In tal modo è stata chiarita e precisata la indisponibilità del tributo.
Al riguardo è facile prevedere una serie di tentativi per recuperare la interpretazione consolidata della norma, sia perché la modifica depotenzierà sicuramente l’istituto lasciando pochi margini di manovra ai Funzionari del Fisco atteso che il debito Iva rappresenta di solito la quota più consistente dell’esposizione debitoria del proponennte, sia perché dalla citata disposizione comunitaria si evince che l’imposta sul valore aggiunto non costituisce una risorsa propria della UE nel senso letterale del termine, visto che nell’ottavo considerando si fa riferimento ad un aliquota sugli imponibili Iva all’Iva.
Ma problemi sicuramente si porranno nel caso di accordi transattivi precedenti la citata riforma, ma anteriori alla omologa del concordato. Al riguardo si pone il dubbio se è possibile riaprire la procedura con ovvi aggravi di tempi, ossia se la disposizione abbia carattere procedimentale e quindi effetto retroattivo. Per cui in attesa della conversione del Decr. Legge, sarà facile ipotizzare critiche alla nuova riforma circa la mancata qualificazione della disposizione come interpretazione autentica circa la indisponibilità dell’Iva ai sensi dell’art. 1 comma 2 della L 212/2000 e le consequenziali e solite accuse di sminuire lo Statuto del Contribuente non riconoscendone la natura sovraordinata rispetto alle leggi ordinarie; nonché si evidenzierà il tentativo maldestro del legislatore di salvare comunque l’istituto prevedendo la dilazione dell’Iva, comunque praticabile mediante gli strumenti ordinari.
Anche a prescindere dal prevedibile depotenziamento dell’istituto, appare equo in attesa di direttive dell’Amministrazione Finanziari e delle prime pronunce giurisprudenziali,  non dare alle citate modifiche effetti retroattivi sia per motivi di tempo e in linea con la ratio teleologica dell’istituto finalizzato alla salvaguardia dei complessi produttivi, sia nel rispetto del combinato disposto degli artt. 1 comma 2 e 3 comma 1 dello Statuto del Contribuente e del principio di affidamento dei terzi, salvaguardando in tal modo le transazioni già concluse in attesa di omologazione.
 
 
E’ evidente infine dal tenore dell’art. 182-ter che se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti dai creditori che hanno un privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forma di previdenza e assistenza obbligatoria; lo stesso vale per i crediti chirografari. La disposizione è suffragata da univoca giurisprudenza laddove è stabilito in sintesi che “È inammissibile la proposta di concordato preventivo che contenga una misura di soddisfazione del credito tributario privilegiato inferiore a quella degli altri crediti di natura identica, in quanto la riduzione dell’importo integrale, pur se giustificata dalle condizioni patrimoniali del debitore, non può comportare un trattamento differente a parità di privile-
gio “ (3)
 
Esito della procedura e sue conseguenze sul concordato preventivo
 
Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, dubbi sussistono circa l’esito della procedura transattivi e le sue conseguenze.
Premesso che la disciplina nulla dice relativamente alle modalità ed al momento del perfezionamento della transazione fiscale, (invero si ritiene imprescindibile che si instauri comunque un contraddittorio tra il proponente e l’Amministrazione), è da evidenziare che se incertezze non sussistono nel caso si addivenga all’accordo in quanto in tal caso l’Agenzia si pronuncerà in favore della transazione e successiva chiusura del concordato, difficoltà sussistono circa le fasi successive alla negativa conclusione del sopra indicato procedimento.
Nel caso de quo se è vero che riprende a decorrere l’iter del concordato, ci si chiede se il diniego alla transazione possa valere come provvedimento negativo anche al concordato e quindi come voto negativo in sede di adunanza dei creditori, oppure ci sia bisogno di un ulteriore atto di volontà.
 
In assenza di una espressa disposizione normativa sembra preferibile la seconda tesi, atteso che il legislatore ha previsto espressamente e regolamentato appositamente i diversi istituti negoziali (concordato preventivo – artt. 160 e ss -, ristrutturazione dei debiti art. 182-bis e appunto la transazione fiscale art. 182-ter), prevedendone procedure ed effetti in parte differenti.  
Del resto, visto il termine ristretto (30 giorni) nel quale gli Uffici Finanziari devono comunicare al debitore l’entità dei debiti erariali, rilevato che le certificazioni devono essere trasmesse anche al Commissario giudiziale dopo il decreto di ammissione al concordato per gli adempimenti di cui agli artt. 171 e 172 L. F., è possibile che in un primo tempo in considerazione della novità dell’istituto e delle relative incertezze normative, l’Amministrazione Finanziaria a seguito di contraddittorio con la parte non addivenga ad un accordo transattivo circa l’entità della falcidia da operare sui debiti tributari, in considerazione soprattutto ed anche del rischio di danno erariale insito in questa procedura.
In un secondo momento, invece, valutate attentamente la situazione debitoria del proponente, chieste le autorizzazioni del caso ed effettuati i confronti necessari, è ben possibile che l’Agenzia ritorni sui suoi passi ed esprima di poi voto favorevole in sede di adunanza dei creditori.
In altri termini si è del parere che gli organi fallimentari non debbano sovrapporre le due procedure, ma dovrebbero accertarsi invece anche in virtù della natura privilegiata dei crediti erariali, iscritti a ruolo ex art. 2752 c. c. che la procedura transattiva sia terminata (infatti la nota di eventuale non adesione viene comunicato anche al Commissario) prima di fissare la data dell’adunanza dei creditori, o comunque sollecitarne la conclusione fissando il termine dell’assemblea non troppo a breve scadenza.
Certo dal tenore dell’art. 182 ter 3° comma sembrerebbe che il provvedimento di diniego alla transazione corrisponda al voto negativo in adunanza, laddove è previsto che dopo l’emissione del decreto di cui all’art. 163, copia dell’avviso di irregolarità e delle certificazioni devono essere trasmessi Commissario giudiziale per la continuazione dell’iter concordatario;
nonché, sempre in base alla nostra tesi, si avrebbe in caso di assenza degli Uffici finanziari in sede di assemblea e quindi laddove gli stessi non abbiano fatto pervenire il dissenso alla proposta, il fenomeno del silenzio assenso sulla proposta concordataria avanzata e quindi accettazione supina della stessa (con incidenza positiva sul calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione del concordato anche se contrario agli interessi dell’Amministrazione); ciò considerato che la disciplina del concordato preventivo è stata uniformata a quella prevista per il concordato fallimentare (4); ma è altrettanto evidente che non interpretare troppo restrittivamente la norma e quindi, prevedere due momenti procedurali differenti, ossia due esplicite espressioni di volontà darebbe da una parte all’Amministrazione la possibilità, senza ovviamente dilatare oltremodo i tempi procedimentali, di valutare con la dovuta tranquillità ed attenzione i contenuti della proposta, dall’altra le imporrebbe una maggiore presenza nelle aule dei Tribunali o comunque al di fuori delle mura degli Uffici in linea con i principi di trasparenza e buon andamento della Pubblica amministrazione e soprattutto di collaborazione con i contribuenti.
 
Impugnabilità del mancato accordo    

Sicuramente l’atto non è impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie sia in virtù della natura discrezionale dello stesso, atteso che nella legge non sono fissati i criteri cui l’Amministrazione deve attenersi per valutare la convenienza ad accettare, sia in quanto il diniego non rientra negli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 d. lgs 546/92; né potrebbe applicarsi alla fattispecie l’art. 2 che sottopone alle Commissioni Tributarie la giurisdizione su tutte controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, in quanto nello specifico non si discute sulle condizioni o i presupposti della imposizione dei tributi.

Parimenti il mancato accordo non potrebbe impugnarsi, come impropriamente successo, in sede di giurisdizione amministrativa per questioni attinenti alle valutazioni di merito.

Pertanto l’eventuale ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile ai sensi in questo caso del combinato disposto degli artt. 26 e 4 della L. 1034/1971 per difetto di giurisdizione amministrativa, attesa l’assenza di una condizione dell’azione, quale nello specifico, una posizione giuridica soggettiva lesa, nella forma dell’interesse legittimo o del diritto soggettivo (quest’ultimo nei casi di giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo tassativamente indicati), in quanto il gravame è stato esperito contro un atto “iure privatorum”, ossia relativo ad un istituto privatistico, quale la transazione ex art 1965 1 comma c.c ai sensi del quale “la stessa è un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni pongono fine ad una lite già incominciata, o prevengono una lite che può sorgere tra di loro”.
 
Il ricorrente sempre come detto nei casi di eccezioni circa le valutazioni di merito della P. A  non è nemmeno portatrice d’interesse legittimo, quale, in base a consolidata giurisprudenza e dottrina, interesse differenziato in relazione allo specifico rapporto, il bene della vita che vanta il singolo rispetto alla collettività indifferenziata e soprattutto interesse qualificato, in quanto preso in considerazione anche implicitamente dalla norma attributiva del potere. Manca quindi l’interesse sostanziale (nella sua distinzione tra interessi pretesivi ed oppositivi) da parte del privato a condizionare l’azione amministrativa per preservare la sua utilità sociale in assenza di un atto autoritativo, ma unicamente in presenza di una mancata adesione alla proposta del contribuente. (così infatti il Consiglio di Stato nel parere rilasciato con riferimento ad un simile istituto ossia la transazione dei debiti iscritti a ruolo introdotto dall’art. 3 comma 3 d. l. 138/2002 convertito in L. 178/2002), laddove è stato precisato che“i provvedimenti di diniego dell’Agenzia al termine dell’iter previsto, non possono essere soggetti a reclamo per quanto riguarda le questioni attinenti alle valutazioni di merito”)
Al più la parte sarebbe portatrice di un interesse semplice, ossia l’interesse generico che vanta ciascun cittadino ad un uso corretto sul piano del merito, giammai della legittimità, dei poteri da parte dell’autorità amministrativa nello svolgimento della sua cura dell’interesse pubblico, ossia interesse al rispetto di quei canoni comportamentali di opportunità, convenienza ed equità nell’esercizio del potere amministrativo (nello specifico la salvaguardia degli interessi erariali consequenziali agli introiti incamerabili a seguito di transazione); criteri che non presentano l’obbiettività e rigidità propria delle norme giuridiche, la violazione delle quali, quindi non può essere fatta valere in sede giurisdizionale, salvi i casi eccezionali di giurisdizione di merito, non invocabili nel caso de quo.
 
Si sarebbe trattato eventualmente di lesione d’interesse legittimo nel caso in cui l’Amministrazione non avesse applicato le disposizioni che disciplinavano la fase procedurale, ossia precedente il possibile accordo (così sempre il Consiglio di Stato nel parere su citato secondo il quale la posizione della parte è configurabile come interesse legittimo), ma nel caso de quo la società impugna il mancato accordo, ossia la fase successiva, come tale non sindacabile come detto nel merito.
 
Al limite l’organo giurisdizionale competente è il Tribunale ordinario sez. Fallimentare  laddove si impugni ad esempio la decisione dell’Amministrazione Finanziaria (tornata applicabile la disciplina del concordato in assenza di accordo transattivi), di non assoggettarsi alle sorti del concordato, in caso di omologazione a seguito di approvazione favorevole di tale procedura da parte della maggioranza dei creditori o delle classi ex art. 128 L. F. (concordato fallimentare la cui disciplina è applicabile anche al concordato preventivo), oppure le modalità stabilite di pagamento.
Così infatti la giurisprudenza consolidata che ha stabilito in sintesi che “la transazione fiscale di cui all’art. 182 ter l.fall. R.D. n. 267/1942 non è un autonomo accordo, ma deve essere inserita nel piano di cui all’art. 160 l.fall. e costituisce una fase endoconcorsuale che si chiude con l’adesione od il diniego al concordato preventivo mediante espressione di voto dell’amministrazione finanziaria con la conseguenza che l’Agenzia delle Entrate ed il concessionario sono soggetti all’esito della votazione concordataria, subendone gli effetti obbligatori e remissori conseguenti all’omologazione” (5).
 
A tal fine parò la parte dovrebbe riportare l’eventuale comportamento difforme dell’Agenzia rispetto alla eventuale omologazione del Tribunale a seguito dell’esito dell’adunanza dei creditori nella quale l’adesione alla transazione costituisce parte integrante.
 
(1)    Infatti in base all’art. 1 comma 1 è stabilito che “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”. In base al comma 2 non sono soggetti alla disciplina del concordato e quindi alle disposizioni dell’art. 182-ter della L. F. gli imprenditori commerciali che “dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: A) aver avuto nei tre esercizi precedenti la data del deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300.000,00; B) aver realizzato in qualunque modo risulti, nei 3 esecizi antecedenti la data del deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000,00; C) avere un ammontare di debiti non scaduti non superiore ad € 500.000,00. Può inoltre richiedere l’ammissione alla procedura non solo l’imprenditore insolvente ai sensi dell’art. 5 ma anche l’imprenditore in stato di crisi economica o di liquidità, spesso antecedente il fallimento.
(2)   Così ex plurisCorte di Appello di Milano Sez. IV Dec., 14-05-2008, Tribunale di Mantova con Sentenza del 30/10/2008, Sezione fallimentare del Trib. di Milano con Sentenza del 13/12/2007; tutte in Fisco – Leggi d’Italia oppure sul Il sito.it
(3)   Così Trib. Di Pavia con sentenza dell’8/10/2008 in Fisco – Leggi d’Italia oppure sul Il sito.it laddove è sottolineato che “l’Iva può essere oggetto di transazione in quanto la cd. Iva comunitaria non viene calcolata sull’imposta riscossa in ambito nazionale, di modo che la rinuncia alla riscossione di parte di essa si configura quale rinuncia propria dello Stato e non incide sul sistema di finanziamento comunitario”.
Parimenti il Tribunale Milano del 16/04/2008 e del 13/12/2007 sez II sempre in Fisco – Leggi d’Italia oppure sul Il sito.it, sintesi precisa che la transazione fiscale può avere ad oggetto l’Iva in quanto “L’imponibile Iva di uno Stato membro della Comunità europea costituisce il parametro cui applicare un’aliquota concordata da tutti i Paesi membri che prescinde dalla riscossione dell’imposta dovuta dal singolo contribuente italiano; conseguentemente il pagamento in percentuale del credito iva proposto dal contribuente nella transazione fiscale di cui all’art. 182 ter l.fall. – R.D. n. 267/1942 – non è idoneo a modificare l’imponibile nazionale su cui va calcolata la risorsa spettante alla Comunità e non può essere precluso”.
(4)   Infatti la disciplina della comunicazione delle adesioni, delle maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato e quella della omologazione sono identiche a quanto disposto per il concordato fallimentare di cui agli artt. 124 e ss della L. F. che prevede appunto che i creditori che non fanno pervenire la dichiarazione di dissenso entro il termine previsto dal giudice delegato si considerano consenzienti)
(5)   Così ex pluris e di recente Sentenze Trib. Pavia dell’8/10/2008, Trib. Milano sez 2 fall. del 13/12/2007, e del 25/10/2007 in Fisco – Leggi d’Italia oppure sul Il sito.it

Aniello Napolitano

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